domenica 5 settembre 2010

G E N E S I B I B L I C A - Evoluzione o Creazione? CAINO E' LA CHIAVE DEL MISTERO!!! (Dagli scritti di Don Guido Bortoluzzi)

Dagli scritti di


Don Guido Bortoluzzi

GENESI BIBLICA

EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO E’ LA CHIAVE DEL

MISTERO

Terza edizione

La curatrice

Renza Giacobbi Via I Novembre, 1 32100 Belluno - ITALIA

Tel. 348 9598086 - http://www.genesibiblica.eu

Il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dogmatica LUMEN GENTIUM al cap. 4°

dice: “…Egli (Lo Spirito) introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13),

la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni

gerarchici e ‘carismatici’, la abbellisce dei suoi frutti”. (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal

5,5,22).

Nella Costituzione Pastorale GAUDIUM ET SPES al cap. 44 dice: “…L’esperienza

dei secoli passati, il progresso delle scienze, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura

umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove

vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa… È dovere di tutto il

popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di

ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e

di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità ‘rivelata’sia capita

sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta”.

A Maria Assunta, la Madre naturale di Gesù e Madre secondo lo Spirito di tutti i

redenti, Concepita senza alcuna macchia, o tara, del peccato originale, Colei che è Regina

del Cielo e della Terra e che fu resa da Suo Figlio la Mediatrice di tutte le Grazie, sempre in

lotta contro il ‘demonio’, ma su lui Vittoriosa.

Introduzione

di Renza Giacobbi

Quando iniziai il lavoro di riordinare gli scritti di don Guido per adempiere alla

promessa che gli feci di portare a pubblicazione questo testo, mi sentivo oppressa dalla

responsabilità di tale compito. Ma, mano a mano che procedevo, mi presero una pace,

una gioia, un entusiasmo inspiegabili. Mi rendevo conto che, al di là dei fatti narrati,

cambiava il mio modo di pormi davanti a Dio e al prossimo, perché cambiava la mia

prospettiva nel vedere le cose. La mia fede in Dio diventava fiducia, il mio rapporto con

gli altri diventava comprensione.

Feci leggere questo libro ad alcune persone amiche che, superato lo stupore per gli

argomenti trattati, provavano gli stessi sentimenti e affermavano che, come ogni Parola

di Dio, questa rivelazione guariva le loro ferite profonde dell’anima: era come se la loro

vita fosse giunta ad una svolta perché il rapporto con se stessi e gli altri non era più lo

stesso.

Il Vangelo ci invita ad amare il prossimo. Ma com’è possibile amare qualcuno che è

indisponente o, peggio ancora, una persona senza morale? È impossibile se non

conosciamo cosa c’è dentro la natura dell’uomo e se non gli diamo delle attenuanti. Freud

ha sondato il subconscio e l’inconscio, ma, come scienziato, è rimasto emotivamente

indifferente di fronte alle alterazioni della psiche.

Con la lettura di questa rivelazione, invece, si arriva alla conoscenza delle cause

profonde del modo di sentire e di comportarsi dell’uomo e il nostro approccio non rimane

più quello dello spettatore, perché nasce in noi un sentimento di comprensione e di pietà

che ci permette di amare anche ciò che è sgradevole sapendo che di quel comportamento

spesso l’uomo non ha colpa, ma ne è vittima. Così, cambiando il nostro atteggiamento,

vediamo con sorpresa che anche gli altri di riflesso cambiano il loro nei nostri confronti.

L’amore per il prossimo allora non è più una mèta irraggiungibile, perché la

conoscenza profonda della natura umana ci viene in soccorso ispirandoci tolleranza e

perdono per noi stessi e per gli altri. Questa rivelazione diventa mezzo di guarigione

perché spiega, con la ragione, molti comportamenti umani inquadrandoli nella loro giusta

dimensione e, soprattutto, fa sì che la guarigione diventi attuabile perché è Dio stesso che

se ne fa carico e a questo scopo ha predisposto i mezzi e gli strumenti, ai quali l’uomo

possa ricorrere.

Non più conflitto fra Scienza e Fede

Qual’è il problema di oggi che offusca la verità? Non è solo l’incomprensione fra

Scienza e Fede, ma la crisi stessa della Scienza che, riguardo all’origine dell’uomo, è divisa

in due correnti di pensiero diametralmente opposte ed inconciliabili: l’evoluzionismo e il

creazionismo. Sono inconciliabili perché, pur dicendo entrambe alcune verità, ciascuna

delle due ha dei limiti negli stessi suoi presupposti, limiti che entrambe non sono in grado

di superare. L’evoluzionismo, credendo di aver trovato la chiave dell’evoluzione nel

‘caso’, sul quale poi interverrebbero dei fattori successivi come l’ambiente e la selezione,

si è insabbiato da solo quando non può spiegare come si passi dalla materia al pensiero o

come si formino organi complessi come l’occhio e così via; il creazionismo, d’altro

canto, resta incompreso quando si ostina a prendere alla lettera espressioni della Bibbia

che invece vanno lette con profondo rispetto perché contengono sapienti significati

allegorici.

Per cui la scienza, privata di un’etica superiore perché non fa più riferimento al

legittimo Creatore, si sta comportando in modo selvaggio compromettendo la vita stessa

del pianeta e con essa quella dell’umanità.

Tuttavia queste correnti hanno dei meriti: gli evoluzionisti hanno messo in evidenza la

scala biologica delle specie, mentre i creazionisti ridanno a Dio il Suo ruolo di Creatore e

di legittimo Signore della vita.

Papa Giovanni Paolo II durante un’intervista fattagli dal prof. Nicola Cabibbo, fisico e

docente all’Università la Sapienza di Roma e presidente della Pontificia Accademia delle

Scienze, dichiarò che non vi è alcun problema per la Chiesa convenire che esiste ‘un

continuo’ fra tutte le specie dalle cellule primordiali all’uomo, purché Dio mantenga il Suo

ruolo di diretto Creatore. Tuttavia, aggiunge il prof. Cabibbo, nessuno scienziato è stato in

grado finora di dire ‘come’ siano apparse le varie specie e come sia apparso l’uomo. A ciò

ha provveduto il Signore stesso con questa rivelazione.

La terza via: la creazione mediata

Il superamento di queste opposte posizioni può avvenire solo attraverso nuove

conoscenze che aggiungano quel tassello mancante attraverso il quale tutta la realtà è

spiegabile. Questo tassello, posso dirlo senza presunzione perché l’autore ne è il Signore

stesso, è questa rivelazione.

Questo nuovo elemento, finora mancante, è nell’aver portato a conoscenza la vera

storia dell’uomo, dalla sua origine al pregiudizio che ne seguì per il cattivo uso della sua

libertà che determinò l’involuzione della specie umana fino a farla scomparire come

specie pura per lasciarla sopravvivere mimetizzata fra le specie inferiori. Solo dopo che

l’umanità ebbe toccato il fondo, iniziò il suo recupero e quella che gli evoluzionisti

chiamano evoluzione, in realtà non è che la sua rievoluzione, che molto meglio andrebbe

definita come “la sua ricostruzione”, sorretta dallo stesso Creatore.

Così gli evoluzionisti, che hanno presente solo quest’ultima fase, possono dire di aver

giustamente compreso lo sviluppo psichico e fisico dell’essere umano e vengono

incoraggiati sul loro studio antropologico, mentre i creazionisti possono finalmente veder

coronata la loro intenzione di dare a Dio ciò che è di Dio: la creazione dell’uomo e di ogni

altra specie. Questa rivelazione è finalizzata a chiarire con argomenti scientifici, ma

accessibili a tutti, i punti oscuri della Genesi. In sintesi Dio dice che ogni creazione di una

nuova specie è sempre partita da un seme e che mai una pianta o un animale è stato

creato allo stato già sviluppato e adulto come per magia, sebbene questo Gli sarebbe stato

possibile essendo Egli Potenza Assoluta. Questo principio di iniziare ogni creazione dal

seme vale sia per l’universo che per la vita.

Non spiega come Dio creò la vita ai suoi albori ma, mostrando come operò per creare

il primo Uomo e la prima Donna, suggerisce di estendere questo principio anche alla

creazione di tutte le altre specie.

Quindi, anche il primo Uomo e la prima Donna non furono creati già adulti, come

vorrebbero i creazionisti fondamentalisti, né in via di evoluzione come vorrebbero gli

evoluzionisti, ma vennero creati nella loro prima cellula e già nella loro perfezione

assoluta.

E dove mai avrebbe potuto svilupparsi la vita in embrione se non nel-l’utero di una

femmina di una specie già esistente?

A questo scopo il Signore si servì, come ‘mezzo’ per la creazione dell’Uomo e della

Donna, di una femmina di una specie ora estinta, quella degli ancestri (così denominata dal

Signore). Perciò questo processo è stato chiamato ‘creazione mediata’ perché, come

dice l’espressione stessa, Dio ha usato come ‘mezzo’, o supporto, ciò che era già stato

creato: regola questa usata, prima ancora, per la creazione di qualsiasi altra nuova specie.

La sola, ma importantissima, differenza rispetto alla creazione di tutte le altre specie fu

che nella creazione dell’Uomo e della Donna Dio aggiunse, fin dall’attimo del loro

concepimento, un elemento nuovo, il Suo Spirito, così che essi divennero spiritualmente

Suoi Figli.

Quindi l’Uomo deriva, ma ‘non discende’ dalla specie immediatamente inferiore

perché in tutto e per tutto è ‘nuova’creazione non essendo passato alcun gene dalla

specie inferiore a quella superiore. Passò solo il nutrimento. Ciò non toglie che le due

specie, quella umana e quella ancestre, pur avendo un ‘numero’ di cromosomi diverso,

siano state create con un certo numero di geni uguali.

Fu l’enorme quantità di specie in progressione di sempre maggior complessità e

perfezione ad indurre in errore gli evoluzionisti che dedussero che il processo evolutivo

fosse spontaneo.

Per quanto concerne i contenuti, il Signore fece vedere a don Guido come il peccato

originale, peccato di disobbedienza, di estrema presunzione e di autosufficienza commesso

dal primo Uomo con la femmina ancestre dalla quale la specie umana era derivata, inquinò

la specie umana perfetta pregiudicando le generazioni successive. Si determinò quindi una

strana situazione: da un lato si ebbe una discendenza pura e legittima derivata dalla prima

coppia dei Figli di Dio, l’Uomo e la Donna; dall’altro una discendenza ibrida derivata dallo

stesso Uomo e dalla femmina ancestre appartenente alla specie subumana. Quindi si

ebbero due genealogie parallele, una pura e legittima con tutti i requisiti di perfezione

ricevuti da Dio, ed una ibrida e illegittima che si degradò fino a perdere ogni sembianza

umana per mimetizzarsi fra gli ominidi.

Le novità non sono poi tanto nuove come potrebbero sembrare a prima vista, perché

le due figure femminili, Eva, la femmina ancestre che fu la partner di Adamo nel peccato

originale e che divenne madre di Caino, e la Donna, la legittima e innocente sposa di

Adamo che divenne madre di Abele e di Set, sono contemplate anche nella antica

tradizione ebraica la quale racconta che furono due le ‘cosiddette mogli’ di Adamo: una, la

prima, Lilith, che generò dèmoni e mostri malvagi, l’altra che generò uomini.

Con il passare del tempo, quando ai Figli di Dio (i discendenti puri di Adamo) piacquero

le più belle delle figlie degli uomini (le femmine dei discendenti ibridi di Adamo) e le

presero in mogli, ossia come schiave concubine (Gn. 6,2), i due rami genealogici

cominciarono a fondersi a spese del ramo puro che lentamente si assottigliò fino a

scomparire definitivamente come specie pura, assorbito dalla popolazione ibrida. Così i

discendenti ibridi s’inabissarono progressivamente in un’involuzione psicosomatica che

fece perdere loro i requisiti di uomini perfetti per farli sopravvivere allo stato di ominidi.

Pertanto questi uomini ibridi persero non solo il requisito di Figli di Dio, ma anche lo

Spirito di Dio (Gn. 6,3) perché lo Spirito di Dio non poteva abitare in esseri animaleschi.

Solo dopo che le frange più compromesse furono spazzate via da selezioni di vario

tipo, il Signore iniziò il recupero della specie umana ibrida, promuovendo un processo di

ricostruzione. Alla specie ibrida, cioè discendente del ramo illegittimo di Adamo,

appartiene oggi tutto il genere umano. I reperti archeologici sono dunque la prova non

dell’evoluzione della specie umana, bensì del suo decadimento e del suo recupero,

fenomeni che spesso si sono intrecciati fra loro. E questo processo di ricostruzione è

ancora in atto.

Quando poi l’umanità rievoluta raggiunse un livello di sufficiente capacità di intendere

e di volere, cioè nella pienezza dei tempi, Dio mandò Suo Figlio Gesù affinché ridonasse il

Suo Spirito a tutti i miti e i giusti della terra così che, per la Sua obbedienza e mediazione,

essi potessero esser riammessi all’eredità spirituale e potessero esser riaperte loro le porte

dell’eterna felicità. Perciò, in quanto figli illegittimi, senza la Redenzione ‘non siamo

eredi’ dei beni eterni previsti da Dio per i Suoi Figli legittimi: solo la Redenzione operata

da Cristo può riportare i ‘figli naturali dell’Uomo’ (Adamo) nella condizione di ‘figli

adottivi di Dio’.

Questa rivelazione è di una semplicità e di una logica straordinarie, come lo è del resto

ogni cosa che proviene da Dio.

Il Vangelo dice che Gesù, alla fine della Sua missione, disse ai Suoi apostoli: “Avrei

ancora molte cose da dirvi, ma per ora non siete in grado di portarne il peso” (Gv

16,12). Quindi Gesù sottintendeva che la Rivelazione rimaneva aperta e che, quando gli

uomini fossero stati in grado di ‘portarne il peso’, cioè di capire correttamente ciò che

fosse stato loro rivelato, essa avrebbe avuto un seguito. Questa rivelazione è un supporto

esplicativo di ciò che è già stato detto nella Genesi mosaica, ampliando dettagli e

rispondendo a quei quesiti che la prima non poteva dare. Se il Signore ha atteso questi

tempi, è perché questa rivelazione, che riguarda principalmente la genetica, aveva bisogno

che la scienza fosse in grado di comprenderne i passaggi e i contenuti, altrimenti sarebbe

stata inutile. Essa è importantissima perché non solo chiarisce e spiega ciò che nella

Genesi è detto ‘in nuce’ sotto forma di metafore o di simboli, ma ci dà quella

comprensione che è indispensabile per capire in profondità il vero significato della

Redenzione.

A coloro che obiettano che la rivelazione si è chiusa con l’ultimo Apostolo perché

hanno letto gli ultimi versetti dell’Apocalisse, diremo che, se fanno bene attenzione,

vedranno che questi si riferiscono solo all’Apocalisse. Nessuno potrà mai limitare la

libertà di Dio che, da buon Padre, desidera avvicinarsi ai Suoi figli attraverso i canali che

Egli stesso di volta in volta sceglie per soddisfare quelle esigenze di conoscenza che

proprio Lui ha stillato nell’uomo. Gesù ha fondato la Sua Chiesa che, pur essendo Una, si

esprime con due funzioni distinte e fondamentali: da un lato la Chiesa gerarchica è

preposta per amministrare la Grazia in tutte le sue forme, dall’altro la Chiesa carismatica

ha la funzione di rendere viva e attuale la Parola di Dio dandole luce e calore. Queste due

funzioni della Chiesa non sono in concorrenza fra loro, ma sono complementari e si

integrano a vicenda.

