mercoledì 15 settembre 2010

P S I C O S I N T E S I = § * * * MOVIMENTO ESSENO e CORRELATI - SPARTITI MUSICHE ESSENE - GREGG BRADEN = SPECCHI ESSENI* * * §



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Fabio Guidi

Il movimento esseno e Qumran
1.
2. L’inizio del movimento e il «maestro di giustizia»
3. Il contrasto tra Esseni e Asmonei e la nascita di Qumran
4. La costituzione della comunità di Qumran
5. Caratteristiche principali della comunità monastica
6. Il dualismo luce / tenebre
7. Una comunità sacerdotale
8. Il
9. Il «maestro spirituale» presso gli Esseni
10. Il messianismo esseno
11. Il messianismo dei tempi di Gesù: il «figlio dell’uomo»
Hasidim, farisei e sadduceimebaqqer nelle comunità essene
2
Hasidim
, farisei e sadducei
Quando nel 333 a.C. Alessandro Magno strappò la Palestina al dominio
persiano, i «giudei»1 erano costituiti in uno stato teocratico sostanzialmente
autonomo. Il Macedone volle rispettare le antiche tradizioni dei piccoli stati
del suo recente impero, e così fu per i suoi successori, i Lagidi (Tolomei). E in
effetti, per tutto il III secolo, sotto l’impero dei Tolomei d’Egitto, il sistema
religioso e ideologico del giudaismo, pur sotto un profondo influsso culturale
ellenizzante, non subì gravi ripercussioni.
Dal 198 a.C. Israele passa sotto il dominio dei Seleucidi d’Antiochia, che
inizialmente adottano la stessa politica dei Tolomei nei confronti delle
istituzioni ebraiche. Sennonché, dopo la sconfitta, nel 189, ad opera dei
Romani, Antioco III e poi suo figlio Seleuco IV, costretti a versare a Roma un
enorme tributo, pensano d’impadronirsi dei tesori racchiusi nei templi del
loro impero.
Il tentativo di mettere le mani sul tesoro del tempio di Gerusalemme
incontra la ferma opposizione del sommo sacerdote Onìa III, ma le difficoltà
finanziarie dei Seleucidi stimolano le ambizioni di parte dell’aristocrazia
sacerdotale giudaica, al punto che, intorno al 175 a.C., Onìa III sarà deposto e
inviato in esilio ad Antiochia, mentre il sommo sacerdozio finirà nelle mani di
rappresentanti illegittimi, che ottengono la carica promettendo ad Antioco IV
Epifane un aumento del tributo dovuto dal popolo ebraico. Non solo: la loro
assenza di scrupoli porterà, nell’estate del 170, all’assassinio di Onìa III, ad
Antiochia. Scompare così l’ultimo sommo sacerdote legittimo e inizia un
periodo di ferma opposizione alla tirannia dei nuovi usurpatori, i quali
rinnegano sempre più sfacciatamente le tradizioni dei padri.
Una rivolta scoppiata a Gerusalemme nel 168 viene soffocata
aspramente da Epifane, il quale decide di sopprimere l’autonomia della città
ebraica, vietando in tutto il territorio le specifiche pratiche del giudaismo: la
celebrazione delle feste, la circoncisione, il sabato, il divieto di mangiare

1
ritornati in patria e avevano ricostruito Gerusalemme appartenevano quasi esclusivamente alla tribù
di Giuda, gli ebrei vennero chiamati anche «giudei».
3
carne di maiale e lo stesso ufficio del Tempio, che, dopo essere stato
saccheggiato, viene addirittura adibito al culto pagano.
Ciò contribuirà a definire il giudaismo in opposizione all’ellenismo, e a
rifiutare violentemente anche certi aspetti della cultura greca non
direttamente in contrapposizione con la Legge. Inoltre, questi tristi eventi per
la religione e la stessa identità del popolo d’Israele, susciteranno la fioritura di
tutta una letteratura «apocalittica»2, con il conseguente giudizio escatologico
che avrebbe portato il castigo degli empi e il trionfo dei fedeli al patto con
Yahwh. Ed è questo il periodo in cui si delineano quelle vicende storiche e
culturali che costituiranno i presupposti della figura e dell’opera di Gesù di
Nazaret.
Fuggito da Gerusalemmme durante la persecuzione di Epifane, un
sacerdote di nome Mattatìa, della famiglia degli Asmonei, assieme ai suoi figli
organizzò una seconda rivolta che, questa volta, riuscì vittoriosa. Nel 164 il
figlio di Mattatia, Giuda, soprannominato Maccabeo (dall’ebraico ‘makkebet’,
martello), riuscì a rientrare in possesso di Gerusalemme e del suo tempio, che
verrà riconsacrato e restituito al culto legittimo.
Gli avvenimenti futuri vedono il progressivo affermarsi della famiglia
degli Asmonei, sia come sommi sacerdoti che come re della Giudea, per circa
un secolo. Tuttavia, nonostante il prestigio arrecato loro dalla lotta di
liberazione contro i Seleucidi, il loro potere non fu esente da forti
contestazioni.
Innanzitutto, gli Asmonei appartenevano ad una linea sacerdotale
secondaria, parallela al ramo dei discendenti di Sadoq3, e quindi non avevano
2
cristiana, discende direttamente dalla profezia dell’Antico Testamento. Ma se quest’ultima era
legata alla realtà nazionale d’Israele, dopo la caduta di Gerusalemme nel 587 a.C. e la scomparsa
dello stato ebraico, l’apocalittica sposta l’interesse dal presente immediato per proiettarsi in un
futuro escatologico, cioè relativo alla ‘fine dei tempi’. L’apocalisse intende essere una “rivelazione”
(questo è il significato letterale del termine) della volontà di Dio, ottenuta attraverso «visioni» in cui
intervengono angeli o altri esseri celesti, e che assumono la forma di un simbolismo complesso e più
o meno esoterico. La rivelazione riguarda la storia del mondo, che sarà conclusa con una catastrofe,
di proporzioni cosmiche, durante la quale si affronteranno le forze del bene e quelle del male, le
quali saranno inevitabilmente sconfitte.

