Vincent Van Gogh - AUTORITRATTO 1887
B I O G R A F I A
Vincent Van Gogh
Vincent Willem Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese.
Autore di quasi 900 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. Attraversata l'esperienza dell'Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione romantica, nella quale l'immagine pittorica è l'oggettivazione della coscienza dell'artista: identificando arte ed esistenza, van Gogh pose le basi dell'Espressionismo.
Biografia
Gli studi interrotti (1868)
La casa natale di van Gogh a Zundert: Vincent nacque nella stanza sotto il tetto, dalla cui finestra sventola la bandiera
La casa natale di van Gogh a Zundert: Vincent nacque nella stanza sotto il tetto, dalla cui finestra sventola la bandieraNotizie dei van Gogh si rintracciano a L'Aja fin dalla metà del XVII secolo e a partire dal Settecento quella famiglia trasmise di padre in figlio il mestiere di orefice. Nel primo Ottocento si ha notizia di un Vincent Van Gogh (1789-1874) pastore calvinista, padre di undici figli che praticavano diverse attività: tre di essi erano mercanti d'arte, mentre si sa che anche Theodorus van Gogh (1822-1885) dal 1º aprile 1849 era pastore a Groot-Zundert, un piccolo paese del Brabante di seimila anime. Sposatosi nel 1851 con Anna Cornelia Carbentus, figlia di un rilegatore della corte olandese, questa diede alla luce il 30 marzo 1852 un figlio morto, Vincent Willem.
Esattamente l'anno dopo nacque un secondo figlio, il futuro artista, chiamato ancora Vincent Willem: ne seguiranno altri cinque, Anna Cornelia (1855-1930), Théo (1º maggio 1857 - 25 gennaio 1891), Elisabeth (1859-1936), Wilhelmina Jacoba (1862-1941) e Cornelis (1867-1900).
Dal 1861 al 1864 Vincent frequentò la scuola del paese e dal 1° ottobre un collegio della vicina Zevenbergen dove apprese il francese, l'inglese e il tedesco e l'arte del disegno. Dal 1866 frequentò la scuola tecnica Hannik di Tilburg ma il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento nonché di problemi economici del padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi.
Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875)
Vincent van Gogh fotografato nel 1871, all'età di 19 anni.
La scarsità del suo profitto scolastico convinse la famiglia a trovargli un impiego: lo zio paterno Vincent detto Cent (1811-1889), già mercante d'antiquariato, nel luglio del 1869 lo raccomandò alla casa d'arte Goupil & Co. alla quale, per motivi di salute, aveva ceduto la sua attività a L'Aja; l'attività della casa Goupil consisteva nella vendita di riproduzioni di opere d'arte e il giovane Vincent sembrò molto interessato al suo lavoro, che lo obbligava a un approfondimento delle tematiche artistiche e lo stimolava a leggere e a frequentare musei e collezioni d'arte. Mantenne i contatti con la famiglia, che dal gennaio del 1871 si era trasferita a Helvoirt, dove il padre Theodorus svolgeva la sua attività pastorale. Vincent oltre ad incontrare frequentemente a L'Aja il fratello Théo, intesse con lui una corrispondenza che durerà tutta la vita.
Nel 1873 fu trasferito nella filiale Goupil di Bruxelles e a maggio in quella di Londra. Durante il trasferimento nella capitale inglese si fermò per alcuni giorni a Parigi, rimanendo affascinato dalla bellezza della città e dai fermenti culturali che la animavano: la visita del Louvre e delle esposizioni di quadri al Salon lo colpirono profondamente.
A Londra disegnò schizzi di scorci cittadini, che tuttavia non conservò (ne rimane solo uno, peraltro assai rovinato e scoperto nel 1977, raffigurante la casa dove visse). Nella pensione in cui alloggiava, si dichiarò un giorno a una figlia della proprietaria, Eugenia Loyer (e non Ursula come si era sempre creduto), che, già fidanzata, lo respinse: caduto in una crisi depressiva, chiese e ottenne di essere trasferito a L'Aja. Da questo momento iniziò a trascurare il lavoro: a poco servì il ritorno a Londra, nel luglio del 1874, insieme con la sorella Anna.
I suoi interessi cominciarono a indirizzarsi verso le tematiche religiose, che si approfondirono anche dopo il suo trasferimento a Parigi, nel maggio 1875: qui tuttavia frequentò anche i musei, appassionandosi a Jean-Baptiste Camille Corot e alla pittura secentesca olandese. I dirigenti della Goupil erano sempre più scontenti di lui, che nel Natale del 1875 lasciò senza preavviso il lavoro, andando a trovare la famiglia, che allora risiedeva a Etten, un piccolo paese presso Breda. Vincent comprese tuttavia di non potere più continuare la sua collaborazione in un'attività che ormai sentiva profondamente estranea e si dimise dall'impiego il 1º aprile 1876.
La missione sociale e religiosa (1876-1880)
Il 16 aprile 1876 partì per Ramsgate, il sobborgo londinese, dove lavorò come insegnante supplente presso la scuola del signor Stokes, ricevendo in cambio soltanto vitto e alloggio, e poi proseguì l'insegnamento a Isleworth, dove la scuola si era trasferita: qui collaborò anche con un pastore metodista che teneva un'altra piccola scuola e il 4 novembre pronunciò il suo primo sermone, che si ispirò a un quadro di Boughton, il Pellegrino sulla via di Canterbury al tempo di Chaucer. [1] Tornato in famiglia per Natale, fu dissuaso dai genitori, che spaventati si accorsero delle sue precarie condizioni psico-fisiche, dal ripartire per l'Inghilterra.
La casa abitata da van Gogh a Cuesmes
Lo zio Vincent gli trovò così un altro lavoro come commesso in una libreria di Dordrecht. Viveva da solo, era un cristiano devoto ed era un membro della Chiesa riformata olandese, anche se aveva un forte amore per tutte le chiese cristiane. [2]. Amava tradurre passi della Bibbia; convinse il padre a lasciargli tentare gli esami di ammissione alla Facoltà di teologia di Amsterdam, dove andò a vivere con lo zio paterno Johannes, frequentando anche uno zio materno, che gli fece impartire lezioni di latino e di greco. Non tralasciava tuttavia i suoi interessi artistici, visitando i musei, il ghetto ebraico e continuando a esercitarsi nel disegno.
Respinto agli esami di ammissione, dall'agosto del 1878 frequentò un corso trimestrale di evangelizzazione in una scuola di Laeken, presso Bruxelles, la quale tuttavia non lo riconobbe idoneo a svolgere l'attività di predicatore. Nonostante tutto, alla fine dell'anno si trasferì nella regione belga del Borinage, a Pâturage: qui, povero tra i poveri, si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. Autorizzato, nel gennaio del 1879, a predicare temporaneamente dalla Scuola di evangelizzazione di Bruxelles, si trasferì nel centro minerario di Wasmes, vivendo in una baracca: il suo zelo e la sua partecipazione, anche emotiva, all'estrema povertà dei minatori apparvero eccessivi alla Scuola, che decise di non rinnovargli l'incarico.
Vincent continuò tuttavia a svolgere quella che considerava una sua missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi non stava in realtà peggio di lui, arrivando a cedere il suo letto ai malati o a curare di persona i feriti delle esplosioni usando come bende i suoi stessi vestiti. Leggeva i romanzi popolari che descrivevano la miseria delle popolazioni delle città industriali, interruppe per qualche tempo la corrispondenza con il fratello Théo, che ora lavorava nella casa Goupil e lo disapprovava apertamente, cercando di distoglierlo da un'attività che sembrava aggravare il suo delicato equilibrio psichico, e si spostò frequentemente per il Belgio percorrendo a piedi centinaia di chilometri. Nel giugno 1880 arrivò fino a Courrières, nel dipartimento del Passo di Calais, desiderando conoscere il pittore Jules Breton, che lì abitava ed era da lui molto ammirato, ma poi s'intimidì alla sola idea d'incontrarlo (nonché alla vista del "suo nuovo atelier...di un'inospitalità agghiacciante") e ritornò indietro, dormendo sulla paglia nei casolari abbandonati.
In luglio riprese la corrispondenza con Théo che gli mandò del denaro e lo incoraggiò a indirizzare le sue generose pulsioni sociali religiose verso l'espressione artistica. Vincent accolse un suggerimento che non poteva lasciarlo indifferente e, nell'ottobre si stabilì a Bruxelles dove, comprendendo di aver bisogno di una scuola di tecnica pittorica, s'iscrisse all'Accademia di Belle Arti.