È dunque ragionevole evitare di assumere a priori posizioni negative di fronte alla

rivelazione ricevuta da don Guido, la quale è veramente un segno della Misericordia di Dio,

perché i suoi presupposti sono conformi al Credo cattolico.

L’esperienza di secoli ci insegna che non basta che una verità non ancora conosciuta

sia verità perché si autoaffermi. La verità ha anche bisogno di trovare un animo aperto

senza preconcetti. E, quando questo avviene, è necessario, per essere accreditata, che tutti

i tasselli razionali s’incastrino perfettamente e che nessun punto sia in contraddizione con

tutti gli altri.

Ho cercato di eseguire questo lavoro con il massimo scrupolo. Dove è stato possibile

ho arricchito il testo con spiegazioni, commenti, descrizioni più ricche di particolari e di

colore, presi da altri scritti di don Guido e da appunti tratti dalle nostre frequenti lunghe

conversazioni con il desiderio di fare unicamente la Volontà del Signore.

Proporrei un piccolo suggerimento al lettore che, preso dalla curiosità, potrebbe essere

invogliato ad anticipare la lettura di alcuni capitoli. Poiché questo insegnamento del

Signore ha un unico filo conduttore che ha una logica molto ferrea, se non viene seguito

passo-passo, perde molti punti del suo ragionamento. È come la dimostrazione di un

teorema di geometria che, qualora venga saltato un passaggio, tutto il teorema cade. Ad

esempio la scoperta dell’identità di Eva, fondamentale per la comprensione di tutta la

rivelazione, avviene per gradi ed è giusto seguire il percorso di comprensione che ha

seguito don Guido.

Direi che anche la biografia di don Guido ha molta importanza per capire come il

Signore lo abbia preparato al Suo incontro fin dalla più tenera età.

Mettiamoci dunque di fronte alla Genesi rivelata a don Guido con animo aperto e privo

di prevenzioni! Sarà più facile la sua comprensione e più grande il vantaggio per la scienza

e la teologia.

SEZIONE I

Vita di Don Guido Bortoluzzi

Un’infanzia difficile

Il 7 ottobre del 1907 veniva alla luce a Puos d’Alpago, poco lontano dal lago di S.

Croce in provincia di Belluno, il piccolo Guido, terzogenito di Osvaldo Bortoluzzi che,

dopo essere rimasto vedovo con la nascita del primo figlio, aveva sposato in seconde

nozze Ancilla Mocellin. Entrambi i genitori erano maestri elementari.

Dal primo matrimonio il padre aveva avuto Giuseppe, otto anni più grande di Guido,

che morì ancora adolescente.

Dalla seconda moglie ebbe altri tre figli: prima Gino, nato nel 1906, poi Guido, nato

nel 1907 e infine Giulio, nato nel 1910.

La vita di Guido è stata segnata fin dai primi momenti da difficoltà: la madre non

aveva latte e a quei tempi il latte artificiale non c’era ancora.

La nonna paterna Caterina si diede da fare e trovò a 7 km di distanza una buona

contadina che aveva appena perduto il suo bambino ed era disposta a prendere a balia il

piccolo. Aveva latte buono e tanto amore materno.

Così nonna Caterina mise il neonato in una gerla di vimini e s’incamminò a piedi su

per la montagna. Tra le braccia della balia Guido succhierà, insieme al latte, amore e cure.

Sarà questo uno dei rari periodi di serenità della sua infanzia.

Ad un anno, un mese e un giorno la balia lo riporterà a casa ancora con la gerla dalla

quale il piccino, lungo la strada, faceva eco alle preghiere che la donna recitava a voce alta

rispondendo ad ogni litania: “Oa po nobis”.

Dopo poco la famiglia si trasferì a Farra d’Alpago dove con un mutuo i genitori

avevano comprato una piccola e vecchia casa.

L’ambiente era freddo in tutti i sensi. Fra i genitori non c’era armonia. La madre ‘siora

Ancilla’, o semplicemente ‘la maestra’, come tutti la chiamavano, era brava, energica e

temuta insegnante, ma dura e parziale con marito e figli.

Il marito, appassionato cacciatore, si rifugiava sempre più spesso nelle battute di caccia

pur di stare lontano da casa. Sovente si fermava a dormire nei cascinali, incurante del

maltempo. Fu così che s’ammalò di tubercolosi, malattia che lo portò alla morte nel 1911

poco dopo la nascita del quarto figlio. Uomo impulsivo, collerico, scontento, era la

sofferenza della vecchia nonna Caterina che non riuscì con le sue premure a farlo

riaccostare ai Sacramenti neanche quand’egli si trovò in fin di vita. Lo ottenne il piccolo

Guido.

Si legge in una pagina autobiografica:

Quella santa donna carismatica che fu mia nonna paterna mi predisse fin da quando

avevo quasi quattro anni che da grande sarei stato prete e sarei stato contento di sapere

che il papà prima di morire aveva fatto pace con Dio. Era gravemente malato e aveva

espresso il desiderio di vedere i suoi tre figlioletti prima di morire.

Abitavamo a 8 km di distanza e ci andammo in carrozza. Non potevamo baciarlo in

faccia perché c’era pericolo di TBC.

La mamma si fermò da lui in camera; noi, piccoli, fummo invitati dalla nonna a

rimanere fuori, nel corridoio. Qui la nonna chiamò vicino a sè il più grande, di 5 anni.

Voleva incaricarlo di una missione, ma egli scappò via. Chiamò me e disse:

– Hai visto il papà com’è patito! Morirà presto e non lo vedrai più. – E piangeva. –

Poveri piccoli! Ha patito tanto, sai, e patirà ancora di più dopo morto perché ha detto

tante e tante bestemmie. Ma tu vuoi bene al tuo papà, vero? Tu puoi salvarlo dai

patimenti dell’inferno dopo la morte. –

Farra d’Alpago: la casa acquistata dai genitori (com’è ora)

E mi spiegò in breve cos’è l’inferno.

– Va dentro e digli che chiami il prete e che faccia pace con Dio. –

Entrai e dissi:

– Papà, ti voglio bene; non voglio che tu vada a patire anche all’inferno. –

– Reazione violenta: – È stata quella stupida di tua nonna a dirti queste cose? – E giù

ingiurie e bestemmie. Scappai fuori e dissi alla nonna:

– È cattivo, non torno da lui. –

Lei invece mi convinse a ritornare. Mi promise che avrebbe pregato lo Spirito Santo e

la Madonna perché gli facessero capire l’importanza e l’urgenza del messaggio. Mentre

mi scostavo da lei disse:

– Povero innocente, perché sei così piccolo non ti crederà. Ma ti seguo con la

preghiera. – Arrivato al capezzale del malato, dissi subito:

– Papà, tu non mi credi perché sono piccolo, ma io so, sai, quello che dico. Quando

sarò grande sarò prete e sarò contento di sapere che, prima di morire, hai fatto pace con

Dio. –

– Io sono sempre in pace con Dio. –

– Eh no, papà. Ti ho sentito dire bestemmie e parolacce alla nonna.

– Da quanto è che gli insegni la lezione? – chiese alla mamma.

– Non gli ho mai parlato di queste cose. –

Erano circa due anni che egli viveva dai nonni e ignorava i miei progressi nel

parlare. Egli mi guardò fisso per alcuni istanti, poi disse:

– Vieni qua, che ti dò un bacio. –

Nonna e mamma intervennero: – No! È troppo pericoloso! –

– Lasciatemi quest’ultima soddisfazione prima di morire. –

Devo dire che mentre parlavo col papà la nonna usciva in molte esclamazioni:

– Caro da Dio! È lo Spirito Santo che gli fa dire queste cose. Ascoltalo figlio mio, è

tuo sangue. –

Un anno dopo la nonna venne a trovarci a Farra. Si mostrò buona con me. – Tu hai

salvato tuo padre – disse – e salverai ancora molte anime. –

La nonna in quell’occasione gli portò un giochino. Quando partì, la mamma prese il

gioco per darlo a Giulio, il più piccolo, che lo ruppe subito.

Dopo la morte della nonna Guido non ebbe più nemmeno il soldino che ella donava ai

nipotini nelle feste.

Orfano di padre e con la morte della nonna, la sua vita divenne ancor più triste. La

madre aveva per lui un astio incontrollabile e una predilezione speciale per il piccolo

Giulio che era il più bello ed il più gracilino dei quattro maschi. Guido invece era un

bambino forte, che cresceva bene. Forse per questo a tavola, nella povera cucina, doveva

sedersi sempre nel posto più esposto agli spifferi che entravano dalle fessure della finestra.

Negli inverni freddi l’aria gelida che gli arrivava dritta alle spalle diventava un tormento.

Fino alla quinta elementare non ebbe neppure un letto normale e fu costretto a

dormire raggomitolato in un lettino con le sponde che gli impedivano di allungare le

gambe.

Come i suoi fratelli, doveva andare a turno a prendere l’acqua alla fontana, portare al

primo piano la legna e fare ogni genere di servizi, come quello di salire a prendere il latte

alla malga Pèterle che distava più d’un’ora di cammino, dove in estate alpeggiavano le

mucche della valle.

Scrive don Guido: “Ebbi un’infanzia e una fanciullezza senza i giochi e gli spassi di

quell’età per dover accudire alle faccende di casa, ma con la gioia di andare in chiesa

alle funzioni e a cantare”.

La sua precoce vocazione diventa una promessa

Fu appunto durante una di queste escursioni per andare a prendere il latte quando,

all’età di dieci anni, gli accadde un fatto che rafforzò la sua decisione di offrire tutto se

stesso alla Madonna e al Signore e diventare prete: la Madonna lo aveva miracolosamente

salvato dal pericolo di cadere in un precipizio.

Riprendo un’altra pagina autobiografica.

Ero arrivato alle Casere Pèterle, in cima alla valle Runàl, a prendere il solito latte da

Giovanna Mira quando mancava poco più di un’ora al tramonto. In breve il sole fu

oscurato dalle nubi e cominciò a piovere. Nella speranza che cessasse, mi fermai. Ma,

visto che continuava, mi decisi di ripartire. Mi diedero una vecchia giacca per coprirmi

le spalle.

Calzavo un paio di scarpette di pezza. Dovevo risparmiare le ‘dàlmade1’ dai danni dei

ciottoli che coprivano la strada ripida, ma i danni li sentivano le mie caviglie.

Mi sconsigliarono di prendere la scorciatoia per i prati del Col Salèr ai Lastrìn, ma,

giunto al bivio coi piedi dolenti, preferii eventuali scivolate sul prato ai sassi che mi

rotolavano sotto i piedi.

Si fece buio presto e non sapevo a che punto dovevo girare a sinistra per ritornare

sulla strada. La pioggia sempre più fitta ad ogni nuovo lampo e tuono faceva scorrere

l’acqua sotto i miei piedi.

Lunghi scivoloni mi avevano portato troppo a destra dove sotto c’era il burrone

profondo e il torrente che rumoreggiava minaccioso. Ad ogni scivolone mi adagiavo sul

fianco per aderire di più al suolo ripido e per poter piantare le dita della mano libera sul

terreno e così trattenermi.

Con l’altra tenevo il manico del vaso del latte che era da cinque litri, ma ne

conteneva uno soltanto, non avendone trovato uno più piccolo.

Un terrore inesprimibile mi invase quando mi sentii scivolare per una decina di metri

fin dove sentivo direttamente il fragore del torrente sottostante. Mi adagiai supino

annaspando intorno senza trovare alcun appiglio. L’acqua piovana scorreva sotto la

mia schiena. La vecchia giacca che mi era stata data era inzuppata e pesante e mi era

sfuggita dalle spalle.

Terrorizzato invocai la Madonna. In cima alla valle c’è Irighe col suo Santuario,

mèta di pellegrinaggi. A Lei rinnovai il mio proposito di consacrarmi al Signore.

1

Scarponcini artigianali di cuoio grezzo con una grossa suola di legno sagomato e fissato alla tomaia con

borchie piantate tutt’attorno.

Non osavo muovermi perché ogni piccolo movimento mi faceva scivolare.

Mi vedevo con la fantasia ormai morto sfracellato laggiù e immaginavo come il dì

seguente mi avrebbero cercato e raccolto in pezzi.

Invocavo un po’ di luce, urlando fortemente.

Proprio sopra di me guizzarono successivamente tre lampi e vidi la mia posizione.

Riuscii a raccogliere la giacca, ma non il berretto nuovo al quale ero affezionato per

la piccola aquila dorata che era stata cucita sul davanti.

Fatti alcuni passi prudenti verso la strada, mi ritrovai di fronte ad un profondo

crepaccio. Non potevo saltarlo e non trovavo, nel buio, il modo di aggirarlo. Disperato

urlai ancora:

– Madonna Santissima, aiutatemi ancora. Fate che trovi la via d’uscita. –

Fui molto contento di vedere ancora un lampo e poi un secondo. Così riuscii a

portarmi in salvo.

Il berretto fu trovato, su mie indicazioni, da mio fratello maggiore il giorno seguente,

in cui toccava a lui, di turno, recarsi alle Casere Pèterle, a prendere il solito litro di latte.

Foto: In ordine: Guido, Gino, la madre e Giulio. (per le foto vedi sul sito)

La visione dell’apparizione della Madonna ai tre pastorelli a Fatima, il 13 ottobre

1917, avuta da don Guido a 10 anni

Di lì a poco ci fu un altro episodio che vagamente si ricollega a quello precedente per

via di quel famoso berretto e che ricorderà da adulto con molta commozione in un altro

brano autobiografico.

C’è un rapporto misterioso tra una visione che ho avuto il 13 ottobre 1917 all’età di

dieci anni e il fatto straordinario accaduto lo stesso giorno a Fatima in Portogallo.

Quel giorno mi trovavo a giocare a nascondino con un amico in una stalla vuota di

animali, presso casa mia. Egli mi tolse il berretto, lo gettò sul selciato e vi buttò sopra

una bracciata di foglie secche tolte da un grande mucchio addossato alla parete,

sfidandomi di trovarlo entro lo spazio di un’Ave Maria.

– Adesso trova il tuo berretto – disse.

– Lo troverò – risposi – a costo di passare le foglie ad una manciata alla volta. –

Trovato il berretto, toccò a me nasconderlo. A turno egli si voltò dalla parte opposta,

mentre nascondevo il berretto sotto un mucchio più grande di foglie. Il gioco continuò

con sfida alterna. Ad un nuovo turno mio, il berretto si trovò sotto un mucchio di foglie

alto quanto la mia statura.

La campana suonò l’Ave Maria di mezzodì e l’amico scappò via.

Introducendo il braccio tra il fogliame, non riuscivo più a pescare nel fondo il

berretto come le altre volte. Non si trovava più al centro della base del cumulo. Dovetti

adattarmi a prendere una bracciata alla volta di quelle foglie e riportarle nel mucchio

grande. Quel berretto, comprato qualche mese prima per me, mi aveva recato una

grande gioia quando mi venne regalato da mamma. Portava sul davanti, sopra il

frontino, un’aquila di metallo dorato con le ali aperte, ma era stato ridotto ad un cencio

durante il furioso temporale di qualche giorno prima, quando lo perdetti in montagna e

rischiai di perdere insieme anche la vita.

Faticai quel mezzodì del 13 ottobre a trovare il berretto nascosto per gioco e intanto

meditavo sul terrore di quella sera, delle mie grida di aiuto alla Madonna, sul miracolo

dei lampi che mi salvarono, e sulla mia promessa...

Quando ritrovai il berretto, ebbi d’improvviso la visione che la Madonna stava

apparendo a dei bambini grandi più o meno come me e vidi che stava compiendo un

miracolo2.

Temendo d’esser creduto un visionario, tenni il segreto per me. In casa chiesi a

mamma se era successo qualcosa di importante nel mondo. Andò a prendere il giornale.