3
che, per la sua fedeltà, lo nominò sacerdote capo.
4
pieno diritto alla carica di sommo sacerdote. Anche i cosiddetti ‘hasidim’, 4i
fedeli osservanti della Legge che in un primo momento si erano alleati a
Mattatia e ai suoi figli, una volta riconquistata la libertà religiosa, nel 164,
accentuarono sempre più le distanze e i motivi di dissidio con i Maccabei. Fra
gli hasidim, molti erano rimasti attaccati alla famiglia sacerdotale legittima,
quella di Onìa III, un cui figlio, fuggito in Egitto, vi aveva fondato un tempio, a
Leontopoli.
Inoltre, le esigenze economiche dovute alle mire politiche degli
Asmonei, mire che avrebbero permesso la restaurazione dell’antico regno
davidico, comportarono costi assai elevati e il conseguente sfruttamento
oppressivo delle masse popolari. Il partito dei Farisei5 arriverà a chiedere alla
famiglia di abdicare al pontificato, ma tale ostilità comporterà la sua
esclusione dal Sinedrio6 e la perdita del diritto all’interpretazione della Legge,
che sarà riservata al partito avverso, i Sadducei7. Questi ultimi rimasero così
gli unici sostenitori dell’autorità degli Asmonei.
4
nazireato. Ecco perché, in seguito, i dottori della Legge faranno riferimento alle comunità essene,
eredi del movimento hasidico, chiamandole ‘nazirei’.
5
richiamare il significato di /separati/, probabilmente per il fatto che disprezzavano gl’ignoranti e
coloro che non osservavano scrupolosamente le finezze dell’osservanza religiosa. Il loro orgoglioso
esclusivismo li portava effettivamente a ‘separarsi’ in confraternite, per consumare tra puri i pasti in
comune e per meditare sulla Legge.
I Farisei appartenevano a ceti sociali modesti, artigiani e piccoli proprietari terrieri, vicini
quindi alle rivendicazioni politiche ed alle aspirazioni religiose delle masse. Essi contestavano alla
classe sacerdotale il diritto esclusivo alla legittima interpretazione della Legge, contrapponendo ai
sacerdoti i loro saggi o «rabbi», maestri, i quali, sulla base delle tradizioni orali, erano apportatori di
idee nuove e fautori di un’applicazione meno severa, anche se spesso cavillosa, dei precetti.
Ai tempi di Gesù, i rabbi, o «scribi», cioè dottori della Legge di Mosè, fornivano
gratuitamente le loro prestazioni come maestri religiosi e, pertanto, esercitavano in genere un lavoro
manuale compatibile con la necessità di avere del tempo da dedicare agli studi. Di conseguenza,
anche se non detenevano un forte peso politico, i Farisei rivestivano un ruolo assai autorevole
presso il popolo (asumendo il ruolo che un tempo era stato occupato dalla profezia classica), perché
gestivano di fatto la formazione religiosa degli ebrei attraverso le scuole annesse ad ogni sinagoga.
6
Aveva potere religioso e giudiziario ed era composto di 71 «anziani» (presbiteri), alla cui
presidenza sedeva il sommo sacerdote in carica. Ad esso appartenevano le famiglie sacerdotali, ma
anche gli anziani laici a capo delle grandi famiglie aristocratiche di Gerusalemme e degli altri clan.
7
linea sacerdotale di Sadoq. Infatti, i Sadducei erano gli esponenti sacerdotali delle grandi famiglie
aristocratiche, dalle quali, a turno, veniva scelto il Sommo Sacerdote. Questa casta sacerdotale,
conservatrice e rigidamente fedele al culto del Tempio e alla Legge scritta, era lontana dalla
5
L’inizio del movimento e il «maestro di giustizia»
Date queste premesse storiche, si capisce il motivo per cui,
verosimilmente intorno all’anno 150 a.C., un gruppo di Giudei dissidenti, in
reazione alle condizioni di degrado etico e religioso del loro paese, abbandona
Gerusalemme e si ritira ai margini della vita sociale, stabilendosi nelle regioni
desertiche nei pressi del Mar Morto. Sono gli «Esseni», un movimento
originariamente non distante dalla scuola farisaica. Infatti, secondo lo storico
del I sec d.C. Giuseppe Flavio, sotto la reggenza di Gionata Maccabeo,
succeduto a Giuda, gli hasidim si erano differenziati in due scuole di pensiero,
i Farisei e, appunto, gli Esseni8.
sensibilità popolare e contraria ad ogni nuova forma attraverso cui si esprimeva la devozione
popolare, come le speranze escatologiche e la fede nella resurrezione. In generale, la visione della
vita propria dei Sadducei era palesemente edonistica e accomodante, priva di una profonda
sensibilità religiosa, e si riduceva spesso ad un vuoto formalismo.
Al contrario dei Farisei, i Sadducei erano nazionalisti e sensibili alle conquiste politicomilitari
degli Asmonei, di cui furono convinti sostenitori. Tuttavia, dopo l’occupazione di
Gerusalemme da parte di Pompeo, essi terranno un atteggiamento decisamente servile verso il
potere romano, preoccupati di mantenere i loro privilegi e le loro ricchezze, unitamente al culto
formale del Tempio e all’obbligo del pagamento delle decime da parte del popolo.
8
comune, gli Esseni si distinguevano nettamente dai Farisei. In entrambi i casi si trattava di uomini
di studio, ma la ricerca dei Farisei era «essoterica e pratica», rivolta ad ammaestrare il comune
giudeo e a sostenerlo nella vita sociale quotidiana, mentre la scienza essena era «esoterica e
speculativa», tesa a costituire una comunità di puri, nucleo originario della futura Israele, negli
ultimi tempi. Allora, si sarebbero ricostituite le dodici tribù d’Israele nella forma di una grande
comunità essena.
Lo sviluppo delle idee e delle istituzioni essene può essere rilevato dall’analisi degli scritti
appartenenti al movimento, che sono stati ritrovati nei pressi di Qumran. Sono i cosiddetti
Manoscritti del Mar Morto
una capra che si era allontanata dal gregge, si trovò di fronte all’apertura di una grotta, riconosciuta
poi dagli archeologi come un refettorio esseno. Ciò dette il via ad una serie di ricerche che
portarono alla scoperta di un gran numero di preziosi documenti (circa 600 manoscritti) che
riguardano i testi sacri e i loro commentari, gl’inni e le preghiere, le regole e i calendari della
comunità degli esseni. Questi testi risalgono all’epoca di Gesù e furono nascosti dai monaci nelle
grotte delle vicine montagne, prima che il monastero venisse distrutto ad opera della X Legione
romana, nel 68 d.C. La scoperta di questi manoscritti ha obbligato gli studiosi a riconsiderare sotto
una nuova luce i rapporti tra questo gruppo di dissidenti ebraici e la figura di Gesù il Nazareno.
Per quanto riguarda i testi esseni riportati in seguito, mi sono servito della traduzioni di L.
MORALDI, I manoscritti di Qumran, TEA 1999.
E’ da notare che il termine /esseni/ non viene mai utilizzato nei manoscritti di Qumran, così
come nella letteratura neotestamentaria, la quale parla di ‘farisei’, ‘sadducei’, ‘zeloti’, ‘erodiani’,
6
Per questo gruppo di Giudei devoti - i cui capi si ritenevano i legittimi
discendenti della linea sacerdotale di Sadoq - era inaccettabile la pretesa di
Gionata Maccabeo di accedere al sommo sacerdozio, la cui valida successione
si era interrotta con la deposizione di Onìa.
Un importante testo esseno, il Commento ad Abacuc, ci offre delle
indicazioni importanti per inquadrare storicamente le prime vicende del
movimento. Dopo la citazione di Abacuc 2,5-6, l’autore interpreta la parola
profetica nel seguente modo:
«L’interpretazione si riferisce al sacerdote empio, che fu chiamato dal nome
della fedeltà all’inizio del suo ministero; ma quando esercitò il dominio su Israele, il
suo cuore s’inorgoglì, abbandonò Dio, tradì i suoi statuti a causa delle ricchezze,
estorse a ammassò le ricchezze degli uomini violenti che sono in rivolta contro Dio.
Prese le ricchezze dei popoli accumulando su di sé la perversione della colpa, e vie
abominevoli percorse in ogni specie di contaminazione impura.» (VIII, 8-13)
La maggior parte degli studiosi concorda sull’identificazione del
«sacerdote empio» con Gionata Maccabeo, che inizialmente si era mosso nel
nome della fedeltà al Dio d’Israele, lottando assieme ai suoi fratelli per
riscattare il popolo e la religione di Yhwh dal giogo di Antiochia.
Successivamente, però, il suo cuore si era inorgoglito; la sua vanità e la sua
cupidigia lo avevano portato a usurpare il titolo di sommo sacerdote e a
tradire la legge dei padri.
Tra i sacerdoti dissidenti che dettero avvio al movimento vi fu quel
misterioso «maestro di giustizia» di cui parla la letteratura essena, un
personaggio mistico difficilmente identificabile a livello storico, ma senz’altro
il maggiore ispiratore del ritiro nel deserto per separarsi dagli usurpatori e dai
malvagi, nonché l’estensore dei primitivi testi della comunità.
Un altro testo significativo della comunità degli Esseni, il Documento di
Damasco (databile tra il 135 e il 63 a.C) dà ulteriori indicazioni sui tempi della
comparsa del «maestro di giustizia». Riassumendo la storia degli albori del
movimento, l’autore dice:
‘nazirei’, ma mai di ‘esseni’. L’etimologia del termine è incerta: alcuni lo fanno risalire a
‘hesen’,
7
«Ma nel suo [
Israele e non li abbandonò alla distruzione. E nel tempo della collera, trecento e
novant’anni dopo che li aveva consegnati a Nabucodonosor, re di Babilonia, egli li
visitò e da Israele e da Aronne fece germogliare la radice di una pianta destinata ad
ereditare la sua terra ed a ingrassarsi con i beni del suo suolo.
Ed essi compresero la loro iniquità e riconobbero di essere uomini colpevoli.
Erano stati come ciechi e come coloro che cercano la strada a tastoni, per vent’anni.
E Dio considerò le loro opere perché l’avevano ricercato con cuore perfetto:
suscitò per loro un maestro di giustizia per guidarli sulla via del suo cuore e per far
conoscere alle ultime generazioni ciò che ha fatto all’ultima generazione, l’assemblea
dei traditori.» (I, 4-12)
di Dio, n.d.A.] ricordo del patto con gli antenati lasciò un resto a
Gerusalemme cadde in mano a Nabucodonosor nel 587 a.C. Se si tolgono
trecentonovanta anni si arriva al 197: in questo periodo lo spirito di Dio
“visitò” il suo popolo, facendo sorgere un gruppo (identificabile con gli
hasidim?) interamente dedito alla ricerca di Dio. Nonostante lo zelo della
ricerca, il loro cammino procede a stento, senza una direzione precisa, per
circa venti anni, fino al momento in cui appare il misterioso «maestro di
giustizia». Siamo intorno al 175 a.C, il periodo in cui Onia III è deposto e il
culto del Tempio perde definitivamente la sua legittimità.
In questa occasione, alcuni sacerdoti - tra cui, probabilmente, il
«maestro di giustizia» - rimasti fedeli al culto legittimo, abbandonano
Gerusalemme. Intorno a loro si raccoglie il gruppo che costituirà la cellula
madre del movimento esseno, verso la metà del secolo, ai tempi, cioè, di
Gionata Maccabeo. Ormai, si tratta di ristabilire il culto legittimo,
definitivamente compromesso a Gerusalemme dal dominio Asmoneo, in attesa
della restaurazione definitiva ad opera di Yhwh.
8
Il contrasto tra Esseni e Asmonei e
la nascita di Qumran
Sempre il Commento ad Abacuc ci offre alcuni particolari circa la
successiva eliminazione del «maestro di giustizia»:
«L’interpretazione [
ha perseguitato il maestro di giustizia, inghiottendolo nell’irritazione della sua
collera; nella casa del suo esilio e al tempo della festa del riposo, nel giorno
dell’espiazione, egli apparve loro per inghiottirli e per rovesciarli nel giorno del
digiuno, nel Sabato del loro riposo.» (XI,4-8a)
di Abacuc 2,15, n.d.A.] si riferisce al sacerdote empio, che
La persecuzione di Gionata Maccabeo arriva al culmine nel momento in
cui egli raggiunge il «maestro di giustizia» nel suo esilio nel deserto e, nel
giorno più sacro del calendario ebraico, il giorno dell’espiazione (yom kippur),
lo assale uccidendolo. La scaltrezza malvagia di Gionata - giocando sulla
differenza tra il calendario di Gerusalemme e quello esseno - emerge dal fatto
che in quel giorno, secondo la legge mosaica, il «maestro di giustizia» non
avrebbe potuto farsi difendere dai suoi. Gionata Maccabeo, così, elimina colui
che si contrapponeva con tanta autorevolezza al suo potere e, nello stesso
tempo, disperde la comunità. Quindi, la scomparsa del «maestro di giustizia»
dal seno della comunità avviene prima del 143 a. C., anno in cui Gionata viene
catturato e poi ucciso.
Successivamente a questa data si colloca l’insediamento monastico degli
Esseni a Qumran, che diventerà il centro più rappresentativo della
confraternita, sulle sponde nord occidentali del Mar Morto.
Il contrasto tra gli Esseni e il potere Asmoneo rimarrà vivo anche con i
successori di Gionata Maccabeo, fino ad acuirsi sotto il regno di Alessandro
Janneo (103-76 a.C.), che costituisce l’apogeo della dinastia asmonea. In
questo periodo storico s’inaspriscono le divergenze tra monarchia e Sinagoga
ufficiale da una parte e il partito dei Farisei, che vengono ferocemente
perseguitati, massacrati e costretti alla fuga.
9
E’ assai improbabile che il movimento esseno, collocato su posizioni ben
più radicali dei Farisei riguardo alla decadenza sociale e religiosa di
Gerusalemme, non abbia risentito profondamente di questi eventi drammatici.
Non a caso, negli stessi anni l’insediamento di Qumran conoscerà la massima
espansione, e vedrà la costruzione dei piani superiori, dell’acquedotto e delle
mura di cinta.
Negli anni immediatamente precedenti all’occupazione romana della
Palestina, avvenuta ad opera di Pompeo nel 63 a.C., i Farisei vengono riabilitati
e riacquistano potere all’interno del Sinedrio. Tuttavia, nonostante Pompeo
abolisca la monarchia a Gerusalemme, smembrando il regno asmoneo e
riducendo la Giudea ad un piccolo stato tributario di Roma, la situazione
religiosa non cambia di molto: il sommo sacerdozio rimane in mano agli
Asmonei (Ircano II) e il culto del Tempio - illegittimo secondo gli Esseni -
riprende regolarmente.
La costituzione della comunità di Qumran
Tra gli scritti esseni più antichi particolare importanza assume la Regola
della comunità, che, nella sua stesura originaria, pare risalire allo stesso
«maestro di giustizia», e quindi intorno alla metà del II secolo a.C. Nella
Regola si può intravedere una proto-costituzione della comunità, laddove si
dice:
«Nel consiglio della comunità ci saranno dodici uomini e tre sacerdoti perfetti
in ogni cosa manifestata da tutta la legge, per praticare la verità, la giustizia, il
giudizio, l’amore benigno e un camminare modesto, ognuno verso il suo prossimo,
per custodire sulla terra la fede con carattere deciso e spirito contrito per scontare
l’iniquità praticando il giudizio e sopportando le angustie del crogiolo, e per
camminare con tutti secondo la misura della verità e secondo la norma del tempo
[
Quando in Israele si realizzerà questo, allora il consiglio della comunità sarà
ben stabilito nella verità quale pianta di eternità...»
cioè, secondo i modi rivelati da Dio nei tempi da Lui stabiliti, n.d.A.].9.
9
10
L’espressione “consiglio della comunità” sta qui ad indicare la comunità
nel suo insieme, così come si evince anche dai versetti 5s: quando in Israele,
presso il popolo di Dio, avverrà tutto ciò, allora la comunità avrà un
fondamento stabile e destinato, pertanto, a realizzare definitivamente
l’alleanza con Dio.
Quindi, il testo pare alludere ad un momento in cui nella comunità del
popolo di Dio sarebbero apparsi quindici uomini santi, dodici laici e tre
sacerdoti. In realtà, l’espressione ebraica è ambigua e potrebbe ugualmente
indicare che il numero di questi uomini era, in totale, dodici. Ad ogni modo,
essi, rappresentanti le dodici tribù d’Israele e le tre famiglie sacerdotali
discendenti dalla tribù di Levi10, sarebbero stati i custodi dell’autentica
interpretazione della Legge, della sua corretta applicazione e, soprattutto,
della pratica, della testimonianza rigorosa della fedeltà a Dio e al suo patto.
Nel testo si fa riferimento al “crogiolo”, cioè la fornace in cui sono
purificati i metalli nobili, per indicare una prova a cui Dio avrebbe sottoposto
il suo popolo per scremarlo e purificarlo. Il “crogiolo” è costituito dalle
persecuzioni e dalle tentazioni “da parte di coloro che si trovano sotto
l’impero di Belial” (I,18), cioè i figli delle tenebre, i nemici, gli usurpatori e i
rinnegati del patto con Yhwh.
«Quando essi saranno rassodati sulle fondamenta della comunità per due anni,
giorno per giorno sulla via perfetta, saranno separati, come una cosa sacra, in mezzo
al consiglio degli uomini della comunità, e ogni cosa che era nascosta ad Israele, ma
fu trovata dall’uomo che ha indagato, non sia loro nascosta per timore dello spirito di
apostasia.
Quando in Israele si realizzeranno queste cose per la comunità, in base a
queste norme saranno separati di mezzo al soggiorno degli uomini dell’ingiustizia
per andare nel deserto a prepararvi la via di Lui, come sta scritto: “Nel deserto
preparate la via di .... [
a dire il tetragramma sacro YHWH, n.d.A.
nostro Dio”. Questa è appunto lo studio della legge che egli ha promulgato per mezzo
i quattro puntini indicano il nome, impronunciabile, di Dio, vale]; appianate nella steppa una strada per il
10
soprattutto in Dt 33 (Benedizioni di Mosè), più tardivo.
11
di Mosè affinché si compia tutto ciò che è stato rivelato di tempo in tempo, come
hanno rivelato i profeti per mezzo del suo spirito santo.
11»
In questo passo s’intravede la procedura attraverso cui questi quindici
uomini sarebbero stati selezionati. Prima i candidati sarebbero stati istruiti e
fortificati, attraverso un tirocinio assiduo, sulle “fondamenta della comunità
per due anni”. Poi sarebbero stati separati dal resto degli uomini, cioè presi in
disparte, e sarebbe stata rivelata loro quella conoscenza misterica che
costituisce lo spirito profondo della comunità. Il testo dice che tale
conoscenza “fu trovata dall’uomo che ha indagato”, alludendo probabilmente
allo stesso «maestro di giustizia», capo spirituale del movimento e primo
estensore (o ispiratore) della Regola.
Solo allora, un gruppo composto di soli uomini avrebbe costituito la
comunità vera e propria, ritirandosi nel deserto, in accordo con il passo citato
di Isaia, 40,3. L’autore tiene a sottolineare che la via che prepara l’avvento di
Dio non è altro che lo studio della Torah12, interpretata secondo la parola dei
profeti.
Caratteristiche principali della comunità monastica
In definitiva, dalla Regola della comunità traspare che, durante il primo
periodo d’insediamento a Qumran, gli Esseni costituivano un ordine
sostanzialmente monastico.
Innanzitutto, l’accesso alla comunità era subordinato ad un periodo di
noviziato, della durata complessiva di circa tre anni13. Le notizie riportate da
Giuseppe Flavio concordano sostanzialmente con la Regola e riassumono bene
i tre tempi del noviziato esseno:
11
12
termine ‘torah’ è utilizzato per indicare l’intero Pentateuco, vale a dire i primi cinque libri della
Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
13
12
«Coloro che desiderano entrare nella loro setta non ne ottengono l’accesso
immediato. Al postulante impongono per un anno la stessa norma di vita, benché ne
rimanga fuori [...].
Dopoché egli in questo tempo avrà dato prova di temperanza, s’inoltra più
addentro nella norma di vita ed è fatto partecipe di acque di purificazione ancora più
pure, ma non è ancora accolto nella vita comune. E infatti, dopo la dimostrazione di
costanza [data nel primo anno di prova, n.d.A.], per altri due anni se ne mette a prova
il carattere; e allora se appare degno è accolto nella comunità».
14
Inoltre, gli Esseni praticavano la più rigorosa povertà: veniva esclusa
ogni forma di proprietà privata, riservando ogni bene e servizio per le
esigenze della comunità, così come riporta anche lo storico ebreo:
«Disprezzano la ricchezza e la loro vita comunitaria è ammirevole: invano si
cercherebbe tra loro qualcuno superiore agli altri per ricchezza. E’ legge, infatti, che
chi entra nella setta le lasci i suoi beni, in modo che fra gli affiliati non si veda mai né
l’umiliazione della povertà né l’orgoglio della ricchezza: essendo messe in comune le
ricchezze di ciascuno, non vi è per tutti che un’unica proprietà comune, come
avviene per dei fratelli»
15.
Una severa gerarchia regolava le relazioni tra i membri, suddivisi
nettamente in tre classi, i sacerdoti, i leviti e il resto del popolo. 16 Ai tempi di
Giuseppe Flavio, gli Esseni erano divisi in quattro classi:
14
15
16
tutto il popolo, mentre nel secondo di sacerdoti, anziani e il resto del popolo. I leviti costituivano
una delle dodici tribù d’Israele, e precisamente quella associata con il sacerdozio. Tuttavia, il
termine /levita/ aveva un’estensione maggiore del termine /sacerdote/ e indicava un ministro
subalterno che aiutava il sacerdote nelle funzioni sacre, ma non aveva accesso all’altare. I leviti
hanno cura del Tempio, la casa di Yhwh, giudicano, sono suonatori di strumenti durante i riti,
cantano lodi, purificano le cose sacre, raccolgono le decime, preparano il pane, dirigono la
preghiera, e così via. I leviti sono i discendenti della famiglia di Aronne, ma il profeta Ezechiele
(44,10-16) parla della famiglia di Sadoq, che è una famiglia levita, come la sola ad avere diritti e
privilegi sacerdotali. Pare, quindi, che la descrizione contenuta nella Regola da I,16 a II,25 rifletta
un rituale sacro d’ingresso nella nuova alleanza stipulata tra Yhwh e la comunità essena, e non la
suddivisione gerarchica della stessa come in VI, 8. Questo rituale veniva compiuto ogni anno,
presumibilmente nel giorno della Pentecoste, come festa del rinnovamento del patto e coincideva
con l’ammissione nella comunità di nuovi membri. La celebrazione consisteva in una
13
«Si dividono in quattro classi, a seconda del tempo trascorso sotto la
disciplina, e i più recenti sono talmente inferiori a quelli che sono più anziani che
questi, se toccati da quelli, si lavano come se fossero venuti a contatto con uno
straniero.»
17
Siamo in un periodo successivo della storia essena, che testimonia come
l’importanza fondamentale attribuita al sacerdozio venga progressivamente
sostituita dal livello di perfezione nella vita. La quarta classe probabilmente
corrisponde ai nuovi aderenti al patto, i proseliti.
La comunità essena si considerava una élite spirituale il cui compito
principale era indagare in profondità la parola di Yhwh e costituire, così, quel
germoglio da cui si sarebbe sviluppata la nuova pianta d’Israele18. Pertanto, lo
studio incessante dei testi sacri assumeva particolare importanza:
«Nel luogo in cui vi saranno dieci non mancherà un uomo che scruti la legge
giorno e notte, costantemente, allo scopo di migliorare il suo prossimo. I molti
veglieranno in comune un terzo di ogni notte dell’anno a leggere il libro, a scrutare il
diritto e a benedire in comune.» (
Regola, VI, 6-8a)
La notte veniva divisa in tre vigilie, della durata di circa quattro ore
l’una. Una di queste vigilie era dedicata quotidianamente alla lettura e alla
discussione collettive della Legge, nonchè alla preghiera comunitaria. Lo
studio della Parola, sotto la guida del maskil, del saggio, costituiva l’attività
principale, fondativa, della comunità e serviva sia a stabilire una perfetta
condotta di vita, gradita a Dio, sia a preparare la comunità agli eventi futuri,
secondo i piani salvifici stabiliti da Yhwh.
Tra i rituali in uso presso gli Esseni, spicca la pratica quotidiana delle
abluzioni di purificazione. Pare che questi bagni lustrali rivestissero notevole
importanza, anche se probabilmente la loro pratica subì una certa evoluzione,
secondo le vicende storiche del movimento e le differenziazioni progressive
proclamazione pubblica di fede, in preghiere di lode, nella confessione delle proprie colpe e in
formule di maledizione per i malvagi.
17
18
14
dei vari raggruppamenti esseni. Già nella Regola, tuttavia, si volle mettere in
guardia circa il rischio di ridurre queste purificazioni quotidiane ad una
pratica puramente esteriore e formale:
«Ma chiunque rifiuta di entrare nel patto di Dio per camminare nell’ostinazione
del suo cuore non passerà nella sua fedele comunità: giacché la sua anima respinse le
istituzioni della conoscenza dei giusti giudizi, non ebbe la costanza di rinnovare la
sua vita, e quindi non sarà annoverato tra le persone rette, non apporterà il suo
sapere, il suo lavoro e i suoi beni nel consiglio della comunità [...]. Non sarà
giustificato fino a quando dissimula l’ostinazione del suo cuore, e tenebra considera
le vie della luce; tra i perfetti non sarà annoverato; non sarà mondato con
l’espiazione; non sarà purificato con le acque lustrali: non sarà santificato con l’acqua
del mare e dei fiumi; non sarà purificato con alcuna acqua di abluzione. [...] Giacché
dallo spirito del vero consiglio di Dio sono espiate le vie dell’uomo, tutte le sue
iniquità, affinché possa contemplare la luce della vita; dallo spirito santo della
comunità, dalla sua verità, è purificato da tutte le sue iniquità; dallo spirito di
rettitudine e di umiltà è espiato il suo peccato; nell’umiltà della sua anima verso tutti
gli statuti di Dio è purificata la sua carne, aspersa con acque lustrali e santificata con
acque pure. Rinfranchi i suoi passi camminando in modo perfetto in tutte le vie di
Dio come ha ordinato nel tempo stabilito delle sue testimonianze, senza
distogliersene a destra o a sinistra e senza trasgredire neppure una di tutte le sue
parole. Allora egli sarà accetto per mezzo di espiazioni gradevoli davanti a Dio, e ciò
varrà per lui quale patto della comunità eterna.» (
Regola, II,25b - III,12a)
Ciò che impedisce di entrare nel patto di Dio è un cuore ostinato, duro,
insensibile, tale da non rendersi docile, umile, pronto a ricevere l’influsso
dello spirito di Yhwh, che si rende presente all’uomo attraverso la
testimonianza e la correzione da parte della comunità dei perfetti (“spirito
santo della comunità”, “vero consiglio di Dio”). Solo uno spirito umile può
ottenere la vera purificazione, l’espiazione delle sue colpe. Solo uno spirito
umile può beneficiare dei riti quotidiani di immersione nelle “acque lustrali”,
che, di per sé, non sono sufficienti per il perdono dei peccati. Senza un
autentico pentimento, nessuno potrà essere “mondato con l’espiazione”, cioè
attraverso il rituale dello yom kippur19, e nessuno sarà “purificato con alcuna
19
15
acqua di abluzione”20. Questo passo contesta l’efficacia dei bagni rituali senza
un autentico pentimento e conversione del cuore: non l’acqua, ma lo spirito
può arrecare la purificazione e, quindi, la salvezza!
Il loro ascetismo improntato a un ideale di purezza, li portava a
mantenere un rigoroso celibato, o all’abbandono della propria famiglia, per
timore che “si dissolvessero i vincoli della vita comunitaria”21, e a vivere
nettamente separati da tutti “gli uomini dell’ingiustizia”22. Giuseppe Flavio
riporta una notizia leggermente diversificata, sostenendo che “vi è un’altra
categoria di Esseni, in accordo con le altre per il tipo di vita, gli usi e i
costumi, ma che se ne distanzia sulla questione del matrimonio. [...Essi si
sposano; tuttavia, quando le mogli] sono incinte, non hanno più relazioni
sessuali con esse”23. Giuseppe Flavio si riferisce forse a quei raggruppamenti,
di cui parla Filone, che “abitano molte città della Giudea ed anche molte
borgate”24?
In effetti, il movimento esseno acquistò subito molte simpatie e
cominciarono a sorgere una serie di gruppi, sparsi qua e là, che, pur
condividendo gli stessi princìpi e le stesse idee di fondo, andavano
assumendo ognuno una propria fisionomia. Del resto, Filone e Giuseppe
Flavio, ai tempi di Gesù, concordano nello stimare il numero degli Esseni a
circa quattromila!
20
comunità essene: “Dopo aver lavorato energicamente fino all’ora quinta [le undici, n.d.a.], si
radunano nuovamente in un solo posto, e cintisi di un indumento di lino si lavano il corpo con
acqua fredda. Dopo questa purificazione, vanno insieme in un edificio particolare dove a nessuno
d’altra fede è concesso di entrare: loro stessi non entrano nel refettorio che dopo essersi purificati,
come in un recinto sacro” (Guerra Giudaica, II, 129). Cfr il rito di Nm 19, 17-22.
21
Apologia dei Giudei,
22
23
24
16
Il dualismo luce / tenebre
Tra le caratteristiche fondamentali del movimento esseno, è da
annoverare un accentuato dualismo luce/tenebre, che costituiva la chiave di
lettura dell’intera storia del popolo di Dio.
Pare che per la visione dualistica della storia gli Esseni abbiano subito
forti influssi iranici: nello zoroastrismo la potenza di Dio si manifesta in due
polarità, l’una positiva e vivificante, l’altra negativa e distruttiva, e il saggio è
colui che sa riconoscere questa realtà dualistica nell’esistenza25. In un passo
delle Gatha26 si legge: “In principio i due spiriti, noti come gemelli, sono l’uno
il migliore, l’altro il peggiore in pensiero, parola e azione. Fra loro due il
saggio scelse bene, non l’insipiente”. Il termine ‘spirito’ traduce la parola
manyu, la cui radice indo-europea riconduce ai significati di mente, impeto,
ardore, e quindi forza psichica, scelta passionale. Lo «spirito» è dunque la
volontà decisa di seguire uno dei due principi.
Assai simile è la posizione della Regola essena, secondo la quale si tratta
di distinguere la natura, i tratti del carattere, le manifestazioni storiche, le
azioni, il destino, insomma, i segni distintivi che rivelano l’influsso dell’uno o
dell’altro spirito. La conoscenza dei due spiriti appare come una pratica
preliminare di apprendimento a cui devono essere iniziati i membri della
comunità27:
«Lo spirito di verità illumina il cuore dell’uomo, appiana davanti a lui tutte le
vie della giustizia, infonde nel suo cuore il timore dei giudizi di Dio, lo spirito di
umiltà e longanimità, abbondante misericordia ed eterna bontà, prudenza e
25
vitale importanza per il ‘maskil’, il «saggio», una figura di primo piano nell’organizzazione della
comunità, che, oltre alla funzione di ammaestramento riguardo alla manifestazione dei due princìpi,
aveva anche il compito di esaminare l’intelligenza e l’atteggiamento interiore di chi voleva entrare a
far parte della comunità. Il tema del discernimento degli spiriti assumerà grande importanza anche
nel cristianesimo delle origini (cfr 1Gv 3,10; 4,6).
26
27
“Innanzitutto bisogna discernere i due princìpi. Colui che chiede di entrare nella religione deve
sapere che i due princìpi della luce e dell’oscurità hanno nature del tutto distinte: se non discerne
questo, come potrà mettere in pratica la dottrina?”. Il manicheismo si presentò, originariamente,
come una riforma spirituale che aggiornava e perfezionava la dottrina zoroastriana.
17
intelligenza, solida saggezza fiduciosa in tutte le opere di Dio e basata
sull’abbondanza della sua grazia. Spirito di conoscenza in ogni piano d’azione, zelo
dei giudizi giusti, proposito santo con un carattere deciso, grande misericordia verso
tutti i figli di verità, una purezza splendente che detesti tutti gli idoli impuri,
condotta modesta con prudenza in tutto, e nascondere fedelmente i misteri della
conoscenza: questi sono gli elementi fondamentali dello spirito per i figli della verità
che sono nel mondo.
La visita di tutti coloro che camminano in lui consiste nella salute,
nell’abbondanza di pace per lunghi giorni, posterità feconda insieme a tutte le
benedizioni perpetue, gioia eterna nella vita contina, una corona gloriosa, con un
abito magnifico nella luce eterna.» (
«Ma lo spirito d’ingiustizia è superbia, svogliatezza nel servizio della giustizia,
empietà e menzogna, orgoglio ed esaltazione del cuore, simulazione e ignavia,
violenza e abbondante contaminazione, iracondia e abbondante follia, gelosia
insolente, opere abominevoli in spirito adultero, vie impure al servizio della
torpitudine e lingua blasfema, cecità degli occhi e durezza di udito, collo rigido e
gravezza di cuore, sicché cammina su tutte le vie delle tenebre e dell’astuzia
malvagia.
La visita di tutti coloro che camminano in lui consiste nell’abbondanza di
flagelli per mano di tutti gli angeli di perdizione, distruzione eterna nella vampante
collera del Dio delle vendette, terrore perpetuo, ignominia continua e confusione
sterminatrice nel fuoco di regioni tenebrose; tutti i loro tempi determinati nelle loro
generazioni, saranno pianto triste e acerbo malanno in calamità tenebrose, fino al
loro sterminio senza che fra di essi vi sia alcun resto né scampato.» (
14a)
Regola, IV, 2b-8a)Regola, IV, 8b-
In definitiva, il dualismo dei due spiriti, così come nelle tradizioni
iraniche, non va inteso come una concezione metafisica28, ma come
insegnamento pratico, riservato all’addestramento iniziatico di una élite
spirituale.
28
I due spiriti non sono princìpi creatori, non sono Yhwh, il Dio unico, ma appartengono essi stessi
alla sfera della creazione. La scissione successiva alla creazione in uno «spirito di obbedienza» e in
uno «spirito di ribellione» rappresenta uno squarcio interessante sul mistero dell’‘impotenza’ di
Dio. Tuttavia, il principe delle tenebre si rivela incapace di trasferire al di sopra di un piano
puramente mentale la sua creazione demoniaca.
18
Una comunità sacerdotale
Gli esseni si ritengono gli eredi delle promesse di Yhwh e la garanzia
della fedeltà al patto, costituendo una comunità sacerdotale. Infatti:
«essi sono i testimoni di verità per il giudizio e gli eletti del suo beneplacito,
per espiare la terra e dare agli empi la loro retribuzione. Questo è il muro provato, la
pietra d’angolo inestimabile! Non vacilleranno le sue fondamenta, né saranno mosse
dal loro posto. [La comunità] è un’abitazione del santo dei santi per Aronne nella
conoscenza di tutti loro, per un patto di giustizia e per offrire un profumo gradevole
e una casa di perfezione e di verità in Israele, per stabilire il patto secondo gli statuti
eterni. E saranno graditi per compiere l’espiazione della terra...»
29
“Per espiare la terra”, “un’abitazione del santo dei santi”, “per offrire un
profumo gradevole”, “saranno graditi per compiere l’espiazione”: sono tutte
espressioni che si riferiscono ad un ambito cultuale. L’intera comunità diventa
un sacrificio vivente: l’«espiazione», in senso tecnico cultuale, corrisponde al
versamento del sangue della vittima sacrificale; il «profumo gradevole» è dato
dal fumo delle offerte bruciate che sale a Dio; il «santo dei santi» è il luogo più
intimo e sacro del Tempio, nel quale poteva entrare solo il sommo sacerdote...
Come si può trascurare l’assonanza tra queste parole e quanto troviamo
nella prima letteratura cristiana? Nella prima lettera di Pietro, l’autore, da
Roma, così conforta i fratelli delle comunità dell’Asia:
«Avvicinandovi a lui [a Gesù], la pietra vivente scartata dagli uomini ma scelta
da Dio e di valore, siete costruiti anche voi come pietre viventi in edificio spirituale
per formare un organismo sacerdotale santo, che offra sacrifici spirituali ben accetti a
Dio per mezzo di Gesù Cristo. [...] Voi siete una stirpe scelta, un organismo
sacerdotale regale, un popolo santo...»
30
Allo stesso modo, l’Apocalisse di Giovanni, in 1,7, afferma che Gesù, con
la sua testimonianza sacrificale, “ha formato di noi un regno di sacerdoti per il
29
30
19
suo Dio e Padre”, formulazione che viene ripetuta in 5,10. Del resto, l’idea
d’Israele come regno o popolo sacerdotale è presente anche nel Pentateuco (Es
19,6) ed è ripresa dal profeta Isaia nel famoso capitolo 61. Pertanto, attraverso
il sacerdozio spirituale di Gesù, così ben sviluppato nella lettera agli Ebrei, le
comunità cristiane assumono la dignità di un popolo sacerdotale.
Eppure, sia nella comunità di Qumran che, più tardi e progressivamente,
nelle comunità cristiane, il sacerdozio ha designato una funzione particolare,
specifica, gestita da ministri appositamente preparati per il culto. Il sacerdote
(kohen) rimane il notabile per eccellenza e il depositario delle sacre tradizioni
della comunità31. A Qumran, i «figli di Sadoc» e i «figli di Aronne», che
costituiscono la classe sacerdotale, sono i “custodi del patto” e a loro è stata
rivelata e trasmessa la legge di Mosè32.
Per questo motivo, il sacerdote detiene un posto di rilievo nei momenti
significativi della vita comunitaria:
«In ogni luogo in cui saranno dieci uomini del consiglio della comunità, tra di
essi non mancherà un sacerdote: si siederanno davanti a lui, ognuno secondo il
proprio grado, e nello stesso ordine sarà domandato il loro consiglio in ogni cosa. E
allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere, il sacerdote
stenderà per primo la sua mano per benedire in principio il pane e il vino dolce»
33.
Il primato del sacerdote è confermato nella più tardiva Regola
dell’assemblea34. Il Documento di Damasco35 offre una prospettiva singolare. Da
una parte, ribadisce che
«nel luogo di dieci persone non manchi un sacerdote istruito nel libro della
meditazione [
parere tutti loro si piegheranno.»
con ogni probabilità si tratta della Regola della comunità, n.d.a.]: al suo
Dall’altra, sostiene che
31
32
33
34
35
20
«se egli non è affatto esperto in queste cose, bensì c’è un levita esperto in
queste cose, la sorte di tutti i membri dell’accampamento dipenderà dal suo parere
per andare e venire. Ma se in qualcuno si presenta il caso di un giudizio riguardante
la legge della lebbra, verrà il sacerdote [...] ed anche se egli è un semplice di spirito, è
a lui che spetta isolarlo; poiché è ad essi [
i sacerdoti, n.d.a.] che spetta la sentenza.»
Per le questioni importanti riguardo alla Legge (e la lebbra era una di
queste) il parere del sacerdote rimaneva vincolante, anche se la sua
intelligenza delle cose era limitata. E’ interessante notare come l’intervento
del sacerdote avesse un significato piuttosto formale, in virtù del vincolo
particolare che legava questa classe a Yhwh, vincolo che la rendeva una realtà
«sacra» e la distingueva da tutti gli altri uomini. Non erano le doti personali
che caratterizzavano il sacerdote, ma la fedeltà con la quale amministrava le
diverse norme cultuali.
I sacerdoti devono anzitutto garantire la fedeltà al patto con Yhwh.
Quest’«alleanza», nonostante il suo significato profondamente interiore e
spirituale, si manifesta attraverso una serie di norme rituali, la cosiddetta
halakah, nel senso di ‘via, ‘cammino’ del pio ebreo che riguarda ogni aspetto
dell’esistenza quotidiana. In altre parole, l’atteggiamento interiore del devoto
si concretizza in gesti simbolici e in uno stile di vita che hanno la funzione di
esprimere e ricordare quotidianamente la fedeltà a Dio.
Il culto come «cura»
É la ‘cura’ della vita quotidiana che caratterizza l’atteggiamento del
sacerdote esseno. Infatti, i membri della comunità, dopo il degrado del
Tempio di Gerusalemme, “non entreranno [più] nel santuario ad accendere,
invano, il suo altare” (Documento di Damasco, VI,12), ma sostituiranno il culto
ufficiale, con uno stile di vita santo, dove ogni azione diventa un’offerta e un
atto di ‘cura’ verso la divinità:
«
determinato dell’empietà, di separarsi dai figli della fossa; di preservarsi dalle
ricchezze inique e impure [...]; di distinguere il puro dall’impuro e di insegnare la
Certo, cureranno: di agire secondo l’esatto tenore della legge nel tempo
21
differenza tra il sacro e il profano; di osservare il giorno del Sabato [...] e il giorno di
digiuno [...]; di prelevare le sacre offerte [...]; di amare ognuno il suo fratello come se
stesso; di sostenere la mano del povero, dell’indigente e dello straniero; di cercare
ognuno la pace del suo fratello, di non essere infedele, ognuno, verso la carne della
sua carne; di preservarsi dalla lussuria [...]; di correggere ognuno il suo fratello
secondo la disposizione; di non conservare rancore da un giorno all’altro; di astenersi
da tutte le impurità [...] e di non contaminare ognuno il suo spirito santo.
36»
L’idea del culto come «cura» appare anche in uno scritto di Filone
d’Alessandria, De vita contemplativa, dedicato ai Terapeuti d’Egitto, una
corrente religiosa ebraica derivata dall’essenismo. In quest’opera, Filone
descrive le caratteristiche e gli usi di questa comunità spirituale, così definita
“innanzitutto perché la medicina di cui fanno professione [i suoi membri] è
superiore a quella che viene praticata nelle nostre città - quest’ultima non cura che il
corpo, ma l’altra cura anche lo psichismo in preda a quelle malattie penose e difficili
da guarire che sono l’attaccamento al piacere, il disorientamento del desiderio, la
tristezza, le fobie, le invidie, l’ignoranza, il non adattarsi a quello che è, e la
moltitudine infinita delle altre patologie e sofferenze. Se si chiamano Terapeuti è
anche perché [...] si prendono cura dell’Essere” (II).
Filone non distingue la «cura» psichica dalla cura spirituale. Per questo
motivo, in una prospettiva culturale di stampo greco, definisce questi esseni
come ‘filosofi’, adepti della vita contemplativa, la pura ricerca dell’Essere.
«Prendersi cura dell’Essere» significa attingere alle energie spirituali più
profonde. Solo in questo modo il ‘terapeuta’, nel prendersi cura dell’altro, crea
un collegamento tra l’individuo e la sorgente della vita37. In un linguaggio
meno ellenizzante e più ebraico, “prendersi cura dell’Essere”, non equivale
forse all’aver cura del patto santo stabilito con Yhwh?
In definitiva, l’idea essena del sacerdozio, rielaborata nel tempo e
sviluppata in senso laico da Gesù, consiste nel «prendersi cura di Dio»,
36
37
Giudaica
scegliendo specialmente quelli che riguardano il profitto dell’anima e del corpo. E qui studiano
come guarire le malattie, le radici che preservano da esse e le proprietà delle pietre”.
22
attraverso un atteggiamento raccolto nel proprio centro, meditativo; la
preghiera, di invocazione, lode e ringraziamento; la celebrazione di momenti
particolari della vita e dell’anno; la presenza di attività rituali che scandiscono
il ritmo dei giorni; la fedeltà alle leggi che Dio ha disposto per la nostra
attività quotidiana.
Il sacerdote ricorda continuamente alla comunità la «presenza» di Dio
(shekinah), celebrando, attraverso un ricco linguaggio simbolico, la
consacrazione dei membri alla Sua volontà.
Il
mebaqqer nelle comunità essene
Nella letteratura qumranica la figura dell’«ispettore» (mebaqqer), 38
indispensabile in ogni raggruppamento esseno, indica chiaramente un laico
che è preposto all’organizzazione di ogni gruppo, registra le infrazioni alla
vita comunitaria, amministra i beni, valuta l’ammissione di nuovi membri e
arbitra le questioni interne.