La svolta artistica (1881)
Boccale e pere, olio su tela, 4,5x57,5 cm, 1881, Von der Heydt Museum, Wuppertal
Si legò d'amicizia con il pittore olandese Anthon van Rappard e studiò prospettiva e anatomia, impegnandosi in disegni che ritraevano soprattutto umili lavoratori della terra e delle miniere: non a caso i suoi pittori di riferimento erano Millet e Daumier. Nell'aprile 1881 lasciò l'Accademia e fece ritorno presso la famiglia, a Etten, dove s'innamorò della cugina Kate Vos-Stricker, detta Kee, figlia di un pastore protestante, da poco vedova con un figlio, senza però esser corrisposto. Non si rassegnò e la seguì ad Amsterdam, dove lei si era trasferita in casa dei genitori: al suo rifiuto di riceverlo, di fronte ai genitori della donna, van Gogh si ustionò volontariamente una mano alla fiamma di una lampada.
A L'Aja ottenne l'incoraggiamento e i consigli del pittore Anton Mauve, cognato della madre, continuò a disegnare sotto la sua guida e, per la prima volta, verso la fine del 1881, eseguì nature morte dipinte a olio e figure all'acquarello: le nature morte con il Cavolo e gli zoccoli del Van Gogh Museum di Amsterdam e il Boccale e pere di Wuppertal sono tra i suoi primi lavori. In rotta con i genitori per la sua insistente ostinazione verso la cugina e per l'aperto distacco mostrato nei confronti della religione (essendo scacciato di casa dal padre il giorno di Natale), lasciò Etten, rifiutando ogni loro aiuto economico, trasferendosi a L'Aja, vicino allo studio di Mauve, il quale, insieme con il fratello Théo, lo soccorse economicamente. Dopo pochi mesi, tuttavia, contrasti con il pittore - che avrebbe voluto, secondo i suoi sistemi didattici, che si esercitasse copiando calchi in gesso, mentre Vincent preferiva ispirarsi direttamente alla realtà - portarono alla rottura tra i due.
Del resto, van Gogh avrà sempre molta difficoltà a relazionarsi con gli altri pittori, pur stimati da lui: in questo periodo, l'unico pittore che mostrava considerazione per le sue possibilità era il connazionale Johan Hendrik Weissenbruch (1824-1903), artista già noto e apprezzato.
A Nuenen (1883 - 1885)
Dolore (Sien Hoornik) litografia, 44,5x22 cm, 1882, collezione privata, LondraNel gennaio del 1882 Vincent conobbe una trentenne prostituta alcolizzata, butterata dal vaiolo, Clasina Maria Hoornik detta Sien, già madre di una bambina e in attesa di un altro figlio, che gli fece da modella: dopo il parto, vissero insieme ed egli pensò anche di sposarla, sperando di sottrarla alla sua triste condizione: scrisse al pittore van Rappard: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, lei è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita».
Tutto questo non gli impedì tuttavia, dapprima di ammalarsi di gonorrea (e fu per questo ricoverato in ospedale dove, secondo le lettere a Théo, eseguì un ritratto, andato perduto, del medico che lo ebbe in cura), e poi di lasciare Sien dopo un anno, anche per la pressione della famiglia (che, appresa la volontà di Vincent di voler sposare una prostituta, tentò addirittura di farlo internare) e, nel settembre del 1883, andò a vivere nel nord dell'Olanda, nella Drenthe, ricca di torbiere, spostandosi spesso e ritraendo gli operai e i contadini della regione. Si recò anche a Nieuw-Amsterdam e a Zweeloo, sperando invano di conoscere il pittore Max Liebermann, che aveva abitato in quei dintorni; in compenso, la gita a Zweloo venne da lui immortalata con vari disegni e una vivissima lettera a Theo.
Alla fine del 1883 tornò a vivere con i genitori, che si erano trasferiti a Nuenen, dove il padre era pastore. Questi era intenzionato ad aiutare Vincent, ponendo fine alla sua vita errabonda, consentendogli di allestire un suo studio nella lavanderia del presbiterio; ma Vincent preferì prepararne uno in casa del sagrestano della parrocchia di Neunen, dove aveva la disponibilità di un paio di stanze. Lavorò intensamente e prese anche lezioni di pianoforte convinto, sulla scorta delle teorie di Wagner e dei simbolisti, dell'esistenza di una relazione tra musica e colore.
Della scuola impressionista, al fratello che gliene scriveva, rispondeva di non saperne nulla e di considerare veri e originali artisti Delacroix, Millet e Corot, «intorno ai quali i pittori di contadini e di paesaggi devono girare come intorno a un asse». [3]
Non gli mancarono nuovi problemi: una vicina di casa, Margot Begemann, che accudì sua madre dopo una caduta e con la quale aveva avuto una relazione, tentò il suicidio, e il 26 marzo 1885 il padre morì improvvisamente d'infarto dopo un violento alterco con lui; inoltre fu accusato dal parroco cattolico di essere responsabile della gravidanza di una ragazza, Gordina De Groot, che aveva posato per lui. Nell'aprile del 1885 dipinse le due versioni de I mangiatori di patate, con il quale, scrisse a Théo, [4]
I mangiatori di patate, olio su tela, 82x114 cm, 1885, Van Gogh Museum, Amsterdam
« ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole »
È qui espressa la radice etica della sua vocazione di pittore: e aggiunse: [5]
« So benissimo che la tela ha dei difetti ma, rendendomi conto che le teste che dipingo adesso sono sempre più vigorose, oso affermare che I mangiatori di patate, insieme con le tele che dipingerò in avvenire, resteranno »
L'opera (della quale Vincent eseguì anche una litografia) non piacque all'amico van Rappard, che non glielo nascose: ma van Gogh, pur consapevole dei difetti dell'opera, la difese apertamente: [6]
« Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d'essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno »
Il reciproco risentimento portò alla fine della loro amicizia.
Anversa e Parigi (1886 - 1887)
Un breve viaggio ad Amsterdam e la visita al Rijksmuseum appena aperto gli permisero di riscoprire Frans Hals e Rembrandt, che riconobbe come gli ideali anticipatori della sua ricerca formale; poi, comprendendo di non poter rimanere in un paesino come Nuenen (il curato cattolico, a causa dell'episodio di Gordina De Groot, aveva proibito ai parrocchiani di posare per Vincent, che da allora era stato costretto a dipingere solo nature morte), nel novembre del 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando assiduamente le chiese ed i musei della città dove scoprì le stampe giapponesi e ammirò il colorismo di Rubens: [7]
Père Tanguy, olio su tela, 92x75 cm, 1887, Musée Rodin, Parigi
« Rubens è superficiale, vuoto, ampolloso, e in conclusione, ampolloso come Giulio Romano o, peggio ancora, come i pittori della decadenza. Nonostante questo, mi entusiasma, proprio perché è il pittore che cerca di esprimere l'allegrezza, la serenità, il dolore, e rappresenta questi sentimenti in modo veritiero grazie alle sue combinazioni di colori »
Un rigattiere di Nuenen acquistò da sua madre una serie di dipinti rimasti nello studio, vendendoli a 10 centesimi l'uno e bruciando quelli che non gli sembravano commerciabili.
Nel gennaio 1886, dopo aver frequentato un corso di disegno, si iscrisse ai corsi di pittura e disegno dell'École des Beaux-Arts ma senza alcun successo: il 31 marzo venne respinto il suo lavoro presentato per accedere ai corsi d'insegnamento superiore, ma van Gogh si era già trasferito a Parigi per seguire i corsi di pittura di Fernand Cormon, pittore accademico mediocre ma di successo, allo scopo di migliorare la sua tecnica e poter ritrarre dei modelli; in questo studio conobbe Émile Bernard, Louis Anquetin e Toulouse-Lautrec.