Nulla. Il dì seguente mi disse che tutti i giornali parlavano di Fatima e dei tre fanciulli.

Molte volte, guardando quel berretto che ancora conservo, penso a quella visione...

3 .

Nel frattempo era venuta la guerra e con essa la fame.

Dopo che l’affezionatissima nonna era morta, i due figli più piccoli, Guido e Giulio,

vennero mandati a Tambre d’Alpago, paese di origine dei genitori, da uno zio che faceva

il contadino, perché lo aiutassero in campagna e nella stalla in cambio di un piatto sicuro.

Giulio fu riportato a casa dopo poco tempo perché era sempre in lacrime per la nostalgia.

Guido invece rimase lì, salvo brevi intervalli, per quasi tre anni, ben voluto e ben nutrito.

Tornò a casa più forte e più sano.

2 La visione fu solo visiva, non uditiva. Ciò che il piccolo Guido vide fu l’apparizione della Madonna ai tre

pastorelli e il miracolo del sole che in quello stesso giorno a Fatima prese a girare davanti a migliaia di

persone. Una curiosità: don Guido è nato nel 1907, lo stesso anno di Sr. Lucia di Fatima.

3

Il ricordo della visione del 13 ottobre del 1917 fece pensare a don Guido, una volta concluse le rivelazioni,

che ci fosse una relazione fra queste e il terzo segreto di Fatima, visto che la Madonna li aveva in qualche

modo associati.

Nemmeno questa lunga assenza fu sufficiente a fargli recuperare l’affetto della madre

che in quel periodo aveva visto solo tre volte nonostante la sua casa distasse appena 8 km

da quella dello zio: forse assomigliava troppo a sua nonna Caterina che lei non

sopportava.

Il Cappellano di Farra lo notò per la sua bontà e correttezza e, benché appena

dodicenne, gli affidò l’incarico di catechista ad una trentina di compagni in vista della

Prima Comunione. Gli impartì anche i primi elementi di latino.

Di lì “...l’invito del parroco ad entrare in Seminario, poi la Cresima, l’abbraccio del

Vescovo Cattarossi, gli studi...”.

Nel 1920 partì per Feltre, dove il Seminario aveva solo le classi inferiori.

Furono anni duri, in cui patì il freddo e la fame. Vi furono reclami da parte di

seminaristi e genitori e, dopo successivi controlli della Curia Vescovile di Belluno, le cose

andarono meglio.

Nel Seminario di Feltre ebbe le prime due predizioni riguardanti le future “rivelazioni

che avrebbe ricevuto da anziano dal Signore sulla Genesi Biblica”.

La terza la ebbe nel Seminario di Belluno e l’ultima quando già era Cappellano a Dont,

piccolo paesino della Val Zoldana.

Prima però accadde un fatto strano che lasciò perplesso don Guido:

“Padre Anselmo e Padre Emidio, francescani venuti da lontano, dopo aver predicato

una grande missione al mio paese nel 1921, vennero a cercarmi al Santuario di San

Vittore, vicino a Feltre, dove mi trovavo a passeggio con i miei compagni di Seminario, e

insistettero perché andassi con loro per farmi frate”.

Proposero al giovane Guido una borsa di studio che comprendeva l’intera retta per

tutti gli anni del Seminario: vitto, alloggio, libri, tasse scolastiche e la promessa della

consacrazione anticipata di un anno rispetto alla data prevista dai corsi regolari e quindi la

possibilità di celebrare la Messa dodici mesi prima. Insistettero a lungo e con tanta

benevolenza. Guido, allora quattordicenne, ne fu entusiasta perché provava una grande

fiducia per questi Padri. Tornato in Seminario, andò di filata nello studio del Rettore per

comunicargli la notizia. Ma questi gli disse in modo perentorio che, se anche fosse uscito

solo per prova, non avrebbe più rimesso piede nel Seminario di Feltre. Gli ricordò i grandi

sforzi economici fatti dalla sua famiglia e la riconoscenza che egli doveva ai suoi parenti e

ai Superiori e si fece promettere che avrebbe declinato l’invito.

Guido passò un giorno e una notte in grande angoscia, combattuto dal desiderio di

seguire i padri francescani e la promessa fatta al Rettore e finì per rinunciare. “Dissi ai

Frati che la loro divisa non mi piaceva e che la decisione era troppo impegnativa”.

Ripensando a quest’episodio non riusciva a capire come mai fossero venuti da così

lontano per fare solo a lui questa proposta, dal momento che nel Seminario e nella sua

stessa classe c’erano alunni molto più intelligenti e preparati di lui. Infatti nei suoi studi

non brillava per profitto. Per questo non si spiegava come qualcuno potesse aver interesse

a lui. Più tardi pensò che il motivo di tanta insistenza dei due Frati fosse dovuto alla loro

conoscenza di cose future che prudentemente non avevano voluto rivelare. Con l’età gli

rimase il rimpianto e il dubbio che quell’opportunità gliel’avesse mandata il Signore.

L’anno seguente accadde un fatto ancor più singolare: da alcune parole profetiche di un

santo Sacerdote venne a sapere che Dio lo aveva scelto come strumento per spiegare

all’umanità alcuni passi oscuri della Bibbia.

Sentiamo quanto egli stesso scrive.

1922: prima predizione, di San Giovanni Calabria_, del progetto di

Dio su don Guido

Nel 1922, mentre ero in Seminario a Feltre, ebbi una predizione di don Giovanni

Calabria.

Accadde questo fatto: con i miei compagni di classe ritornavamo dal cortile alla sala

di studio attigua alla stanza del Rettore. Il Rettore era davanti alla sua porta e parlava

con un Sacerdote forestiero.

Appena entrati, ci raggiunse lasciando l’uscio aperto e disse che quel Sacerdote era

don Giovanni Calabria, fondatore della Casa dei Buoni Fanciulli di Verona, un

carismatico come don Bosco, e che, guardandoci entrare, gli aveva detto che uno di noi,

diventato anziano, avrebbe scritto un libro molto importante e che avrebbe dovuto

scriverlo presto. Solo io, fra i dodici compagni, chiesi:

– Lo saprà quell’uno di noi, l’interessato, che il suo libro è molto importante? – Dal

corridoio mi giunse la voce di don Calabria: – Sì, lo saprà. È proprio lui. –

– Su quale argomento? – replicai.

– Vado a domandarglielo – rispose il Rettore. Il Rettore uscì e parlò con don

Calabria. Rientrato disse che quello lo avrebbe saputo e che riguardava la Bibbia, la

Genesi biblica.

Poi chiese: – Chi ha fatto quella domanda? –

4

S. Giovanni Calabria, figura profetica e grande carismatico della prima metà del XX secolo (18_3-1954),

fonda nel 1907 a Verona la ‘Casa dei Buoni Fanciulli’ per accogliere i giovani in difficoltà, nel 1910 fonda

l’ordine delle “Povere Serve alla Divina Provvidenza” e infine un ospedale e una casa di riposo. È stato

chiamato ‘il Profeta del Volto del Padre’ per la sua totale fiducia e abbandono in Dio come Padre buono. La

sua Opera infatti è interamente affidata alla Provvidenza, mettendo in pratica l’insegnamento del Vangelo.

Riteneva urgente irradiare il Vangelo in tutto il mondo per affermare il primato del Regno di Cristo e difendere

il patrimonio religioso e culturale della Chiesa dei primi secoli. Figura estremamente attiva nella Chiesa, è

stato beatificato nel 1988 e canonizzato il 18 aprile 1999.

Tacqui nel timore di aver commesso un’impertinenza. Ripetè l’interrogazione. Un

compagno disse il mio nome. C’era un mio omonimo. Uno m’indicò col dito. Egli mi

guardò, poi guardò tra i banchi il mio omonimo che era il più bravo della classe. E

poiché dell’altro don Giovanni Calabria aveva predetto che avrebbe cambiato strada,

disse:

– Ho capito. So io quale dei due. – Quello divenne il beniamino; io, secondo il

Rettore, ero quello che avrebbe cambiato strada.

Accadde il contrario.

Il Rettore pagò d’allora in poi per ‘l’omonimo’la retta di tasca sua. E poiché don

Calabria aveva predetto che ‘l’altro’ sarebbe uscito dal Seminario, il chierico Guido fu

trattato in seguito con molta freddezza e sufficienza.

1928: seconda predizione, di padre Matteo Crawley 5

Finito il ginnasio a Feltre, il giovane Guido si trasferì, con altri Seminaristi della

provincia, al Seminario di Belluno dove vi erano solo le classi superiori.

5 Padre Matteo Crawley-Boewey (1875-1960), di origine peruviana, ma residente in Cile, apparteneva alla

Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Grande carismatico con doni di profezia, comprese,

meditando le rivelazioni di santa Margherita Maria Alacoque, che ogni uomo e ogni nazione nasce sotto il

dominio del ‘Principe di questo mondo’ e che solo la piena adesione e consacrazione a Cristo di tutte le

famiglie e di tutte le istituzioni può ridare la libertà spirituale e fisica alla società. Per contrastare gli errori

dei tempi moderni e l’ateismo dilagante, dedicò tutte le sue energie ad estendere la devozione e la

consacrazione di tutte le famiglie e di tutte le nazioni cattoliche ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria con

l’obiettivo di portare il cristianesimo con vasto carattere sociale a tutti i popoli della terra per conseguire la

pace a livello mondiale. La sua iniziativa godette l’appoggio di papa Pio X, del suo successore Benedetto

XV e in particolare di Pio XI che durante il suo pontificato istituì la festa di Cristo Re con l’enciclica ‘Quas

primas’ nel 1925. P. Matteo Crawley rimase famoso anche per la sua iniziativa dell’Ora Santa, un’ora

mensile di adorazione notturna nelle famiglie, in riparazione agli oltraggi alla Regalità di Nostro Signor

Gesù Cristo. Morì in concetto di santità ed è in corso la sua causa di beatificazione.

Passarono gli anni e Guido crebbe meditando sempre le parole di don Calabria nel suo

cuore. Leggiamo ancora quello che accadde poi:

Nel 1928, all’inizio del secondo anno di teologia, Padre Matteo Crawley tenne un

ritiro per tutti i chierici e predisse a ciascuno, senza nominarlo ma fissandolo negli occhi,

il suo avvenire.

Fra gli altri ricordo che disse di uno, intelligente e buono, che sarebbe salito ai più

alti gradi della gerarchia ecclesiastica. Dai brevi connotati, molti capirono, compreso

egli stesso, che si riferiva ad Albino Luciani che allora faceva la prima o la seconda

liceo. Poi, dopo una breve pausa, soggiunse: “Ooooh..! Ahimè..! Ma durerà poco!”.

Guardò anche me e disse, fissandomi negli occhi, che uno di noi avrebbe ricevuto

una rivelazione sui punti oscuri della Genesi Biblica. Descrisse in breve la mia vita

dicendomi che avrei avuto molto da soffrire, anche per l’incomprensione dei miei

confratelli e dei miei Superiori.

Non avevo più dubbi: il Signore, malgrado le mie molte insufficienze, mi guidava al

Suo scopo.

Padre Matteo Crawley gli preannunciò anche che avrebbe subìto un furto. A quale furto

si riferisse non lo seppe mai. Solo in vecchiaia pensò che si fosse trattato del dizionario

dei toponimi che egli aveva composto con grande fatica e che gli fu sottratto dalla sua

casa di Farra.

Però questo vago annuncio gli diede fin da allora non poca inquietudine. Per questo

divenne un tantino sospettoso e diffidente con il prossimo.

Il suo voler sapere sempre il come e il perché delle cose, aveva dato al giovane Guido

fama di contestatore e per gli insegnanti era un alunno scomodo.

In un esame, presieduto dal Vescovo Cattarossi, si presentò la solita situazione di

prevenzione dell’esaminatore che, posta la domanda al giovane Guido, cominciò a parlare

senza dargli la possibilità di aprir bocca, nonostante egli cercasse con la mano di

interromperlo per esporre egli stesso.

Il professore fece per accomiatarlo e propose un voto sufficiente, ma basso.

Il Vescovo intervenne:

– Ora voglio sentire lui, gli faccia un’altra domanda. –

E Guido, libero questa volta di parlare, espose bene e diffusamente l’argomento. Il

Vescovo propose un nove. Fecero media, e gli venne dato otto.

Guido ne fu molto incoraggiato perché comprese d’essere stimato dal suo Vescovo.

1932: terza predizione, di mons. Gaetano Masi 6

Vi fu tuttavia fra i suoi Superiori chi lo considerava e lo vedeva con gli occhi del

Signore.

Nel gennaio del 1932, mentre erano in corso gli Esercizi spirituali agli ordinandi

Sacerdoti, mons. Gaetano Masi, Padre spirituale dei Seminaristi, concluse con questa

espressione:

– E quando il Signore si degnerà manifestare a uno di voi – guardando diritto al

chierico Guido – il mistero del peccato originale, ringraziateLo, perché solo per mezzo

della conoscenza della vera essenza del peccato originale potranno essere compresi il

mistero e l’economia della Redenzione. –

6

Nato a Vallesella di Cadore nel 1870, si laureò in filosofia e teologia a Bologna e in ‘utroque iure’ a Roma.

Nel 1895 divenne insegnante di dogmatica al seminario di Belluno. Rimosso dalla sua cattedra da Pio X per

le sue idee moderniste espresse sul settimanale cattolico ‘La Domenica’di cui era direttore, si trasferì prima a

Monaco di Baviera, poi a Vienna alle dipendenze dell’ ‘Opera Bonomelli’ per dedicarsi all’assistenza

spirituale degli emigrati. Nel 1913 venne richiamato a Belluno dal vescovo Cattarossi che lo designò l’anno

successivo vicario generale della diocesi. Nel 1919 gli venne assegnata la cattedra di dogmatica, catechetica

e teologia pastorale nel seminario di Belluno alla quale rinunciò dopo un decennio per dedicarsi totalmente

alla direzione spirituale dei seminaristi, fra i quali il chierico Guido. La sua spiritualità verteva

principalmente sulla ‘Consecratio Mundi’ a Cristo Re. Il suo motto era: “Fatevi santi senza riserve! Buttate

via il pessimismo e abbiate fiducia nella liberazione globale! Cristo infatti non ha solo salvato le anime, ma

anche i corpi, riconsacrando in radice tutte le realtà terrestri”. Morì improvvisamente come un santo nel 1936.

Non vi è dubbio che Mons. Masi ebbe un ruolo importante nella formazione di don Guido.

La consapevolezza della sua missione maturava così, lentamente, nel suo animo, nella

riservatezza, modestia e umiltà, col cuore pieno d’attesa e di riconoscente abbandono

nella serena disposizione di accettare la Volontà di Dio.

Ma i dolori non gli furono risparmiati neanche il giorno della sua Consacrazione, il 31

gennaio 1932, giorno che egli attendeva con molta emozione insieme ad altri sei

consacrandi.

Era felice e compreso della grandezza di quanto stava compiendosi. Arrivò il suo turno

e il Rettore disse al Vescovo Cattarossi:

– Ecco il contestatore! –

Il Vescovo, che lo stimava, ne fu palesemente addolorato.

Il giovane Guido gli disse sottovoce:

– Non si rattristi! –

Il Vescovo capì e gli sorrise.

Quella festa che doveva esser un tripudio di gioia fu invece sciupata dalla tristezza.

Tuttavia in cuor suo era certo, certissimo, della sua vocazione, consapevole già allora che

stava portando la croce con Gesù.

Il 2 febbraio del 1932 celebrò la sua prima Messa. Questa data fu ricordata da lui negli

anni come la più importante della sua vita e ad ogni anniversario era preso da grande

commozione.