«Allorché uno entra nel patto destinato a tutto Israele quale statuto eterno, con
i suoi figli che hanno raggiunto l’età per passare tra i recensiti [
s’impegneranno con il giuramento del patto.
le sentenze [
presentato davanti all’ispettore, per timore che quando l’esaminerà lo giudichi
semplice.»
«Nessuno si arroghi il diritto di introdurre qualcuno nell’assemblea senza il
parere dell’ispettore. E nessuno di coloro che sono entrati nel patto di Dio intrattenga
commercio con i figli della fossa, eccetto da mano a mano [
nessuno faccia contratto di acquisto e di vendita senza renderlo noto all’ispettore.»
«Tutte le cose che ogni uomo avrà da dire, le dirà all’ispettore, a proposito di
qualsiasi lite e sentenza.»
«Il salario di almeno due giorni ogni mese lo rimetteranno nella mano
dell’ispettore e dei giudici. D’onde una parte sarà data ai bisognosi; con una parte
sosterranno la mano del povero, dell’indigente, del vecchio che si spegne, dell’uomo
errante o del prigioniero in una nazione straniera, della vergine che non ha
vent’anni, n.d.a],[...Tuttavia,] nessuno gli farà conoscerecioè gli statuti segreti della comunità, n.d.a.] fino a quando non si saràcioè in contanti, n.d.a.],
38
13; XV, 8-14.
23
protettore, e dell’orfano del quale nessuno s’interessa.» (
5-11; XIII, 13-16; XIV, 11s; XIV, 12-16)
Documento di Damasco, XV,
Queste norme appartengono ad un periodo della storia essena in cui la
comunità madre di Qumran ha dato vita ad una serie di raggruppamenti locali,
diffusi per l’intera regione palestinese. É un momento in cui intere famiglie
chiedono di essere ammesse al movimento; tuttavia, pare che solo gli adulti
maschi posseggano questo diritto e, comunque, solo dopo essere passati al
vaglio dell’ispettore. Il timore espresso nel Documento di Damasco è che il
postulante sia troppo “semplice”, cioè ingenuo, incapace di comprendere e
soddisfare il tipo d’impegno richiesto per l’ingresso nel nuovo patto.
Questi raggruppamenti esseni non mettevano i beni in comune come a
Qumran; tuttavia, s’impegnavano a versare una quota pari al “salario di
almeno due giorni” direttamente all’ispettore: una parte veniva probabilmente
inviata alla comunità madre, mentre l’altra parte era utilizzata dall’ispettore
per far fronte alle situazioni di bisogno tra i membri del raggruppamento.
Nonostante ogni membro mantenesse le sue proprietà, egli s’impegnava
ugualmente a non trattare con i “figli della fossa”, cioè con coloro che non
appartenevano alla comunità (se non attraverso semplici scambi monetari)
senza l’autorizzazione dell’ispettore. L’intento di questa norma è facilmente
intuibile: al di là del rifiuto di qualsiasi contatto impuro, si voleva evitare che i
beni dei membri della comunità potessero passare in mano a estranei, in
modo che la vita della comunità stessa non ne risultasse pregiudicata.
Infine, l’ispettore compone ogni dissidio tra i membri, rivestendo,
quindi, anche un’autorità morale. Ma non solo:
«Istruirà i molti nelle opere di Dio, insegnerà ad essi le sue meravigliose gesta e
narrerà davanti a loro gli eventi eterni con franchezza. Verso di loro sarà
comprensivo come un padre verso i suoi figli e ricondurrà tutti i dispersi come un
pastore il suo gregge. Scioglierà tutte le catene che li avvincono, affinché nella sua
assemblea non vi sia più né oppresso, né affranto.» (
Documento, XIII, 7-10)
L’ispettore ha una funzione anche spirituale: attraverso l’insegnamento
offerto dalle vicende storiche, esorta e consola nello stesso tempo i membri
24
della comunità sull’esigenza di seguire la volontà di Yhwh, di realizzare
concretamente il Suo regno di giustizia.
L’ideale condotta amorevole dell’ispettore è descritta attraverso un
chiaro riferimento al capitolo 34 di Ezechiele, che condanna i capi laici del
popolo di Dio, presentandoli come i “i pastori d’Israele che pascono se stessi”.
Invece, il capo della comunità - così come il pastore messianico, “Davide mio
servo”, di Ez 34,23 - deve essere come un padre, che istruisce e svolge
un’azione liberante, in senso anzitutto sociale. Egli libera la collettività, in
modo da promuovere concretamente una comunità di santi. In questa
prospettiva
«egli esaminerà le azioni, l’intelligenza, la forza, il coraggio e i beni di
chiunque aderisce alla sua assemblea.» (
Documento, XIII, 11)
Infatti,
«ognuno che da Israele si mostrerà volenteroso di aggregarsi al consiglio della
comunità, costui sarà esaminato da colui che presiede, da colui che è alla testa dei
molti [
di disciplina l’introdurrà nel patto affinché si converta alla verità e si allontani da
ogni ingiustizia, e poi l’istruirà in tutti i giudizi della comunità.» (
comunità,
cioè l’«ispettore»], in merito alla sua intelligenza e alle sue azioni: se è capaceRegola dellaVI, 13-15)
Da questo analogo passo della Regola, pare che la funzione d’istruttore
spirituale esercitata dal mebaqqer fosse rivolta ai novizi, i quali facevano il
loro ingresso definitivo nella comunità solo dopo essere passati al vaglio del
consiglio.
In definitiva, l’ispettore appare una figura primaria nel secondo periodo
della storia essena, quando il movimento si è allargato e sviluppato in tanti
piccoli nuclei che mantengono un vincolo di fedeltà alla comunità madre.
A ognuno di questi nuclei è preposto il mebaqqer, l’ispettore, il quale
amministra i beni della comunità; arbitra ogni conflitto; distribuisce le offerte;
esamina i postulanti; istruisce i novizi. La sua funzione è di sorveglianza, di
supervisione, potremmo dire, riguardo all’intera vita della comunità. Tuttavia,
il suo ruolo amministrativo possiede un profondo senso spirituale, perché si
25
occupa del comportamento morale dei membri, della solidarietà collettiva e
della formazione di coloro che gli sono affidati.
Il «maestro spirituale» presso gli Esseni
Se da una parte, come abbiamo visto, le figure del sacerdote e
dell’ispettore sono nettamente separate, dall’altra possiamo riscontrare nella
letteratura qumranica delle funzioni che potrebbero essere attribuibili
indifferentemente ad entrambi.
Nella Regola della comunità si fa riferimento alla figura di un «saggio»
(maskil), a cui viene fornita una serie d’indicazioni,
«affinché istruisca e ammaestri tutti i figli della luce sulle origini di tutti i figli
dell’uomo riguardo a tutti i generi dei loro spiriti con i loro caratteri, secondo le loro
opere, e sulle loro genealogie, sulla visita nella quale saranno colpiti e sul tempo
della loro retribuzione.»
39
Tali insegnamenti vengono messi in relazione con la dottrina dei due
spiriti, della verità e dell’ingiustizia, che già abbiamo avuto modo di prendere
in considerazione. Il «saggio» possiede l’arte di discernere i due atteggiamenti
interiori, stabilendo ciò che in ogni membro della comunità, opera per il
perfezionamento spirituale e ciò che, invece, costituisce un ostacolo.
Quest’arte, psicologica e formativa, costituisce l’essenza della guida spirituale
presso gli Esseni: educare “i figli della luce”, così come si definivano, gli
appartenenti alla comunità, a riconoscere i vari tipi di segni (“caratteri”) e
comportamenti (“opere”) che rivelano se un uomo è da Dio o da Satana
(“origini”). Inoltre, si tratta di comprendere gli eventi futuri (“genealogie”), i
modi e i tempi della retribuzione, cioè il destino riservato da Dio (“visita”) a
seconda dello spirito di ogni uomo.
Può darsi che questa funzione di paternità spirituale sia un’eredità del
misterioso «maestro di giustizia», come sembrano alludere anche la Regola
della Comunità VIII,11s e il Documento di Damasco (VI,7), dove l’«interprete
39
26
della legge» è chiamato mehoqeq, un’espressione ebraica che significa insieme
‘bastone’, ‘capo’ e ‘legislatore’.
O forse il maskil ha progressivamente sostituito il doresh ha-torah, cioè
colui che studia, scruta, interpreta la Legge, una funzione che, inizialmente,
era riservata ad una figura sacerdotale40.
Rimane il fatto che il maskil è colui che possiede la saggezza pratica,
colui che riesce a ricavare dallo studio della Legge gl’insegnamenti concreti
per l’esistenza quotidiana. Egli deve accompagnare i membri della comunità
lungo la via tracciata da Dio in relazione alla situazione specifica e al grado di
comprensione spirituale:
«Questi sono gli statuti per il saggio affinché cammini in essi con ogni vivente
secondo la norma propria di ogni tempo e il peso [
per compiere il beneplacito di Dio secondo tutto ciò che è stato rivelato di tempo in
tempo [
ai tempi, e lo statuto del tempo [
cioè il valore, n.d.a.] di ogni uomo:al momento opportuno, n.d.a.] e per imparare la saggezza trovata in relazioneil particolare momento storico, n.d.a.].»41
L’intero brano della Regola, fino a X,1, descrive le funzioni del maskil e
l’atteggiamento corretto che egli deve tenere per la formazione dei membri
della comunità. In base al discernimento dei due spiriti, il «saggio» deve
“separare e pesare i figli della giustizia”, cioè distinguere le qualità di ognuno,
“per farlo avanzare in base alla sua intelligenza”, secondo le sue reali capacità.
Il maskil segue personalmente l’avanzamento spirituale di ogni membro
della comunità, dispensando “tanto il suo amore quanto il suo odio”, cioè
tanto la sollecitudine, la pazienza e la cura amorevole, quanto la severità della
disciplina e il netto rifiuto di ogni manifestazione della durezza del cuore.
Tuttavia, il maskil deve istruire anche attraverso una impeccabile
condotta di vita: soprattutto, deve testimoniare che è arrivato il momento di
“separarsi da ogni uomo che non ha distolto la propria via da qualsiasi
ingiustizia” e coltivare “odio eterno verso gli uomini della fossa”, ma non
apertamente, bensì “nello spirito del segreto”. Evitare ogni tipo di rapporto
40
41
27
con essi, escluderli da ogni tipo di condivisione: questo è il significato di
‘odiare’ nel radicalismo del linguaggio ebraico.
«Non riprenda gli uomini della fossa né disputi con essi; tra gli uomini
dell’ingiustizia nasconda il consiglio della legge.» (
Regola, IX, 16s)
Il saggio non deve discutere con coloro che non appartengono alla
comunità, né tanto meno esporre ai loro occhi la dottrina del movimento. Il
suo comportamento sarà invece pacifico, mostrando non attaccamento ai
propri beni e un atteggiamento umile, scevro da ogni alterigia, “come un servo
verso il suo padrone”.
In definitiva, il maskil guida i figli della luce con sapienza, istruendoli
nei “misteri meravigliosi e veridici, ...affinché camminino nella perfezione”.
Egli si dedica “giorno e notte” allo studio della Legge, per ricavarne
insegnamenti per la vita quotidiana; discerne gli spiriti, valutando ciò che
viene dalla ‘verità’ e ciò che invece viene dall’‘ingiustizia; fornisce la guida
spirituale, ammaestrando ogni membro della comunità in base al suo livello di
comprensione; testimonia la radicale separazione da coloro che rifiutano di
camminare lungo i sentieri di Dio; - esprime il disinteresse della comunità per
gli affari mondani attraverso un atteggiamento improntato alla nonviolenza.
Come si può vedere, pare che la funzione peculiare del maskil possa
sovrapporsi, a qualche livello, con i ruoli che abbiamo riscontrato nel
sacerdote o nell’ispettore. Eppure, in lui è del tutto assente tanto l’ufficio
cultuale quanto l’amministrazione pratica della comunità. La sua funzione, più
esoterica, ricalca, invece, i classici canoni del «maestro spirituale».
28
Il messianismo esseno
L’evoluzione delle idee messianiche42 di Qumran è, ai fini della nostra
tematica, d’interesse particolare. La comunità, abbiamo visto, si riteneva la
cellula-madre, detentrice della «nuova alleanza», attorno alla quale negli
ultimi tempi l’intero popolo di Dio si sarebbe riunificato.
É caratteristica degli Esseni l’avere reintrodotto l’elemento messianico
nell’escatologia ebraica. Nella Regola si parla di due messia, uno di stirpe
sacerdotale, il messia di Aronne, e l’altro discendente dal re David, il messia
d’Israele43. Tuttavia, dal momento che rimane l’unico accenno messianico
contenuto nella Regola, e non compare nel più antico dei suoi manoscritti
ritrovati a Qumran, è probabile che nel primo periodo d’insediamento della
comunità, il «maestro di giustizia» non abbia introdotto alcun tipo di
speculazione messianica. Solo in seguito alla sua morte, dopo il 140 a.C.
appare il bimessianismo della Regola, confermato e, nello stesso tempo,
mitigato, da un altro scritto di Qumran, i Testimonia, contemporaneo alla
prima44.
42
/unto/, e sta ad indicare colui che viene scelto da Dio per svolgere una particolare funzione o
missione. Così come i sacerdoti venivano unti con un unguento particolare (secondo il rituale
descritto in Es 30,22-33), anche i re venivano unti (ad esempio, 1Sm 10,1 e 1Sm 16,13 raccontano
le unzioni di Saul e di David) e anche alcuni profeti. Secondo fonti rabbiniche, tale unguento
sarebbe scomparso e sarebbe stato ritrovato solo negli ultimi tempi. Così, il termine ‘messia’ andò
assumendo un’accezione escatologica ignorata nella Bibbia.
43
Israele”. Il profeta di cui si parla è, con ogni probabilità, il personaggio che appare nel «decreto
onorifico» del 140 a.C., in favore di Simone Maccabeo e la sua discendenza (cfr 1 Maccabei, 14,
25-49). In tale decreto si afferma che, come ricompensa per l’impegno decisivo dei Maccabei ai fini
della liberazione del popolo d’Israele dal dominio dei Seleucidi, viene concesso, oltre alla reggenza
politica, anche il sommo sacerdozio, “fino a quando non sorga un profeta degno di fede”.
44
figure messianiche: un «profeta», sulla cui bocca Dio porrà le Sue parole, la Sua volontà, un «re»,
uno ‘scettro’ che si leva dal popolo d’Israele, e un «sacerdote», un discendente di Levi, tra quelli
rimasti fedeli al patto con Yhwh. É interessante notare che questa terza figura sacerdotale non ha,
nel documento in questione, rilevanza escatologica. Ci si riferisce forse al ‘resto sacerdotale’ della
comunità essena, sopravvissuto alla persecuzione di Gionata Maccabeo e alla scomparsa del
«maestro di giustizia»? Riguardo alla figura «regale», il Documento di Damasco offre
un’interpretazione tutt’altro che univoca del brano di Numeri 24,17 (“Una stella si fa strada da
Giacobbe e uno scettro si leva da Israele”), affermando che “la stella è l’interprete della legge”, cioè
ha una funzione sacerdotale-sapienziale, mentre “lo scettro è il principe di tutta l’assemblea”, vale a
dire il capo laico della comunità essena (cfr Regola della guerra, V,1).
29
Tuttavia, l’attesa messianica all’interno di Qumran si orienta
progressivamente su un unica figura escatologica. Ciò è evidenziato
chiaramente nel Documento di Damasco, ove per ben tre volte appare un’unica
formula: “fino all’avvento del messia di Aronne e di Israele”45. Rispetto al
passo della Regola, sparisce il riferimento al profeta (identificato con il
«maestro di giustizia» ormai scomparso»?) e un unico unto è detto appartenere
allo stesso tempo ad Aronne e ad Israele, detenendo una funzione sacerdotale
e politica insieme.
Israele, cioè il patriarca Giacobbe, è il padre delle dodici tribù del popolo
di Dio e, pertanto, Aronne discende necessariamente da Israele. La formula
parrebbe significare, allora, che il messia non solo deve appartenere al popolo
ebraico, ma deve anche vantare una discendenza sacerdotale. Del resto, la
preminenza data alla classe sacerdotale è ampiamente attestata nella
letteratura qumranica e a tale classe apparteneva il fondatore della comunità,
il «maestro di giustizia»46.
In un altro importante testo esseno, la Regola dell’assemblea, posteriore
sia alla Regola che al Documento, la preminenza dell’Unto sacerdotale appare
chiaramente. Lo scritto si riferisce ad un’entità diversa dalla «comunità», cioè
all’«assemblea d’Israele», l’intero popolo di Dio che si unirà, “alla fine dei
giorni”, alla comunità pilota. Tutti gli Israeliti, uomini, donne e bambini, si
aggregheranno alla casa di Qumran, depositaria del legittimo sacerdozio di
Sadoq, per prepararsi all’avvento della nuova era. L’assemblea, il popolo di
Dio, possiede anche un ordinamento militare ed è guidata dal «principe di
tutta l’assemblea»47, che ha carattere guerriero: il Messia laico, il Messia Re
escatologico sorto da Israele48. Egli appare comunque subordinato alla classe
sacerdotale della comunità:
45
46
appare la formula “fino all’avvento di un maestro di giustizia, alla fine dei giorni” (VI, 10s): è forse
il
dell’avvento di un Messia all’interno della propria comunità, che sarebbe diventata quindi la
beneficiaria delle promesse di Dio a Israele.
47
48
riprenda gli uomini della fossa [i nemici del patto con Yhwh, destinati alla perdizione], né disputi
con essi” (IX, 16), “abbandonando loro i beni e le entrate delle loro mani, come fa un servo verso il
30
«Questa sarà la seduta dei notabili, chiamati al convegno per il consiglio della
comunità, quando Dio avrà fatto nascere il messia in mezzo a loro. Entrerà il
sacerdote capo di tutta l’assemblea d’Israele e poi tutti i suoi fratelli, i figli di Aronne,
i sacerdoti, i chiamati a convegno, i notabili, e siederanno davanti a lui, ognuno
secondo la sua dignità. Dopo entrerà il messia d’Israele e davanti a lui siederanno i
capi delle tribù d’Israele, ognuno secondo la sua dignità»
49.
Questo testo, scritto presumibilmente ai tempi di Erode il Grande (37-
4a.C.), denuncia un certo ottimismo circa la ricostituzione del Regno d’Israele.
La Giudea ottiene da Roma lo statuto di regno alleato, che dispone di leggi,
finanze ed esercito propri. L’intelligenza e l’efficienza con cui Erode governò
la Giudea gli attirarono la simpatia delle masse e, addirittura, lo fecero
apparire come ‘messia’ agli occhi di alcuni ebrei, i cosiddetti «erodiani». Egli
cercò di evitare contrasti con i Farisei, che rimanevano padroni del Sinedrio, e
di limitare l’influenza della classe sacerdotale, sadducea, riducendo il culto
del tempio ad una vuota apparenza.
Anche gli Esseni, sotto il regno di Erode - un cui consigliere era tale
Menhaem, esseno -, poterono godere di una certa tranquillità e poterono
diffondere in Palestina le loro concezioni messianiche e di aperta opposizione
alle istituzioni religiose di Gerusalemme. A questi anni risalgono alcuni testi
che rivestono un certo interesse messianico e che confermano l’attesa di un
Unto laico, il «rampollo di David», che apparirà alla fine dei giorni e seguirà
docilmente le istruzioni dell’«interprete della legge», il discendente di Sadoq50.
suo padrone, dimostrando umiltà davanti a colui che lo comanda” (IX, 22s). Nell’inno finale della
Regola,
restituirò la ricompensa del male, ma perseguirò l’uomo con il bene; giacché è a Dio che spetta il
giudizio su ogni vivente ed egli ripagherà ognuno con la sua ricompensa” (X, 17s).
49
50
patriarcali
31
Il messianismo dei tempi di Gesù: il «figlio dell’uomo»
Tuttavia, già verso la fine del governo di Erode, la pax religiosa con i
Farisei andava esaurendosi. Alla sua morte, avvenuta nel 4 a.C., il regno viene
suddiviso tra quattro eredi, i «tetrarchi», ed emergono una serie di
rivendicazioni, sia sociali che religiose, sfociate in alcune sommosse. Per
questo motivo, il governo della Giudea sarà affidato per l’avvenire a dei
procuratori romani.
Proprio a questo periodo pare risalire un’apocalisse, contenuta nei
capitoli 37-71 del libro etiopico di Enoch (che non appare tra la letteratura di
Qumran, ma è di chiara origine essena), apocalisse che riveste un notevole
interesse messianico. Si tratta di una serie di discorsi escatologici,
impropriamente definiti ‘parabole’, nei quali si fa riferimento ad un misterioso
«figlio dell’uomo», o «eletto di Dio» o, semplicemente, «messia».
L’espressione ebraica ‘ben adam’, «figlio dell’uomo», equivale a ‘uomo’,
ma nell’apocalittica giudaica pare assumere progressivamente un significato
particolare, indicando una realtà tale da superare la condizione umana stessa.
In questo senso viene utilizzata nel primo testo di letteratura apocalittica
dell’Antico Testamento, cioè in Daniele, dove viene descritta la seguente
visione:
«Io continuavo a guardare,
quand’ecco furono collocati troni
e un vegliardo [Yahweh] si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana.
[...]
La corte sedette e i libri furonmo aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano.
32
Il suo potere è un potere eterno,
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto.» (
Daniele, 7, 9-14)
Il «figlio dell’uomo» viene identificato, poco dopo nel testo, con i «santi
dell’Altissimo», ad indicare che l’eredità affidata a questa figura messianica ha
una portata collettiva: il «figlio dell’uomo» costituisce il modello del popolo
dei santi.
Enoch dipende strettamente dal libro di Daniele, sviluppandone
ampiamente la simbologia. Nella seconda parabola, sul giudizio messianico, si
dice:
«Là vidi uno che aveva una testa carica di giorni, e il suo capo era bianco come
lana; presso di Lui c’era un altro, il cui volto aveva l’aspetto di un uomo, e il suo volto
era pieno di grazia, come quello degli angeli santi.
Interrogai l’angelo, che mi accompagnava e mi mostrava tutti i segreti, su quel
figlio dell’uomo [...].
Egli mi rispose e mi disse: “Questi è il figlio dell’uomo, che ha la giustizia, che
dimora presso la giustizia e che rivela tutti i tesori di ciò che è nascosto. Poiché il
Signore degli spiriti lo ha scelto, e la sua sorte ha superato tutti in eterno per la
giustizia di fronte al Signore degli spiriti. Questo figlio dell’uomo che hai visto [...]
scaccerà i re dai loro troni e dai loro regni, perché non lo hanno esaltato, lodato e non
gli hanno reso grazie per aver ricevuto il regno. Umilierà il volto dei potenti e li
riempirà di vergogna.» (c. 46)
Questo messia, rivelatore dei segreti della giustizia, preesiste addirittura
alla creazione e la sua gloria durerà in eterno:
«Prima che il sole e i segni dello zodiaco fossero creati, e prima che fossero
fatte le stelle del cielo, il suo nome [del figlio dell’uomo] fu chiamato di fronte al
Signore degli spiriti.
Diverrà per i giusti e i santi un bastone, al quale essi si appoggeranno e non
cadranno; sarà la luce dei popoli e la speranza, per coloro che sono turbati nei propri
cuori. Tutti coloro che abitano sulla terra ferma si prostreranno dinnanzi a lui,
pregheranno e renderanno onore, loderanno e canteranno le lodi del nome del
Signore degli spiriti.
33
A questo scopo egli era stato eletto e nascosto di fronte a Dio, prima che il
mondo fosse creato e resterà in eterno dinnanzi a Lui. La sapienza del Signore degli
spiriti lo ha rivelato ai santi e ai giusti; perché egli salvaguarda il destino dei giusti,
poiché essi hanno odiato e disprezzato questo mondo d’ingiustizia e odiato tutte le
sue vie e le sue opere in nome del Signore degli spiriti.» (c.48)
Più oltre il «figlio dell’uomo» è identificato con la sapienza di Dio, in
quanto
«in lui dimora lo spirito della sapienza e lo spirito di Colui che dona
intelligenza e lo spirito della dottrina e della forza e lo spirito di coloro che dormono
nella giustizia. Giudicherà le cose nascoste e nessuno potrà pronunciare di fronte a
lui un discorso vano, poiché egli è l’eletto di fronte al Signore degli spiriti, secondo la
sua volontà.» (c.49)
Per questo motivo, il «figlio dell’uomo» presiederà il giudizio
escatologico, nel giorno della resurrezione dei morti, quando egli libererà i
giusti dallo Sheol e “tutti diverranno angeli in cielo”. Allora, il messia, prima
nascosto presso l’Altissimo e rivelato solo agli eletti, cioè agli Esseni, sarà
manifestato in tutta la sua gloria e, finalmente, “la comunità dei santi e degli
eletti verrà disseminata” su tutta la terra.
Appare evidente il processo di spiritualizzazione della figura del
‘messia’ nel periodo immediatamente precedente la comparsa di Gesù il
Nazareno. Egli, inequivocabilmente, mostrerà di collocarsi in questa
prospettiva messianica, portando a compimento l’intero processo di
speculazione essena.
***
Sesto Canto Esseno - Spartiti in PDF
http://www.danielegarella.com/spartiti/CE6.PDF
Ottavo Canto Esseno - Spartiti in PDF
http://www.danielegarella.com/spartiti/CE8.PDF