La capitale francese è il centro della cultura mondiale: «non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria francese libera il cervello e fa bene, un mondo di bene». [8] Il fratello Théo vi era trasferito da sette anni per dirigere, a Montmartre, una piccola galleria d'arte per conto di Boussod e Valadon, i successori dell'impresa Goupil. Egli lo ospitò nella sua casa, dove Vincent allestì lo studio e dipinse vedute della capitale, e gli presentò i maggiori pittori impressionisti. Inizialmente, la loro pittura lo interessò molto poco: [9]
Il ristorante della Sirène ad Asnières, olio su tela, 51,5x64 cm, 1887, Musée d'Orsay, Parigi
« Ad Anversa non sapevo nemmeno che cosa fossero gli impressionisti: adesso li ho veduti e pur non facendo ancora parte del loro clan ho molto ammirato alcuni dei loro quadri: un nudo di Degas, un paesaggio di Claude Monet [...] da quando ho veduto gli impressionisti, Le assicuro che né il Suo colore né il mio sono esattamente uguali alle loro teorie »
e ribadirà ancora la sua lontananza da quella pittura due anni dopo alla sorella: [10]
« quando si vedono per la prima volta si rimane delusi: le loro opere sono brutte, disordinate, mal dipinte e mal disegnate, sono povere di colore e addirittura spregevoli. Questa è la mia prima impressione quando sono venuto a Parigi »
Per Vincent, l'arte moderna era rappresentata dalla scuola di Barbizon: oltre all'ormai classico Delacroix, egli ammirava Corot, Daumier, Troyon, Daubigny, Bastien Lepage e soprattutto Millet, che rappresentava per lui il vertice della pittura. L'importanza, che il suo iniziale dilettantismo e la sua inclinazione essenzialmente romantica, attribuiva al soggetto del dipinto e alla correttezza tecnica dell'esecuzione, gli faceva apprezzare perfino un Meissonier, lodatissimo a quel tempo e che pure era molto lontano dal suo spirito. Sapeva tuttavia che l'abilità tecnica non doveva essere il fine dell'arte ma solo il mezzo per poter esprimere quello che sentiva: «quando non posso farlo in modo soddisfacente, mi sforzo di correggermi. Ma se il mio linguaggio non piace, ciò mi lascia completamente indifferente». [11]
Agostina
Segatori, olio su tela, 55,5x46,5 cm, 1887,Amsterdam
L'osservazione più puntuale delle opere degli impressionisti gli fece comprendere l'originalità e i valori racchiusi in quella nuova concezione della visione: anche se non aderì mai a quella scuola, perché egli intese sempre esprimere solo quello che aveva «dentro la mente e il cuore», [12] guardò con favore a Guillaumin e a Pissarro, e la sua tavolozza, fino a quel momento scura e terrosa, si schiarì proprio grazie all'influsso della pittura impressionista e alleggerì i propri soggetti, tralasciando i temi sociali per i paesaggi e le nature morte; sperimentò anche l'accostamento dei colori complementari cimentandosi, nell' Interno di ristorante, con la tecnica puntinista inventata da Seurat.
Con Bernard, suo grande amico all'epoca, andò spesso a dipingere ad Asnières, il sobborgo che sorgeva sulle rive della Senna; espose suoi dipinti nella bottega di colori di père Tanguy e, insieme con il gruppo del Petit boulevard di Anquetin, Bernard, Gauguin e Toulouse-Lautrec, nel café Tambourin, gestito dall'ex-modella di Degas, l'italiana Agostina Segatori, con la quale, per qualche mese, ebbe una relazione.
I rapporti con il fratello Théo non erano sempre facili: pur volendosi molto bene, entrambi soffrivano di disturbi nervosi. Il carattere, generoso ma imprevedibile e collerico di Vincent, non gli rendeva agevole mantenere durevoli rapporti di amicizia; egli stesso si rendeva conto di non riuscire a non esprimere direttamente i propri sentimenti e a non manifestare con violenza le proprie opinioni: «non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola». [13]
Il desiderio di conoscere il Mezzogiorno francese, «dove c'è più colore, più sole», [14] con la sua luce e i suoi colori mediterranei così lontani dal cromatismo nordico, fu una buona occasione per porre fine a una convivenza divenuta difficile.
Arles (1888)
La casa gialla,olio su tela, 76x94 cm, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam
Trasferitosi ad Arles il 20 febbraio 1888, andò ad alloggiare prima in albergo e poi, in maggio, affittò un appartamento di quattro stanze di una casa dalle mura gialle che si affacciava sulla piazza Lamartine, [15] ritratta in un quadro famoso.
Produsse una tela dopo l'altra, come temesse che la sua ispirazione, esaltata dalla novità del nuovo modello del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall'emozione, che egli identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura: le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale potevano essere così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, allo stesso modo per il quale non si possono fermare i pensieri, quando questi si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente. [16] D'altra parte, affermava di mettere sulla tela non impressioni momentanee, ma immagini studiate a lungo e assimilate nel suo spirito attraverso una lunga e precedente osservazione del modello.
Del modello naturale confessava di non poter fare a meno: non si sentiva in grado di inventare un soggetto anzi, per quanto riguarda le forme, aveva «il terrore di allontanarsi dal verosimile» [17] ma non aveva problemi a combinare diversamente i colori, accentuandone alcuni e semplificando altri. Scrisse alla sorella Wilhelmina: [18]
« La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l'armonia »
Al fratello confidò [19] di aver abbandonato le tecniche utilizzate a Parigi, che risentivano dell'esperienza impressionista, per ribadire la visione romantica di Delacroix, non ritraendo fedelmente quello che gli sta di fronte ma ricercando il vigore dell'espressione attraverso il libero uso del colore. E all'amico pittore Bernard: [20]
Albicocchi in fiore, olio su tela, 65,5x80,5 cm, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam
« Non seguo alcun sistema di pennellatura: picchio sulla tela a colpi irregolari che lascio tali e quali. Impasti, pezzi di tela lasciati qua e là, angoli totalmente incompiuti, ripensamenti, brutalità: insomma, il risultato è, sono portato a crederlo, piuttosto inquietante e irritante, per non fare la felicità delle persone con idee preconcette in fatto di tecnica [...] gli spazi, limitati da contorni espressi o no, ma in ogni caso sentiti, li riempio di toni ugualmente semplificati, nel senso che tutto ciò che sarà suolo parteciperà di un unico tono violaceo, tutto il cielo avrà una tonalità azzurra, le verzure saranno o dei verdi blu o dei verdi gialli, esagerando di proposito, in questo caso, le qualità gialle o blu »
Sperimentava tecniche diverse, ora mettendo in risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo sfondo a strati, per creare una struttura a traliccio, ora ondulando i contorni per accentuare la struttura delle forme, ora punteggiando con brevi pennellate e ora invece spremendo il colore dal tubetto direttamente sulla tela. Altre volte si convinceva «di non disegnare più il quadro con il carboncino. Non serve a niente; se si vuole un buon disegno, si deve eseguire direttamente con il colore». [21]
Andando incontro a un desiderio di Vincent, nell'estate del 1888 Théo van Gogh contattò Gauguin, offrendo di pagargli il soggiorno ad Arles con il fratello e garantendogli l'acquisto di dodici suoi quadri ogni anno per 150 franchi. Gauguin, dopo qualche esitazione, accettò, pensando di mettere da parte quanto gli era necessario per realizzare il suo desiderio di trasferirsi, di lì a un anno, in Martinica.
Il dramma di Arles
La camera di van Gogh, olio su tela, 72x90cm, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam
Nell'attesa dell'arrivo di Gauguin, van Gogh si preoccupò di arredare con qualche altro mobile l'appartamento e ornò con propri quadri la camera da letto. Gli scrisse: [22]
« ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili in legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat; a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo da toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari »
Eppure, vi è chi ha visto [23] nel dipinto di questa camera da letto il desiderio mancato di rappresentare il sonno e il riposo: «La tragedia della sua mente si avvicinava con segni di squilibrio e non gli permetteva né riposo né sonno. Nella camera abbandonata regna la calma, ma è una calma senza speranza e senza pietà. È una camera vuota, ma non per caso. Essa è abbandonata per sempre causa la partenza o la morte. I colori sono brillanti e puri, senza ombre, ma non suggeriscono gioia, anzi soltanto tristezza. È un riposo nato dalla disperazione. Così i colori rivelano l'animo dell'artista a sua insaputa. Non si rende conto di quel che sente, né nella sua lettera, né nella sua pittura, e perciò il suo sentimento, la sua accorata umiltà, è espresso spontaneamente».
Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888. All'opposto di van Gogh, rimase subito deluso di Arles, «il luogo più sporco del Mezzogiorno», e della Provenza: «Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone»; [24] il sogno di van Gogh di fondare un'associazione di pittori che perseguissero un'arte nuova lo lasciava scettico; quanto a sé, egli contava soltanto di trasferirsi, non appena ne avesse avuto la possibilità, ai tropici; lo irritavano anche le abitudini disordinate di Vincent e la sua scarsa oculatezza nell'amministrare il denaro che avevano messo in comune.