Don Guido Sacerdote

Don Guido fu subito mandato cappellano a Fusine, frazione di Zoldo Alto in provincia di

Belluno, dove rimase fino al 1934 quando fu nominato Parroco a Dont, frazione di Forno

di Zoldo, a pochi chilometri di distanza dalla sede precedente.

Vi rimase dieci anni, dando tutto se stesso ai suoi parrocchiani e al restauro della chiesa

che aveva urgente bisogno di un tetto nuovo e di altri interventi di manutenzione.

Quarta predizione, di Teresa Neumann

7

Don Guido ebbe anche un altro incontro significativo che può aggiungersi alle

predizioni avute in Seminario: fu la visita di Teresa Neumann che venne appositamente

dalla Germania fino a Dont per conoscerlo

8

.

Egli ne aveva già sentito parlare, ed aveva anche acquistato un paio di libri che

parlavano di lei. Ma quando ella si presentò alla porta della sua canonica, a piedi, vestita

con modestia e con un fazzoletto in testa, lì per lì non la riconobbe.

Infatti, al suo saluto in tedesco, don Guido le chiese, sempre in tedesco, chi fosse e

come mai fosse arrivata fin lassù.

Ella si presentò e soggiunse che “desiderava conoscere l’uomo sul quale Dio aveva

grandi progetti di Misericordia”. Certamente Teresa Neumann alludeva all’umanità. Don

Guido invece pensò che la Misericordia fosse rivolta a lui e, sentendosi gran peccatore,

rispose:

– Preferirei non provocare la Sua Giustizia. –

Ella sorrise e gli disse:

– Quando il Signore le parlerà scriva tutto, proprio tutto! Il Signore le vuole molto

bene. – E, dopo una breve pausa, aggiunse: – Lei avrà molto da soffrire. –

7 Teresa Neumann di Konnersreuth (1898-1962), è riconosciuta come la grande mistica stimmatizzata

bavarese del XX secolo. Contadina di nascita, rimase cieca e paralitica per un incidente poco più che

ventenne e venne miracolata nel 1927 per intercessione di S. Teresa di Lisieux. Per 36 anni, fino alla sua

morte, visse di sola Eucaristia, senza mai toccare né cibo, né acqua. Ogni settimana riviveva la Passione di

Cristo perdendo, il venerdì, quattro chili di peso per riacquistarli la domenica senza toccare cibo. Fu oggetto

di studio per molti medici. Parlava, pur senza istruzione, in greco, latino e aramaico. Tenne un’affettuosa

corrispondenza con Padre Pio da Pietrelcina. Morì in concetto di santità. È in corso la sua causa di

beatificazione.

8

La data è incerta perché nei suoi appunti non è precisata. Di certo si sa solo che fu tra il 1934 e il 1945, anni

in cui don Guido fu parroco a Dont.

Egli le offrì da mangiare. Teresa declinò l’invito: non volle nemmeno un uovo a bere.

A quel tempo ella viveva unicamente d’Eucarestia, ma non lo disse. Gli chiese solo un

posto per la notte. Don Guido, però, volendo obbedire al Vescovo che aveva emanato una

circolare nella quale si ordinava di non ospitare nessuno nelle canoniche per la notte,

specialmente donne, le disse che non poteva e la invitò a proseguire per altri 3 o 4 km

dove il Parroco di Fusine poteva ospitarla in una piccola foresteria distaccata dalla

canonica. Ella vi andò e vi pernottò.

Il mattino seguente accadde un fatto strano. Don Guido stava celebrando la S. Messa.

Poco prima della Comunione, mentre diceva “Agnus Dei qui tollis peccata mundi...”, la

Particola che teneva tra le dita improvvisamente scomparve.

Lui e le donne della prima fila la cercarono ovunque, inutilmente.

Tutti furono testimoni di quella sparizione e nessuno capì.

L’indomani don Guido incontrò il parroco di Fusine presso cui era stata ospite Teresa

Neumann e gli chiese se era venuta da lui una donna. Egli rispose di sì ed aggiunse che non

gli era piaciuta perché gli aveva fatto dei rimproveri. Disse anche che, durante la Messa, le

aveva chiesto se volesse fare la Comunione ed ella gli aveva risposto che l’aveva già fatta.

Il Parroco di Fusine aggiunse d’averla guardata commiserandola poiché non si era

mossa di lì. Don Guido però capì.

Si dice che Teresa Neumann non sia mai uscita dal Reich. Che fosse venuta a Dont in

bilocazione? Don Guido non seppe dare una risposta a questo interrogativo.

Don Guido, Curato a Casso

(in provincia di Pordenone, ma nella diocesi di BL)

Nel 1945 fu mandato Curato a Casso, un paesino che si trova sopra la diga del Vajont, ai

confini della provincia di Belluno con quella di Pordenone.

Al tempo della Repubblica Veneta, Casso era stato per secoli un luogo di confino, un

bagno penale della Serenissima, dove venivano mandati i detenuti politici e comuni, le

prostitute, gli indesiderabili di ogni provenienza e gli ex-galeotti dàlmati che non

potevano più esser impiegati come rematori sulle galere. I confinati non potevano uscire

dal limite territoriale ben picchettato e sorvegliato dai soldati della Repubblica. Dentro

questi limiti potevano fare ciò che volevano, anche giustizia personale.

Gente difficile dunque, di un paese povero, poverissimo, dove si allevavano i cinghiali

al posto dei maiali, dove le case non erano intonacate, dove talvolta famiglie di due o tre

generazioni vivevano in un’unica stanza e dove poteva accadere che ragazzine di dodici

anni partorissero figli illegittimi, talvolta frutto di incesti.

In questo contesto don Guido ebbe molto da lavorare e ovviamente gli fu opposta

molta resistenza. La sua sincerità dal pulpito gli procurò non pochi nemici. Molti furono

gli attentati alla sua vita, ma nessuno riuscì. Ne ricordo uno.

In una notte piuttosto buia gli fu teso un tranello. Fu invitato ad uscire dalla canonica

col falso pretesto di un’Estrema Unzione. Ignaro del pericolo che lo attendeva, si avviò

passando per un vicolo stretto tra un alto muro e una casa. All’improvviso vide un’ombra

scura e minacciosa sul muro.

Fece un passo indietro e una figura alta, forte, pesante, balzò giù con un impeto tale

che sbattè la testa con un botto sordo contro la casa. L’attentatore cadde svenuto e

rimase in coma per alcuni giorni. Il destinatario dell’impatto doveva essere don Guido.

L’indomani la gente scrutava il Curato incredula e sorpresa chiedendosi quale stella mai

lo avesse protetto. Segno che era stata una piccola congiura.

Durante la sua esistenza don Guido subì ventitrè attentati, in ognuno dei quali rischiò di

perdere la vita. Da questo si può capire quanto grande fosse il progetto che Dio aveva su di

lui e quanto lo amasse per dargli tanta protezione.

La parrocchia, per quanto turbolenta, era piccola, per cui a don Guido restava molto

tempo per studiare. Risparmiando in ogni spesa, cominciò ad acquistare libri e

pubblicazioni che parlavano della comparsa dell’uomo sulla Terra e delle scoperte

scientifiche riguardo all’evoluzione. Dedicava tutto il tempo libero alle sue ricerche.

1945: la visione della catastrofe del Vajont, che avverrà nel 1963

Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.

Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc, invadere il

bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre la diga e incanalarsi

spaventosamente per la stretta e ripida valle che porta a Longarone. Vide la massa

d’acqua scendere precipitosamente a zig-zag verso il paese e spazzare via case, strade,

piazze, chiesa, municipio, cimitero... quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo

ricoprire ogni cosa appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavano per morire mentre

annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe molti, fra i

quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il suo cappellano e parente

don Lorenzo Làrese. Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai

rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di

demarcazione tra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero rimaste illese.

Ma, a quell’epoca, la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso

seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro persero la vita diciott’anni dopo.

Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un personaggio

strano.

Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una

scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che mi raccontò a viva voce.

Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che

portavano infilati su bastoni i genitali di bovini raccolti al macello comunale intonando

frasi blasfeme e irripetibili sull’aria delle Litanie Lauretane: “Santa..., ora pro nobis” con

evidente atteggiamento di scherno. Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima

della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.

Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta sequenza

logica con quella infelice e blasfema processione ci spinge a credere che fra i due eventi ci

fosse un nesso per far capire a noi uomini come un nostro comportamento irrispettoso

possa alienarci la protezione di Dio.

Dio non castiga: Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla Sua protezione

nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.

Don Guido tuttavia ripeteva:

“È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo. Non è Dio che

manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la Bibbia per far intendere che tra

due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il castigo ce lo diamo noi stessi perché è la

naturale conseguenza dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi

casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi,

Dio è vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene. Dio ha a cuore la salvezza

di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella

degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se il Signore mal sopporta che Lo si

bestemmi, non permette che s’insulti la Vergine Immacolata!”.

Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È chiaro che non si

può attribuire a Dio l’improvviso franamento.

La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che si assommino

gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla conclusione della loro vita

impreparate.

Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9 ottobre del 1963,

don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano passati diciott’anni dalla visione.

Molti avevano dimenticato la sua profezia ed erano andati incontro alla morte.

La celebrazione della S. Messa con San Pio da Pietrelcina

Partito da Casso nel lontano 1953, si ritirò a Farra per due anni accanto alla mamma

anziana e malata che nel frattempo era rimasta sola perché l’altro figlio, Giulio, si era

sposato. Fu durante questo periodo che si recò a San Giovanni Rotondo per incontrare

Padre Pio.

Al suo arrivo provò dapprima una delusione: il Frate, che ormai da anni attirava in quel

luogo numerosi pellegrini, lo fece attendere per quattro giorni prima di riceverlo.

Quando ormai era deciso a rinunciare all’incontro e a ritornarsene a casa, fu avvicinato

spontaneamente da Padre Pio che lo invitò per l’indomani a celebrare insieme a lui la S.

Messa.

Non fu una concelebrazione come la conosciamo ai giorni nostri per cui i Sacerdoti

concelebrano sullo stesso altare. Padre Pio invitò don Guido a celebrare su di un altare

laterale, seguendo però all’unisono gli stessi atti e le stesse preghiere.

Durante la Messa, che durò più di due ore, Padre Pio si rivolse più volte a don Guido

con tono robusto dicendogli:

– Vada più piano, vada più piano! –

Non era infatti nello stile di don Guido avere lunghe pause, nonostante celebrasse

sempre la S.Messa con calma e grande devozione. Tornò a casa più sereno.

I luoghi nei quali sono avvenute le rivelazioni

Dopo questi due anni di aspettativa, nel 1955 venne mandato Parroco a Chies

d’Alpago, un altro paesino della provincia di Belluno, in alto e all’estremo limite del

bellissimo anfiteatro della Valle d’Alpago ai cui piedi, in riva al lago di S. Croce, c’era

Farra e a Farra la sua casa paterna dove abitava ancora la sua vecchia madre, sempre più

anziana e malata, che morirà nel gennaio del 1970. Spesso, nella bella stagione, vi

scendeva in bicicletta o in corriera. Mai ebbe un mezzo di trasporto proprio né una

perpetua. Ogni suo risparmio era per la chiesa o per i suoi libri di studio.

Rimase Parroco di Chies d’Alpago per più di vent’anni, fino al 1976. Fu durante la sua

permanenza a Chies d’Alpago che don Guido ebbe quasi tutte le rivelazioni, sia sotto

forma di ‘locuzioni interiori’, di ‘sogni profetici’ che di ‘visioni in stato di veglia’.

Solo la rivelazione del ‘peccato originale’ l’ebbe nella casa paterna a Farra d’Alpago.

Intanto andava nascendo in lui la convinzione di essere indegno agli occhi del Signore

dal momento che quanto gli era stato predetto in gioventù non si era ancora avverato.

Ma i tempi del Signore non sono i nostri... Ed ecco che all’improvviso, quando le

innumerevoli mortificazioni avevano temprato il suo animo e la sua fede, il Signore arrivò

al Suo appuntamento.

Tutte le otto rivelazioni avvennero fra il 1968 e il 1974.

Per tutta la vita, prima delle rivelazioni, egli si era tormentato nel tentativo di

risolvere razionalmente i quesiti esistenziali dell’uomo, come la presenza del dolore che la

Bibbia considerava una colpa ereditata dal peccato originale.

“Ma, com’è possibile ereditare una colpa? – si chiedeva don Guido. – Si possono

ereditare solo le conseguenze di una colpa. Ma quale poteva essere questa colpa per

lasciare delle conseguenze anche fisiche sull’uomo?”

Egli sentiva che c’era, al di là di questi interrogativi, un vuoto di conoscenza perché se

Dio è Giustizia, oltre che Misericordia infinita, il principio dell’eredità della colpa è

inaccettabile. Si diceva convinto che quando l’uomo non capisce l’operato del Signore è

perché non conosce completamente i fatti che la Provvidenza, per carità, ha celato nel

mistero. Don Guido, nella sua totale fiducia in Dio, mai aveva dubitato della Sua

Misericordia, e neppure della Sua Parola depositata nella Bibbia e soleva ripetere le parole

di Isaia (55, 10-11): “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano

senza aver irrorato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia il seme

al seminatore e pane da mangiare, così sarà della Parola uscita dalla bocca di Dio: non

tornerà a Lui senza effetto, senza aver operato ciò che Egli desidera e senza avere

compiuto ciò per cui l’ha mandata”.

Con don Guido si apre un periodo nuovo nel rapporto dell’umanità con Dio, nel quale

Dio vuole essere anzitutto conosciuto per essere amato in modo consapevole non solo col

cuore ma anche con un’adesione completa della mente.

Il Signore rassicura don Guido, preoccupato di non saper essere un testimone fedele: –

TI AIUTERÒ A RICORDARE E A CAPIRE. –

Ciò significa che l’azione dello Spirito Santo non si esaurisce col primo tentativo di

don Guido di mettere per iscritto quanto ha appreso.

Non è una semplice trascrizione che Dio vuole, ma uno sforzo a ragionare e a

ricollegare con la logica quanto sta imparando sotto la Sua paterna guida. Infatti certe

comprensioni avvengono per gradi e alcune solo quando il Signore gli fa rivivere questo o

quell’episodio, la prima volta incompreso, commentandolo.

Don Guido fa una prima ed una seconda relazione al suo Vescovo, ma senza alcun esito.

Fra il 1976 e il 1977, don Guido viene mandato per diversi mesi a Pieve di Cadore. È

un periodo grigio perché nessuno dei suoi confratelli, neanche l’Arciprete di Pieve, è

disposto ad ascoltarlo.

Nel 1977 viene inviato Parroco a Vìnigo, un paesino della valle del Boite che scende

da Cortina, situato su una balza lungo le pendici d’un’ampia conca verde.

È la sua fortuna: una premura della Provvidenza!

Questo villaggio di poche ‘anime’ non richiede un grande lavoro, per cui gli rimane

molto tempo per la preghiera e per gli studi. La canonica è una grande e solida casa, ben

esposta al sole, che domina dall’alto un panorama splendido.

Questo è il momento più importante delle sue riflessioni. Può finalmente dedicarsi al

riordino dei suoi scritti e alla stesura definitiva del suo manoscritto.

I profondi concetti vengono maturati sotto la guida costante della Sapienza.

È un decennio relativamente sereno e grandemente fruttuoso.

Veduta dell’Alpago, vallata oltre il lago di Santa Croce (BL) ove sono

avvenute le rivelazioni.

L’incontro con il Patriarca Albino Luciani, il futuro Papa

Giovanni Paolo I

Don Guido aveva capito che il riconoscimento delle rivelazioni, seguendo la via

gerarchica, gli era precluso.