***
XXVI Ritiro Esseno 2010
Fratello Esseno
Dal sacro centro del Pianeta, il Tabernacolo della Madre invia le sue
benedizioni a coloro che cercano di esprimere la Volontà dei Cieli sulla Terra.
Le forze si rinnovano quando manifestiamo la determinazione di unirci alla
Volontà Superiore, per questo é importante darci il tempo per rinfrescare
tutto il nostro Essere in un contatto profondo con la nostra Essenza e la
stessa Essenza della Vita.
In primavera tutto si rinnova per alimentare la speranza della continuità
dell’Azione Creatrice di Dio. Il cuore palpita di gioia quando ci diamo
l’opportunità di essere parte di questa rinnovazione e ci isoliamo dal
quotidiano per cominciare a percepire una parte di quella pace che é preludio
di una Pace Infinita che ci aspetta nei tempi stabiliti dalla nostra propria
coscienza.
Come tutti gli anni, l’Essenza dello Spirito si manifesta con tutta intensità nel
Ritiro della coscienza, in quell’incontro meraviglioso con la nostra anima
collegata con tutte le forze vitali, con i Maestri che ci indicano il miglior
cammino per arrivare al Gran Maestro che aprirà quelle porte dei cieli anelati
da tempo e promessa sublime nella Verità che da senso a tutta la nostra
esistenza.
La Quinta Essenza si trasforma nel luogo collegato con il Sacro Tabernacolo
della Terra e il Trono Santo della Grazia affinché riaffermiamo la nostra
determinazione di andare per i cammini della magia uniti
DELLA MANO DEI MAESTRI
e insieme spargendo al mondo le stesse benedizioni del Ser Mago che ci ha
insegnato a regalare sorrisi, costruire mondi e lasciar esprimere l’Essere che
dimora nel cuore affinché si elevi il canto eterno che ci unirà con il palpitare
infinito degli Universi.
Prepariamo il cammino per regalarci l’opportunità di una Settimana Santa
dove ritroveremo in ogni viso, di chi condividerà con noi lo spazio della
Quinta Essenza, lo stesso sorriso di Dio.
La Pace ti aspetta per scoprirti come Figlio Amato della Luce che finalmente
riscopre l’anelato ritorno alla casa del Suo amato Padre dopo il lungo
cammino.
Gli organizzatori
Titoli dei temi proposti dagli istruttori
“Impara a morire un istante tutti i giorni”
“L’ego e la Luce
“Perdonare libera”
“Perdona i nostri debiti”
“Sacramenti”
“Principi basilari per l’Insegnamento Divino”
“Sistemi di credenze”
“La Legge di Causa ed Effetto”
"Le dimensioni, livelli di coscienza”
"Fedeltà con se stesso”"
"Uovo Aurico”"
"La concezione”"
"Amore e terapia”"
"I Maestri: sopporto della Vita”"
In alcuni temi si condurranno dinamiche per applicare l’appreso.
***
1
Le dispense di Hodos
Fabio Guidi
Alle soglie del cristianesimo
La famiglia di Gesù
Essenismo e giudeo-cristianesimo
Gli esseni a Gerusalemme
I giudeo-nazareni nella Città santa
Regole di vita essene nella comunità primitiva
2
La famiglia di Gesù
Occupiamoci, adesso, delle analogie tra il movimento esseno e il nascente
movimento nazareno, la cosiddetta «via» (hodos), destinata ad una espansione
sorprendente.1
Sappiamo dagli Atti che la seconda «colonna», ma non in ordine
d’importanza, della comunità primitiva di Gerusalemme, era Giacomo, fratello
di Gesù. Giacomo è detto “il minore” (nonché figlio di Maria e fratello di Ioses)
in Mc 15,40. In Mc 6,3 Gesù viene detto “figlio di Maria e fratello di Giacomo e
di Ioses e di Giuda e di Simone”. Paolo in Gal 1,19 parla di un “Giacomo, il
fratello del Signore” e ciò viene attestato anche da Giuseppe Flavio e da
Eusebio di Cesarea. Tutto starebbe ad indicare che Giacomo, ‘il minore’ e
fratello di Gesù fosse anche un discepolo al suo seguito2. Tuttavia, nei
sinottici si parla di un anonimo ‘Giacomo di Alfeo’. Ma con quale autorità
Giacomo avrebbe ricoperto (insieme a Pietro) la funzione di guida della prima
comunità di Gerusalemme se non con quella autorità che può essere fatta
risalire ad una successione familiare? Giacomo era forse “il minore” dei fratelli
di Gesù?3 o era “il minore” rispetto a Giacomo di Zebedeo?
Secondo una testimonianza di Egesippo, del II secolo, riportata da Eusebio
di Cesarea,

«dopo che Giacomo, il giusto, subì il martirio, fu insediato vescovo ancora il
figlio di uno zio [del Signore], Simeone [figlio] di Cleofa; gli diedero tutti la
preferenza perché era un secondo cugino del Signore».
4
1
riferimento a se stessi, cfr. Atti 9,1s; 19,8s.23; 22,1-5; 24,14.22.
2
suoi discepoli, e rimasero là non molti giorni”. Lo stesso gruppo viene indicato negli Atti (1,14)
come la comunità che, riunita in preghiera, attende la manifestazione del Signore.
3
‘fratelli’, è vero che indica sempre i fratelli carnali e non parenti o cugini; tuttavia, nella versione
greca dei LXX (così come in Giuseppe Flavio), “adelphos” corrisponde all’ebraico ‘ach-acha’, che
fa riferimento a parenti di vario grado, e non solo a fratelli carnali.
4
Egesippo, secondo la quale “Cleofa fu fratello di Giuseppe"(Storia Ecclesiastica, III, 11,2).
3
Quindi, i primi due capi della comunità di Gerusalemme sarebbero stati
due parenti di Gesù. In altri passi della sua Storia ecclesiastica, Eusebio riporta
ancora la testimonianza di Egesippo circa la sorte dei discendenti della
famiglia di Gesù: Simeone viene denunciato presso Traiano perché davidico e
per la stessa ragione sono ricercati, ai tempi di Domiziano5, i nipoti di Giuda,
«fratello» di Gesù e autore dell’omonima lettera canonica.
Pertanto, molti studiosi propongono questa ricostruzione:
Padre comune di stirpe davidica
Maria
(parente di Elisabetta, che è di
stirpe sacerdotale)
Alfeo
Maria)
(oCleofa,6 fratello di Giuseppe) / Maria (‘sorella’7 di
Gesù
Giacomo
(uno dei
Dodici)
Giuda
(uno dei
Dodici)
Ioses
(variante di
Giuseppe
Simeone
(variante di
Simone)
Naturalmente, non è tanto importante ricostruire la precisa genealogia
della famiglia di Gesù, quanto mettere in evidenza il fatto che essa vantava
una discendenza davidica, il che ha una certa rilevanza in ordine alle
aspettative messianiche di cui è stato fatto oggetto Gesù il Nazareno.
C’è da domandarsi: la famiglia di Gesù era in linea con l’insegnamento e il
programma del Nazareno? Se leggiamo i vangeli, il primo dato che salta agli
occhi è l’incomprensione della madre e dei fratelli di fronte all’atteggiamento
di Gesù:
«Arrivò a casa e si radunò di nuovo intorno a lui molta folla, al punto che non
potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, saputolo, uscirono per andare a
trattenerlo, poiché dicevano:“E’ fuori di sé!” »
(Mc 3,20s)
5
6
7
sorella di sua madre Maria di Cleofa”, starebbe ad indicare che, in realtà, le due donne erano
cognate.
4
Gesù rientra al suo «quartier generale», la casa di Pietro a Cafarnao. I
familiari, venuti a sapere che Gesù aveva iniziato a richiamare le folle
insegnando ispirato e compiendo gesti prodigiosi, cominciano a preoccuparsi.
Da dove gli viene questo fervore profetico? Quali sono le sue intenzioni?
Decidono, quindi, di raggiungerlo per vedere da vicino che cosa sta
succedendo e per farlo tornare alla ragionevolezza. Una volta arrivati a
Cafarnao, cercano di vederlo, ma la folla è pressante e si accontentano di
fargli sapere che sono arrivati e desiderano parlare con lui.
«Gli dicono:
“Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono fuori e ti cercano”.
Risponde loro:
“Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”
Poi, guardando coloro che gli stavano intorno in cerchio, dice:
“Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, questi è mio fratello,
mia sorella e mia madre” »
(Mc 3,32-35)
Matteo (12,49) precisa che Gesù accenna ai “suoi discepoli”. Questo passo
viene così a creare uno stacco tra i discepoli e i parenti e mostra un Gesù poco
incline a soddisfare le aspettative familiari.
Ad ogni modo, pare che dopo il disorientamento iniziale i parenti di Gesù
abbiano preso a seguirlo: Giacomo e Giuda avrebbero addirittura fatto parte
dei Dodici. Può darsi che sia intervenuto anche un certo calcolo familiare: le
cose si stavano mettendo bene, Gesù riusciva a raggiungere il cuore degli
uomini in maniera formidabile e alcuni suoi discepoli zeloti iniziavano a
pensare a lui come al «messia d’Israele» tanto atteso.
La faccenda inizia a gonfiarsi, ma Gesù decide di limitare la sua attività
alla Galilea.
«Non voleva infatti aggirarsi nella Giudea, perché i giudei cercavano di
ucciderlo. Ma era vicina la festa dei giudei, quella delle Capanne. Gli dissero dunque i
suoi fratelli:
5
“Parti di qui e va’ in Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu
fai. Nessuno, infatti, agisce in segreto quando cerca di mettersi in mostra. Se tu fai
queste cose, manifestati al mondo”.
Infatti, neppure i suoi fratelli credevano in lui. Così, disse loro Gesù:
“Non è ancora il mio tempo, ma il vostro tempo è sempre pronto. Il mondo non
può odiare voi, ma odia me, poiché io testimonio contro di lui, che le sue opere sono
malvagie. Voi salite alla festa. Io non salgo a questa festa perché il mio tempo non è
ancora compiuto.”
Detto ciò rimase in Galilea. ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa,
allora salì anche lui, non pubblicamente, ma quasi in segreto.»
(Gv 7,1-10)
Agli occhi dei familiari, Gesù si comporta in maniera contraddittoria:
rivendica una pretesa messianica e, nello stesso tempo, si ritrae di fronte alle
folle che lo aspettano per acclamarlo re. Manca di tempestività, di abilità
politica. Giovanni annota che “neppure i fratelli credevano in lui”, nel senso
che il loro interesse per Gesù era mirato ad un opportunismo politico che poco
aveva a che vedere con la sua idea religiosa. Gesù si rivolge ai familiari
accusandoli di appartenere a questo mondo, che è sotto il dominio di Satana e,
addirittura, mostra di non fidarsi di loro.
Eppure, dopo la sua scomparsa, li ritroviamo a pregare assieme ai
discepoli e a occupare posizioni di spicco nella prima comunità
gerosolimitana.
Essenismo e giudeo-cristianesimo
Pare che la famiglia di Gesù difendesse un certo tipo di “cristianesimo”,
che, in realtà, era un giudaismo tradizionale e puro, di stampo esseno, in cui
Gesù acquistava una rilevanza messianica, ma che manteneva pur sempre
l’impronta giudaica.
Un esempio lampante di tale «giudeo-cristianesimo» lo abbiamo nella
Lettera di Giuda, scritta dall’omonimo fratello di Gesù poco dopo l’anno 90.
Un certo linguaggio, l’uso attualizzante dell’Antico Testamento, la citazione
del libro di Enoch e la stessa caratterizzazione di Gesù che riflette la figura del
6
«figlio dell’uomo» prima nascosto presso Dio e poi rivelato agli eletti8, fanno
pensare immediatamente all’ambiente esseno.
Il Padre della Chiesa Epifanio, che scrisse intorno al IV secolo d.C., ci
parla di un gruppo di esseni che erano seguaci di Gesù, i «Nazareni»:
"I Nazareni erano Ebrei per provenienza - originariamente da Gileaditis [dove i
primi seguaci di Yeshua fuggirono dopo il martirio di Giacomo, fratello di Gesù],
Bashaniti e Transgiordani… Essi riconoscevano Mosè e credevano che avesse ricevuto
delle leggi, ma non la nostra legge ma altre. E così, essi erano Ebrei che rispettavano
tutte le osservanze ebraiche, ma non offrivano sacrifici e non mangiavano carne. Essi
consideravano un sacrilegio mangiare carne o fare sacrifici con essa. Affermavano
che i nostri Libri sono delle falsità, e che nessuno dei costumi che essi affermano
sono stati istituiti dai padri. Questa era la differenza tra i Nazareni e gli altri…"
(Panarion, 1,18)
Forse sono stati proprio gli Esseni i rappresentanti del primitivo giudeocristianesimo?
Certo è che il cristianesimo delle origini si sia presentato come un
movimento che aveva molti punti di contatto con il mondo esseno, a partire
dalla koinonìa, la ‘vita comune’ (At 2,42): “stavano riuniti insieme e avevano
tutto in comune; le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano
parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44s)9.
Anche nell’episodio della conversione di Paolo (cfr At 9,1-5), il riferimento
a Damasco pare accennare a un rapporto tra gli Esseni e il nuovo movimento
cristiano: infatti, con ogni probabilità Damasco è da intendersi come simbolo
8
all’interno della comunità essena.
9
cuore e un’anima sola. Non v’era nessuno che ritenesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva,
ma tutto era fra loro comune. [...] Erano tutti circondati da grande benevolenza. Non c’era infatti, tra
loro alcun bisognoso: poichè quanti possedevano campi o case, li vendevano e portavano il ricavato
delle vendite mettendolo ai piedi degli apostoli. Veniva poi distribuito a ciascuno secondo che ne
aveva bisogno.» L’organizzazione è di stampo esseno. Come gli appartenenti a Qumran affidano i
loro beni al mebakker, l’ispettore, gli aderenti alla prima comunità cristiana li depongono “ai piedi
degli apostoli”, che poi si occupano di distribuirli secondo i bisogni di ognuno. In un secondo
momento, allargatasi la comunità, i Dodici saranno costretti a nominare sette uomini per questo
‘servizio’ (diakonìa), per dedicarsi completamente “alla preghiera e al ministero della parola” (At
6,4). Cominciano a differenziarsi le funzioni, anche se Stefano, uno dei sette, sarà lapidato per la
sua funzione di predicatore e operatore di eventi prodigiosi.
7
dell’esilio del popolo di Dio, e quindi a Qumran, piuttosto che alla Damasco
reale10.
Non è da sottovalutare neppure la scoperta del gesuita spagnolo Joseph
O’Callaghan. Esperto papirologo, egli si trovò, quasi casualmente, ad indagare
un frammento di manoscritto rinvenuto nella grotta numero 7 di Qumran, nel
1955. Ebbene, in tale frammento, che pare risalire all’anno 50 d.C. circa, padre
O’Callaghan riuscì ad individuare un brano del vangelo di Marco (6, 52s). Ciò
significa, concluse il papirologo, che il vangelo di Marco non sarebbe
posteriore alla distruzione di Gerusalemme del 70, ma al contrario, la sua
prima redazione sarebbe risalita ad appena una ventina d’anni dopo la
crocifissione di Gesù.
La portata della scoperta avrebbe provocato un’eco assai ampia, perché
stava ad indicare che l’unico manoscritto evangelico del I secolo sarebbe stato
rinvenuto tra la letteratura di Qumran e, quindi, avrebbe costituito una prova
evidente dei contatti tra gli esseni e il primo movimento cristiano. Perché un
movimento così esclusivista come gli Esseni avrebbe conservato uno scritto
cristiano, se non ci fosse stata una relazione stretta con esso?
Gli esseni a Gerusalemme
Sappiamo che la comunità di Qumran era solo uno dei tanti insediamenti
esseni sparsi nella Palestina. Sia Filone che Giuseppe Flavio - ed entrambi
scrivono nel I secolo - stimano a circa quattromila il numero degli esseni; ma
Qumran non poteva ospitare più di un centinaio di persone e il refettorio della
comunità aveva una capienza di 50-60 posti. L’Apologia di Filone c’informa
che gli esseni abitavano in “molte città” e in “molti villaggi”, ma anche il
Documento di Damasco parla di più “accampamenti” e di “città” dove erano
insediati membri del gruppo.
10
distante circa 250 chilometri da Gerusalemme. E’ quindi del tutto improbabile che Paolo potesse
esigere dal sommo sacerdote “delle lettere da portare a Damasco alle sinagoghe, per essere
autorizzato, se avesse trovato dei seguaci della ‘via’ [cioè ‘cristiani’], uomini e donne, a condurli
legati a Gerusalemme”. Paolo, in realtà, era diretto verso Qumran.
8
Le ricerche attuali rilevano che Qumran costituiva l’ala rigorista estrema
della più vasta corrente essena. Pare che l’insediamento di Qumran risalga
all’anno 100 ca. a.C. Non avrebbe niente a che fare, quindi, con le vicende del
«Maestro di Giustizia», con la nascita della sua comunità e con il luogo del suo
esilio.
Sembra che durante il I secolo a.C., in coincidenza con il regno di Erode il
Grande (37-4 a.C.), Qumran sia stato abbandonato, per tornare ad essere
abitato solo intorno all’inizio del regno del giovane figlio Archelao (4 a.C. - 6
d.C.). Questa interruzione nell’utilizzo dell’insediamento fu dovuta alla
particolare vicinanza che venne ad istaurarsi tra l’ambiente esseno ed Erode,
la cui ostilità nei confronti degli asmonei era analoga a quella degli esseni. Gli
«erodiani» di cui si parla nei vangeli erano forse un gruppo esseno e, del
resto, solo gli esseni erano esclusi dal giuramento di fedeltà al regno di Erode.
Intorno al 24 a.C. Erode insedia come sommo sacerdote un certo Simone
Alessandrino, personaggio vicino all’ambiente esseno, e pochi anni dopo (20 o
19 a.C.) inizia la ricostruzione del Tempio, ricostruzione che pare ispirata al
progetto descritto nel Rotolo del Tempio, di provenienza essena.
In definitiva, durante questo periodo gli esseni avrebbero potuto
nuovamente stabilirsi a Gerusalemme e ritornare al Tempio, ponendo fine al
culto sacrificale a Qumran. Agli esseni era infatti stato impedito dagli asmonei
l’accesso alla città santa e aspettavano tempi più favorevoli per realizzare i
loro scopi e ristabilire il culto legittimo a Gerusalemme. Questa opportunità
emerse con l’avvento di Erode il Grande, salutato addirittura dagli «erodiani»
come il messia tanto atteso.
Un ulteriore indizio ci è offerto dal fatto che nel 1977 è stata riscoperta
sul Monte Sion a Gerusalemme quella porta che Giuseppe Flavio definisce
«Porta degli Esseni»:
“Dall’altra parte, dirette verso occidente, esse [le mura più antiche di
Gerusalemme, n.d.a.] cominciavano dallo stesso punto [presso la torre detta di Ippico,
n.d.a.], passavano davanti ad un luogo chiamato Bethso [«casa degli escrementi»,
latrina, n.d.a.] fino alla Porta degli Esseni, piegavano poi verso sud e si dirigevano
oltre la fonte di Siloe”
(Guerra giudaica, V, 145).
9
Questa porta conduceva ad un quartiere della collina sud-occidentale
(detta ‘Monte Sion’) dell’antica Gerusalemme, quartiere abitato da una
comunità essena. Dunque, ai tempi di Gesù, una comunità essena era stabilita
all’interno della città santa. L’ubicazione all’estremità della città alta, ai
margini dell’insediamento urbano, in un luogo poco idoneo al traffico a causa
del ripido pendio della Valle della Geenna, vicino ad una porta destinata solo
al passaggio di pedoni e che, nel contempo, permettesse di evitare il
passaggio da altri quartieri, l’esistenza di una latrina all’esterno delle mura
così come descritto nel Rotolo del Tempio11, la presenza di almeno sei bagni
rituali (‘mikwa’ot’) nella zona e un doppio bagno sulla strada che portava dalla
porta al Bethso: tutto questo ben si accorda alla particolare severità degli
esseni riguardo alla purità cultuale (‘halachah’).
Il timore di contatto con altri abitanti e luoghi ritenuti «impuri», portava
gli esseni a “vivere come stranieri” nelle città dove abitavano12. E’ da
sottolineare anche il fatto che la Porta degli Esseni fu costruita durante il
regno di Erode il Grande, ulteriore prova del favore che l’ambiente esseno
riscuoteva da parte del re.
L’insediamento, ai tempi di Gesù, di una colonia essena all’interno di
Gerusalemme, sul Monte Sion, appare, in definitiva, assai probabile.
I giudeo-nazareni nella Città santa
Nello stesso luogo si trovava anche quello che viene indicato
tradizionalmente come «il Cenacolo», cioè il primo centro della comunità
«nazarena» delle origini, il cosiddetto “piano superiore” di Atti 1,13. In questo
passo si afferma che, dopo la morte di Gesù, i discepoli erano alloggiati a
Gerusalemme, presso un hyperoòn, cioè un “locale del piano superiore”, che è
l’analogo del cenaculum dei romani, la stanza delle case signorili riservata agli
11
recarsi. Al di fuori, a nord-est della città: case con travature e pozzi al loro interno, dentro ai quali si
faranno cadere gli escrementi; e non saranno visibili a una distanza minima dalla città di tremila
cubiti [circa 1.330 metri, cioè il triplo di quanto era loro consentito percorrere nel giorno di Sabato,
n.d.a.
12
10
ospiti o ai pellegrini. In questo stesso locale Gesù aveva organizzato l’ultima
cena pasquale13 e i discepoli riceveranno l’effusione dello Spirito nel giorno di
Pentecoste14. Tale hiperoòn era un luogo molto ampio, dal momento che
poteva contenere più di cento persone15, e appare simile a quei luoghi di
riunione e di preghiera scelti dagli scribi per svolgere la funzione di
sinagoghe.
Luca menziona un altro ritrovo abituale del nuovo movimento nazareno16,
cioè “la casa di Maria, madre di Giovanni soprannominato Marco” e lascia
intendere che Giacomo, il fratello di Gesù, era a capo della comunità che si
riuniva nell’altro luogo, l’hyperoòn, comunità che si distingueva per
l’attaccamento alle proprie radici giudaiche, o meglio, essene. Già intorno al
40, quindi, si riscontra una certa divergenza tra distinti gruppi del movimento
nazareno.
Gerusalemme, a partire da Giacomo il fratello di Gesù, ebbe una
successione di almeno quattro «vescovi» giudeo-esseni. Dopo Giacomo «il
Minore» (ucciso nel 62), abbiamo Simeone, anch’egli figlio di Cleofa, che guidò
nel 72 il ritorno a Gerusalemme dei Nazareni, come testimonia Eutichio,
patriarca d’Alessandria, nel X secolo:
“Quando i nazareni, che allora erano fuggiti davanti ai giudei nelle regioni vicine
e lontane [
santa e ucciso i giudei, tornarono alle rovine della città santa e vi si stabilirono. Essi
costruirono una chiesa
figlio di Cleofa. Questo [
allevato il nostro Signore, il Cristo. Ciò accadde nel quarto anno di Vespasiano.
[Simeone] rimase ventisei anni e poi venne ucciso [
ad est del Giordano, a Pella, n.d.a.], udirono che Tito aveva distrutto la città17 e si scelsero un nuovo [=secondo] vescovo di nome Simeonecioè Cleofa, n.d.a.] era il fratello di Giuseppe, che avevaintorno al 100, n,d.a.].”
Il quarto anno dell’impero di Vespasiano coincide con la caduta della
fortezza di Masada, l’ultimo baluardo della resistenza zelota, nel 72. Dopo
Simeone, s’insediano a capo della comunità di Gerusalemme diversi vescovi
13
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15
16
17
riunione ‘sinagoghe’.
11
“della circoncisione”, cioè di rigorosa tradizione giudaica, fino ad arrivare a
Giuda Ciriaco, vissuto nel periodo della rivolta di Bar Kokhebha18, che viene
indicato come l’ultimo dei vescovi giudaizzanti nell’elenco fornitoci da
Eusebio19. Il suo soprannome ‘kyriakos’ qualifica anche Giuda come ‘parente
del Signore’. Pare, così, che i parenti di Gesù fossero le persone più accreditate
per rivestire il ruolo di capi della comunità nazarena di Gerusalemme.
La testimonianza di Eusebio20 mette chiaramente in luce il collegamento
tra le promesse veterotestamentarie riguardo al Monte Sion e l’insediamento
nazareno sulla collina sud-occidentale di Gerusalemme:
“ «Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore [Is
2,3]»... Ma la legge che esce da Sion, diversa da quella data da Mosè nel deserto del
Sinai, è forse qualcosa di diverso dalla Parola del vangelo, che è uscita dal nostro
Salvatore Gesù Cristo e dai suoi apostoli da Sion ed è arrivata a tutti i popoli? É certo,
infatti, che essa è uscita da Gerusalemme e da questo Monte Sion a lei vicino, dove il
nostro Salvatore e Signore spesso si trattenne ed impartì molti insegnamenti.”
Bisogna chiarire che parlare di ‘esseni convertiti al cristianesimo’ è
improprio. Si rischia infatti di dimenticare che il termine «cristiani» comincia
ad essere usato solo a partire dagli anni 40 nella comunità ellenistica di
Antiochia21 e che, presso gli ebrei, i «nazareni» non erano altro che una setta
giudaica considerata eretica.
Gli esseni costituivano quel gruppo del giudaismo che più era vicino
all’insegnamento del Nazareno, ma in nessun modo hanno mai pensato di
doversi «convertire» ad una nuova religione, bensì di approfondire la fedeltà
alla loro appartenenza originaria, riconoscendo in Gesù il «messia» tanto
atteso.
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21
La novità consiste nel fatto che, in questo ambiente ellenistico, i seguaci di Gesù il Nazareno
appaiono come un movimento distinto dal giudaismo. I pagani, incapaci di cogliere il significato del
termine ‘Cristo’, lo interpretavano come un nome proprio e non come titolo, che diventa così un
secondo appellativo di Gesù.
12
Luca (At 6,7) c’informa che “si moltiplicava grandemente il numero dei
discepoli in Gerusalemme e gran folla di sacerdoti aderiva alla fede”. É la
prima allusione chiara all’«adesione» di esponenti esseni, dal momento che i
farisei contavano solo una minoranza di sacerdoti nelle proprie fila e i
sadducei, oltre al fatto che avevano avuto un ruolo chiave nel processo contro
Gesù, non credevano per niente nella resurrezione dei morti.
La predicazione nazarena era a quel tempo (siamo agli inizi degli anni
‘30) limitata a Gerusalemme e solo con la persecuzione seguita al martirio di
Stefano, nel 31 circa, comincerà a diffondersi al di fuori della Giudea. Stefano
faceva parte del gruppo degli «ellenisti»22, ebrei di cultura greca che erano
tornati a stabilirsi nella capitale tradizionale del loro popolo, pieni di fervore,
ma anche dalle vedute più ampie degli umili discepoli palestinesi. Questi
ellenisti, rispetto al gruppo dei Dodici, avevano un atteggiamento più
spregiudicato e ostile riguardo al culto del Tempio, atteggiamento evidenziato
dal discorso provocatorio di Stefano, che lo porterà alla lapidazione23.
Ebbene, in At 8,2 si dice che “alcune persone pie seppellirono Stefano e
fecero per lui un grande lutto”. Chi erano queste persone ‘pie’ preoccupate di
dare sepoltura a chi aveva proferito parole offensive nei confronti del Tempio
se non esseni? Il quartiere esseno di Gerusalemme sarebbe stato allora in
stretta relazione con questi ebrei della diaspora che avevano aderito alla
predicazione nazarena, gli ‘ellenisti’?24
Nel 49 ha luogo il cosiddetto Concilio di Gerusalemme25, riguardo alla
questione della circoncisione dei pagani convertiti, durante il quale Giacomo,
il fratello di Gesù, prende la parola imponendo la linea definitiva da seguire.
Nel suo discorso Giacomo si richiama al profeta Amos (che non appare in altri
scritti neotestamentari mentre svolge un ruolo di primo piano nel Florilegium
ritrovato nella grotta 4 di Qumran) in una forma assai vicina alle citazioni
essene. Anche in questo episodio Giacomo – vale a dire la famiglia di Gesù -
rappresenta la tradizione essena, costituendo un ponte tra i nazirei esseni e
gli apostoli.