Paul Gauguin: Ritratto di van Gogh, dicembre 1888
Invece van Gogh manifestava un'aperta ammirazione per Gauguin, che considerava un artista superiore: riteneva che le proprie teorie artistiche fossero molto banali se confrontate con le sue e la propria resa pittorica sempre inferiore, persino grossolana, rispetto al modello naturale. Nelle sue memorie, [25] Gauguin volle attribuirsi, generalmente a torto, il merito di aver corretto la tavolozza di van Gogh:
« Vincent, quando sono arrivato ad Arles, militava nella scuola neoimpressionista, anzi vi sguazzava, cosa che lo faceva soffrire, non perché questa scuola, come tutte le scuole, sia cattiva, ma perché non corrispondeva alla sua natura così impaziente e così indipendente. Con tutti questi gialli sui violetti, tutto questo lavoro sui complementari -lavoro disordinato, d'altra parte - non riusciva a raggiungere che delle dolci armonie, incomplete e monotone; ci mancava lo squillo di tromba. Mi assunsi il compito di chiarirglielo, e mi fu facile, perché trovavo un terreno ricco e fecondo »
Anche nella valutazione degli altri pittori, le loro opinioni divergevano: van Gogh ammirava Daumier, Daubigny, Félix Ziem, Théodore Rousseau, «tutte persone che non posso vedere», e non apprezzava, contrariamente a Gauguin, Raffaello, Ingres, Degas: di Vincent, «cervello disordinato», Gauguin non riusciva a spiegarsi né i principi critici né quelle che considerava contraddizioni fra i principi e la pittura realizzata, trovando anche in queste divergenze la radice del prossimo, drammatico conflitto.
Vaso di girasoli, olio su tela, 92x73 cm, 1888, Neue Pinakothek, Münich
Nei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin fece il ritratto di van Gogh, rappresentandolo nell'atto di dipingere girasoli. Vincent commentò: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro la sua testa, che Gauguin riuscì appena a evitare: da quel momento Gauguin prese la decisione di partire da Arles. Seguirono giorni di tensione: anche una visita al museo di Montpellier per osservare le opere di Delacroix e di Courbet degenerò in litigio.
L'episodio più grave accadde il pomeriggio del 23 dicembre: van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - avrebbe rincorso per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando Gauguin si voltò, affrontandolo. Tornato a casa, mentre Gauguin andò ad alloggiare in albergo, preparandosi a lasciare Arles, van Gogh, in preda ad allucinazioni, si tagliò metà dell'orecchio sinistro, lo incartò, lo consegnò a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare, e tornò a dormire a casa sua. La mattina seguente venne fatto ricoverare dalla polizia in ospedale: ne uscì il 7 gennaio 1889. Tuttavia, due storici di Amburgo, Hans Kaufmann e Rita Wildegans sostengono nel libro "L’orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio" che fu Gauguin a mutilare l'amico dopo la lite, mentre l'esperto francese Pascal Bonafoux sostiene che questa teoria è clamorosamente errata [26].
Suoi buoni amici, in questi frangenti, furono il dottor Rey, il pastore Salles e il postino Roulin, del quale aveva fatto qualche mese prima un ritratto rimasto celebre: in questa occasione dipinse cinque versioni del ritratto della moglie Augustine, spedendone una a Gauguin, e dipinse anche se stesso, con l'orecchio bendato. Alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale credette che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Uscito, vi fu ricondotto in marzo dalla polizia a seguito di una petizione firmata il 26 febbraio da ottanta cittadini di Arles.
In ospedale, ricevette la visita di Signac, che ottenne il permesso di accompagnarlo nella sua casa gialla: «Per tutto il giorno mi parlò di pittura, di letteratura, di socialismo. La sera era un po' stanco. Tirava un maestrale spaventoso che forse lo aveva innervosito. Volle bere un litro di essenza di trementina che si trovava sul tavolo in camera. Era ora di rientrare all'ospedale». [27]
Augustine Roulin, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M., Otterlo
Il 17 aprile il fratello Théo si sposò. Vincent scrisse alla sorella, come rassegnato di dover ormai convivere per sempre con la sua malattia: [28]
« Leggo poco per aver tempo di riflettere. È molto probabile che abbia ancora tanto da soffrire. E questo non mi va affatto, a dire il vero, perché in nessun modo desidero il ruolo di martire [...] Prendo tutti i giorni il rimedio che l'incomparabile Dickens prescriveva contro il suicidio. Consiste in un bicchiere di vino, un boccone di pane e di formaggio e una pipa di tabacco »
Al fratello espresse la volontà di essere internato in una casa di cura: [29]
« Mi sento decisamente incapace di ricominciare a riprendere un nuovo studio e di restarci solo, qui ad Arles [...] a te, a Salles, a Rey io chiedo di fare in modo che alla fine del mese o all'inizio di maggio io possa andare come pensionato internato [...] se l'alcool è stato certamente una delle più grandi cause della mia follia, allora è venuta molto lentamente e se ne andrà molto lentamente, se se ne andrà [...] Infine, bisogna prendere una posizione di fronte alle malattie del nostro tempo [...] io non avrei precisamente scelto la follia, se c'era da scegliere, ma una volta che le cose stanno così, non vi si può sfuggire. Tuttavia esisterà forse ancora la possibilità di lavorare con la pittura »
L'8 maggio 1889 van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a Saint-Rémy-de-Provence a venti chilometri da Arles.
A Saint-Rémy-de-Provence (1889)
La diagnosi del direttore della clinica, il dottor Peyron, fu di epilessia. Oggi si ritiene che van Gogh soffrisse di psicosi epilettica o "latente epilessia mentale": preceduti dallo "stadio crepuscolare", egli subiva attacchi di panico e allucinazioni ai quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, seguendo alla fine uno stato di torpore. Nei lunghi intervalli della malattia era in grado di comportarsi in modo del tutto normale.
Cipressi, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M. Otterlo
Nella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata nessuna cura, a meno di definire cura i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Non se ne lamentava il pittore, che scriveva che «osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra». [30]
La finestra munita di sbarre guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva anche andare a dipingere fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali.
« Osservo negli altri che anch'essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l'orrore che conservavo delle crisi che ho avuto [...] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall'angoscia e dal terrore [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo »
(Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)
A giugno cominciò a dipingere cipressi: «il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca» [31] e spedì al fratello un gruppo di tele, che gli vennero lodate.
Ad agosto subì un grave attacco, con allucinazioni e un tentativo di suicidio, dal quale si rimise a fatica a settembre, quando ricevette la notizia che due suoi dipinti, la Notte stellata e le Piante di iris, erano state esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi.
Nella Notte stellata van Gogh sembra allontanarsi decisamente dalla diretta osservazione della natura, per esprimere uno stato d'animo attraverso la libera fantasia, per liberare le proprie emozioni piuttosto che ricercare un aspetto nascosto del paesaggio. Ma in quella visione della luna, delle stelle e di fantasiose comete è «come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura». [32] E l'intento perseguito nel Oliveto con nuvola bianca, viene spiegato da Vincent al fratello come risultato di ricerca stilistica: [33]
Oliveto con nuvola bianca, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New York
« Gli ulivi con la nuvola bianca e lo sfondo di montagne, così come il sorgere della luna e l'effetto notturno, costituiscono un'esagerazione dal punto di vista dell'esecuzione; le linee sono incisive come quelle degli antichi legni. Là dove queste linee sono serrate e volute comincia il quadro, anche se può sembrare esagerato. È un po' quello che sentono Bernard e Gauguin. Non ricercano la forma esatta di un albero, ma vogliono assolutamente che sia definito se essa è tonda o quadrata, e io do loro ragione, perché sono esasperato dalla perfezione fotografica e banale di certuni [...] io mi sento spinto a ricercare, se vuoi, uno stile, ma intendendo con questo un disegno più maturo e più intenzionale [...] gli studi disegnati con grandi linee nodose come nell'ultimo invio non erano quello che dovevano essere, ma voglio convincerti che nei paesaggi si continuerà ad ammassare le cose mediante un disegno che cerca di esprimere il groviglio delle masse »
A novembre ricevette l'invito a esporre sue tele all'associazione «Les XX», a Bruxelles: accettò, inviando sei quadri, due Girasoli, L'edera, Frutteto in fiore, Campo di grano all'alba e La vigna rossa.