Nel frattempo mons. Albino Luciani, suo ex-compagno di Seminario e già Vescovo di

Vittorio Veneto, era stato nominato Patriarca di Venezia, per cui era diventato suo

Superiore e Superiore anche del suo Vescovo.

Veramente affranto per tanta chiusura e dopo tante esitazioni per rispetto al suo

Vescovo, don Guido decise di scrivere al Patriarca che, come sappiamo, aveva condiviso

con lui le predizioni, fatte ad entrambi da Padre Matteo Crawley nel lontano 1928, in cui

al giovane Albino era stato predetto che “sarebbe salito ai più alti gradi della gerarchia

ecclesiastica” e al chierico Guido che “da anziano il Signore gli avrebbe rivelato i passi

oscuri della Genesi Biblica”. Così don Guido gli raccontò, con una breve relazione, le

rivelazioni avute dal Signore.

Gli spiegò tra l’altro che “Dio fu Padre e Madre per il primo Uomo” non solo

spiritualmente ma anche fisicamente, perché creò nel seno di una femmina preumana sia

il gamete maschile, e così Dio gli fu Padre, sia il gamete femminile, e così Dio gli fu

Madre, formando la cellula germinativa del primo Uomo; mentre, per la creazione della

prima Donna, Dio le fu solo Madre, poiché le fu padre l’Uomo stesso generando, ‘in

similitudine naturae’, nel sonno come dice la Bibbia.

Il particolare legame che univa don Guido al Patriarca, poiché per entrambi quelle

predizioni si erano realizzate, gli dava la certezza di essere creduto.

Il Patriarca infatti gli rispose affettuosamente. Tuttavia lo invitò al riserbo poiché, fin

tanto che tali rivelazioni non fossero state approvate dalle competenti autorità

ecclesiastiche, ossia dal suo Vescovo, esse mantenevano il carattere di rivelazioni private.

Intanto il Patriarca Luciani cominciò a dire pubblicamente che “Dio per l’uomo è

Padre e Madre”.

Questo intervento poteva essere interpretato come un benevolo e intelligente

incoraggiamento al Vescovo di Belluno. Il Patriarca Luciani era infatti molto rispettoso

dei ruoli altrui. Ciò nonostante il Vescovo rimase sulle sue posizioni.

Passò ancora qualche tempo finché don Guido s’incontrò con il Patriarca Luciani a

Vittorio Veneto dove questi era venuto a guidare un ritiro spirituale di un solo giorno

invitato dalla sua affezionata vecchia Diocesi. Alla fine del ritiro, il Patriarca lo avvicinò

e lo pregò di trattenersi per parlargli. Ma l’ora era tarda e don Guido, preoccupato di non

perdere il treno utile per la coincidenza con l’ultima corriera, gli rispose che sarebbe

tornato presto per poter parlare con più calma e corse via.

Intanto il Patriarca fu eletto Papa e non ebbe più l’occasione di rincontrare don Guido.

Tuttavia nel suo discorso introduttivo al Soglio Pontificio non esitò a ripetere che “Dio è,

per l’uomo, Padre e Madre”, affermazione che diede a molti motivo di riflessione.

Probabilmente il compito di Papa Giovanni Paolo I nei confronti di don Guido e delle

rivelazioni da lui ricevute era solo quello di avergli creduto e di testimoniare che le

predizioni fatte da Padre Matteo Crawley nel Seminario di Belluno in quel lontano 1928 si

erano avverate per entrambi e di accreditarlo come profeta.

Gli anni della vecchiaia

Il dolore per la scomparsa di Papa Luciani, che aveva dimostrato amicizia e apertura

verso di lui, fu per don Guido un’ulteriore prova dolorosa. La solitudine spirituale gli

diventava sempre più pesante.

Nell’inverno del 1985, durante le festività dei Santi, a Vìnigo scivolò sul ghiaccio e,

per non cadere, si afferrò ad una palizzata. Lo strattone fu forte e si lussò la spalla destra.

Fu una grossa pena morale e fisica il non poter più usare la mano per scrivere con

disinvoltura.

Dopo un paio di mesi trascorsi all’ospedale di Cortina, si trasferì a Belluno in una

piccola e modesta mansarda prestatagli dai padri del P.I.M.E. (Pontificio Istituto Missioni

Estere) a poca distanza dalla Casa del Clero. La sua vecchia casa di Farra, priva di

impianto di riscaldamento, non era idonea ad ospitare un anziano solo.

Fu nella cappella della Casa del Clero che ebbi l’occasione di conoscerlo.

Nel gennaio del 1987, don Guido trovò alloggio nella casa di riposo di Meano, una

frazione di S. Giustina a pochi chilometri da Belluno.

Don Guido, sebbene già ultraottantenne, manteneva tutta la sua vivacità fisica e

intellettuale. Il Signore gli aveva promesso una mente limpida, buona vista e buon udito

per tutta la vita e così fu. Quegli occhi, che si erano tanto affaticati sui libri, con un paio

di occhiali gli consentirono di leggere fino alla fine. Anche il suo udito rimase perfetto.

Il suo pensiero era sempre rivolto a come poter ottenere il PLACET della Santa Sede.

Don Calabria aveva predetto tanti anni prima che il messaggio era “urgente” e don Guido

si sentiva responsabile di tanto ritardo. Poiché la via gerarchica fino a quel momento si

era dimostrata impercorribile, andava progettando d’informare direttamente il Cardinale

Ratzinger. Sfiduciato, finì poi per desistere pensando che la S.Sede, senza un parere

favorevole del Vescovo competente, non l’avrebbe nemmeno preso in considerazione.

Accanto all’intima gioia di esser stato fatto partecipe della conoscenza di quelli che

erano stati i misteri della Genesi e del più ampio e profondo valore della Redenzione, don

Guido sperimentava la Passione intima di Gesù. Nella sua vita si ripetevano inimmaginabili

umiliazioni. La sufficienza che molti suoi confratelli non si curavano di nascondere gli

diventava sempre più pesante. Il marchio di una fama di ‘visionario’ era il suo pane

quotidiano.

Tuttavia don Guido non perse mai la fiducia nella Provvidenza. Continuava a coltivare

una profonda serenità d’animo per la certezza che il Signore avrebbe portato a

compimento il Suo progetto. Appena poteva raccogliersi in preghiera o sui suoi libri

esprimeva gioia dagli occhi. Aveva l’entusiasmo di un giovane, certo che in un modo o in

un altro tutti avrebbero conosciuto la verità ed avrebbero così compreso la grande

Misericordia di Dio.

Le rivelazioni non andarono perdute con la sua morte

Un giorno, sentendo che le forze gli andavano calando e che non gli restava ormai

molto tempo da vivere, don Guido mi disse:

– Desidero lasciare a lei l’eredità materiale dei miei scritti e di quel che rimane della

mia biblioteca di Farra. Metta il manoscritto e tutti i miei quaderni al sicuro perché, se

dovessi mancare, tutte le mie cose verrebbero gettate da chi non ne capisce il valore. –

– Si, ...ma ci sono molti Sacerdoti più vicini a lei di me. –

– È vero, ma qui sono tutti prevenuti e, fra quelli che hanno accolto queste

rivelazioni, nessuno ha mostrato un interesse autentico. Io desidero che ottengano

l’approvazione del Vescovo di questa Diocesi, perciò non desidero che escano da questa

Chiesa diocesana che il Signore ha scelto per questa rivelazione. – Poi, dopo una breve

pausa, soggiunse:

– Desidero anche che lei porti avanti il mio lavoro, riordinandolo e togliendovi tutte

le ripetizioni. –

– Ma don Guido, lei sa bene che non sono all’altezza! –

– Dio non cerca le persone più colte o più intelligenti: Dio cerca le persone che sono

sinceramente motivate a fare la Sua volontà. La conosco ormai da tanto tempo,

abbiamo parlato tanto insieme e lei è la persona di cui ho più fiducia. –

– La ringrazio della sua stima, ma una cosa è parlare di queste cose, un’altra cosa è

riordinare i suoi scritti. Questo presume una certa discrezionalità e per togliere le

ripetizioni, come lei vuole, bisogna fare delle scelte. Lei capisce che questo lavoro richiede

troppa responsabilità. –

– Lei lavori con serenità e proceda come meglio crede: io le sarò sempre vicino e

l’aiuterò. –

Poi, per mettermi in guardia da inevitabili tentazioni di autocompiacimento, dopo

un’altra breve pausa aggiunse:

– Non creda però che questo compito sia privo di croci. Da un lato c’è la gioia

perché Dio ci ha fatto partecipi dei suoi progetti; dall’altro deve avere fin da ora la

consapevolezza che lei erediterà le mie sofferenze, le incomprensioni degli amici più cari,

le delusioni e perfino le derisioni, le ostilità, o la noncuranza dei Superiori. Sono

umiliazioni pungentissime, ma diventano superabili solo se lei non si aspetta

gratificazioni, salvo quella d’aver fatto il possibile per amore della Verità e per amore di

Dio. Se la sente?–

– Se è così, allora va bene – risposi.

Con estrema commozione di entrambi, mi fece inginocchiare ai suoi piedi e,

posandomi le mani sulla testa, formulò una lunghissima preghiera in latino invocando su di

me lo Spirito Santo, preghiera di cui io capii il senso solo a grandi linee. Mi stava dando,

assieme alla sua benedizione, un vero e proprio mandato, come un’investitura, a riordinare

quanto aveva scritto nei suoi appunti e nei suoi Quaderni. Sentii quella preghiera come un

segno di fiducia, ma provai anche in quell’istante tutto il peso dell’enorme responsabilità

che comportava.

Vedendomi emozionata, don Guido non esitò ad incoraggiarmi con amore paterno e

continuò:

– Quando avrà finito questo lavoro vada dal Vicario generale. È mio amico. Mi ha

aiutato lui a stendere il mio testamento. Ho lasciato alla Curia tutti i miei risparmi e le

disposizioni per la pubblicazione di questo manoscritto. Li ho messi da parte in tanti anni

di economie per questo scopo. E adesso cominci a portar via queste cose e a prenderne

conoscenza. Ci sono in mezzo tante carte da buttar via. Faccia uno spoglio a casa sua.

Qui non c’è lo spazio. E si ricordi che proverà tanta solitudine, perché nessuno che si

accinga a lavorare per il Signore ne è risparmiato. –

La malattia e la morte

Verso la fine degli anni ’80 don Guido cominciava a manifestare un progressivo

decadimento fisico. Erano i primi sintomi di un tumore che si sarebbe manifestato

apertamente due anni più tardi.

Il male apparve improvvisamente e in tutta la sua gravità ai primi di luglio del 1991

quando il chirurgo diagnosticò un tumore intestinale. Fu operato dopo una settimana e di lì

a pochi giorni dovette esser rioperato. I dolori erano molto forti.

Quando si fu sufficientemente ripreso, fu riportato alla Casa di Riposo di Meano. Poi il

suo declino fu rapido, ma la sua mente rimase vigile fino alla fine.

Un giorno, mentre giocherellava con una specie di piaga secca sul dorso della mano che

sembrava un grosso neo grigiastro a forma di pisello, mi disse:

– Vede, questo è un ricordo di quella notte in cui ebbi la visione della creazione

dell’universo. È stata una scintilla uscita dal quadro visivo a lasciarmi quest’ustione.

Non fa male, ed è lì solo per rinnovarmi il ricordo. Il Signore volle lasciarmi un segno

perché, al mattino, non dubitassi pensando che quanto avevo visto fosse frutto della mia

immaginazione. –

Poco prima di morire, dopo quasi vent’anni, questa piaga guarì del tutto lasciando solo

un tenue rossore.

L’8 ottobre, il giorno dopo il suo 84° compleanno, Maria, la Mamma che lo aveva

condotto nel ‘viaggio più lungo a ritroso nello spazio e nel tempo’, come lui lo

chiamava, lo volle con Sé. Erano le sette di sera. Eravamo presenti il Vicario generale, la

Madre Superiora della Casa di Riposo ed io.

L’indomani la salma, dal volto sereno e disteso, era composta nella bara. Vestito di

bianco, nei suoi paramenti sacerdotali, aveva l’austerità di un patriarca, un aspetto regale

pur nella semplicità. Gli anziani della Casa di riposo vennero alla spicciolata a dargli

l’ultimo saluto. Tutti erano stati confortati dalle sue buone parole.

La Santa Messa funebre fu accompagnata da bellissimi canti di voci bianche. La sua

bara, per un disguido dei necrofori che stranamente all’occorrenza erano spariti, fu

portata fuori dalla Chiesa a spalla dai Sacerdoti più giovani, in camice bianco, quasi che il

Signore avesse voluto riservargli quell’onore che molti confratelli non gli avevano

riconosciuto.

Sul marmo veronese della sua semplice tomba si leggono queste belle e assai

appropriate parole:

“CANTERÒ IN ETERNO LE TUE LODI, O DIO, SIGNORE DELL’ UNIVERSO”.

Alcune date Biografiche

1907 (7 ottobre) La nascita (festa della Madonna del Rosario)

1907-1920 L’infanzia e l’adolescenza

1917 (13 ottobre) Ha la visione dell’apparizione della Madonna ai pastorelli di

Fatima e del miracolo del sole

1920-1932 I suoi studi in Seminario

1922 Prima predizione, di don Calabria, che preannunzia questa rivelazione

1928 Seconda predizione, di Padre Crawley

1932 Terza predizione, di mons. Masi

1932-1934 Cappellano a Fusine (BL)

1934-1945 Parroco a Dont (BL) 1944 Quarta predizione, di Teresa Neumann

1945-1953 Curato a Casso (BL)

1945 Ha la visione della catastrofe del Vajont che si verificherà nel 1963

1953-1955 Periodo di aspettativa a Farra d’Alpago nella casa paterna 1955 Incontro

con Padre Pio

1955-1976 Parroco a Chies d’Alpago (BL)

1968 I rivelazione: ‘Il segno di Caino’ (ricevuta nella canonica di Chies

d’Alpago)

1970 II rivelazione: ‘Il peccato originale’ (ricevuta nella sua casa di Farra

d’Alpago)

1970 III rivelazione: ‘La morte di Abele’ (ricevuta nella canonica di Chies

d’Alpago) 1970 IV rivelazione: ‘Sono uomini’ (ricevuta nella canonica di

Chies d’Alpago)

1972 V rivelazione: ‘La creazione dall’Alfa all’Omega’ (ricevuta nella

canonica di Chies d’Alpago) I parte: ‘Il Capostipite’ II parte: ‘La

creazione del cosmo’ III parte: ‘La nascita della Prima Donna:

l’Omega’

1974 VI rivelazione: ‘L’ultimo pasto di Abele’ (ricevuta nella canonica di Chies

d’Alpago) 1974 VII rivelazione: ‘La sera del dì della morte di Abele’

(ricevuta nella canonica di Chies d’Alpago) 1974 VIII rivelazione:

‘L’ultimo colloquio’ con il Signore (ricevuta nella canonica di Chies

d’Alpago)

1976-1977 Cappellano a Pieve di Cadore: la sua solitudine

1977-1986 Parroco a Vìnigo: dove approfondisce lo studio della genetica e della

geofisica. Incontro con il Patriarca di Venezia Albino Luciani, futuroPapa

Giovanni Paolo I

1986-1987 In pensione a Belluno

1987-1991 In Casa di Riposo a Meano nel comune di S.Giustina (BL) 1991 (8

ottobre) La morte

SEZIONE II

Dagli scritti di Don Guido Bortoluzzi

Breve premessa

di don Guido

Non importa sapere chi è l’autore di queste righe. Sono un uomo che cerca la Verità,

come è dovere di ogni creatura intelligente. Non ho meriti né titoli accademici che mi

raccomandino. La visione che descrivo non è una favola né un sogno o frutto di

autosuggestione: è ‘un fatto reale’, non sperato, non chiesto e non accolto con docilità.