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13
Regole di vita essene nella comunità primitiva
In quale misura l’atteggiamento e la prassi degli esseni sono state
trasmesse al movimento nazareno? Qui di seguito si cerca di rispondere a tale
domanda, prendendo in considerazione alcuni aspetti della comunità
primitiva di Gerusalemme come la comunione di vita, certi usi liturgici, il
canto, la preghiera, il calendario annuale, l’organizzazione gerarchica e la
correzione fraterna.
Il movimento nazareno delle origini era indicato semplicemente come «la
via». L’espressione appare più di una volta negli Atti, a partire dall’episodio
descritto in 9,s26:
“Saulo [...] si presentò al sommo sacerdote e gli chiese delle lettere da portare a
Damasco alle sinagoghe, per essere autorizzato, se avesse trovato dei seguaci della
«via», uomini e donne, a condurli legati a Gerusalemme.”
Il termine «via» (eb: derek, gr: hodos) indicava una forma specifica di
condotta che abbracciava ogni aspetto dell’esistenza, un modo di vivere e non
semplicemente una dottrina da insegnare o un codice di princìpi morali. Il
Vangelo è più di una fede: è una maniera di vivere.
Analogamente, nella Regola della Comunità di Qumran si legge che tra le
varie funzioni del maskil, il ‘saggio’ c’è quella di riprendere “con vera
saggezza e con un giudizio giusto coloro che scelgono la via” (IX, 17s), cioè il
modo di vivere della comunità.
Entrando più nei particolari, è evidente come la comunione di vita
descritta nei due passi degli Atti (2,42-46 e 4,32-36) appare
sorprendentemente simile a quanto avveniva a Qumran27. Luca usa il
sostantivo koinonìa (At 2,42) per indicare l’unione fraterna e l’aggettivo koinòs
per significare che ogni cosa era ‘in comune’. I più tardi ‘ebioniti’, che avevano
caratteristiche fortemente essene, rivendicarono per sé il titolo di «poveri»,
espressione nella cui forma ebraica gli esseni indicavano orgogliosamente se
26
27
14
stessi. Tutto questo fa riflettere anche circa gli influssi esseni sul successivo
sviluppo delle tendenze ascetiche all’interno del cristianesimo e sulle origini
del monachesimo.
Le analogie tra gli usi liturgici esseni e nazareni si evidenziano a partire
dalle vasche per l’immersione e battesimali. Presso Betanìa, dove viveva la
famiglia di Lazzaro, un grande miqweh, cioè un bagno rituale ebraico, venne
poi trasformato in un luogo di culto giudeo-nazareno. Nel Vangelo di Giovanni
è evidente il ruolo di prim’ordine svolto da Lazzaro e dalle sorelle Marta e
Maria, persone chiaramente non sposate e, con ogni probabilità, appartenenti
al movimento esseno.
Riguardo al canto, mentre il giudaismo rabbinico nutriva una forte
avversione per esso, del tutto diverso era l’atteggiamento a Qumran e presso il
gruppo esseno dei Terapeuti in Egitto. Ebbene, la comunità primitiva, come
canto finale di giubilo, era solita innalzare a Dio una serie di salmi e d inni.
Cantici come il Magnificat (Lc, 1,46-50), il Benedictus (Lc 1,68-79), il Gloria in
excelsis (Lc2,14) e il Nunc dimittis (Lc 2,29-32) hanno chiari parallelismi esseni,
e così altre confessioni come gli inni riportati in Ef 1,3-14, in 1Pt 1,3-5 e in Col
1,12-14. Anche le cosiddette Odi di Salomone, composte nella Palestina
settentrionale o nella Siria meridionale sul finire del I sec. d.C., offrono un
ulteriore esempio di poesia innologica della comunità nazarena primitiva e
mostrano tipici influssi esseni.
La preghiera merita una particolare attenzione. Mentre presso il
giudaismo rabbinico era divenuta obbligatoria la preghiera dell’ora nona per
l’offerta pomeridiana al Tempio, pare che la comunità primitiva abbia seguito
l’usanza essena della preghiera al mattino, al mezzogiorno, alla sera e durante
la notte. Pietro, a Giaffa, si ritira “a pregare verso l’ora sesta” (At 10,9), cioè a
mezzogiorno. Imprigionati a Filippi, “Paolo e Sila verso la mezzanotte stavano
pregando e cantando inni a Dio” (At 16,25)28: ciò attesta l’abitudine delle veglie
notturne, sull’esempio esseno, che prese piede nella liturgia cristiana in
special modo alla vigilia della domenica. Clemente d’Alessandria afferma che:
28
tuo letto, alzati e prega. Gli Anziani ci hanno trasmesso questa usanza. A quest’ora tutto l’universo
riposa, benedicendo Dio. Le stelle, gli alberi e le acque sono come immobili. Tutto l’esercito degli
angeli compie il suo ministero con le anime dei Giusti. E’ così che coloro che credono pregano in
quest’ora” (35). Tutto ciò non è sorprendentemente esseno?
15
“coloro che vegliano nella notte si rendono simili agli angeli che si chiamano
Veglianti” (Pedagogo, II, 9), utilizzando un’espressione, ‘veglianti’, che
ritroviamo assai familiare nella speculazione mitologica essena29.
Riguardo alle preghiere mattutine, come saluto e celebrazione al sole
nascente, è interessante riportare lo stralcio di una lettera di Plinio il Giovane,
proconsole di Bitinia e del Ponto, all’imperatore Traiano, intorno al 112:
“D’altra parte, i cristiani affermavano che tutta la loro colpa o il loro errore
erano consistiti nell’abitudine di riunirsi in un determinato giorno, avanti l’alba, di
cantare fra loro alternativamente un inno a Cristo, come a un dio, e di obbligarsi, con
giuramento, non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere furti o
brigantaggi o adultèri, a non mancare alla parola data, né a negare, se invitati, di
effettuare un deposito. Compiuti i quali riti, avevano l’abitudine di separarsi e di
riunirsi ancora per prendere il cibo, che è, checché si dica, ordinario e innocente.”
La lettera di Plinio conferma i vari aspetti del culto cristiano, oltre
all’importanza attribuita al sole nelle loro celebrazioni. Mentre gli ebrei
pregavano rivolti a Gerusalemme, la direzione della preghiera cristiana è ad
orientem, in modo analogo all’uso esseno di pregare verso il sorgere del sole30,
simbolo del Messia sacerdotale, “una grande luce per far risplendere il mondo
con la conoscenza e per far risplendere i volti di molti con la saggezza della
vita” (Raccolta di benedizioni, IV,27s).
Ma, soprattutto, la preghiera non era per gli esseni un qualcosa da
riservare alle ore canoniche, perché doveva accompagnare tutti i momenti
della giornata:
“All’inizio di un’impresa delle mie mani e dei miei piedi benedico il Tuo nome.
All’inizio dell’uscita e dell’entrata,
quando mi siedo e quando mi alzo
e quando giaccio sul mio letto,
voglio gioire per Lui e benedirlo:
un tributo esce dalle mie labbra,
29
30
gli rivolgono delle preghiere tradizionali, come per supplicarlo di sorgere”. Questa usanza di
pregare rivolti verso il sole è esplicitamente condannata dal profeta Ezechiele (8,16).
16
dalla fila degli uomini.
E prima d’innalzare la mia mano per saziarmi con i deliziosi prodotti del
mondo... [Lo benedirò].”
(Regola della Comunità, X,13ss)
Analogamente, nella Catechesi di Cirillo di Gerusalemme si legge:
“Facciamo il segno della croce sulla nostra fronte in ogni circostanza, quando
beviamo e mangiamo, entrando ed uscendo, coricandoci e alzandoci. Questa è una
grande protezione (
philaktèrion)”.
Qumran seguiva un calendario solare di 364 giorni, costituito da quattro
stagioni di 91 giorni, ognuna delle quali formata da 13 settimane. In base a
questo calendario l’anno era composto esattamente da 52 settimane e le feste
cadevano necessariamente lo stesso giorno del mese e della settimana31. La
celebrazione della Pasqua avveniva sempre di mercoledì e, pertanto, secondo
questo stesso calendario esseno e in accordo con il Vangelo di Giovanni, Gesù
avrebbe celebrato la cena pasquale nella notte tra il martedì e il mercoledì, e
non, come emerge dai sinottici, tra giovedì e venerdì. Sarebbe stato poi
crocifisso alla vigilia della Pasqua ufficiale, che in quell’anno cadeva di sabato.
Lo svolgimento stesso dell’ultima cena di Gesù, così come le celebrazioni
quotidiane dello ‘spezzare il pane’ all’interno della comunità nazarena
primitiva mostrano chiare analogie con i pasti comunitari esseni32.
L’istituto nazareno della correzione fraterna, che è fatto risalire
direttamente a Gesù (Mt 18,15-18), mostra sorprendenti analogie con
gl’insegnamenti di Qumran:
“Nessuno parli al suo fratello con ira, con brontolamenti, col collo inflessibile o
con cuore duro o spirito malvagio. Non lo deve odiare nell’incirconcisione del suo
cuore, bensì nello stesso giorno lo riprenda, e così non addosserà su di sé una colpa,
31
inizio che, in base al loro calendario, cadeva sempre di Mercoledì (cfr Regola della Comunità, X, 7-
9). Inoltre, la comunità celebrava annualmente il rinnovamento del patto, probabilmente in
occasione della Pentecoste (cfr Regola della Comunità, 1,16-20).
32
17
per causa sua. Inoltre, nessuno introduca una causa contro il suo prossimo davanti a
molti se prima non v’è stata una riprensione davanti a testimoni.”
33
Il brano evangelico è posto in collegamento con il potere della chiesa di
rimettere i peccati e questo c’introduce nel tema della organizzazione
gerarchica e del nesso tra mebaqqer e episkopos. Alla testa della comunità di
Qumran vi era un Consiglio dei Dodici, sotto i quali l’«ispettore» (mebaqqer)
aveva la responsabilità di gruppi ristretti. I suoi compiti sono analoghi a quelli
svolti, all’interno delle prime comunità cristiane, dall’episkopos, termine greco
che significa anch’esso ‘ispettore’. All’origine ‘episkopos’ non indica un grado
superiore della gerarchia, riservato agli Apostoli, ed è sinonimo di ‘anziano’
(presbyteros)34, confermando un’organizzazione su due livelli, come a Qumran.
La funzione degli episkopoi, oltre al presiedere le riunioni e le celebrazioni
della comunità di cui erano responsabili, era quella di amministrare i beni e di
accogliere i nuovi membri.
Riguardo a quest’ultimo punto, il più antico catechismo cristiano, la
Didachè, composta all’inizio del II secolo, mostra che i nuovi aderenti al
movimento nazareno erano istruiti secondo «la dottrina delle due vie», della
luce e delle tenebre, in piena linea con quanto insegnato a Qumran. Il severo
giuramento al termine del periodo di noviziato esseno35 si riflette sull’antico
rito battesimale cristiano della rinuncia a Satana e della professione di fede al
Cristo, così come l’usanza di consegnare al nuovo membro un abito bianco.
In definitiva, il movimento nazareno è nato in ambiente esseno,
nonostante molti dei discepoli di Gesù non fossero esseni.
33
34
stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato: il candidato deve essere
irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di
dissolutezza o siano insubordinati. Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, dev’essere
irreprensibile: non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno
disonesto, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla dottrina
sicura, secondo l’insegnamento trasmesso, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e
di confutare coloro che lo contraddicono”. I due termini ‘ispettore’ e ‘anziano’, che qui sono
chiaramente sinonimi, sembrano derivare il primo dall’ambiente esseno, mentre il secondo da
quello farisaico.
35
18
Gran parte degli atteggiamenti, del culto, dell’organizzazione e della
teologia esseni li ritroviamo nel nuovo movimento nazareno, che si presenta,
così, come il compimento delle speranze messianiche dell’essenismo.
La grande svolta di Antiochia36 dette origine a notevoli controversie tra i
seguaci ebraici e non ebraici della «via», tanto che Gerusalemme inviò un
discepolo di vecchia data, un ebreo originario di Cipro, di nome Barnaba, per
cercare di porre ordine alla vita della nuova comunità. Una volta arrivato ad
Antiochia, intorno al 40, Barnaba prese atto della difficoltà nel gestire la
situazione e si recò ben presto a Tarso, in Cilicia, a ricercare l’uomo che egli
riteneva l’unico in grado di metter un po’ d’ordine nella comunità: Saulo, detto
Paolo. Sarebbe così iniziato il progressivo distacco del nuovo movimento
«cristiano» dalle sue radici esseno-giudaiche.
36
modo di trattare i pagani convertiti al Vangelo. In quella città per la prima volta l’annuncio del
Vangelo è stato fatto ai pagani, pare senza particolari resistenze da parte dei giudeo-nazareni del
luogo. Ma l’arrivo di alcuni giudeo-nazareni da Gerusalemme fa scoppiare un acceso dibattito, per
cui la comunità decide d’inviare nella Città Santa - presso gli apostoli e gli anziani della comunità
gerosolimitana - una delegazione guidata da Paolo e Barnaba. Questa prima importante riunione
delle «colonne» della Chiesa nascente, avvenuta intorno al 50, sarà ricordata come il Concilio di
Gerusalemme.
***


IL 1° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden
Il primo specchio esseno, dei rapporti umani, è quello della nostra presenza  nel momento presente.
 Il mistero del Primo specchio è incentrato  su cosa noi inviamo nel momento presente, alle persone che ci stanno accanto.  
Quando ci troviamo circondati da individui e modelli di rapporto di comportamento in cui domina l’aspetto della rabbia o della paura, lo specchio funziona in  entrambi i sensi, potrebbe invece trattarsi di gioia, estasi e felicità, ciò che vediamo nel primo  specchio è l’immagine di quello che noi siamo nel presente. Chi ci è vicino ce lo rimanda, rispecchiandoci.
* *
IL 2° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Il secondo specchio esseno, dei rapporti umani, ha una qualità simile alla precedente ma è un po’ più sottile. Anziché riflettere ciò che siamo, ci rimanda ciò che noi giudichiamo nel momento presente.  
Se siete circondati  da persone, i cui modelli di comportamento vi provocano frustrazione o scatenano la vostra rabbia o astio e se percepite che quei modelli non sono vostri in quel momento, allora chiedetevi: Mi stanno mostrando me stesso nel presente?  Se potete onestamente rispondervi con un no c’è una buona probabilità che vi stiano invece mostrando ciò che voi giudicate nel momento presente.  La rabbia, l’astio o la gioia che voi state giudicando.
Pensiamo a quando varie persone impersonano gli stessi modelli per voi esprimendo rabbia ed astio.  Vi è mai capitato di essere irritati o ansiosi di arrivare da qualche parte e di salire in macchina rendendovi conto che avete fatto continuamente delle scelte sbagliate: in banca avete scelto la fila più lenta, avete sbagliato la rampa di accesso nel raccordo stradale, e ora mentre guidate  vi ritrovate dietro a macchine che vanno a 50 Km all’ora in una strada dove si potrebbe andare a 100?  Può darsi che quelle persone vi stiano riflettendo ciò che siete in quel momento.