Davanti al manicomio di Saint-Rémy, olio su tela, 58x45 cm, 1888, Musée d'Orsay, Parigi
Fu il pittore Bernard a invitare il critico d'arte Albert Aurier, redattore de «Le Moderniste» e ammiratore della letteratura simbolista, a interessarsi di van Gogh: questi pubblicò allora sul «Mercure de France» del gennaio 1890 l'articolo Les Isolés: Vincent van Gogh in cui analizzò ed esaltò entusiasticamente la sua pittura. Definì inizialmente la sua personalità:
« La scelta dei soggetti, il rapporto costante delle annotazioni più ardite, lo studio coscienzioso dei caratteri, la continua ricerca del segno essenziale per ogni cosa, mille significativi particolari testimoniano irrefutabilmente la sua profonda e quasi infantile sincerità, il suo grande amore per la natura e per la verità, per la sua verità. Ciò che caratterizza tutta la sua opera è l'eccesso, l'eccesso della forza, l'eccesso della nervosità, la violenza dell'espressione. nella sua categorica affermazione della caratteristica delle cose, nella sua sovente temeraria semplificazione delle forme, nella sua insolenza nel guardare il sole in faccia, nella foga del suo disegno e del suo colore, fino ai più piccoli particolari della sua tecnica, si rivela una personalità potente, maschia, audace, molto brutale ma a volte ingenuamente delicata. Questo, inoltre, si intuisce anche dalle esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro [...] un genio folle e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico »
In seguito, Aurier rintracciò la sostanza della sua pittura nella poetica del simbolismo:
van Gogh percepirebbe
« le segrete caratteristiche delle linee e delle forme, ma più ancora dei colori, le sfumature invisibili alle menti sane, le magiche irradiazioni delle ombre [...] egli è quasi sempre un simbolista [...] perché sente la continua necessità di rivestire le sue idee di forme precise, consistenti, tangibili, di involucri materiali e carnali. In tutti i suoi quadri, sotto questo involucro fisico, sotto questa carne trasparente, sotto questa materia così materia, è nascosta, per gli spiriti che la sanno cogliere, un'Idea [...] »
Notte stellata, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New YorkPer quanto riguarda la sua tecnica,
« l'esecuzione è vigorosa, esaltata, brutale, intensa. Il suo disegno rabbioso, potente, spesso maldestro e un po' grossolano, esagera il carattere, lo semplifica, elimina abilmente i dettagli, attinge una sintesi magistrale, qualche volta il grande stile [...] è il solo pittore che concepisca il cromatismo degli oggetti con questa intensità, con questa qualità da metallo prezioso »
Non credeva che van Gogh potesse mai godere di un successo che pure avrebbe meritato:
« quando anche la moda farà sì che i suoi quadri vengano comprati - cosa poco probabile - ai prezzi delle infamie di Meissonier, non penso che tanta sincerità possa suscitare la tardiva ammirazione del grosso pubblico. Vincent van Gogh è al contempo troppo semplice e troppo raffinato per lo spirito borghese contemporaneo. Sarà completamente compreso soltanto dai suoi fratelli, gli artisti »
Per quanto van Gogh potesse essere lusingato dalle lodi, giudicò l'articolo più un interessante pezzo di letteratura, piuttosto che un'analisi corretta della sua pittura. Al critico rispose direttamente [34] che le valutazioni sul suo cromatismo gli sembravano più pertinenti se riferite a un pittore come Adolphe Monticelli e difese anche la pittura di Meissonier, per il quale espresse «un'ammirazione senza limiti».
La vigna rossa, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Museo Puṡkin, Mosca
Riguardo al suo presunto simbolismo, si espresse con il fratello [35] respingendo ogni sua adesione a quella corrente: «mi è così cara la verità, mi è così caro cercare di fare il vero che credo di preferire rimanere un calzolaio piuttosto che un musicista con i colori».
In ogni caso, l'articolo suscitò interesse nell'ambiente artistico e durante la mostra dei XX a Bruxelles uno dei quadri inviati da van Gogh, La vigne rouge, dipinto l'anno prima ad Arles, fu acquistato il 14 febbraio per 400 franchi dalla pittrice belga Anna Boch [36] , sorella del pittore Eugène, conosciuto da Vincent e fondatore del gruppo dei XX: il primo e unico dipinto venduto in vita da van Gogh.
Qualche giorno dopo si recò da solo ad Arles: al ritorno in clinica ebbe una grave e lunghissima crisi, dalla quale sembrava non potersi rimettere mai, tanto che fu lasciato a se stesso, libero di fare quel che voleva finché, ingeriti i colori, gli fu impedito di dipingere. Solo alla fine di aprile fu in grado di riprendersi e manifestò allora [37] il suo desiderio di lasciare la clinica, vista la mancanza di benefici per la sua salute.
Vaso con iris, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Metropolitan, N. Y.
Si era intanto aperta a Parigi, il 19 marzo, una mostra dei pittori indipendenti, inaugurata dal Presidente della Repubblica - dimostrazione di quanto la moderna pittura impressionista, neo-impressionista e post-impressionista fosse ormai divenuta «rispettabile» - e van Gogh vi partecipava con dieci tele. erano esposti dipinti di Seurat, Signac, Toulouse-Lautrec, il doganiere Rousseau, Guillaumin, Dubois-Pillet, Théo van Rysselberghe, Anquetin, Lucien Pissarro, Henry van de Velde. Monet sostenne che le opere di van Gogh erano le cose migliori della mostra e anche Gauguin gli scrisse, congratulandosi: «con soggetti ispirati alla natura, là siete il solo che pensa»
Decisa ormai la partenza - «qui l'ambiente comincia a pesarmi più di quanto possa esprimere: ho pazientato più di un anno, ho bisogno d'aria, mi sento oppresso dalla noia e dal dolore» [38] - i soggetti degli ultimi dipinti di Vincent a Saint-Rémy si alleggeriscono: sono rose e iris su un fondo uniforme, ora con un «effetto dolce e armonioso per la combinazione dei verdi, rosa, violetti», ora con «un effetto di complementari terribilmente disparati che si esaltano per la loro opposizione». [39]
Il 16 maggio 1890 Vincent lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Il direttore della clinica aveva rilasciato regolare autorizzazione e stilato l'ultima scheda. Rilevate le molte crisi avute dall'artista durante la sua permanenza, della durata ciascuna di alcune settimane - ma l'ultima di quasi due mesi - e i suoi tentativi di avvelenarsi con i colori e il petrolio, il dottor Peyron concludeva le sue osservazioni scrivendo: «Guarito».
Ad Auvers-sur-Oise (1890)
Vincent arrivò a Parigi il 17 maggio e conobbe per la prima volta il nipotino e la signora van Gogh, la quale trovò il cognato un uomo «forte, largo di spalle, con un colorito sano, un'espressione allegra e un'aria decisa». Passò tre giorni in casa del fratello, riesaminando i tanti suoi quadri che nel tempo gli aveva mandato, visitò il Salon, dove rimase colpito da un Puvis de Chavannes, e una mostra d'arte giapponese. Poi, come convenuto, il 21 maggio partì per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a 30 chilometri da Parigi, dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet (1828-1909), che si sarebbe preso cura di lui.
Ritratto del dottor Gachet, olio su tela, 68×57 cm, 1890, Collezione privata
Van Gogh prese alloggio nel caffé-locanda gestito dai coniugi Ravoux, nella piazza del Municipio. Appariva abbastanza soddisfatto della nuova sistemazione: «Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca». [40]
Il sessantaduenne dottor Gachet, omeopata, darwinista, favorevole alla cremazione dei defunti - un'opinione scandalosa a quei tempi - repubblicano, socialista e libero pensatore, era un personaggio molto noto a Auvers dove abitava in un villino che dominava il paese. Laureatosi a Montpellier in medicina generale e con un particolare interesse per la psichiatria, aveva a lungo esercitato a Parigi, dove aveva conosciuto molti artisti, da Victor Hugo a Gustave Courbet, da Manet a Renoir e a Cézanne, e la sua casa conservava parecchie tele di impressionisti, oltre a una notevole quantità di soprammobili e oggetti vari che van Gogh chiamava «nere anticaglie».