La mia diffidenza, le mie reazioni di contestazione che l’hanno accompagnata, stanno a

dimostrare la mia ignoranza e i miei preconcetti e la longanimità dell’Incomparabile

Regista, Dio-Padre, che, non in una ‘nube di fuoco’ come a Mosè, ma in un ‘alone di

luce ròsea’, mi ha seguito in diversi luoghi dentro la mia casa con un quadro visivo a

colori dove mi ha fatto vedere ciò che Egli, l’Onnipresente, ha registrato nella Sua

Memoria dal primo atomo alla formazione del macrocosmo, dalla prima cellula vivente,

ed in particolare alla nascita della prima Bambina, ultimo atto in cui è intervenuto

direttamente con la Sua Potenza Creatrice. Dopo di che ‘cessò dal creare qualsiasi altra

specie’, essendo raggiunto il finalismo della Creazione9 .

9

Per alcuni scienziati anche dopo la creazione dell’Uomo apparvero altre nuove specie inferiori. La frase

biblica potrebbe esprimere in questo caso che dopo la creazione dell’Uomo, Dio non creò altre specie

superiori all’Uomo.

Al termine ebbi piena coscienza della portata della rivelazione e della mia pochezza:

doveva toccare proprio a me?

Capii che era un messaggio per tutti gli uomini della terra: chi mi crederà?

Mi vennero allora in mente alcune parole bibliche: “Da un testimone null’altro si

richiede se non che sia fedele nel riferire”.

Prevedo che molti non crederanno. Nessuna meraviglia.

È obbligato a credere solo chi riceve la rivelazione.

Ma se la rivelazione s’accorda con i dati biblici e li spiega ed è conforme ai dati della

scienza ed al retto uso della ragione, non è giusto rifiutarla.

Sarà di grande conforto per il Papa, per i Vescovi, per i Sacerdoti e per tutti i credenti

nell’unico Dio, sapere che Egli parla ancora agli uomini come agli antichi Patriarchi e

Profeti, a tu per tu, con grande familiarità e magnanimità, anche scherzando.

Non si offendano gli Ebrei e i Musulmani se Dio ha parlato ad un Sacerdote della

Chiesa Cattolica Apostolica Romana e perseguitata. Egli parla a chi vuole, quando lo

crede più opportuno e rivela le cose che la scienza non riesce a scoprire, oppure che essa

interpreta erroneamente.

È nel Suo stile scegliere per Suoi messaggeri e confidenti persone non quotate per

posizione sociale o per intelligenza. Richiede solo “ut fidelis qui inveniatur”, cioè che il

messaggero trasmetta fedelmente il Suo messaggio.

Non mi ha detto di scrivere il Suo messaggio, né di trasmetterlo a voce o per iscritto,

ma è evidente che questa rivelazione è per il bene dell’umanità credente e non credente.

Come renderne convinti i poligenisti?

La mia testimonianza non basta.

Se vedessero anch’essi e sentissero ciò che mi fu detto, crederebbero? Forse alcuni di

essi sarebbero ancora più diffidenti di quanto non lo sia stato io all’inizio e crederebbero

ad un’allucinazione, se non ad un’autosuggestione.

Io cercavo la verità su alcuni problemi e la VERITÀ STESSA mi è venuta incontro

inaspettata, immeritata, chiara, sovrabbondante, bella, confortante.

“Volentibus et conantibus Deus non denegat gratiam”, Dio non nega la conoscenza

di Sè a coloro che desiderano e insistono nella ricerca della verità.

Quanto scrivo può essere dichiarato di origine soprannaturale solo dalla competente

Autorità Ecclesiastica, la quale, pur riconoscendone l’autenticità, può fare le sue ricerche

sulla opportunità della pubblicazione di tutto o di certe parti dello scritto.

Mi sottometto a qualunque decisione verrà presa dal Magistero Ecclesiastico, sia sul

contenuto della visione che sul commento esplicativo che l’accompagna10.

10

L’intenzione di don Guido era retta, ma l’incredulità e le difficoltà incontrate nei suoi Superiori non gli

consentirono di veder realizzato il suo desiderio. Questo è il motivo per cui, dopo la sua morte, ho ritenuto

opportuno pubblicare l’Opera, considerandola patrimonio dell’umanità intera.

GENESI BIBLICA

EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO E’ LA CHIAVE DEL

MISTERO

Alcune indicazioni introduttive

di Renza Giacobbi

Il testo che viene presentato è la trascrizione del manoscritto redatto da don Guido

dopo il 1981, disposto nell’ordine prestabilito da lui stesso ed eseguito secondo le sue

istruzioni ed infine arricchito da descrizioni e spiegazioni annotate su quaderni e fogli

sciolti.

La sequenza delle rivelazioni raccolte in questo testo non è disposta nel-l’ordine con il

quale queste si sono succedute, ma è quella voluta espressamente da don Guido per due

logiche ragioni:

– la prima, perché riteneva che fosse giusto iniziare col presentare l’Uomo, fine primo e

ultimo del progetto di Dio e della Sua creazione;

– la seconda, perché in questo modo si sarebbe realizzato un ordine cronologico degli

eventi legandoli tra loro da un unico filo conduttore, facilitando al lettore la

comprensione dei fatti.

Perciò l’ordine con cui gli argomenti sono stati disposti in questo testo è quello

temporale dello svolgersi della vicenda e comincia con la 5ª rivelazione, a cui seguiranno

la 1ª, la 2ª, la 6ª, la 3ª, la 7ª, la 4ª e, infine, l’8ª rivelazione.

Viene allora da chiedersi perché il Signore non abbia seguito anche Lui questo tipo di

schema dal momento che la storia inizia appunto con la 5ª rivelazione. La risposta

apparirà chiara quando si sarà letta interamente l’Opera: il Signore ha prima gettato le

basi, come quattro grosse palafitte, sulle quali costruire il suo edificio.

Le prime quattro rivelazioni (‘Il segno di Caino’, ‘Il peccato originale’, ‘La morte di

Abele’ e ‘[gli ibridi] Sono uomini’) costituivano le premesse indispensabili perché don

Guido potesse entrare correttamente nello spirito e nella comprensione di questa vasta e

articolata rivelazione. Infatti, se il Signore avesse introdotto don Guido nel tema della 5ª

rivelazione senza prima aver chiarito alcuni concetti fondamentali, egli non avrebbe

potuto identificare molti personaggi, formulare tante sue riflessioni durante lo svolgersi di

questa visione ed interloquire con il Signore.

Il Signore ha invece anticipato, nella Sua Sapienza, alcuni fatti che, pur essendo

argomenti separati l’uno dall’altro e non inquadrabili senza una visione generale,

assumono, a rivelazione completata, una logica molto ferrea di causa-effetto e diventano

presupposti necessari alla comprensione di questa rivelazione.

A noi non è richiesto ripercorrere questo sforzo non solo perché lo ha già fatto don

Guido e perciò sarebbe inutile, ma perché per noi sarebbe enormemente difficile senza

l’aiuto che egli ebbe dal Signore.

Perciò seguiremo l’ordine dello svolgimento della storia.

Il Signore in queste rivelazioni usa un metodo veramente nuovo perché vuole una

partecipazione della ragione oltre che del cuore. Gli lascia delle pause perché abbia tempo

di riflettere, di fare le sue deduzioni e anche le sue obiezioni. È chiaro che Dio vuole che

l’uomo, ogni uomo, abbia delle spiegazioni che appaghino la ragione oltre che la fede.

È un linguaggio che presuppone un’umanità cresciuta, adulta e fortemente desiderosa di

motivazioni anche in campo soprannaturale e di fede.

Don Guido comprende che questa rivelazione è la risposta alle sue legittime domande.

Anzi, intuisce che i suoi quesiti e il suo bisogno di verità, come del resto per ciascuno di

noi, sono ispirati da Dio Stesso che vuole farci partecipi coscienti e convinti del Suo

progetto di Redenzione.

Il Signore adotta un linguaggio incisivo, chiaro, inequivocabile, mirato a far luce sui

punti oscuri della Genesi. Sebbene don Guido inizialmente vi opponga una certa resistenza,

fedele agli insegnamenti appresi in Seminario, il Signore, con amore e pazienza, lo

rassicura e lo conduce a capire che quanto vede e sente non contraddice la Sacra Scrittura,

ma è la spiegazione di ciò che nella Genesi è descritto con linguaggio simbolico.

Cervavo la Verità per far concordare la scienza

con la Bibbia e “La Verità” mi venne incontro

QUINTA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago nel 1972

§ 1 Un fatto straordinario e meraviglioso mi è accaduto nella notte della festa

dell’Assunta il 15 agosto del 1972 alle ore 3 del mattino. Da oltre trent’anni mi

interessavo del problema dell’origine dell’uomo, preoccupato del diffondersi tra i

giovani della teoria dell’evoluzione spontanea e della poligenesi dell’uomo, teorie che

portano inevitabilmente alla negazione di Dio e di ogni principio morale. Nell’intento

di far concordare i dati della Scienza con quelli della Genesi Biblica, avevo studiato il

problema su tutti i libri relativi ad esso che avevo trovato in vendita (una cinquantina)

e avevo collezionato molte riviste e molti articoli di giornali ricavandone un pacco di

fogli e appunti. Ad eccezione di pochi autori, gli altri ripetevano in vario modo la

teoria dell’evoluzione naturale, anche se la chiamano guidata, delle varie specie di

viventi, e quindi anche dell’uomo, contro le affermazioni della Bibbia la quale dice che

Dio ha creato tutte le specie di animali e di piante ‘allo stato definitivo’ stabilendo che

ogni specie generasse ‘secondo la propria specie’.

Questa espressione è ripetuta nei primi capitoli della Bibbia per ben 11 volte, per far

capire che solo l’Uomo non si attenne a tale ordine.

Un lungo esame di coscienza

§ 2 Ogni momento libero dagli impegni del mio ministero e dalle faccende di casa e

di Chiesa, lo occupavo nella mia ricerca, rinunciando alle passeggiate, alla radio,

alla televisione e ad ogni altra distrazione. Mi coricavo a mezzanotte. Alle tre ero

solito alzarmi a passeggiare in cucina, per venti, trenta minuti, onde agevolare il

processo della digestione. Poi scrivevo qualche appunto, quindi dormivo fino alle

sei. Nel 1972, ai primi di luglio, avevo comperato un solo libro: trattava anch’esso

dell’evoluzione ed essendo opera di un altro religioso, speravo di cavarne qualche

idea più consona ai miei princìpi. La vigilia dell’Assunta mi ero impegnato a

terminare le ultime cento pagine. Era scritto bene, con termini scientifici appropriati

e una certa logica che sembrava proprio credibile. Lo terminai a mezzanotte, deluso

ed angustiato, giurando a me stesso che sarebbe stato l’ultimo. Non avevo recitato il

Breviario e volli supplire con un’ora di adorazione prostrato ai piedi dei gradini

dell’altare come nel giorno della mia ordinazione11 . Ero deluso e amareggiato

anche perché i parrocchiani non erano venuti al triduo e neppure al Rosario di

quella sera. Nessuno a confessarsi, neppure quei quindici fanciulli che avevo

ammesso alla Prima Comunione il dì del Corpus Domini.

11

Nel linguaggio ecclesiastico l’aggettivo “prostrato” significa Sdisteso a terra a braccia

aperte e a faccia in giù’.

Girando per le contrade li avevo invitati personalmente, ma tutti avevano una scusa:

l’indomani dovevano attendere degli ospiti o fare una gita, ecc. Pregai il Signore e la

Madonna di accettare me a nome di tutti. Poi meditai sul ‘povero... me’.

Feci un lungo esame di coscienza e con molta lucidità passai in rassegna tutte le

tappe della mia vocazione da quando, all’età di tre anni e mezzo, mia nonna mi mandò

nella camera di mio padre moribondo per dirgli di mettersi in pace con il Signore e di

chiamare il prete.

Gli dissi che anch’io da grande sarei diventato prete e sarei stato contento di sapere

che era morto in pace con Dio. Poi l’infanzia e la fanciullezza senza i giochi e spassi

tipici di quell’età per accudire alle faccende di casa, ma con la gioia di andare in

chiesa alle funzioni e a cantare; poi la prima Comunione con una trentina di compagni

ai quali avevo fatto da catechista; poi l’invito ad entrare in Seminario; quindi la

Cresima con l’abbraccio del Vescovo, gli studi.

Conclusi che non avevo sbagliato strada: il Signore mi aveva segnato fin da quella

tenera età.

Mi rialzai dalla mia posizione dopo un’ora. Non ero affatto stanco, ero sereno.

Ritornando in canonica, osservai il cielo tutto limpido e stellato. Era cessato il

baccano del juke-box e delle grida della gioventù nel vicino esercizio pubblico.

Coricandomi esclamai:

– O tempo sì malamente speso, io ti maledico! Domani all’alba porto tutti quei libri

nell’angolo dell’orto e ne faccio un falò. Chi si darebbe la pena di leggerli se vede i

crocioni che ho tracciato su molte pagine e le note che ho scritto sui margini? A che mi

servono tutti quegli appunti? Che cosa mi resta di tutti i miei studi? Vediamo... – E

andavo riassumendo le nozioni imparate sulla Bibbia e sui libri di scienze naturali.

– Che presunzione la mia volontà di indagare sui segreti della Bibbia per far

concordare i suoi dati con quelli della scienza! Miserere mei, Deus. –

I pensieri della veglia

§ 3 Il sonno tardava a venire. Mi ripresero i pensieri della veglia:

– Perché perdere tempo, sonno, fatica e danaro per studiare il problema

dell’evoluzione che vanifica la Parola della Genesi la quale afferma che l’Uomo fu

creato perfetto e non già in via di evoluzione e che solo ‘dopo’ degenerò? Anche la

teologia ci insegna che Colui il Quale fece bene ogni cosa, fece ‘molto bene’ la prima

coppia umana e non già allo stato bestiale da cui si sarebbe evoluta con l’andare dei

millenni tra sofferenze inaudite. Non poteva quindi l’Uomo essere frutto di evoluzione

perché in tal caso l’umanità non sarebbe stata alle sue origini “cosa molto buona”.

– È chiaro che se l’Uomo creato da Dio era un Uomo perfetto, mentre i reperti

archeologici ci rivelano che l’uomo della preistoria era un individuo imperfetto, è stato

il peccato originale che lo ha corrotto in tutti i suoi aspetti fino a fargli assumere i

caratteri di ominide. E se fu corrotto anche nella sua componente fisica e psichica, e

non solo in quella spirituale, è logico pensare che il peccato originale sia stato un

peccato di ‘ibridazione12 della specie’dovuto ad un rapporto consumato fuori della

specie. Perché, se i due progenitori dovevano crescere e moltiplicarsi, un rapporto fra

loro non solo non era proibito, ma doveroso.

12

È bene ricordare che al momento di questi pensieri, che precedono la rivelazione che sta per essere narrata,

don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni dalle quali aveva appreso, come

dato certo, che l’umanità, fin dalle sue origini, aveva avuto un problema di ibridazione della

specie.