Spesso il  mistero del primo specchio rappresenta esattamente ciò che sta succedendo A volte siamo in presenza di persone che ci rimandano come siamo in quel momento e altre volte non è così.  Allora la gente dice che gli specchi non funzionano.
Invece funzionano!  Se abbiamo la saggezza di comprendere cosa ci stanno dicendo.
Alcuni anni fa ho avuto la rarissima possibilità di vedere entrare nella mia vita tre persone diverse durante lo stesso mese.  Avrebbe dovuto  essere un segno premonitore abbastanza chiaro per me! Quando tre nuovi rapporti umani, diversi fra loro, si  presentano durante lo stesso  mese, è come una bandierina che dice: “ Qui sta per accadere qualcosa! Credeteci!
Uno era un potenziale rapporto amoroso
Un altro era un potenziale rapporto d’affari.
Il terzo era un misto di amicizia e di lavoro.
Fu ciascuna di quelle tre persone a  venire da me, ognuno di loro mi aveva  cercato.  Questo avrebbe dovuto essere il secondo segno.
Il rapporto amoroso riguardava una persona con cui avevo lavorato; avevamo passato molto tempo insieme scoprendo vari interessi comuni  e, stare con lei, aveva senso per me.  Non era tanto una potente attrazione magnetica, quanto la cosa giusta da fare.
Il secondo rapporto, quello d’affari, era molto interessante. Ero occupatissimo a svolgere seminari a tempo pieno in quel momento e una persona, un uomo, venne da me offrendosi di curare gli aspetti logistici del mio lavoro, il che mi avrebbe permesso di fare altre cose, che mi  premevano di più, mentre lui avrebbe potuto svolgere compiti che gli riuscivano facili. Sembrava una buona idea.
Il terzo rapporto era di amicizia e quasi di affari e riguardava un bravissimo falegname che si offrì di prendersi cura della  mia casa nel Nuovo Messico Settentrionale durante l’autunno successivo quando avrei condotto un gruppo in Egitto. 
In effetti avevo già cominciato a cercare qualcuno che  abitasse nella mia proprietà, quindi anche quella mi sembrò una cosa giusta da fare.
L’uomo mi disse che gli sarebbe piaciuto stare da me in cambio di servizi di falegnameria e di custodia della casa.
Tutto mi accadde quasi contemporaneamente in un periodo della mia vita in cui ero veramente molto impegnato.
Io decisi di farlo e in quello stesso mese ciascuno delle tre persone che erano entrate nella mia vita, ognuna di loro cominciò a farmi impazzire.  Mi facevano veramente imbestialire.  C’era un modello che mi si era presentato varie volte nella mia vita. Quando le cose  mi rendevano furioso, io usavo la logica e mi dicevo: “Beh, sei solo stanco, hai viaggiato molto,  sei sotto pressione, in questo momento, prenditi un’altra settimana di tempo forse due, per vedere come vanno le cose.”  Quindi partivo – e l’ho fatto anche con quelle persone. Facevo un viaggio, tornavo una decina di giorni dopo e tutto era come prima, e allora ripartivo.
Avevo una routine a quell’epoca.  Facevo un viaggio, tornavo all’aereoporto di Albuquerque, mi fermavo al bancomat per prelevare dei contanti, andavo a prendere i miei animali dal veterinario che li aveva in custodia, tiravo fuori  l’auto dal parcheggio, facevo il pieno e guidavo per quattro ore fino a casa nel Nuovo Messico del Nord. 
Durante quello specifico viaggio iniziai la solita routine e  non andai molto lontano perché, arrivato al Bancomat dell’aereoporto di Albuquerque, alle 5 di pomeriggio, mi vidi recapitare il messaggio  che sul mio conto non c’era più niente.
Sapevo che si trattava di  un errore e che il conto era ben  fornito, perché mi era appena stato concesso un permesso di costruzione per un’attività da realizzare sulla mia proprietà  ed avevo molti soldi a disposizione per questo. Quindi decisi che  avrei verificato tutto il lunedì mattina successivo.
Guidai fino a casa e il lunedì mattina, puntualmente chiamai la banca dove mi dissero che non solo non c’era denaro sul conto ma che avevo anche 71 assegni scoperti e che per ciascun assegno c’era una penale da pagare.
Poi mi chiesero quando  sarei potuto passare in banca a discutere la situazione.
Ci andai immediatamente 
Uno di quegli assegni era all’ordine del mio caro amico Jerry Home e questo è il modo in cui ci  siamo conosciuti.
Andai in banca e chiesi cos’era successo.  Mi risposero che c’era stato un prelievo per mezzo di un bonifico telegrafico, che non era stato autorizzato da me, nonostante la banca avesse creduto il contrario e che tutto il denaro era stato prelevato fino all’ultimo centesimo.  Quindi gli assegni che avevo già emesso erano scoperti e mi erano stati addebitati.
Quando qualcosa del genere accade non c’è nessun senso nel razionalizzare.  Non si può farci niente. 
Siccome non avevo neanche i soldi per fare benzina e per riprendere i miei animali dal veterinario, fui costretto a cercare di rendermi conto pienamente di cosa mi stava succedendo.  Ricordo di aver pensato: “Santo cielo! Qui sta succedendo qualcosa di grosso”. Avevo appena terminato di svolgere una serie di seminari nel Nord Ovest del Pacifico durati circa un mese e gli organizzatori di quei programmi mi stavano dando mille ragioni per cui non c’erano ancora fondi per pagarmi.  Nel frattempo l’uomo che viveva nella mia proprietà in cambio di lavori di falegnameria – questo è un argomento veramente molto delicato per me – diciamo che aveva  scelto uno stile di vita che non solo non corrispondeva  a quello della nostra proprietà, ma era anche illegale nello Stato del Nuovo Messico ed io gli avevo chiesto di cambiare stile di vita.
Quindi tutte quelle cose mi accadevano contemporaneamente ed io mi sono detto: “Ebbene, se è vero che gli specchi funzionano, ovviamente me ne vengono presentati alcuni in questo momento.  Cosa mi stanno dicendo?” Sono così andato a fare una passeggiata – non avevo molta scelta quel giorno – in una bellissima strada che da casa nostra si inoltra per circa quattro miglia fino alle gole del Rio Grande ed è un meraviglioso santuario naturale.  Lungo quella strada c’è un’enorme montagna, chiamata il “Pick”.
 Gli indiani raccontano un sacco di storie  su quella montagna sacra che segna la fine  dei loro terreni di caccia.  Avevo immaginato dei libri e condotto interi seminari su quella strada e poi ero  andato a casa e li avevo trascritti al computer. 
Mi chiesi nuovamente: “Se gli specchi funzionano,  che aspetto di me stanno riflettendo  queste persone?” Sapevo che avrei dovuto trovare un filo conduttore comune-  Quindi cominciai ad analizzare   cosa rappresentava per me ciascuno di quei rapporti. Analizzai molte possibilità e quando ebbi finito sapevo che ciascun rapporto era collegato ad elementi di onesta, integrità e fiducia.  Quindi mi sono detto: “Se questo  specchio è vero, se queste persone stanno riflettendo tali modelli di comportamento, mi stanno forse mostrando che in qualche modo io manco di onestà, di integrità o di fiducia?”
 Ed ancora prima che io formulassi quella frase ero certo che non fosse così, perché quelle erano proprio le qualità che applicavo nel mio lavoro.  Esattamente quelle.  Allo stesso tempo ebbi un’illuminazione, così potente e sottile che mi fece realizzare questo: Gli specchi non mi stavano mostrando – come avevo pensato – un riflesso  di ciò che io ero nel momento presente, mi stavano invece proponendo un’immagine più sottile: lo specchio di ciò che io giudicavo in quel momento, lo specchio di come giudicavo, proprio in quel  momento.  Solo questo.
Avevo in me una fortissima carica su l’onestà, integrità e fiducia,. Era una carica tale che non ero disposto a permettere che esistesse in altre persone.  Quando avete una carica emotiva su qualcosa, che cosa vi promette? Promette  che la incontrerete nella vita.  Io avevo quella carica.
Ciascuna delle tre persone che erano entrate nella mia vita – ora lo so – era un potente ed abile maestro che impeccabilmente ha retto uno specchio davanti a me riflettendo le mie cariche più potenti. Il processo fu relativamente breve, anche se sarebbe potuto durare per anni.  Forse era  stato davvero così, forse  quegli specchi mi erano già stati mostrati per molto tempo a dei livelli tanto sottili che non li avevo riconosciuti. Poi erano divenuti sempre meno impercettibili, fino a che successe qualcosa che non avevo potuto ignorare.
In quel  momento della mia vita mi fu mostrato quello specchio, in quel momento avevo davanti a me il secondo mistero dei rapporti umani ciò che giudichiamo nel momento presente.
A proposito  dell’uomo che si era offerto di organizzare i miei seminari, l’attimo in  cui ci eravamo conosciuti a casa di un comune amico in California del Nord, era successo qualcosa di interessante.  Non ci eravamo ancora incontrati di persona.  Avevamo solo parlato per telefono e appena lo vidi gli posi una domanda che faccio raramente: “Qual è la sua data di nascita?” Rispose “28 giugno 1954”. Ed io  ne fui molto stupito perché era anche la mia! Lo stesso giorno, mese e anno! 
Anch’io come tutti quelli del segno del Cancro vivo in un mondo fatto di sentimenti, sono un doppio segno del Cancro e questo significa il doppio di sentimenti, inoltre ho 5 o 6 pianeti nella dodicesima casa, tutti nel segno del Cancro, quindi il mio mondo è un mondo di sentimenti. Il mio sentiero di vita è stato quello di conciliare il sentimento con il mondo accademico e scientifico attraverso il lavoro  nelle imprese e nelle università. Ho guardato in faccia quell’uomo e gli ho detto che, sicuramente anche lui, aveva avuto le stesse esperienze.  Un altro uomo del Cancro! Che fantastica  persona con cui entrare in affari!.  Lui allora mi guardò direttamente negli occhi e mi disse qualcosa di cui non tenni conto perché stavo usando la logica.  “Ah, io sono il suo gemello negativo” mi rispose.  Io non ascoltati, perché la logica mi diceva “Sta solo scherzando”, però provavo una strana sensazione qui, anche con l’uomo che si trasferì nella mia proprietà per prendersene cura in cambio di ospitalità provai una certa sensazione ma non ci feci attenzione, perché la mia logica diceva: non lo conosci nemmeno, perché  lo giudichi?
Anche nel  rapporto amoroso provai una certa sensazione e la mia logica mi disse: Beh, quella sensazione ti viene dall’ultima volta in cui hai sofferto, quindi dai una possibilità a questo nuovo rapporto!.
La ragione per cui vi racconto queste storie è che in ciascuna di esse provai una sensazione immediata e che  ciascuna mi procurò più di una lezione, come ho  detto anche ad altri che hanno trovato questi esempi molto stimolanti. Era una lezione di cui non mi importava in quel momento.
Durante la settimana in cui io riconobbi il modello del giudizio e cioè che ciascuna di quelle persone era un maestro nel rispecchiarmi le cose  che giudicavo, ogni altro rapporto che esisteva in virtù del giudizio critico, iniziò a scomparire dalla mia vita.  E’ un effetto a catena.  Ve lo dico perché so che funziona proprio così. Se vivete un certo modello in un area della vostra vita, esso rispunta anche altrove e una volta  che viene guarito ed appianato, anche in una sola aerea, guarisce dappertutto, simultaneamente, perché la nostra natura è oleografica.  La consapevolezza funziona così: si riflette su moltissimi livelli diversi.
Il rapporto  con l’uomo che si era offerto di entrare in affari con me non funzionò affatto, anche se io sentivo di avergli dato ampie opportunità.
In effetti però funzionò bene perché mi offrì uno specchio, anche se non sapevo cosa mi stava mostrando. Quindi un bel giorno chiamai quell’uomo al telefono e gli dissi: “Non intendo più lavorare con te”.  La conversazione in realtà fu un po’ più elaborata, ma non voglio dilungarmi troppo. Riagganciai il ricevitore e nel farlo mi resi conto di aver appena disdetto tutti i miei programmi, tutte le mie fonti di reddito e per i 6 mesi successivi. Era un sabato pomeriggio e passai tutto il resto del giorno e la domenica a riflettere sul da farsi.  La domenica sera trovai sulla segreteria telefonica il messaggio di una donna che non conoscevo che aveva  sentito parlare dei miei seminari da amici comuni e che mi chiedeva di richiamarla. 
Mi disse che era interessata a  sponsorizzarmi e a creare programmi per me in tutto il paese se accettavo di collaborare con lei.  La prima cosa che le chiesi fu: “Qual è la sua data di nascita?” Lei disse “28 giugno 1954”.  E’ una storia vera.  La mia prima reazione fu di chiudere la comunicazione ma non riuscii a farlo e le raccontai  tutta la storia.  Lei mi chiese se intendevo dare una possibilità alla sua proposta. Questa volta feci attenzione a cosa sentivo  e c’era qualcosa di diverso, perciò dissi di sì. 
Oggi quella donna è coordinatrice di seminari, svolge laboratori per conto suo ed  ha scritto molti libri.  Si chiama Joan Carrol Cornak, se la conoscete.
Io non ho permesso al primo rapporto di inquinare il secondo perché sono riuscito ad  aver fiducia in ciò che sentivo e a capire il significato della sensazione che provavo  e si è realizzato fra noi un rapporto molto forte.  Ed è stato attraverso quella persona che ho incontrato Melissa.
Riassumendo, è interessante come funzionano queste cose, attraverso il secondo  specchio del giudizio critico, mi è stato mostrato quali erano le mie più grosse cariche.  Non tanto cosa io ero, quanto ciò che io giudicavo nel momento presente ed ho imparato una grande lezione sul discernimento e sulla fiducia.
E’ stata una lezione  relativamente poco gravosa in paragone di ciò che  è venuto immediatamente dopo, perché  ho cominciato ad avere a che fare con creditori, contratti ecc.  E attraverso il mio potere di discernimento, ho evitato seri problemi potenziali.  Quindi vi invito a passare in rivista le vostre vite, le persone che vi sono più care, perché sono quelle che fanno da calamita, siano esse relazioni amorose oppure rapporti di famiglia – questi ultimi non ci è dato di sceglierceli.  Osservate le caratteristiche che le persone usano nel premere i vostri bottoni e   chiedetevi: “Mi stanno mostrando me stesso nel momento?” Se la risposta onesta è  “No”.  Allora chiedetevi questo: “Mi stanno mostrando ciò che  io giudico nel momento?” La risposta potrebbe sorprendervi.
* * *
IL 3° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Il terzo specchio esseno dei rapporti umani è uno degli specchi più facili da riconoscere, perché lo percepiamo ogni volta che ci troviamo alla presenza di  un’altra persona, quando la guardiamo negli occhi, e in quel momento accade qualcosa di magico.  Alla presenza di questa persona, che forse non conosciamo nemmeno, sentiamo come una scossa elettrica, forse anche la pelle d’oca sulla nuca o sulle braccia.  Che cosa è appena successo, in quell’attimo?
Attraverso la saggezza del terzo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che, nella nostra innocenza, noi rinunciamo a delle grosse parti di noi stesi, per poter sopravvivere alle esperienze della vita.  Possono venir perse, senza che noi ce ne rendiamo conto, o forse le perdiamo consapevolmente o ancora ci vengono portate via da coloro che hanno un potere su di noi. 
Talvolta quando ci troviamo in presenza di un individuo che incarna proprio le cose che abbiamo perduto e che stiamo cercando, per poter ritrovare la nostra interezza, i nostri corpi esprimono una risposta fisiologica per mezzo della quale realizziamo di nutrire un’attrazione magnetica verso quella persona.
Se vi trovate in presenza di  qualcuno e, per qualche motivo inspiegabile, sentite l’esigenza di passare del tempo con quella persona, ponetevi una domanda: che cosa ha questa persona che io ho perduto, ho ceduto, o mi è stato portato via?  La risposta  potrebbe sorprendervi molto perché in realtà riconoscerete questa sensazione di familiarità, quasi verso  chiunque incontriate.  Cioè vedrete delle parti di voi stessi in tutti.  Questo è il terzo mistero dei rapporti umani.
Nel 1992, stavo  svolgendo una serie di seminari molto simili a questo  in un bellissimo posto che, a quell’epoca, era una pensione ed un centro per ritiri spirituali. 
Avevamo affittato l’intera struttura, incluso la grande sala al pian terreno, dove ogni sera guardavamo i nostri video.  Una sera stavamo guardando uno stupefacente video con Richard Holden  che presentava una conferenza  alle Nazioni Unite durante una sessione speciale di argomento archeologico incentrato su ciò che, secondo lui, era stato trovato su  Marte nel 1976 dal progetto della sonda Viking.  Era buio, la porta si aprì ed entrarono due persone che chiesero  una stanza e, naturalmente, la pensione  era tutta occupata da noi.
  Videro ciò che stavamo guardando e lo trovarono molto interessante, perciò chiesero di restare con noi ed io acconsentii.  Alla fine della  proiezione, quando si riaccesero le luci, guardai le due nuove arrivate, che erano due viaggiatrici e notai che stranamente una di loro aveva un aspetto molto familiare.  Non l’avevo mai  incontrata prima e tuttavia sentivo un senso di familiarità. Vi è mai successa la stessa cosa, magari in un aereoporto, in una stazione, in un centro acquisti? Anche le drogherie sono ottimi posti, perché lì nessuno ci pensa  né ha aspettative di sorta.
 All’improvviso, anche se non stai cercando di incontrare gente o  di procurarti qualcosa consciamente, qualcuno viene verso di te e tu percepisci questa persona che ti passa davanti e dici: “Santo cielo che cosa è stato?” Forse i nostri occhi si incontrano e per una frazione di secondo avviene una piccola magia, scocca una scintilla di riconoscimento reciproco.
Nella nostra  società questo comportamento non è bene accetto, perciò spesso troviamo il modo di distaccarcene.  Se siamo per strada faremo qualcosa come mandare indietro i capelli, o come fissare una gomma da masticare appiccicata sul selciato o qualunque altra cosa che interrompa quel contatto.
Che cosa succede in quel momento.  Cosa succede quando guardate così qualcuno e sentite quel senso di familiarità?
Ad un certo punto della mia vita ho lavorato con un gruppo di ingegneri e uno di loro provava sensazioni simili molte volte al giorno.  Di regola gli accadeva  con le donne.  Ad esempio usciva dall’ufficio per pranzo oppure per  riscuotere lo stipendio in banca o per fare qualche commissione il venerdì pomeriggio.  Poi tornava, si sedeva immobile alla scrivania.  Allora io gli chiedevo se c’era qualcosa che non  andava e lui mi rispondeva: “Non riesco a lavorare, mi sono innamorato durante la pausa-pranzo.”  Il mio collega si innamorava varie volte al giorno.  Questo gli rendeva la vita un inferno.
Questo è il modo in cui gli specchi si presentano a noi e questa è la ragione per cui vi racconto delle storie vere.  Gli succedeva così spesso che noi colleghi avevamo perfino dato un nome a quell’effetto, lo chiamavamo Effetto Schiaffo. Lui usciva per pranzare e poi tornava e diceva sono stato schiaffeggiato 5 volte.  Voleva  dire che si era innamorato 5 volte.  Riprendevamo il lavoro e intanto lui faceva cose diverse come chiamare la banca dove aveva  incassato l’assegno per chiedere chi era la terza impiegata da sinistra, poi le  telefonava e la invitava a prendere un caffè. Lei rispondeva di sì  e mentre prendevano il caffè, lui osservava la cameriera e sentiva che se ne stava innamorando.  Succedeva continuamente ed era un vero problema per lui perché aveva una moglie e due bei bambini a cui voleva molto bene.   Quello che vi ho narrato era un caso estremo ma ve l’ho mostrato come esempio perché è molto appropriato.
Cosa succede nel momento in cui proviamo quella sensazioni?
Ebbene sto per raccontarvi ciò che è accaduto a me… Quella famosa sera, le luci si accesero, le donne erano lì sedute e quando guardai negli occhi una di loro ebbi la sensazione che accadesse qualcosa di magico. Lei ed io continuavamo a parlare anche dopo che tutti erano andati a dormire.  Allora le chiesi se le andava di fare una passeggiata e lei acconsentì.   La cittadina era così piccola che per attraversarla bastava un minuto.  C’erano un museo, un ufficio postale, una gelateria e si era visto tutto.
La donna ed io abbiamo percorso quel tragitto molte volte quella sera e poi alla fine ci siamo augurati la buona notte, senza che io le avessi chiesto come si chiamava, perché pensavo che la cosa sarebbe finita lì.
Alla fine del seminario sarei dovuto rientrare nel nuovo Messico [...].  Il mattino in cui dovevo partire [...].  Mentre guidavo mi fermai ad un semaforo, alzai lo sguardo e all’angolo vidi proprio la donna che avevo conosciuto la sera prima.  Lo vedete questa storia alla fine ha la sua coerenza.  Lei mi vide  e venne verso la mia macchina per salutarmi, intanto il semaforo era diventato verde e la gente aveva  cominciato a suonare il clacson.  Allora le chiesi se aveva già pranzato e lei mi disse di no, quindi la invitai a salire in macchina.  Andammo a  comprare le ultime cose per il gatto e  poi ci recammo in un delizioso piccolo caffè quasi fuori città dove ci sedemmo  a parlare.
E parlammo, parlammo, parlammo… Restammo lì tutta la mattina. La gente che era venuta a far colazione se ne andò e il  caffè diventò molto tranquillo, poi arrivarono i clienti dell’ora di pranzo, poi anche loro se ne andarono e ci fu di nuovo molta quiete.  La donna doveva  ripartire per la costa Orientale ed io per il Nuovo Messico.  Alla fine  ci dicemmo: “Beh, visto che dobbiamo partire sarà meglio muoverci.”  Lei mi accompagnò alla macchina, le diedi un bacio d’addio sulla guancia e… ancora  oggi non so quale sia il suo nome.
Mentre la guardavo allontanarsi mi successe  questo: sentii una grande tristezza dentro di me  perché iniziavo già a sentire la sua mancanza.  La osservai partire a bordo della sua auto e vidi le luci posteriori sparire lungo la strada. Dieci anni fa se mi fosse successa una cosa simile avrei detto che mi ero innamorato e avrei fatto qualcosa  di molto romantico, come saltare in macchina per inseguirla, fermarla sull’autostrada e dirle cosa provavo per lei.  Sapevo che mi stava succedendo  qualcosa ma sapevo anche che non si trattava di questo. Rimasi seduto in macchina e all’improvviso cominciarono a scendermi sul viso delle grosse lacrime.  Ricordo di aver pensato: Santo Cielo, questa deve essere una lezione veramente potente!
Prima c’era stata quella sensazione di familiarità, ora c’era tristezza perché la donna stava partendo.
Mi limitai a chiudere gli occhi ed a pormi una domanda come faccio spesso, dicendo: ”Padre chiedo che mi venga data la saggezza  necessaria per comprendere la sensazione che prova il mio corpo.”
Quando si fa una domanda come quella di solito ci si aspetta una risposta,  invece io ottenni un’altra domanda; mi stavano facendo lavorare! La domanda era semplice! “Che cos’ha questa donna che ti manca?” Io non avevo pensato al “cosa” sapevo solo che mi mancava!
Cominciai  a riflettere su tutto ciò di cui avevamo parlato e ciò che avevamo condiviso la sera prima e al caffè e capii che quello che mi mancava veramente era la sua innocenza, la sua capacità di stupirsi delle cose.  Era qualcosa di molto importante per me in quel momento della mia vita, perché ero passato attraverso il mondo accademico, il viaggio sacro nell’accademia e  avevo trascorso molto tempo nel mondo aziendale.
Tutto  questo ha un costo, lo sapete anche voi.  Cioè nel ricordare e  nello sviluppare la conoscenza noi perdiamo l’innocenza.
[...]
Così quando capii che cosa mi mancava di quella donna, seppi che non me ne ero innamorato e che lei in poche ore  era stata capace di reggere davanti a me lo specchio di una grande  parte di me stesso che avevo perduto per ottenere ciò che mi ero prefisso di avere nella mia vita..
Credo  che l’abbiamo fatto tutti in una certa misura. Tutti abbiamo ceduto consciamente delle grosse parti di noi stessi oppure le abbiamo perse senza neanche accorgercene, o ci sono state portate via da coloro che hanno avuto potere su di noi.  E tutto questo l’abbiamo fatto per sopravvivere.
 Forse oggi più che mai  in questa fase dell’umanità e della storia geologica, noi chiediamo a noi stessi di riportare a casa quelle parti di ognuno di noi per poterci conoscere nella nostra  interezza e per avere l’esperienza di vita che scegliamo. 
Quella fu un’esperienza fantastica per me.  Sapevo che quella donna mi aveva mostrato il terzo specchio esseno dei rapporti umani: quello che abbiamo perso, ceduto o che ci è stato portato via.
La verità di quest’esperienza è che se siamo veramente sinceri gli uni con gli altri, veri gli uni con gli altri, possiamo vedere e sentire una porzione di noi stessi, semplicemente guardando negli occhi quasi tutte le persone  che incontriamo.
Possiamo cioè provare la sensazione del riconoscimento, della familiarità.  Vi invito a percepire in voi questa sensazione.  Fatelo in luogo pubblico, non importa se è in una stazione, in un aereoporto, o dal fruttivendolo, perché la gente in quei luoghi non si aspetta quel tipo di esperienza.
Quando  qualcuno entra nel vostro campo di consapevolezza  e sentite quella sensazione, iniziate una conversazione su qualunque argomento, se vi succede  come spesso accade, nella sezione della frutta, parlate di frutta e dite: Hmm! Che buon profumo! Che bell’uva! Che belle banane!  Non importa che cosa dite.  Iniziate una conversazione e, mentre i vostri interlocutori  parlano, ponetevi mentalmente questa domanda:  Cosa vedo in questa persona che io ho perso, ho ceduto o che mi è stato preso?”  La risposta  vi sorprenderà, ve l’assicuro
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IL 4° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Il quarto specchio esseno dei rapporti umani è una  qualità un po’ diversa.  Spesso nel corso degli anni ci accade di  adottare dei modelli di comportamento che poi diventano tanto importanti  da farci riorganizzare il resto della nostra vita per accoglierli. 
Sovente tali comportamenti sono compulsivi, creano dipendenza. Il Quarto mistero dei rapporti umani, ci permette di osservare noi stessi in uno stato di dipendenza e compulsione.  Attraverso la dipendenza e la compulsione, noi rinunciamo lentamente proprio alle cose a cui  teniamo di più.  Cioè mentre le cediamo, poco a poco vediamo noi stessi lasciare le cose che più amiamo.  Ad esempio, quando parliamo di dipendenza e compulsione, molte persone pensano all’alcol e alla nicotina che sono certamente capaci di creare tali stati.
Ma ci sono altri modelli di comportamento più sottili come l’esercizio  di controllo in ambiente aziendale o  in famiglia o come la dipendenza dal sesso, dal possedere o generare denaro e abbondanza, anche questi sono esempi di compulsione e dipendenza. 
Quando  una persona incarna un simile modello di comportamento, può star certa che il modello, che pur è bello di per sé, si è creato lentamente nel tempo. Poco a poco, noi rinunciamo alle cose  che ci sono più care.  Se riorganizziamo le nostre vite per far posto al modello dell’alcolismo o all’abuso di sostanze forse stiamo rinunciando a porzioni della nostra vita rappresentate dalle persone che amiamo, dalla famiglia, dal lavoro, dalla nostra stessa sopravvivenza.
Il tratto positivo di questo modello è che può essere riconosciuto ad ogni stadio, senza bisogno di arrivare agli estremi perdendo tutto.  Possiamo riconoscerlo, guarirlo, e ritrovare la nostra interezza ad ogni stadio.