Era anche disegnatore, pittore - partecipò a esposizioni firmandosi con lo pseudonimo di van Ryssel - e incisore dilettante: nella macchina della sua casa Cézanne, Pissarro e Guillaumin avevano eseguito alcune incisioni e fu su suo consiglio che van Gogh eseguì la sua unica acquaforte, rappresentante lo stesso dottor Gachet. La sua competenza nelle cose artistiche, certe comuni preferenze e anche il suo garbo e la sua natura fondamentalmente malinconica fecero presa sul pittore, che frequentò spesso la sua casa, ritraendo due volte la figlia Marguerite e non mancando di fargli il ritratto, che replicò in una seconda versione: [41]
« lavoro al suo ritratto; la testa, con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto; appoggiato a una tavola rossa, sopra la quale c'è un libro giallo e una pianta di digitale dai fiori purpurei [...] Gachet è assolutamente fanatico di questo ritratto »
In quegli stessi giorni van Gogh confidò [42] che il suo maggior interesse, nella pittura, era il ritratto, «il ritratto moderno»:
« Vorrei fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso un'espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore »
In giugno Théo e la famiglia gli fecero visita e progettarono la possibilità di affittare a Auvers una casa dove Vincent avrebbe potuto vivere insieme a qualche altro artista. La visita fu ricambiata da Vincent il 6 luglio a Parigi, dove incontrò Toulouse-Lautrec e, per la prima volta, il critico d'arte Albert Aurier. In quei giorni Théo, oltre ad avere il figlio seriamente malato, era afflitto da problemi di lavoro: così, Vincent preferì ritornare presto a Auvers, non sopportando il clima di tensione che percepiva nella famiglia del fratello.
Campo di grano con volo di corvi, olio su tela, 50,3x103 cm, 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam
Cominciava a temere una nuova crisi, e l'eventualità lo rendeva particolarmente nervoso: ebbe una violenta lite con Gachet per motivi banali - gli rimproverava di non aver fatto incorniciare una tela di Guillaumin che il dottore teneva in casa - e scrisse al fratello: [43]
« Credo che non bisogna contare in alcun modo sul dottor Gachet. Mi sembra che sia più malato di me, o almeno quanto me. Ora, quando un cieco guida un altro cieco, non andranno a finire tutti e due nel fosso? Non so che dire. Certamente la mia ultima crisi, che fu terribile, fu in gran parte dovuta all'influenza di altri malati; e poi la prigione mi opprimeva e il dottor Peyron non ci faceva caso, lasciandomi vegetare in quell'ambiente profondamente corrotto »
Dipinse il Paesaggio con cielo tempestoso, il Campo di grano con volo di corvi e Il giardino di Daubigny e scrisse: [44]
« Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine »
È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano a Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia. Per lo stesso Hirschig, egli «aveva un'espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare»
Il suicidio
La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: al Ravoux che, non vedendolo presentarsi per il pranzo, salì per accertarsi della sua salute e lo trovò sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.
Le tombe di Vincent e Théo van Gogh ad Auvers-sur-Oise
Al dottor Gachet che, non potendo estrargli il proiettile, si limitò a fasciarlo ma gli esprimeva, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, rispose che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci» - «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca» - esclamò; rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, Vincent passò tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole fossero: «ora vorrei ritornare». [45] Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1,30 del 29 luglio (1890).
In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».
In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers: assistevano Théo, che non smetteva di piangere, il dottor Gachet e i pochi amici giunti da Parigi: Lucien Pissarro, figlio di Camille, Emile Bernard, père Tanguy.
Pochi mesi dopo anche Théo van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.
L'arte di van Gogh
Non si può sostenere che la pittura sia stata una vocazione per van Gogh, che infatti cominciò a dipingere dopo aver compiuto ventotto anni. A giudicare dagli anni della sua piena giovinezza, se egli ebbe una vocazione, fu quella di essere vicino ai miseri della terra, i braccianti, i contadini poveri e gli operai per i quali il lavoro rappresentava la maggiore sofferenza, quelli delle miniere. Figlio di un pastore protestante, cercò di unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico, ma la Chiesa ufficiale sembrò sospettosa e forse spaventata dell'unione di quel duplice messaggio e gli negò il suo appoggio.
Un'altra contingenza familiare - l'attività del fratello Théo nell'ambito del commercio d'arte - lo indirizzò alla pittura, dove raccolse e fece proprio il messaggio, che non era soltanto artistico, ma ancora sociale ed etico, di Daumier, Courbet e Millet. La maggiore realizzazione di questo periodo fu I mangiatori di patate, nei quali, oltre a voler esprimere la propria simpatia verso gli umili, immedesimando in loro se stesso, volle soprattutto rappresentare - come scrisse - coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro, seppure, come è stato detto, [46] egli qui non fu «ben servito né dal suo disegno pesante e materiale, né dal suo colore assai scuro e sporco, senza energia né vitalità». E tuttavia, ancora alla fine del 1887, da Parigi confidava che «le scene di contadini che mangiano patate» [47] erano ancora le cose migliori che avesse mai fatto.
A Parigi van Gogh comprese la necessità di concentrarsi non tanto su un soggetto determinato, ma su come dipingere: assimilò il modo impressionista ma senza accettarlo, perché egli aveva necessità di porsi direttamente di fronte alle cose, eliminando la mediazione degli effetti atmosferici e delle vibrazioni di luce. Il paesaggio meridionale della Provenza, con la certezza della sua visione immobile e assolata, serviva al meglio al suo scopo.
Così, nella Pianura della Crau, dipinta nel giugno del 1888 ad Arles, i colori si distendono in zone compatte, susseguendosi in profondità, [48]
« risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza alfine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di van Gogh, che era estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare »
Ci si chiede perché egli abbia abbandonato la polemica sociale, pur mantenendo costante il suo impegno morale: o forse, se egli abbia realmente abbandonato quella polemica e non l'abbia invece trasformata in una ancora più generale e radicale.
Da Arles, nell'agosto 1888, scriveva [49] di essere tornato alle idee sostenute prima di trasferirsi a Parigi, ossia alla necessità di rendere con maggior forza la realtà attraverso un uso «arbitrario» del colore: così, il ritratto di un artista dovrà essere sì il più fedele possibile quanto ai lineamenti, ma per esprimere che quell'artista «sogna sogni grandiosi» e «lavora come l'usignolo canta, perché così è la sua natura», dovrà esagerare il biondo dei capelli, arrivando fino «al limone pallido», e come sfondo, anziché la banale parete di un appartamento, dipingere «l'infinito», il «turchino più intenso e più violento», in modo che «la testa bionda illuminata sullo sfondo turchino cupo» ottenga un effetto misterioso, «come una stella nel profondo azzurro».
Ritratto del postino Joseph Roulin , olio su tela, 69x63 cm, 1888, Museum of Fine Arts, Boston
In generale, egli si pone il problema di [50]« dipingere degli uomini e delle donne con un non so che di eterno [...] mediante la vibrazione dei notri colori [...] il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello [...] esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei loro contrasti [...] esprimere la speranza con qualche stella. L'ardore di un essere con un'irradiazione di sole calante [...] non è forse una cosa che esiste realmente? »
Detto altrimenti, si potrebbe sostenere che van Gogh, [51]
« ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e, più a monte, dell'esperienza che l'uomo fa del mondo. Nel generale attivismo, l'arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario: lampante scoperta della verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria come un fare suscitato dalle forze profonde dell'essere: il fare etico dell'uomo contro il fare razionale della macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di van Gogh è un gesto con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita »
La vita che esprime nel modo più immediato è certamente quella data da un modello vivente, quale che sia, come il signor Joseph Roulin, il postino di Arles. La realtà del suo modello è indubitabile: è un uomo biondo, dagli occhi azzurri e veste una divisa blu. Ma è nella possibilità del pittore costruire mediante il colore quell'esistenza che, da oggetto indipendente, viene rifatto, rivivendo così un'esistenza che è propria solo in quanto è stata ricreata dall'artista. Poiché i colori dominanti del dipinto sono il blu e il giallo, il tavolo diviene verde in quanto è la fusione dei due colori fondamentali, e il fondo bianco della parete, nel riflesso del blu della divisa, diviene celeste: «la materia pittorica acquista un'esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è».