§ 4 – Perché gli scienziati danno per scontata la teoria della poligenesi13 mentre la

Bibbia ci parla di un solo Uomo e di un’unica coppia umana in principio, e non hanno

preso in considerazione l’ipotesi che la differenza tra i gruppi etnici e talune tare

ereditarie sarebbero dovute all’ibridazione della specie umana con la specie

antropomorfa più vicina all’Uomo avvenuta nei primordi dell’umanità? Il fenomeno

dell’ibridazione è accennato nella Genesi all’inizio del 6° capitolo, dove, ‘all’albero

genealogico della Vita’, quello dei ‘Figli di Dio’, era vietato ‘conoscere’, cioè avere

rapporti generativi con ‘l’albero genealogico selvatico’; e anche dove parla

dell’infausto connubio tra ‘i Figli di Dio’ (gli Uomini14 perfetti) e ‘le figlie degli

uomini’(le figlie degli uomini ibridi) per cui entrambe le specie furono corrotte. Come

se il racconto biblico fosse una favola, hanno voluto prescindere da esso e sofisticare e

fantasticare sui reperti fossili che stanno a provare soltanto come gli uomini hanno

‘perduto l’immagine e la somiglianza con Dio’. Quella che scienziati e teologi

chiamano evoluzione è stata in realtà una ‘ri-evoluzione’, un recupero progressivo dei

caratteri umani originari avvenuto mediante una selezione guidata dal Creatore. Solo

in questo caso si può parlare correttamente di rievoluzione guidata, ma non per la

creazione dell’umanità.

1 3 In base a questa teoria si suppone che la specie umana sia il risultato dell’evoluzione da numerose specie

primitive.

14

L’Uomo e la Donna creati perfetti ed i relativi aggettivi sostantivati sono scritti con la lettera maiuscola

per distinguerli dagli uomini contaminati dall’ibridazione, scritti con la lettera minuscola.

§ 5 – La Bibbia insegna che la natura non compie spontaneamente dei salti fra una

specie e quella successiva. Soltanto Dio può determinare il sorgere di nuove specie.

Anche questo principio è espresso chiaramente nella Genesi, benché essa non dica

come Dio sia intervenuto.

– Il primo vivente della specie umana è sicuramente Adamo. Se la moglie fu tratta

dalla ‘costa’ di Adamo, anche lei apparteneva all’Albero genealogico della Vita. E se

egli è il primo Vivente (umano), è anche padre di lei.

–Dice la Genesi che Adamo generò Set a oltre 130 anni d’età. A quale età generò

allora il primogenito maschio Caino? E ancor prima, a quale età Adamo generò la

Donna?

§ 6 – Altro problema.

– Dice la Genesi che fu Eva la causa della tentazione e della caduta di Adamo.

– Dunque è Adamo l’autore di questa caduta. Ma come ha potuto il primo Uomo,

dotato di doni soprannaturali e preternaturali, commettere il ‘peccato originale’, un

fallo così gravido di conseguenze? Lo ha fatto per istigazione di Eva?

– Che tipo era Eva? La Bibbia non dice che Dio le abbia soffiato in faccia il soffio di

Vita come ad Adamo. Però dice che parlava e ragionava, ma cadde nel peccato ed

incitò anche l’Uomo al peccato.

E nella subcoscienza mi affiorò il ricordo di due fatti:

a) la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ di quattro anni prima, dalla quale avevo capito

che Caino aveva l’aspetto antropoide;

b) e poi l’altra, la visione de ‘Il peccato originale’, avuta due anni dopo la prima, con

la quale assistetti al peccato di Adamo, rivelazioni per le quali avrei saputo darmi una

risposta, ma diffidavo e temevo di servirmene giudicandole frutto di fantasia, come mi

venne detto da un confratello con il quale mi ero confidato.

Un Angelo precede l’arrivo delle due Celesti Messaggere

§ 7 La voce di un adolescente, vicinissima al mio orecchio destro, molto

chiara e non in sordina, mi disse prima sottovoce e poi forte:

– GUIDO, ALZATI CHE È L’ORA SOLITA. – Non ebbi alcun sussulto a

quella improvvisa chiamata, perché ero ancora nel dormiveglia. Avevo

l’impressione che una persona si fosse curvata sopra il mio capo e parlasse.

Non mi mossi, non aprii neppure gli occhi: trattenni il fiato per sentire il

rumore dei passi della persona che mi aveva parlato o, almeno, il fruscio dei

suoi vestiti. Nulla: il silenzio era assoluto. Quella voce era risuonata dentro la

camera, come di persona che parlasse proprio vicinissima al mio orecchio

destro. Era una voce chiara, molto familiare, ma non riuscivo ad identificarla

sebbene conoscessi dal loro timbro le voci di tutti i miei parrocchiani.

Sembrava quella di mio fratello quando era ragazzo. Anzi, sembrava proprio

la mia di quando avevo dodici o tredici anni. Mi accorsi di avere l’orecchio

destro contro il guanciale. La voce mi era entrata proprio di lì. Alzai il braccio

alla testiera del letto e accesi la luce. Uno sguardo intorno, nella piccola

stanza, che misura solo 3 m per 3 per 2,20 di altezza, mi assicurò che non

c’erano ospiti. La porta era chiusa, l’unica finestra anche. Sollevai il

guanciale. Nulla. Mi sporsi a guardare sotto il letto: nulla! Rimasi seduto sul

letto per qualche minuto, riflettendo:

– Mi ha chiamato Guido, invece che don Guido.

– Mi ha dato del tu, forse per disprezzo.

– Mi ha dato un ordine: ALZATI. Con quale autorità?

– Ha soggiunto: “È L’ORA SOLITA”. Infatti il mio orologio segna proprio le tre; ma

come fa a sapere l’orario delle mie levate notturne? Ciò vuol dire che mi ha spiato, ma

a quale scopo? E, se mi ha spiato anche questa volta, dovrebbe sapere che non mi

sono coricato a mezzanotte come al solito, ma all’una e perciò non ho bisogno di

muovermi per agevolare la digestione e scrivere appunti come di consueto. Il mio

nome era comune ad altre persone e pensai che non mi riguardasse. A conclusione

esclamai:

– No che non mi alzo! – e mi adagiai contrariato e indispettito.

Pensai di essermi sbagliato e mi girai sull’altro fianco cercando di dormire, ma la mia

mente tornava ai soliti interrogativi.

Le due Madri dei ‘Figli di Dio’

§ 8 Mentre mi stavo ponendo ancora delle domande, sentii delle voci15 femminili che

sembravano provenire da oltre la parete di graticcio che dietro la mia testa separa la

mia camera dal vano scale. Esse mi chiamavano per nome:

– GUIDO, NON TEMERE, SIAMO QUI ANCHE NOI, LE DUE MADRI DEI FIGLI

DI DIO. –

Poi la Voce più alta e sonora, molto dolce, che mi penetrò nel cuore, proseguì:

15

Per facilitare la comprensione in chi legge, useremo la ‘v’ minuscola per riferirci alla voce dell’Angelo e

della prima Donna. Scriveremo invece ‘Voce’ con la ‘V’ maiuscola quando è riferita a quella del Signore e

della Vergine Maria.

– MARIA, MADRE NATURALE DI GESÙ E MADRE, SECONDO LO SPIRITO, DI

TUTTI I REDENTI. – Seguì la voce più grave dell’altra Donna:

– E LA DONNA DELLA QUALE TI INTERESSI, MADRE NATURALE DEI ‘FIGLI

DI DIO’.–

Le parole dell’una e dell’altra furono pronunciate adagio, ma molto chiaramente.

Dapprima credetti che non mi riguardassero, poi, un po’ commosso dalle parole di

Maria, pensai:

“Le loro espressioni sono teologicamente perfette”. Credo mi abbiano lasciato

qualche secondo per capire bene le loro parole, poi le sentii pronunciare assieme:

§ 9 – SIAMO VENUTE PER AIUTARTI NELLE RICERCHE DEI TUOI STUDI. – Il

timbro delle voci questa volta era più forte, o almeno ero più attento a recepirlo. Dopo

qualche secondo udii la Voce delle due Donne che ora pareva venisse da oltre la

finestra, quasi che il loro suono fosse attutito dalle imposte e dai vetri.

– GUIDO, NON ANGUSTIARTI; NON HAI PERSO TEMPO CON QUEI LIBRI. HAI

CERCATO LA VERITÀ CON RETTA INTENZIONE E ‘LA VERITÀ’ TI VIENE

INCONTRO. –

L’accenno agli studi mi convinse che potevano riguardare la mia persona. Quelle

parole mi consolavano. Poi udii: – PERCHÉ NON PRENDI IN MANO LA BIBBIA? –

Insonnolito risposi a stento:

– Lì non c’è quello che cerco; lo so quasi a memoria quel racconto – risposi, non

senza uno sforzo per superare il torpore del sonno che ormai mi prendeva.

– PRENDI IN MANO LA BIBBIA E LO SAPRAI. –

§ 10 A questo punto sentii di nuovo sopra di me, la solita voce di fanciullo, fatta più

decisa e più forte:– È UN ORDINE, SÙ. – Mi svegliai completamente, come

elettrizzato. Accesi la luce. La camera aveva il solito aspetto, ma da ogni angolo e da

ogni mobile, sembrava mi venisse ripetuto:

– PRESTO, UBBIDISCI, UBBIDISCI. – Il tono era affettuoso, non arrogante. Gettai il

lenzuolo in fondo ai piedi e mi sedetti sulla sponda del letto.

Mentre stavo per prendere i calzoni per infilarmeli, udii nuovamente quell’invito:

– UBBIDISCI SUBITO, VIA! –

Infilai solo le scarpette da camera e così, come mi trovavo, uscii dalla stanza da letto

per correre nel mio studio.

Attraversai il corridoio e giunsi alla cucina. Accesi la luce come al solito e mi diressi

verso la portiera della stanzetta che avevo adibito a studio.

§ 11 Entrato, accendo la luce, vado alla libreria che mi sta di fronte e, aperto lo

sportello di destra, faccio per prendere il I volume della Bibbia commentata dal

Marietti, ma una Voce femminile in tono sommesso mi suggerisce: – LA BIBBIA

INTERA. – Con questo suggerimento la Voce mi invitava a prendere la Bibbia

commentata da Marco Sales che raccoglie in un sol volume l’Antico e il Nuovo

Testamento. Forse l’invito era per mettere in evidenza l’unità della Rivelazione

biblica. Può esservi però anche una seconda ragione: le traduzioni più recenti, nel

tentativo di essere più scorrevoli, a volte sono meno fedeli al testo originario. La Voce

forse intendeva ricondurre la lettura alle traduzioni più tradizionali. Ma potrebbe

esservi anche una terza ragione, più profonda: mentre oggi molti biblisti mettono in

dubbio che l’Autore della Genesi sia Mosè, nell’introduzione della Bibbia commentata

dal Sales si leggono invece queste righe: “L’Autore del Pentateuco (Genesi, Esodo,

Levitico, Numeri, Deuteronomio) è Mosè, come hanno sempre ritenuto le tradizioni

ebraica e cristiana poggiate sulle affermazioni dell’Antico Testamento e sulle

affermazioni stesse di Nostro Signore Gesù Cristo e degli Apostoli”.

Allora apro lo sportello di sinistra verso l’angolo della stanza e prendo la Bibbia

commentata dal Sales. Estraendo il Libro, dico con voce normale:

– Come ha fatto a trovarla? – Volevo dire: come ha fatto Adamo a trovare la Donna,

la prima Donna che credevo Eva?

Teofania

§ 12 a) Lo scoppio di un tuono mi sorprese, perché all’una, al ritorno dalla chiesa,

avevo visto il cielo stellato e limpido; ma non mi impaurii benché fosse ‘preceduto da

una specie di soffio’. Sembrava fosse caduta una folgore sull’orto davanti alla finestra

dello studio. Non era un suono secco come quello del fulmine, ma un tuono il cui

rombo andava ripetendosi con molte eco che si disperdevano lontano, come quelli che

provengono dall’atmosfera.

b) Cessata l’eco del tuono, un terremoto sussultorio e ondulatorio mi fece una certa

impressione. Il pavimento tremava sotto i miei piedi e mi inclinavo per stare in

equilibrio, spostando i piedi ora a destra ora a sinistra. Le pareti ed il soffitto

scricchiolavano e mi aspettavo di veder cadere calcinacci e polvere e sfasciarsi tutto.

Ma niente cadde. Ero preoccupato.

“Se esco così svestito, divento la favola del paese” pensai.

c) Cessato il terremoto, sentii un fortissimo sibilo come di vento impetuoso che

entrasse da tutte le parti, anche dalle pareti. Mi aspettavo di veder volar via tutte le

mie scartoffie. Invece nulla.

Non sono superstizioso né timido, ma di fronte ad un pericolo di cui non conosco la

causa né gli eventuali effetti, la prudenza mi suggerisce di scappare. Era quello che

volevo fare, ma non potei muovermi.

Feci il gesto di scappare ma non vi riuscii, non per paura ma perché i piedi parevano

incollati a terra da una forza esterna, misteriosa.

d) Cessato il vento mi accorsi di una luce rosea, non di un colore caldo come quello

del fuoco che ha diverse gradazioni dal bianco al rosso al giallo, ma di un rosso

tenue, più simile al rosa che all’arancione.

Questa luce rosea che aveva invaso la stanza non era tremula come quella della

fiamma, ma continua, quasi lattiginosa come una leggera nuvola.

– Anche il fuoco adesso? – dissi allarmato. Annusai ripetutamente. Nessun odore di

gas, né di bruciato. Mi tastai le mani nel timore che fosse una radiazione nucleare.

Tutto normale.

Mi venne il dubbio allora che il tuono fosse stato provocato da una bombola di gas

che, scoppiando, avesse fatto esplodere altre bombole vicine, imitando il rimbombo del

tuono. Volli muovere un passo verso la finestra. Potei alzare il tallone ma non la

gamba, sebbene avessi incominciato a protendermi innanzi.

§ 13 Una Voce di uomo adulto disse: – IO SONO. – Voglio spiegarmi meglio: quella

sensazione non mi veniva solo dall’esterno. La Voce “IO SONO” mi risuonava

dentro, così che non era come se mi sentissi in compagnia di qualcuno, ma quel

Qualcuno mi circondava, mi compenetrava, mi possedeva tutto e mi faceva sentire

molto piccolo alla Sua Presenza.

Dopo qualche secondo la Voce mi disse dentro: – RESTA. È TUTTO BENE. – Dovetti

restare. Provai a sollevare nuovamente l’uno e l’altro tallone e ad alzarmi in punta di

piedi. Nessun impedimento, gli arti funzionavano regolarmente ma le punte dei piedi

erano ancora incollate al pavimento.

§ 14 La Voce, in tono normale di conversazione, vicinissima al mio orecchio destro,

mi disse: – DA UN SEGNO. – Sentii le parole, ma non il fiato che avrebbe dovuto

accompagnarle. Rigido nella persona, girai lentamente il capo verso la spalla destra.

Nulla. Nella stessa direzione osservai la lampadina sotto il paralume di porcellana

bianca pendente dal centro del soffitto.

Mi aspettavo di vederla avvolta entro una carta velina color rosa che mi faceva

vedere la luce rosea nella stanza.

Quella luce rosea non era ancora molto densa e mi lasciava intravedere i contorni dei

mobili e degli oggetti. Non c’era anima viva. Silenzio assoluto, quando la Voce mi

disse ancora dentro, cioè senza interessare gli organi dell’udito:

– È LA RISPOSTA ALLA TUA DOMANDA. – Con tutto quello che era accaduto nel

frattempo, avevo dimenticato di aver fatto una domanda nel prendere in mano

la Bibbia (cioè: “Come ha fatto Adamo a trovare la Donna che sarebbe diventata sua

moglie?”), né pensavo che le mie parole fossero state prese in considerazione da

chicchessia.

Compresi. Pieno di commozione e di rispetto chiusi lo sportello di destra dicendo: –

Ma che tipo di segno? – Allungai poi il braccio sinistro e chiusi l’altro sportello che,

aperto, era aderente alla parete e che si apriva di misura verso il fianco della

cartelliera.