Alcuni anni fa ho condotto, nel Sud-Ovest del Paese, un seminario composto da 40 uomini, tutti uomini – che diede ottimi risultati.  Alcuni dei partecipanti erano dei cowboys, dei ragazzi che non si sarebbero tolti il cappello e gli stivali per  nessun motivo al mondo.
Mi dissero: Posso abbracciare un uomo in questa stanza, ma non lo farò mai là fuori.  Per loro fu molto importante ricevere questa piccola informazione sul quarto specchio, perché erano tutti sposati, volevano bene alle loro mogli ed erano tutti  continuamente attratti da altre donne al lavoro, o in ufficio e non capivano il perché.
Questo è uno specchio potente che si applica anche al mondo aziendale ed  io l’ho fatto.
Ero manager nel settore delle telecomunicazioni, dirigevo due dipartimenti separati e collegati dove c’erano degli impiegati che credevano di essere innamorati gli uni degli altri.  Di per sé non era un problema, anche se causava grossi sprechi di tempo: pause pranzo molto lunghe, un sacco di gomme forate, molti bambini ammalati, nonni deceduti…
Io sospettavo che si trattasse proprio di questo.  E’ da notare che il valore di questi principi sta nel fatto che li possiamo applicare nella vita di ogni giorno. Infatti invitai due degli impiegati – entrambi felicemente sposati – nella stanza delle riunioni e  in tutto  rispetto della loro privacy, chiesi loro di guardarsi negli occhi e  di condividere che cos’era che li attraeva.
Diedi quasi un respiro di sollievo, quando i due si resero conto che in realtà non erano innamorati, che non dovevano rischiare di rinunciare  alle loro beneamate famiglie e che  in realtà ciascuno vedeva nell’altro delle  ampie parti di sé, che aveva perso. 
Che specchio potente!
Un altro esempio: nel 1998 quando lavoravo per il programma Star...  a Sud di  Denver, alcuni alti ufficiali del Pentagono ci fecero visita per revisionare il programma.  Ciascun  dipartimento designò un delegato ed io, non so come, finii per essere scelto.
Dopo la riunione ebbi l’opportunità d’incontrare personalmente alcuni degli ufficiali e di partecipare ad una conversazione, proprio prima di cena, durante la quale una persona del gruppo si rivolse ad un membro dell’équipe, che aveva raggiunto il rango di Corporate American e che rientrava tra i capi del personale.  La domanda era: “Come ha fatto a raggiungere questa posizione?  Cosa è dovuto succedere nella sua vita affinchè lei arrivasse a ricoprire un posto di potere e di controllo così prestigioso?”
L’uomo rispose, molto consapevolmente, guardandoci tutti negli occhi e dicendo: “Per arrivare  dove sono oggi, ogni volta che sono salito di un gradino ho dovuto  rinunciare ad una parte di me stesso. Poi aggiunse: “Ben presto capii che avevo rinunciato a tutto ciò che mi era caro: i miei amici, la mia famiglia (mia moglie ed io siamo divorziati, i miei figli ed io non ci parliamo nemmeno più).  Per me valeva la pena farlo perché lo scopo della mia vita era di esercitare questo potere e controllo”.  Quindi l’uomo ne era consapevole ed io mi stupii della sua sincerità.
So che noi tendiamo a far compromessi, cedendo in cambio parti di noi stessi per riuscire a  sopravvivere.
Quindi, quando vi scoprite fortemente, magneticamente attratti, verso altre persone, forse senza riuscire a dare un senso a ciò, forse anche quando siete attratti da una persona dello stesso sesso e cercate di etichettare quell’esperienza, come è capitato a molti miei clienti in anni recenti, a quel punto potreste pensare: “Sono una donna e mi piace stare accanto agli uomini, o viceversa: Sono un uomo  e mi piace stare accanto alle donne.”
Pensate a come è strano! Siamo essenzialmente delle anime asessuate, non siamo né maschi né femmine, finchè non entriamo nel corpo fisico, Poi, arrivando nel mondo della polarità,  dobbiamo scegliere un genere o l’altro e nello  scegliere, rinunciamo automaticamente  a quello che abbiamo  escluso.
Siccome io sono un maschio.  Sono arrivato in questo mondo scegliendo di polarizzarmi in un corpo maschile, nonostante la mia anima sia asessuata, cioè maschile e femminile insieme, quindi ho messo la mia parte  femminile in secondo piano.  Le donne invece mettono in secondo piano la loro parte maschile.  Ecco perché può accadere di sentirsi inspiegabilmente attratti verso qualcuno che ha una polarità opposta alla nostra.
Alcuni mesi fa ho svolto un seminario dove alcuni mi hanno chiesto: “Cosa significa quando si è attratti dalla stessa polarità?”
Io credo che lo specchio funzioni.  E’ uno specchio potente che non ha bisogno di etichette.  E’ solo uno specchio.  Ecco l’esempio di un caso su cui ho lavorato.
Cosa succede  se siete un maschio – spiritualmente asessuato – ma che, scegliendo di  diventare un maschio in questo mondo, ha fatto in partenza una rinuncia della femminilità, al 50% dell’esperienza.  Cosa succede se all’inizio  della vostra vita di maschio vivete delle situazioni in cui vi viene sottratta la vostra mascolinità?
 Nel caso in questione si trattava di abuso. Hai rinunciato  al tuo femminile per essere qui, e una volta  che sei qui, ti viene portato via il tuo maschile!  Cosa ti resta? Niente.  Allora che cosa fai?  Cerchi di rinforzare ciò con cui ti identifichi meglio in quel momento della tua vita.
Se sei venuto al mondo come maschio e  ti è stata portata via la mascolinità, cercherai di rinforzare la condizione maschile, che ti è  vicina nel tempo, e forse  cercherai la compagnia di un maschio, come accadeva all’uomo di questa storia, che si sentiva confuso e non sapeva spiegarsi perché lo faceva.
Quando cominciò a capire il funzionamento dello specchio, il perché gli divenne estremamente chiaro e dopo alcuni mesi non aveva più quell’orientamento.  Se l’avesse avuto sarebbe andato bene lo stesso perché, finchè non ci mettiamo sopra delle etichette, stiamo semplicemente parlando di modelli di energia.
Non è interessante come funziona?
Cerchiamo di rafforzare ciò che abbiamo perso o ceduto o che ci è stato portato via.
Vi invito a porre attenzione alla vostra vita e al tipo di persone verso cui vi sentite fortemente attratti e a chiedervi che cosa possiedono di voi che è stato perso o ceduto o preso.
Pensiamo ai rapporti amorosi, quante volte avete sentito parlare di coppie che  si formano a causa di questa carica e poi la carica  scompare e i due si rendono conto di non essere più innamorati?

In realtà forse il loro amore li ha serviti così bene, cioè sono riusciti  a tal punto a guarire in sé stessi  ciò che hanno visto nell’altro, che non sentono nessuna carica e cominciano ad incarnare l’interezza.  Da quel momento in poi entrambi  possono scegliere di continuare il rapporto sulla base di principi completamente diversi, basati sul fatto che ciascuno semplicemente riesce a godere della compagnia dell’altro.
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IL 5° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Nella mia  opinione questo modello di rapporti umani, il quinto specchio esseno, è forse il più potente in assoluto, perché credo ci permetta di vedere meglio e più profondamente degli altri la ragione per cui abbiamo vissuto la nostra vita in un dato modo.  Esso rappresenta lo specchio che ci mostra i nostri genitori nel corso della nostra interazione con loro.
Attraverso questo specchio ci viene  chiesto di ammettere la possibilità che le azioni dei nostri genitori verso di noi riflettano  le nostre credenze e aspettative nei confronti di quello che potrebbe configurarsi come il più sacro rapporto che ci sia dato di conoscere sulla Terra e cioè il rapporto fra noi e la nostra Madre  e il nostro Padre Celeste, vale a dire con l’aspetto maschile e femminile del nostro creatore, in qualunque modo lo concepiamo.
E’ attraverso il rapporto con i nostri genitori, che essi ci mostrano le nostre aspettative  e credenze verso il rapporto divino. Per esempio se  ci troviamo a vivere un rapporto con genitori da cui ci sentiamo continuamente giudicati o  per i quali anche  fare del nostro meglio non è mai abbastanza, è altamente probabile che quel rapporto rifletta la  seguente verità: siamo noi che crediamo, dentro di noi, di non essere all’altezza e che forse non abbiamo realizzato quello che ci si aspettava da noi attraverso la nostra  percezione di noi stessi fino al Creatore.
Questo è uno specchio potente e molto impalpabile, che, forse più di altri, ci  può svelare perché abbiamo vissuto le nostre vite in un determinato modo.
Tale specchio ha avuto un impatto incredibile nella mia vita.  Un impatto ricco di implicazioni.  Condividerò con voi una frase che poi studieremo da moltissime angolature, discutendo questo specchio in dettagli, perché la frase è molto ricca di significati.  Prima però vi faccio notare che esistono ben pochi assoluti, che ci sono sempre delle eccezioni e che l’argomento che stiamo per affrontare va visto come una ricerca di modelli generali. 
Se, mentre vi parlo, sentite una voce interiore che dice: “Non è assolutamente così!” è possibile che abbiate appena contatto un’informazione molto potente nella vostra storia personale e che  vi venga chiesto ora di decidere se questo è il momento opportuno  per prenderne coscienza.  Se la risposta è “si”, vuol dire che avete gli strumenti per farlo, se è “no”, voi avete sentito quali sono questi strumenti. 
Quindi, se mentre vi parlo provate un’emozione, oppure se la vostra temperatura corporea  sale un po’, o se il battito del vostro cuore aumenta, o  se  sentite un formicolio alle dita (è un po’ come quando si  è innamorati), forse vi sta succedendo ciò che vi ho appena preannunciato.
Una risposta di questo tipo si realizza solo quando vi viene mostrato qualcosa di così profondo che in passato avete scelto di allontanarvene.  Quindi la cosa da tener presente riguardo questo specchio è la seguente: a prescindere dalle caratteristiche  che avete condiviso, pur senza giudicare, senza pensare al giusto e allo sbagliato, visto che stiamo lavorando sullo specchio della polarità che presenta solo segni positivi o negativi, c’è una buona probabilità che le parole che usate per descrivere i vostri genitori  come li vedete oggi, da adulti, abbiano pochissimo a che fare con le persone di questa terra che voi chiamate mamma e papà.
E’ molto probabile che le parole che usate per descrivere i vostri genitori terrestri, vi servano a descrivere uno specchio che i  vostri genitori hanno retto impeccabilmente dinanzi a voi, per darvi  una visione del  rapporto più sacro che è dato conoscere sulla Terra.  E’ anche molto probabile che il modo in cui  percepite i vostri genitori sulla Terra, rappresenti lo specchio delle vostre aspettative verso il rapporto che intrattenete con la Madre e il Padre celesti.
Lo ripeto: c’è una buona probabilità che il modo in cui vedete  o come descrivete i vostri genitori, le parole  che usate, siano quelle che descrivono le aspettative che avete sul rapporto con la vostra madre e il vostro padre divino.
L’argomento può essere inquadrato da molte angolazioni. E lo faremo dettagliatamente fra poco per mezzo di un piccolo esercizio.  Vi chiedo: è possibile che i vostri genitori, nell’invitarvi inconsciamente o consciamente in questo mondo, si  siano assunti una responsabilità sottintesa di cui la nostra cultura si è dimenticata? Secondo la quale la madre e il padre terrestri, che  ci  mettono al mondo e si prendono cura di noi sarebbero  dei surrogati, cioè l’approssimazione più vicina all’aspetto materno e paterno del nostro creatore Divino?
Noi sappiamo che in realtà il Creatore non ha un’identità  sessuale, non è né una madre, né un padre, bensì per così dire “una forza” in mancanza di una parola migliore in inglese.
 Vi chiedo ancora: “E’ possibile che i vostri genitori vi abbiano amato così tanto e forse a dei livelli  di cui non sono stati e non sono essi stessi coscienti, da riuscire  a reggere impeccabilmente davanti a voi uno specchio capace di mostrarvi, come voi concepite il rapporto non tanto con loro, ma con il vostro padre divino e la vostra madre divina?.
E’ possibile che le volte in cui avete percepito la rabbia dei vostri genitori verso di voi in realtà abbiate percepito quella che credevate essere la rabbia del vostro Creatore verso di voi?
E’ possibile, infine che, quando i vostri genitori sono  orgogliosi di voi, vi danno l’incoraggiamento che vi fa sentir bene, voi in realtà stiate sentendo qualcosa che proviene dal vostro creatore?
E’ possibile?
Se è vero che gli specchi funzionano, io credo che questo sia precisamente ciò che accade.  Credo che ci sia una buona probabilità che gli esseri umani siano capaci di amare a livelli così taciti e profondi da riuscire a scambiarsi questi  specchi con grande precisione e credo anche che i nostri genitori hanno fatto proprio questo per noi.
Con ciò non voglio sottintedere alcuna scusante per i loro comportamenti.  Vi chiedo semplicemente di  ammettere la possibilità che in effetti il rapporto con i vostri genitori o con chi vi ha allevato, nel caso siate siate stati adottati o abbiate vissuto in un orfanotrofio, vi abbia permesso  di vedere uno specchio, nel quale siete riusciti a percepire le vostre credenze e aspettative su come credete che il vostro Creatore vi concepisca e su come voi lo concepite.
Cosa provate pensando alla  possibilità che i vostri genitori vi abbiano mostrato questo  specchio? Ha un senso per voi?
Proviamo a fare un esercizio.  Vi invito a chiudere gli occhi e a fare un respiro profondo alla maniera dello Yoga, spingendo fuori il ventre durante l’inspirazione, in modo da far scendere bene il diaframma.  Fate una breve pausa, poi espirate contraendo leggermente i muscoli del ventre.
Ora vi chiedo di rivolgere a voi stessi il seguente invito: “Io acconsento a sentire.  Io mi permetto di sentire.” Ripetete mentalmente: ”Io acconsento a sentire, Io mi permetto di sentire”.  Datevi anche il permesso di ricordare, dicendovi: “Acconsento a ricordare” ripetetevi mentalmente: “Io ricordo, io acconsento a ricordare”
A questo punto vi pongo una domanda: “Se qualcuno  venisse da voi e vi dicesse che vi resta un solo minuto sulla Terra, trascorso il quale non sarete più presenti qui né potrete  più comunicare con coloro che amate e che, durante quel minuto voi potreste dire qualunque cosa ai vostri genitori terrestri, cosa direste?”
Che parole scegliereste?  Vi invito a condividere con me le parole che usereste durante quel minuto.
“Noi siamo uno”
“Sii felice”
“Ci vediamo presto”
“Ti voglio bene”
Va bene, ora se qualcuno venisse da voi e vi dicesse che vi resta un minuto da vivere in questo mondo in compagnia di coloro che amate e che in quel minuto voi potreste udire la voce di vostra madre o di vostro padre, dirvi qualunque cosa, che cosa vorreste sentirvi dire da vostro padre o da vostra madre?  Vi invito a condividere con me quelle parole.
Cosa vi piacerebbe di più sentirvi dire?
Tenete gli occhi chiusi inspirate profondamente ed ascoltate.  In quel minuto voi potreste udire qualunque frase.
Mi rivolgerò agli uomini per primi: Signori se voi poteste udire una qualunque frase rivolta a voi dal vostro Creatore, lo udireste dire: “Figlio mio sono orgoglioso di te, figlio mio, ti voglio bene, Hai agito bene.  Grazie, figlio mio”
Ed ora alle donne: Signore, se voi poteste udire queste parole: “Figlia mia grazie! Hai agito bene! Figlia mia, torna a casa!” Cosa provate  nell’udire queste parole? Riuscite a percepire una sensazione nel vostro corpo? Perché? In fondo sono solo parole?  E’ possibile che abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita credendo di cercare amore rispetto e approvazione  dai nostri genitori terrestri, in quanto essi sono la cosa più vicina alla nostra madre e al nostro padre divini?
La realtà è questa.  Nel profondo noi abbiamo sempre saputo che in realtà cercavamo l’approvazione del nostro Creatore, cercavamo il suo amore e il suo rispetto.  E’ possibile?
Se è così avete appena ricevuto una grossa quantità di informazioni sul perché  avete vissuto la vostra vita in un determinato modo e su come l’avete vissuta.
[...]
I rapporti umani ci offrono  la possibilità di guarire il rapporto con i nostri surrogati terrestri e nel fare  questo noi saniamo anche il rapporto con la controparte divina.  Il tutto funziona anche all’inverso, nel guarire il rapporto con la controparte divina deve per  forza sanarsi anche il rapporto con i genitori terrestri. Tutto questo non significa che,  in quanto figli, siete responsabili delle malattie dei vostri genitori o  delle loro scelte di vita.
Loro hanno semplicemente accettato, ad un determinato livello di consapevolezza di reggere dinanzi a voi lo specchio che riflette le vostre aspettative ed hanno scelto  come proporvi quello specchio durante la loro vita.
Una volta che i genitori sono sollevati dal peso dello specchio sorge la seguente domanda: “Si ricordano della loro vera natura?” “Esiste una  parete della loro consapevolezza che fa dire loro: “ finalmente mio figlio ha  compreso il messaggio, ora posso vivere la mia vita.  Oppure rimangono tanto invischiati nel loro sistema di credenze da credere di essere quelle malattie.
Questo è proprio il punto cruciale su cui noi stiamo lavorando tutti insieme per sanare noi stessi e per ricordare quelle possibilità.  Non vi sembra che ciò abbia un senso?  Si tratta di uno specchio impercettibile.  Vi ricordate che all’inizio di questa sessione ho detto che gli specchi diventano sempre più impalpabili col nostro evolverci e che dobbiamo affrontare quelli più ovvii prima di poter vedere i più sottili.
Siccome si tratta di specchi, il bello è che funzionano in entrambi i sensi.  E questo è importante, perché non ci limitiamo di certo ad esaminare i casi negativi, infatti anche quando percepiamo i nostri genitori come esseri affettuosi, saggi, vulnerabili, forti, onesti e tolleranti, riceviamo il riflesso delle nostre credenze sul tipo di rapporto che abbiamo col Creatore, cioè percepiamo il nostro Creatore e noi stessi alla presenza di quella forza creativa.
Quindi la riflessione che vi offro rappresenta una possibilità che è in sé sottile e potente  che provoca tutta una serie di implicazioni lungo l’arco di un’esistenza.
Se ciò ha un senso per voi, bene, se non lo ha vi invito ad archiviare mentalmente queste informazioni e, se in futuro dovesse verificarsi  uno sgretolamento del vostro sistema di credenze, allora potrete andare a cercare questa cartella e lavorando su questo specchio, avrete un potente strumento a vostra disposizione. Lo specchio della madre e del padre, il vostro Creatore.