Il ritratto di Joseph Roulin non ha nulla di «tragico» in sé: la tragedia sta nel vedere e vedersi [52]
« con così lucida, perentoria evidenza. È tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare. È tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e con furia: lottare per impedire che la sua esistenza sopraffaccia e distrugga la nostra. L'arte diventa allora (avrebbe detto Pavese) il mestiere di vivere: ed è questo mestiere della vita che van Gogh disperatamente contrappone al lavoro meccanico dell'industria, che non è vita. La polemica iniziale non è stata dunque abbandonata, ma portata a un livello più profondo, dove non è in gioco soltanto il contenuto, il soggetto, la tesi, ma la sostanza, l'esistenza dell'arte »
Opere
1882
*Ragazza in un bosco, Museo Kröller-Müller di Otterlo
*Donne che portano sacchi di carbone, Museo Kröller-Müller di Otterlo
1884
Tessitore al telaio, Museo Kröller-Müller di Otterlo
1885
I mangiatori di patate, Van Gogh Museum di Amsterdam
Paesaggio al tramonto, Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid
Natura morta con Bibbia, Van Gogh Museum di Amsterdam
1886
Vaso di altee, Kunsthaus Zurich di Zurigo
1887
Restaurant de la Sirène ad Asnières, Museo d'Orsay, Parigi
Un paio di scarpe, Van Gogh Museum di Amsterdam
Due girasoli, Metropolitan Museum of Art di New York
Giapponeseria: Oiran, Van Gogh Museum di Amsterdam
L'Italiana, Musée d'Orsay di Parigi
Fritillaria imperiale in un vaso di rame, Museo d'Orsay, Parigi
Ritratto di père Tanguy, Musée Rodin di Parigi
1888
Il ponte di Langlois, Museo Kröller-Müller di Otterlo
La Mousmé seduta, National Gallery di Washington
Seminatore al tramonto, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Vaso di girasoli, Neue Pinakothek di Monaco
Salici al tramonto, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Il postino Joseph Roulin, Museum of Fine Arts di Boston
Ritratto di Eugène Boch, Museo d'Orsay, Parigi
Notte stellata sul Rodano, Museo d'Orsay, Parigi
Ritratto di Milliet, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Il caffè di notte, Art Gallery dell'Università di Yale
Les Alyscamps, Museo Kröller-Müller di Otterlo
La casa gialla, Van Gogh Museum di Amsterdam
La camera di Vincent ad Arles, Van Gogh Museum di Amsterdam
La sedia di Vincent, National Gallery di Londra
La sedia di Gauguin, Van Gogh Museum di Amsterdam
L'Arlesiana, Metropolitan Museum of Art di New York
Spettatori nell'arena, Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo
Autoritratto con l'orecchio bendato, Courtauld Gallery, Londra
Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere, Van Gogh Museum di Amsterdam
1889
La Berceuse, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Ritratto del dottor Rey, Museo Puškin di Mosca
Davanti al manicomio di Saint-Rémy, Museo d'Orsay, Parigi
Il giardino di Saint-Paul, Collezione privata
Lillà, Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo
Iris, Paul Getty Museum, Malibu
Vaso con iris, Metropolitan Museum of Art di New York
Natura morta con tavolo da disegno, pipa, cipolle e cera, Museo Kröller-Müller di Otterlo
Notte stellata, The Museum of Modern Art di New York
Autoritratto, Museo d'Orsay, Parigi
Corsia dell'ospedale di Arles, Collezione privata
Campo di grano con cipressi, National Gallery di Londra
Luna che sorge[53]
Campo di grano, Národní Galerie, Praga
1890
La ronda dei carcerati, Museo Puškin di Mosca
L'Arlesiana, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma
Ramo di mandorlo fiorito, Van Gogh Museum di Amsterdam
Casolari con il tetto di paglia a Cardeville, Museo d'Orsay, Parigi
Ritratto del dottor Gachet, Collezione privata
Marguerite Gachet nel giardino, Museo d'Orsay, Parigi
Marguerite Gachet al piano, Kunstmuseum di Basilea
La chiesa di Auvers, Museo d'Orsay, Parigi
Campo di grano con volo di corvi, Van Gogh Museum di Amsterdam
Il buon samaritano
Casa bianca di notte[53]
Strada con cipressi e cielo stellato[53]
Filmografia
Sono una trentina i film e i telefilm dedicati al grande artista olandese. Il più noto è forse Brama di vivere, del 1956, di Vincente Minnelli con Kirk Douglas nel ruolo di van Gogh e Anthony Quinn in quello di Paul Gauguin. Nel film Vincent & Theo, del 1990, di Robert Altman, il personaggio del pittore è interpretato da Tim Roth.
Alain Resnais realizzò nel 1946 il documentario Van Gogh e Van Gogh è anche un film di Maurice Pialat, uscito nel 1991 e interpretato da Jacques Dutronc.
Van Gogh è rappresentato anche in uno degli otto episodi del film Sogni di Akira Kurosawa, intitolato Corvi e interpretato dal regista Martin Scorsese.
Nella quinta stagione della serie fantascientifica inglese Doctor Who, Van Gogh (interpretato dall'attore Tony Curran) è il coprotagonista del decimo episodio, (EN) Vincent and the Doctor, in cui lo stesso pittore è in grado di vedere un mostro che risulta invece invisibile a tutti gli altri.
Musica
Don McLean, Vincent, canzone rifatta fra gli altri anche da Roberto Vecchioni (1971)
Grigorij Samuilovič Frid, Lettere di van Gogh, opera in 2 parti per baritono, clarinetto, percussioni, piano e archi op. 69 (1975)
Bertold Hummel, 8 frammenti di lettere di van Gogh per baritono e quartetto d'archi op. 84 (1985)
Einojuhani Rautavaara, Vincent, opera in 3 atti (1986-1987)
Einojuhani Rautavaara, Vincentiana, sinfonia n° 6 (1992)
Henri Dutilleux, Corrispondenze, per soprano e orchestra (2002-2004)
Curiosità
Sulla mutilazione di Van Gogh, ancora adesso le fonti sono discordanti. Il dottor Rey che lo curò ed il poliziotto che fu chiamato in soccorso dalle prostitute la notte fatale del 23 dicembre affermavano che l'orecchio era completamente mutilato (questa è la versione anche di Gauguin, sebbene lui abbia rivisto l'amico solo quando esanime e già fasciato); ma il figlio del dottor Gachet, così come la moglie di Theo e Signac affermavano che si fosse tagliato soltanto il lobo. Secondo il dr.Rey, l'orecchio mutilato fu portato in ospedale con ritardo, troppo tardi per tentare una sutura. Il dottor Peyron di Saint-Remy, nel referto di ammissione di Vincent nel manicomio, scrisse che il paziente s'era mutilato "recidendosi l'orecchio".
La prostituta Sien, dopo essersi separata da Vincent, tornò sulla strada. Ad inizio del XX secolo contrasse un matrimonio di convenienza con un uomo altolocato "per dare ai suoi figli un nome"; poi, in preda all'alcool e alla depressione, si suicidò annegandosi.
Ad Auvers sur-Oise è ancor oggi vivo il ricordo del soggiorno di Van Gogh. A tal proposito, gli è stato dedicato un piccolo parco con una statua in bronzo scolpita da Ossip Zadkine. Inoltre, è possibile ancor oggi identificare i luoghi dipinti dall'artista grazie a delle riproduzioni dei quadri stessi in loco.
Nonostante sia stata da lui ritratta più volte, la moglie del postino Roulin confiderà anni dopo alla figlia Marcelle di aver sempre provato un certo timore in presenza dell'artista.
Il celeberrimo Ritratto del dottor Gachet fu venduto da Christie's a New York nel maggio 1991 per la cifra di 82,5 milioni di dollari, e detenne per quasi un decennio il primato per il prezzo più alto mai pagato per un quadro.
Contrariamente a quanto si pensa, quando morì Van Gogh aveva la barba rasata. Un disegno fattogli dal dottor Gachet sul letto di morte (replicato poi in numerose acqueforti) ed oggi conservato al Museo d'Orsay lo conferma.
La grandezza di Van Gogh venne riconosciuta all'unanimità solo negli anni dieci del XX secolo, e per giunta non nella natìa Olanda, bensì in Germania. A prova di ciò, sta il fatto che la casa natale dell'artista a Zundert venne abbattuta nel 1903.
Spesso a corto di denaro, Van Gogh era solito dipingere nuovi quadri su tele già utilizzate in precedenza e delle quali non era soddisfatto. Varie sue opere, esaminate con i raggi X, lo confermano.
Alcune opere dell'artista sono andate purtroppo distrutte in guerra (Il pittore sulla via di Tarascona, una versione dei Girasoli). Altre hanno subito numerose vicissitudini, quali furti (I mangiatori di patate, ritrovato, Spiaggia a Scheveningen), danneggiamenti, falsificazioni. Il Ritratto del Dottor Rey fu talmente disprezzato dalla madre del medico, da essere usato per tappare un buco nella rete di un pollaio.
In omaggio al grande pittore, un gruppo spagnolo pop si chiama La Oreja de Van Gogh (L'orecchio di Van Gogh); un altro gruppo rock serbo si chiama Van Gogh.
Recentemente (2010), un Ritratto d'uomo attribuito da sempre a Van Gogh ed esposto a Melbourne s'è rivelato un falso, realizzato probabilmente da qualche contemporaneo del pittore. Negli stessi giorni, una prima versione di Burrone a Saint-Remy è stata ritrovata sotto l'originale, conservato ad Otterlo.
Il 21 Agosto 2010 è stato rubato in un museo de Il Cairo il quadro "I Papaveri" (valutato più di 39.000.000 di Euro).
Note:
1.^ Il dipinto del Boughton è conservato del Van Gogh Museum di Amsterdam e anche il testo del sermone, inviato da Vincent al fratello Théo, ci è pervenuto
2.^ Hans Bronkhorst. Vincent Van Gogh, Portland House: New York 1990, pag 6-7, ISBN 0-517-03560-X
3.^ Lettera (402) a Théo van Gogh, aprile 1885
4.^ Lettera (404) a Théo van Gogh, aprile 1885
5.^ Lettera (409) a Théo van Gogh, maggio 1885
6.^ Lettera (R 55) ad Anthon van Rappard, agosto 1885
7.^ Lettera (444) a Théo van Gogh, gennaio 1886
8.^ Lettera (459 a) a Horace Mann Levens, Parigi, autunno 1886
9.^ Ivi
10.^ Lettera (W 4) a Wilhelmina, Arles, luglio 1888
11.^ Lettera a van Rappard, aprile 1884
12.^ Lettera (166) a Théo van Gogh, dicembre 1881
13.^ Lettera (R 58) ad Anthon von Rappard, settembre 1885
14.^ Lettera (W 1) a Wilhelmina van Gogh, Parigi, autunno 1887
15.^ La casa non esiste più: gravemente danneggiata da un bombardamento nel 1944, fu demolita
16.^ Così esprime la sua frenesia compositiva nella lettera (504) a Théo van Gogh, luglio 1888
17.^ Lettera (B 19) a Jules Bernard, Arles, ottobre 1888
18.^ Lettera (W 3) da Arles, aprile 1888
19.^ Lettera (520) a Theo van Gogh, Arle, agosto 1888
20.^ Lettera (B 3) da Arles, aprile 1888
21.^ Lettera (539) a Théo van Gogh, Arles, settembre 1888
22.^ Lettera (B 22) Arles, ottobre 1888
23.^ L. Venturi, La via dell'Impressionismo, p. 322
24.^ Lettera (78) a Jules Bernard, dicembre 1888, in «Lettres de Gauguin à sa femme et à ses amis», Paris 1946
25.^ Avant et auprès, Paris 1923
26.^ Fonte: ilGiornale
27.^ In G. Coquiot, Vincent van Gogh, Paris 1924, p. 194
28.^ Lettera (W 11) a Wilhelmina, 30 aprile 1889
29.^ Lettera a Théo van Gogh, Arles, 21 aprile 1889
30.^ Lettera (591) a Théo van Gogh, 9 maggio 1889
31.^ Lettera (596) a Théo van Gogh, 25 giugno 1889
32.^ L. Venturi, La via dell'Impressionismo, p. 326
33.^ Lettere (607 e 613) settembre-ottobre 1889
34.^ Lettera ad Albert Aurier, 12 febbraio 1890
35.^ lettera (626) a Théo van Gogh, 12 febbraio 1890
36.^ http://www.annaboch.com Anna Boch e l´acquisitione del dipinto "La Vigne rouge"
37.^ Lettera (626) a Théo van Gogh, aprile 1890
38.^ Lettera (631) a Théo van Gogh, maggio 1890
39.^ Lettera (633) a Théo van Gogh, maggio 1890
40.^ Lettera (635) a Théo van Gogh, 21 maggio 1890
41.^ Lettera (638) a Théo van Gogh, 4 giugno 1890
42.^ Lettera (W 22) a Wilhelmina van Gogh, giugno 1890
43.^ Lettera (648) a Théo van Gogh, luglio 1890
44.^ Lettera (649) a Théo van Gogh, Auvers-surOise, luglio 1890
45.^ Lettera di Théo van Gogh alla moglie, 29 luglio 1890
46.^ L. Venturi, La via dell'impressionismo, p. 313
47.^ Lettera (W 1) a Wilhelmina van Gogh
48.^ L. Venturi, ivi, p. 315
49.^ Lettera (520) a Théo van Gogh
50.^ Lettera (531) a Théo van Gogh, settembre 1888
51.^ G. C. Argan, L'arte moderna, Firenze 1970, p. 157
52.^ G. C. Argan, cit., p. 161
53.^ a b c Tra arte e astronomia: le stelle di Van Gogh
Bibliografia:
A. Aurier, Les isolés, in «Mercure de France», 1890
J. B. de La Faille, L'époque française de van Gogh, Paris 1927
M. Tinti, Van Gogh, Bergamo 1933
G. L. Luzzatto, Vincent van Gogh, Modena 1936
L. Vitali, Vincent van Gogh pittore, Milano 1936
R. Franchi, Vincent van Gogh, Milano 1944
A. Parronchi, Van Gogh, Firenze 1949
L. Vitali, Vincent van Gogh, Milano 1952
M. Schapiro, Vincent van Gogh, New York 1952
F. Arcangeli, L'alfabeto di van Gogh, in «Paragone», maggio 1952
M. Valsecchi, Van Gogh, Firenze 1957
Tutte le lettere di Vincent van Gogh, 3 voll., Milano 1959
L. Vinca Masini, Van Gogh, Firenze 1966
J. Rewald, Il Post-impressionismo. Da van Gogh a Gauguin, Firenze 1967
F. Russoli, Vincent van Gogh, in «L'arte moderna», I, 1967
J. Leymarie, Qui était van Gogh?, Généve 1968
M. E. Tralbaut, Vincent van Gogh, le Mal Aimé, Lausanne 1969
L. Venturi, Le vie dell'Impressionismo. Da Manet a Cézanne, Torino 1970
G. C. Argan, L'arte moderna 1770/1970, Firenze 1970
P. Lecaldano, L'opera pittorica completa di van Gogh, 2 voll., Milano 1971
M. Bonicatti, Il caso Vincent Willem van Gogh, Torino 1977
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P. Bonafoux, Vincent van Gogh, Milano 1990 ISBN 88 45 03378 3
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G. C. Argan e F. Ammiraglio, Vincent van Gogh, Milano 2005 ISBN 08 478 2729 1
M. Gayford, La Casa Gialla. Van Gogh, Gauguin: nove settimane turbolente ad Arles, Milano 2007 ISBN 88-6158-014-9
O P E R E: PITTURE ed INCISIONI
Tre paia di scarpe, 1886
Un paio di scarpe, 1886
QUATTRO GIRASOLI APPASSITI, 1887
GIAPPONESERIA, 1887
Natura morta con statuetta, 1887
Natura morta con bottiglie
Natura morta con bottiglia e limoni, 1887
Natura morta con pesci, limoni e pomodori, 1886
Natura morta con guanti e rami di pino
R O S E, 1890
Fritillaria in vaso di rame, 1887
Vaso con margherite e anemoni, 1887
Natura morta con Iris, 1890
Giara di maiolica con rami di oleandro, 1888
VASO CON ZINNIE
NATURA MORTA CON GIRASOLI, 1889
DODICI GIRASOLI IN UN VASO, 1888
GIRASOLI, 1888
DONNA NUDA SDRAIATA, 1887
DONNA NUDA SDRAIATA, 1887
VECCHIO DISPERATO, 1890
M.lle Gachet al piano, 1890
DUE PICCOLE RAGAZZE, 1890
CONTADINA CON CAPPELLO DI PAGLIA, 1890
RITRATTO DEL DOTTOR REY, 1889
RITRATTO M.ME TRABUC, 1889
Balia - Ritratto di M.me Roulin, 1889
L'ARLESIANA M.me Ginoux con libro, 1888
Contadina con cappello bianco, 1889
ZUAVO MILLET, SEDUTO, 1888
LA BERCEUSE, 1889
Ritratto di Agostina Segatori al cafè de Tambourin, 1887
Ritratto del postino Roulin, 1889
IL POSTINO JOSEPH ROULIN, 1888
RITRATTO DEL Dr. GACHET, 1890
AUTORITRATTO CON CAPPELLO DI PAGLIA, 1887
INFINITAMENTE_PER L'ETERNITA'
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