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IL 6° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Il sesto specchio esseno dei rapporti umani ha un nome abbastanza infausto, infatti gli antichi lo chiamarono: l’Oscura notte dell’anima.
Ma lo specchio in sé non è necessariamente altrettanto sinistro del suo nome.  Attraverso un’oscura notte dell’anima, ci viene ricordato che la vita tende verso l’equilibrio, che la natura tende  verso l’equilibrio e che ci vuole un essere estremamente  magistrale per bilanciare quell’equilibrio. 
Nel momento in cui affrontiamo le più grandi sfide della vita possiamo star certi che esse  divengono possibili solo dopo che abbiamo accumulato tutti gli strumenti che ci servono per superarle con grazia e con facilità, perché è quello il solo modo per superarle.
Fino a che non abbiamo fatto nostri quegli strumenti non ci troveremo mai nelle situazioni che ci richiedono di dimostrare determinati livelli di abilità.  Quindi, da questa prospettiva, le sfide più alte della vita, quelle imposteci dai rapporti umani e forse  anche dalla nostra stessa sopravvivenza, possono essere percepite come delle grandi opportunità a nostra disposizione, per saggiare la nostra  abilità, anziché come dei test da superare o fallire.
E’ proprio attraverso lo specchio della notte oscura dell’anima che vediamo noi stessi nudi, forse per la prima volta, senza l’emozione, il sentimento, ed il pensiero, senza tutte le architetture che ci siamo creati intorno per proteggerci.
Attraverso questo specchio possiamo anche provare a noi stessi che il processo vitale è degno di fiducia ed anche che possiamo aver fiducia in noi stessi mentre viviamo.
La notte oscura dell’anima rappresenta per noi l’opportunità di perdere tutto ciò che ci è sempre stato caro nella vita e di vedere noi stessi alla presenza e nella nudità di quel  niente.
E proprio mentre ci arrampichiamo fuori dall’abisso di ciò che abbiamo perso e percepiamo noi stessi in una nuova luce, che esprimiamo i nostri più alti livelli di maestria.
Gli antichi parlavano molto chiaramente della notte oscura dell’anima.
Quando lavoravo nella Bayer Area venne come paziente un giovane ingegnere, che aveva moglie e due figlie che amava molto.  Lavorava nel settore del software, dove la domanda era talmente alta che ben presto l’uomo cominciò a viaggiare molto.
Dapprima  forniva consulenze tecniche, poi iniziò a prender parte a delle fiere commerciali  ed a trascorrere sempre meno tempo con la famiglia.
Le poche volte  che restava a casa provava una sensazione di estraneità.  C’era poco di cui parlare nel fine settimana.  Non sapeva cosa facevano  le figlie a scuola e la comunicazione fra lui e la moglie languiva.  A un certo punto il suo ufficio assunse una donna di Los Angeles, sua coetanea, anch’essa ingegnere, e i due cominciarono ad essere inviati in missione insieme.  Non passa  molto tempo che l’uomo cominciò a credere di essere innamorato della donna e lei di lui.  Ad un certo punto la donna chiede di tornare a Los Angeles ed anche lui chiese il trasferimento da San Francisco, ottenendo un incarico proprio a Los Angeles.  Il suo ufficio era molto dispiaciuto che se ne andasse  ed i suoi amici pensavano che fosse impazzito.  La sua famiglia soffriva molto.  Lui pensò: “Mi dispiace di aver ferito questa gente, ma io vado ad iniziare la mia nuova vita” e si trasferì a Los Angeles.
Un bel giorno, dopo tre settimane, la donna tornò a casa e gli disse: “Sai il nostro rapporto non è quel che credevo  e vorrei che finisse qui.”
L’uomo era sconvolto.  Che paura universale si era risvegliata in lui? Era il fatto che lei gli avesse chiesto di andarsene che l’aveva distrutto.
Cominciò ad avere scarsi risultati sul lavoro.  Fu mantenuto in servizio per il periodo di prova e, siccome non migliorava, alla fine gli fu chiesto di dimettersi. Si ritrovò in una città estranea, senza amici, senza gruppo di sostegno, senza stipendio né lavoro e persino sulla lista nera di altre ditte dello stesso settore.
Non aveva un luogo in cui tornare, perché aveva rinunciato a tutte le cose che gli erano state care.  Il suo ufficio non lo rivoleva, la sua famiglia ed i suoi amici non erano disponibili.
Venne da me e mi disse: “Cosa diavolo  mi sta succedendo? Come faccio a riprendermi la mia famiglia?”
Io molto sinceramente gli risposi: “Congratulazioni!, perché il solo modo in cui qualcosa del genere è potuto succedere nella sua vita è grazie al fatto che lei ha raggiunto il suo più alto livello di maestria.”
Quando un essere umano conquista l’ultimo  tassello  di abilità, la  creazione si apre dinanzi a lui che diviene libero di esprime tale maestria  in qualunque cosa abbia creato nella vita.
Quando la vita è più dura, quando ci vengono poste delle sfide più  alte nel campo della salute, dei rapporti umani o  della sopravvivenza è perché noi stessi ci siamo creati quelle situazioni solo dopo aver accumulato tutti gli strumenti necessari a tirarcene fuori con grazia.
Qualunque madre lo sa.  Non ve l’ha mai detto vostra madre che Dio non vi da mai più problemi di quanti non riusciate a sopportarne?
L’ho visto succedere mille volte: questioni di salute, malattie potenzialmente letali, implosioni emotive.  So con certezza che  nella vita noi tendiamo verso l’equilibrio e che ci vuole un grosso sforzo  per riuscire a sconvolgere quell’equilibrio e siccome siamo tutti dei  maestri, sappiamo bene come farlo.
In quanto maestri noi abbiamo appreso come creare forte  disiquilibrio nelle nostre vite in modo da favorire il manifestarsi dello slancio che ci serve per dimostrare il grado di abilità da noi raggiunto.  Ci viene offerta  così un’opportunità rispetto alla quale non abbiamo nessun punto di riferimento, nessuno a cui chiedere o da cui andare.  Non avendo mai avuto prima quella data esperienza, tutto ciò su cui possiamo contare è noi stessi ed è a quel punto che ci viene chiesto di rivolgerci  verso i livelli più profondi del nostro essere.
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IL 7° SPECCHIO ESSENO
di Gragg Braden

Dalla prospettiva degli antichi, il settimo mistero dei rapporti umani o settimo specchio esseno era il più sottile e, per alcuni versi, anche il più difficile.  E’ lo specchio che ci chiede di ammettere la possibilità  che ciascuna esperienza di vita, a prescindere dai suoi risultati, è di per sé perfetta e naturale.  A parte il fatto che si riesca o meno a raggiungere gli alti traguardi che sono stati stabiliti per noi da altri, siamo  invitati a guardare i nostri  successi nella vita senza paragonarli a niente. Senza usare riferimenti esterni di nessun genere.
Il solo modo in cui riusciamo a vederci sotto la luce del successo o del fallimento è quando misuriamo i nostri risultati, facendo uso di un  metro esterno.  A quel punto sorge la seguente domanda: “A quale  modello ci stiamo rifacendo per misurare i nostri risultati? Quale metro usiamo?”
Nella prospettiva di questo specchio ci viene  chiesto di ammettere la possibilità che ogni aspetto della nostra vita personale – qualsiasi aspetto  - sia perfetto così com’è. Dalla  forma e peso del nostro corpo ai nostri risultati in ambito accademico, aziendale o sportivo.  Ci renderemo conto insieme che, in effetti, questo è vero  e che un risultato può essere sottoposto a giudizio solo quando viene paragonato ad un riferimento esterno.
Siamo quindi  invitati a permettere a noi stessi di essere il solo punto di riferimento per i risultati che raggiungiamo.  Gli antichi consideravano l’ultimo specchio come il più impercettibile e per illustrarvelo vi racconterò un paio di storie.
Verso la fine del mio periodo aziendale condividevo  l’ufficio con una collega, perché lo spazio di lavoro a disposizione era limitato.  Avevamo mansioni molto diverse.  Siccome non c’era competizione fra noi, parlavamo e pranzavamo insieme spesso, diventando ottimi amici. 
Un giorno, tornato in ufficio dopo la pausa pranzo, la  vidi sbiancare  e sedersi mentre ascoltava i suoi messaggi in segreteria.
Le chiesi cosa  fosse successo e lei mi raccontò una storia che io sto per raccontare  anche a voi al fine di  illustrare il settimo specchio esseno.
La mia collega aveva un’amica, sua coetanee, madre di una ragazza che si era diplomata un paio di anni prima.  Era una bellissima ragazza, piena di talento, molto sportiva, brava a scuola, dotata di ottime capacità artistiche che aveva deciso, d’accordo con i genitori, di fare la modella dopo il diploma.
Dopo aver svolto alcuni ottimi servizi da modella ed aver frequentato una scuola specializzata di New York aveva completato  un’altra serie di incarichi e stava avviandosi verso una carriera di successo.
Finiti quei primi servizi le agenzie cominciarono a dirle che per quel tipo di lavoro avrebbe dovuto cambiare un po’ il suo aspetto.  Inizialmente le suggerirono di intervenire su cose semplici come  il giro vita e la misura del seno, che venne  aumentata per mezzo di un intervento chirurgico.  I suoi genitori erano d’accordo perché sapevano che la professione lo richiedeva.  Non passò molto tempo che le agenzie cominciarono  ad esigere forme più estreme di cambiamento.  Per esempio, quando la ragazza sorrideva aveva una sovraocclusione – che era pur gradevole da vedere – e le fu detto che una modella non poteva permetterselo e le chiesero di farsi operare.
Lei  obbedì, le sue mascelle vennero rotte e ricomposte.  Immobilizzate con strumenti metallici, ma, onestamente, io ho visto foto di prima e dopo l’intervento, c’era ben poca differenza.
Mentre  le mascelle erano immobilizzate, la ragazza dovette limitare la sua dieta e dimagrì molto, il che di solito è desiderabile per una modella.
In seguito alla perdita di peso le sue costole inferiori cominciarono ad essere più visibili.  La gente del suo ambiente disse alla ragazza che non era un problema, si poteva risolvere tutto chirurgicamente. Infatti la ragazza  si sottopose ad un intervento in cui le vennero asportate le costole fluttuanti inferiori.  E a quel punto cominciò a succederle qualcosa.
Forse  sapete già che il perso corporeo attraversa delle fasi.  Io stesso sono stato un podista a livello agonistico, per molti anni e c’erano periodi in cui potevo mangiare qualunque cosa senza  riuscire ad aumentare di peso, mentre in altri periodi bastava semplicemente pensare al  cibo per ingrassare.  E’ come se il corpo entrasse in una sua fase.  Può capitare di smettere di mangiare per un po’, mantenendo lo stesso peso costante o persino ingrassare, oppure  cominciare a perdere peso.  Poi, decidere di smettere e l’organismo invece continua a dimagrire, anche se si mangia normalmente.
Questo è proprio ciò che accadde alla ragazza.  Era entrata in una fase inarrestabile di dimagrimento e la telefonata che la  mia collega aveva ricevuto quella mattina era della madre della giovane che, dall’ospedale le aveva comunicato la morte della figlia in seguito a complicazioni derivanti da malnutrizione.
La giovane donna era stata portata all’ospedale perché il suo corpo non riusciva ad adattarsi a quel peso.
La domanda che mi posi fu questa: “Perché questo è successo? Qual è la ragione?”
Ancora un’altra storia.
Alcuni mesi fa Melissa ed io ci siamo messi in viaggio.   Per partire da casa nostra bisogna prendere in tutti i modi l’aereo ad Abuquerque ed usando certe compagnie aeree, di cui non faccio il nome,  bisogna passare per Dallas prima di  poter andare da qualunque parte.  Quindi quando andavo a Toronto, dovevo volare fino a Dallas per arrivare a destinazione o a Kansas City per arrivare a Dallas. Se  siete stati all’aereoporto di Dallas sapete che è enorme e che c’è una  rete tranviaria – teoricamente, quando funziona -  per portare i passeggeri da un terminal all’altro e, se funziona, è un ottima rete.  Normalmente  succede questo: si arriva all’uscita No. 6 e si deve  andare all’uscita 44 che è distante mezzo miglio.
Quel giorno eravamo in attesa dei tram  ai piedi di una lunga  scala mobile e davanti a noi c’era una coppia di anziani.  Una donna e un uomo, apparentemente duro di udito.  I due erano impegnati in un fitto dialogo in cui esprimevano  giudizi sulla gente.  Sembrava essere la loro attività abituale, tanto erano a loro agio nel farlo.  Mano a mano che arrivava  qualcuno dicevano: “Toh! Guarda quello come è vestito!” oppure “Guarda quella lì, hai visto che orecchini?” A un tratto, con la coda dell’occhio, ho visto scendere  dalla scala mobile una donna molto grassa.  Una volta avevo  un cliente che pesava 200 chili e so che  quella donna poteva pesare sui 180 chili. La donna reggeva una valigia vecchio stile, di linoleum con fibbie di metallo; c’erano più di 40 gradi a Dallas quel giorno e sicuramente la donna doveva avere un buon motivo per essersi messa in viaggio con quel caldo, viaggiando in quei sedili scomodi per lei con le caviglie gonfie  e trascinandosi dietro quella brutta valigia.
Venne a mettersi  proprio accanto a noi e la coppia continuò a fare i suoi commenti come prima e, siccome l’uomo era duro di orecchi, noi tutti sentimmo quando disse alla moglie: “Guarda quella donna, non è terribile? Perché non fa qualcosa per sé stessa? Si dovrebbe vergognare di farsi vedere in giro in quello stato!”
Era una rara opportunità, io ero qui, la coppia era qui e la donna grassa era lì.  Ed io credo che tacitamente  lei acconsentì a lasciarsi guardare negli occhi da me, perché  mi guardò direttamente in volto.  Anch’io la guardai direttamente negli occhi e lei non disse una parola, ma so che aveva udito tutto ciò che era stato detto.
Stette zitta e mentre aspettavamo il tram i suoi occhi si riempirono di lacrime.  Divenne rossa  in viso ed era chiaro che stava tenendo duro per non piangere.  Quel commento l’aveva ferita.  Salimmo sul tram.  La coppia si mise accanto a me e scambiammo quattro chiacchiere.  Erano persone per bene, non avevano intenti malevoli.  Avevano solo quell’abitudine inconscia a criticare.  In quel momento  seppi che avevamo avuto tutti una rara opportunità.  La donna aveva avuto l’opportunità di sentirsi giudicare; la coppia  aveva avuto l’opportunità di giudicare qualcuno ed io avevo avuto  l’opportunità di esserne testimone.
Entrambe le storie illustrano  il settimo  mistero esseno dei rapporti umani, il mistero del  ricercare la perfezione nell’imperfezione della vita.  La giovane  donna che aveva perso la vita, con quali standard si misurava? L’avevano fatta sentire imperfetta e l’avevano costretta a cambiare il corpo che  le era stato dato in questa vita.  Che metro aveva usato?
Quanto alla coppia che aveva percepito la donna come grassa e a me, che la descrivo come tale a voi adesso,  fino a che non paragonate la vostra esperienza  di vita ad un referente esterno, come potete non essere perfetti?
Ciò che vi raccomando è questo: siate consapevoli del modello a cui vi rifate per misurare i vostri risultati.
Che metro usate nella vita?
In base a che cosa distinguete  fra la vostra riuscita ed il vostro fallimento?
Mettiamola così: io potrei darvi un foglio con una lista di criteri e dirvi di parlarmi delle vostre abilità sportive, delle vostre abilità accademiche,  comunicative o amorose.  Chiedere: Siete dei bravi amanti?  E’ sempre una buona domanda. Non vi concederei più di 15 secondi per darmi una risposta, perché, a prescindere da cosa risponderete, se vi siete descritti come esseri meno che perfetti, a che cosa vi siete paragonati?  Come fate a dire che state facendo qualcosa  di non perfetto a meno che non facciate riferimento a qualcosa che sta  al di fuori di voi stessi?
Ne parlavamo proprio ieri quando sono  andato nella sala proiezioni per vedere la registrazione di questo video che i tecnici erano riluttanti a mostrarmela perché c’era la sensazione che avrei potuto essere critico verso me stesso.  Se io incarno questo  specchio, se io vi do il meglio di me nel momento presente, il risultato è perfetto, fino a quando non mi paragono a qualcun altro.  E’ perfetto, è il meglio che può essere in questo momento.
Questo per gli Esseni è il nodo più delicato, perché siamo così pronti a giudicare noi stessi.  Siamo noi i nostri critici più agguerriti
Quindi vi invito ad esaminare la vostra vita ed a individuare le aree in cui sentite di non essere felici di voi stessi. Questo può accadere soltanto se non avete fatto del vostro meglio oppure se avete  fatto del vostro meglio e vi siete paragonati a qualcun altro.  Che metro usate?  Nella nostra  cultura, che metro usiamo?
Noi veniamo paragonati a quest’uomo (ndr: indica l' immagine di Gesù).  Sapete  che cosa ha detto quest’uomo quando era qui?
 Disse: “Voi pensate che le cose che sto facendo io siano fantastiche, allora aspettate di vedere quello che sarete capaci di fare voi fra 2000 anni.”  Sto parafrasando un po’. Disse anche: “Non mettetemi su di un piedistallo, voi siete molto, molto più bravi di me se realizzate il potere che c’è in voi, il potere del pensiero, del sentimento e dell’emozione e di ciò che farete con esso.”
Questo è il settimo specchio esseno dei rapporti umani, lo specchio della perfezione.
Questi sette specchi dei rapporti umani sono potenti, ci forniscono delle profonde intuizioni sul perché abbiamo vissuto la nostra vita in un certo modo e abbiamo avuto determinati rapporti umani.
Gli Esseni ci ricordano che ciascuno di noi passerà attraverso ogni specchio durante la propria vita, che ne siamo coscienti o no.  Spesso ci muoveremo in molti specchi simultaneamente perché siamo maestri e lo diventiamo sempre di più in questa vita.
Nel passare attraverso gli specchi, noi procediamo attraverso la nostra vita, forse senza nemmeno renderci conto del perché facciamo queste cose.  Sarebbe bello se ogni mattina si accendesse una bella luce al neon che ci dicesse: “Oggi, dopo aver fatto colazione, dopo che i tuoi familiari sono usciti, puoi cominciare il tuo lavoro sull’oscura notte dell’anima.”
  La vita non funziona  così.  Siamo invitati a conoscere noi stessi in presenza di altri, attraverso i nostri rapporti umani e quando quei rapporti sono sanati, noi diventiamo il beneficio di quella guarigione e lo portiamo in noi nel sogno ad occhi aperti della vita, camminando tra i due mondi del cielo e della terra.
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Gli Atti degli Apostoli, al cap. 15, narrano della controversia sorta ad Antiochia circa ilCfr Regola della Comunità, V, 8ss.Cfr Tt 1,5-9: “Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane da fare eRegola della Comunità, V,25-VI,1. Cfr anche Documento di Damasco, IX,2-5.Cfr Regola della Comunità, 6,2.4s.Riguardo alle feste annuali, la comunità di Qumran celebrava l’inizio delle quattro stagioni,Cfr FLAVIO GIUSEPPE, Guerra Giudaica, II, 8,5: “Prima del levar del sole, essi [gli esseni]Cfr Documento di Damasco, II,18; Apocrifo della Genesi, II,1.Nella Tradizione apostolica di IPPOLITO si afferma: “Nel mezzo della notte, sollevandoti dalCfr Regola della Comunità, 1,1ss1 e 6,2s.22.Cfr anche At 19,9.23; 22,4; 24,14.22.Cfr. At 15,1-29.Tra l’altro, l’espressione «pii» rientra tra gli appellativi dati agli esseni.Cfr At 7.Cfr At 6,1-7.
Cfr. At 11,26: “Ad Antiochia per la prima volta i discepoli ebbero il nome di «cristiani»”.Demonstratio Evangelica, I, 4.Cfr. Historia ecclesiastica, IV, 5,3.Quest’ultimo sussulto nazionalista giudaico fu soffocato dai romani nel 135.In realtà la comunità giudaico-nazarena continuò a lungo a chiamare i suoi luoghi diCfr. At 12,12-17.Cfr. At 1,15.Cfr At 2,1-4.Cfr. Mc 14,12-16 e paralleli.Cfr. GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, II, 124.
].”Cfr. XLVI, 13-16: “E costruirai una latrina per essi al di fuori della città, dove dovrannoL’antica capitale della Siria, su cui il Sinedrio non aveva alcun potere di giurisdizione, eraCfr anche Atti 4,32-35: «La moltitudine di coloro che avevano abbracciato la fede aveva unCfr il c.62 di Enoch, un testo ritrovato tra i manoscritti di Qumran e quindi meditatoIl passo di Gv 19,25 nel quale si dice “stavano poi presso la croce di Gesù sua madre e la‘Cleofa’ e ‘Alfeo’ sono la trascrizione e la pronuncia dello stesso nome ebraico Halphai.Imperatore dall’81 al 96.Storia ecclesiastica IV, 22,4. In precedenza Eusebio aveva riportato un’altra citazione diDue parole sull’espressione ‘fratelli’. Il termine greco neotestamentario “adelphoi”,Cfr Gv 2,12: “Dopo questo fatto, [Gesù] discese a Cafarnao: lui e sua madre e i fratelli e iRiguardo all’uso del termine ‘via’, che definiva il modo in cui i discepoli di Gesù facevano
Cfr il Commento a Isaia (frammenti 8-10, 11-18), il Florilegio (I, 11-13) e le Benedizioni(3s).Regola dell’assemblea, II, 11-15.
composto probabilmente dallo stesso «maestro di giustizia», si afferma: “A nessunoLa comunità era invece fondata sulla non-violenza: nella Regola si dice che il maskil “nonCfr Documento di Damasco, VII, 20.
«maestro di giustizia» redivivo? Ciò che, comunque, appare incontestabile è la certezza essenaInteressante e oscuro nello stesso tempo è un altro passo escatologico del Documento, oveDocumento di Damasco, XII,23-XIII,1; XIV,19; XX,1.I Testimonia, una breve raccolta di citazioni antico-testamentarie, fanno riferimento a treCfr Regola della comunità, IX,11: “fino alla venuta del profeta e dei messia di Aronne e diIl termine ‘messia’, dall’ebraico ‘mashiah’ e tradotto in greco con ‘christos’, significaRegola, IX, 12-14.Cfr Documento di Damasco, XIII, 2-4.Cfr Regola della comunità, III, 13-15.Cfr Regola della comunità, VI,12-15; Documento di Damasco, IX, 18ss; XIII, 5-19; XIV, 8-
Anche Giuseppe Flavio testimonia l’attività ‘terapeutica’ degli Esseni. Nella Guerra(II,136) egli afferma che “hanno una cura straordinaria degli scritti degli antichi,Documento di Damasco, VI,14 - VII,4.Cfr Documento di Damasco, XIII,1-7.Regola dell’assemblea, II, 11-22.Regola della comunità, VI, 3-5.Cfr Regola della comunità, V,2.9.21.Cfr Documento di Damasco, XIII, 2ss.Cfr 1 Pt 2,4-10.Regola della comunità, VIII,6-10.Del resto, il dualismo esseno non pregiudica il rigoroso monoteismo della religione ebraica.Cfr la Regola con quanto si afferma fra le condizioni per entrare nella comunità manichea:Una raccolta di componimenti contenuti nell’Avesta, il testo sacro dello zoroastrismo.Cfr Regola della comunità, III,13 - IV,26. La capacità di discernere tra i due spiriti era diApologia dei Giudei, §1.GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, §§161s.Regola della comunità, V,10b-18a.
§14.Così afferma il filosofo FILONE D’ALESSANDRIA, contemporaneo di Gesù, nella suaGiuseppe Flavio conferma l’importanza di questi bagni rituali quotidiani all’interno delleSu questa importante cerimonia ebraica, cfr Lv, 16.Cfr il passo già citato della Regola della comunità, VIII, 13-16.GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, II,150.Regola della comunità, II,19-23 e VI, 3-5; 8: nel primo passo si parla di sacerdoti, leviti eGIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, II,122.GIUSEPPE FLAVIO, Guerra Giudaica, II,137s.Regola della comunità, VI, 13-23.
La Torah è la Legge che costituisce l’alleanza tra Yahweh e i suo popolo. Dopo l’esilio ilRegola della comunità, VIII, 10-16.Cfr Nm 3,17. Le dodici tribù sono menzionate in Gn 49 (Benedizioni di Giacobbe/Israele) eRegola della comunità, VIII, 1-5.
«santo», altri ad ‘hasayim’, che significa «guaritori»...
. Nella primavera del 1947, casualmente, un pastore beduino, nel cercareCfr GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII,2. Tuttavia, nonostante la probabile originePare che il termine /sadducei/ derivi dal fatto che si ritenevano i legittimi continuatori dellaIl Sinedrio era il consiglio supremo per quanto riguardava la vita interna del giudaismo.L’etimologia del nome ebraico ‘perushim’, tradotto dal vocabolo greco ‘pharisaioi’, pareSecondo il Talmud, originariamente gli hasidim, o «devoti», erano soliti fare voto diUn personaggio biblico considerato il braccio destro e il portavoce di David e di Salomone,
La letteratura apocalittica, diffusa nel giudaismo nei quattro secoli a cavallo dell’eraDal momento che, dopo la deportazione babilonese (586-538 a.C.), gli esuli che erano

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