A poco a poco la luce rosea si fece più intensa avvolgendo mobili e oggetti che

scomparvero in essa: vedevo bene solamente la Bibbia che avevo in mano, ma non

vedevo più nemmeno la mia mano.

(Nota della curatrice) A questo punto don Guido interrompe il racconto per dar spazio

ad una descrizione del suo appartamento perché la visione, durata più di mezz’ora, si è

spostata, in senso antiorario, lungo le pareti ed i mobili del suo studio e della cucinapranzo.

Questo semplice espediente voluto dal Signore gli ha permesso, in un secondo

tempo, di ricostruire non solo la sequenza delle immagini e degli episodi, ma anche di

derivarne l’orientamento e di farne una mappa. Perciò il lettore che volesse velocemente

proseguire nel racconto, può tranquillamente saltare il § 15.

§ 15 Prima di proseguire mi sembra opportuno descrivere l’ambiente dove le scene

della visione si sono manifestate e fare una ‘composizione di luogo’ visualizzando

oggetti e mobili dentro le mie stanze per ricostruire con la memoria le varie fasi di

questa grande visione nell’ordine in cui si sono succedute perché, ad ogni sfondo,

corrispondeva una scena della visione partendo dallo studio fino alla cucina.

Fra quelle mura ebbi infatti una visione durata mezz’ora che mi inseguì nei miei

movimenti su ben nove posti, lungo le pareti meridionali e orientali delle due stanze.

Per la precisione, le prime scene furono verso la parete Sud e la parete Ovest della

canonica, cioè verso la casa adiacente e verso l’orto; l’ultima, la più importante, fu

verso Est. Il lato Est, che guarda la strada, è lievemente girato verso Nord’

Quanto descrivo non è una perdita di tempo perché le immagini e le scene che ho

veduto avevano, nell’ambiente naturale, e questo lo capii solo in un secondo tempo, lo

stesso orientamento delle scene che vedevo proiettate sui mobili delle due stanze.

Questo aiuto datomi dal Signore mi permise di ricostruire non solo la sequenza delle

scene, ma anche l’orientamento di quell’habitat e disegnare in seguito la mappa di

quei luoghi mettendoli in rapporto di successione fra loro, così che oggi, se mai

dovessi visitare quella regione, sarei in grado di riconoscere quei posti perché erano

abbastanza singolari.

Venendo dalla camera, devo passare per il corridoio e, dal corridoio, per la cucina

per entrare nel mio studio, o biblioteca, che misura 3 metri per 2,80.

Entrando in cucina dalla porta che si trova quasi al centro della parete, alla mia

sinistra vi è la parete Est con due finestre che guardano la strada. Di fronte, sempre

all’entrata della cucina, vi è la parete Sud nella quale si apre, a sinistra, una portiera

con vetro smerigliato che dà sulle scale che scendono alla cantina e due metri più in là,

a destra, l’altra portiera, simile alla prima, che porta nello sbratta-cucina. Tra una

portiera e l’altra è collocata la credenza con l’alzatina dalle antine in vetro che

abitualmente chiamo ‘vetrina’. Al centro della cucina il tavolo da pranzo. Alla mia

destra, al centro della parete Ovest, c’è la portiera della mia biblioteca dove entrai.

Appena dentro la biblioteca, alla mia sinistra, addossata alla stessa parete che

divide la cucina dalla biblioteca, vi è una libreria alta due metri con due sportelli

simmetrici con vetro stampato. Di fronte a questa vi è, sulla parete Ovest, la seconda

libreria, identica alla prima. Entrambe hanno il fianco addossato alla parete Sud.

Sulla parete Sud è sistemata, al centro, una cartelliera a cassetti sottili alta m 1,50 che

occupa di stretta misura lo spazio tra lo sportello aperto della libreria che sta alla mia

sinistra e lo sportello aperto dell’altra libreria gemella collocata di fronte alla prima.

A fianco di quest’ultima, al centro della parete Ovest, c’è l’unica finestra del mio

studio che guarda verso l’orto.

Siamo sul piano rialzato di una casa costruita nel 1740 su un terreno in forte

pendenza.

Quasi al centro della stanzetta adibita a biblioteca vi è un tavolo ingombro di libri, di

riviste e di fascicoli di appunti. Al lato Nord, una stufa al kerosene, sedie coperte di

riviste e giornali, scatoloni, pieni delle stesse cose, che impediscono di aprire la

vecchia porta verso il corridoio. Disordine solo apparente: so trovare le mie cose se

altri non le toccano.

La stessa canonica vista da ovest.

Piantina della canonica di Chies d’Alpago, leggermente ruotata in senso

antiorario rispetto ai punti cardinali

Mappa del promontorio e della piana I punti cerchiati corrispondono agli orientamenti delle

visioni avute in canonica.

I Parte della visione: Il primo Pioniere, “IL CAMPIONE”

Il primo Pioniere

(1° orientamento: scena rivolta verso Sud)

§ 16 Con mia grande sorpresa vidi sulla parete Sud del mio studio, al posto che era

coperto dallo sportello sinistro della libreria di destra, una finestra aperta al chiaro

della luce meridiana occupata dalla figura nitida di un Ragazzo nudo, dalla pelle lucida

e arrossata come fosse stato scottato di recente dal sole. Lo vedevo solo dalle anche in

su. Non aveva segno di vestito, neppure un perizoma. I capelli nerissimi, lucidi e lisci,

gli scendevano fino alle spalle. Mi veniva da fargli molte domande: “Chi sei? Come sei

venuto qui?”. La Voce, sommessa, mi suggerì di contenermi. Quello non mi guardava.

Aveva una faccia bonaria e paffuta. Era intento a guardare qualcosa che aveva fra le

mani. Sembrava un mazzetto di steli di paglia. Si girò dalla parte opposta e fece due o

tre passi guardando in alto. C’era un soffitto fatto di lastroni di pietra giallastra di

arenaria dello spessore di circa 40 cm. Si fermò dove la serie di lastre era interrotta

per la caduta di una di esse. Da quel vano sporgevano in giù dei corpi grigi,

bucherellati, che credetti, lì per lì, dei pezzi di tufo. Ne vedevo solo l’estremità inferiore.

Guardavo il Ragazzo sospeso lì fuori del muro della mia stanza pensando a come

facesse a reggersi a quell’altezza di 5 m dal suolo, dato che nel muro esterno non vi

erano mensole né appigli. La mia meraviglia dipendeva dal fatto che la canonica di

Chies è situata su un terreno in pendio: mentre le stanze rivolte ad Est sono a livello

della strada, quelle rivolte a Ovest sono un piano più alto dell’orto.

§ 17 Lo vedevo di schiena che armeggiava con le mani così da far sprizzare verso il

suo fianco destro un pennacchio di scintille a brevissimi intervalli. Si girò sul fianco

sinistro e potei vedere che quello che aveva nella mano sinistra era un mazzetto di steli

diritti di frumento o di segala le cui spighe vuote intrise di un liquido nero ora

bruciavano con molto fumo gocciolando. Uno stelo acceso si era piegato in giù ed egli

si curvò e non lo vidi più. Quando si rialzò aveva in mano il mazzetto senza fuoco.

Dispose le estremità opposte alla spiga sul palmo della mano sinistra, fermandole con

l’indice e il mignolo contro il dito medio e anulare. Sopra il tratto che restava sul

palmo, strinse tra il pollice e il mignolo una pietra piatta. Nella destra ne teneva una

simile e si mise a sfregare in un’unica direzione questa con quella producendo

frequenti pennacchi di scintille verso le spighe finché presero nuovamente fuoco e

fecero fumo. Il Ragazzo produsse, col suo fuoco, una nube nera di fumo che saliva a

quei pezzi di tufo dalla forma di grossi salami pendenti sopra la sua testa fra le due

grosse lastre di pietra, provocando il volo di numerosi insetti che gli svolazzavano

intorno. Lo vidi fare una piccola smorfia. Si ritirò di alcuni passi verso la mia virtuale

finestra; attese finché il fumo si diradò e, prima che cessasse, ritornò là, alzò le braccia

(non vidi pelo sotto le sue ascelle), scostò due o tre tufi osservandone gli interstizi e,

non senza difficoltà, ne staccò uno provocando un nuovo sciame di insetti. Parevano

mosche.

Egli si ritrasse, ma non li scacciava. Ne staccò qualche pezzetto d’intorno e lo lasciò

cadere. Si ritirò di nuovo venendo ancor più vicino e proprio davanti a me, si chinò e

scomparve sotto il davanzale del quadro visivo.

Questo non era sempre uguale: veniva ristretto fra i due lati orizzontali, ora più ora

meno, per inquadrare solo la scena che dovevo guardare.

Mentre il protagonista stava sotto la linea inferiore del quadro visivo, potei vedere il

panorama e un lembo orizzontale di cielo. Era sereno, alla luce meridiana. Lo

deducevo dall’ombra quasi inesistente.

Finestra aperta alla luce meridiana: l’habitat del primo Uomo

§ 18 Volevo guardare l’ambiente, orizzontarmi, ma al di là vedevo solo il cielo sereno.

L’orizzonte era lontano, a perdita d’occhio, ad un livello più basso del luogo in cui mi

trovavo. Il punto d’osservazione era da un’altura. Mi alzai in punta di piedi per

osservare il panorama nascosto dal davanzale di quella strana finestra da cui distavo

quasi un metro. Con mia sorpresa e grande gioia, la finestra mi venne incontro, così

che potei affacciarmi. Mi trovavo su uno sperone di roccia marnosa, che scendeva

quasi verticalmente con uno strapiombo verso Ovest. Questo sperone era la parte

estrema di un alto promontorio che si spingeva da Nord verso Sud.

Sotto quello strapiombo vidi da Nord-Ovest a Sud una grande distesa di bosco, tutte

piante a latifoglio e nessuna conifera. Quella foresta dal lontano orizzonte arrivava

fino ai pressi dell’altura su cui mi trovavo. Appoggiai la mano sinistra alla cartelliera

(che già non vedevo) e mi protesi innanzi per sporgermi dalla finestra e guardai giù

nelle immediate adiacenze.

La finestra mi si accostò ancor di più, lentamente. Più scorgevo la parte più prossima

di quella foresta, più percepivo la misura del dislivello in rapporto al mio punto di

osservazione, alto almeno una sessantina di metri. Non potevo distinguere, dalle

foglie, la specie di piante del bosco. Forse erano castani o querce o faggi.

Mi sporsi di più, fino a mettere la testa fuori dal davanzale. Ebbi un brivido. Quello

strapiombo era costituito da molti lunghi corsi sovrapposti ed obliqui di pietra

arenaria giallastra intervallati da marna di colore più scuro. Anzi, ora anch’io ero

nell’incavo fra due cenge sovrapposte dove lo strato di marna era stato eroso.

Ai piedi della roccia su cui mi trovavo c’era l’alveo di un torrente asciutto dal colore

bianco in contrasto con le pietre giallastre dell’altura. Non distinguevo i ciottoli.

Ad una ventina di metri dalla base dello strapiombo, oltre la sponda opposta del greto

del torrente, questo bosco terminava di netto con un brusco salto di dieci metri rispetto

all’alveo del torrente che lo delimitava in linea retta da Nord-Ovest a Sud.

§ 19 Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio verso Sud fra due linee

divergenti, che inizialmente distavano una cinquantina di metri, una zona

pianeggiante, fertile, coperta di vegetazione cerealicola che si stendeva a perdita

d’occhio. Non vedevo monti all’orizzonte o perché non ce n’erano o perché la foschia

mi impediva di vederli.

Dall’enorme estensione di quella vegetazione color oro dedussi che quelle messi

crescevano spontanee, aiutate nelle vicinanze dell’altura da qualche fosso rettilineo

che distinguevo appena e che, suppongo, fosse un rudimentale sistema di canali

d’irrigazione che qualcuno aveva scavato. A Est dell’immensa campagna vi era

un’altra valle che usciva dal lato orientale dello sperone di roccia. Forse, al di là di

una fila di piante irregolari che delimitavano a sinistra la pianura, vi era anche

un’altura. Non potei vedere se ci fosse un altro corso d’acqua.

Nel guardare il dirupo che stava sotto di me ebbi un momento di sconcerto e mi tenni,

con la sinistra, ancor più saldo alla cartelliera.

§ 20 Mi ritraggo e osservo ancora l’orizzonte. Non mi raccapezzo. So di essere nella

mia abitazione e tengo i piedi per terra. La canonica non è sull’orlo di un precipizio.

Strana associazione di idee. Anch’io sono un uomo che, a volte, sono incline a

giudicare le cose secondo le proprie misure. Pensai: “In questa parete è stata murata

una finestra che guardava il sottostante cortiletto interno della canonica, ultimo lembo

dell’orto del Beneficio, salvato un tempo dall’usurpo dei vicini che poi, in questi ultimi

anni, hanno costruito e ampliato la loro casa abusivamente. Ora, ecco sprofondato il

cortile e anche la casa nell’abisso, forse a causa del terremoto che ho sentito. Meglio

così: ora potrò vedere di nuovo il sole d’inverno e vedrò la Chiesa e il colle del

Cimitero. Ma, e le persone? Oh! Misericordia, no! Ma... questo non è il mio ambiente!

Se fosse scomparso anche il colle vedrei l’orizzonte sopra il lago di S.Croce. L’Alpago

è bello, ma non è il Paradiso Terrestre, anche se i bellunesi lo chiamano ‘il giardino di

Belluno’. E poi, qui è notte e lì è giorno”.

§ 21 La finestra inquadra di nuovo il protagonista che ora si è rizzato in piedi. Ha in

mano un oggetto bucherellato da cui sta strappando dei pezzettini che lascia cadere.

Non riesco a capire che cosa sia. Mi sembra un pezzo di quel tufo. I soliti insetti gli

volano attorno e si posano su quell’oggetto. Egli, con calma, strappa il pezzettino

infestato e lo lascia ancora cadere. Qualche volta scorgo sulle sue labbra una leggera

fugace smorfia di dolore. Finalmente alza la testa e sbanda i capelli dalla fronte. È

vicinissimo a me, nel lato più esterno della cengia. La Voce sommessa mi suggerisce di

osservarlo bene. È ad un mezzo palmo di distanza davanti alla mia spalla destra. Lo

vedo di profilo. Egli alza lo sguardo verso la mia sinistra, lentamente. Con la mano

sinistra fa il gesto di sistemare i capelli dietro l’orecchio sinistro. Gli osservo la mano

grassoccia, rosea e lucida, le dita perfette nella forma e nella proporzione del palmo, le

unghie regolari e pulite. Così pure l’orecchio è ben fatto. Ad un mezzo palmo di

distanza egli accosta la sua guancia al mio sguardo. Posso constatare che non vi è

alcuna traccia di barba e neppure di peluria di baffi. I pori della sua pelle, rosea, liscia,

delicata e lucida, sono invisibili. Niente peluria neanche alle ascelle né sul petto. Ora

che lo vedo muoversi con tanta naturalezza, rivolto sempre verso la mia sinistra,

provo un senso di ammirazione e di simpatia al constatare la perfetta armonia dei suoi

lineamenti. Il naso è un po’ piccolo e delicato nella tinta, come quello di un bimbo. Gli

occhi neri sono profondi e piuttosto piccoli. L’arco sopraccigliare, fatto proprio ad

arco, è ricoperto da sopracciglia nere normali, non a cespuglio, non lunghe né

sporgenti, ma giuste, che non si congiungono sopra il naso. Tra le sopracciglia e le

ciglia la nicchia è profonda più di un centimetro ed è pallida, così pure la palpebra

quando abbassa lo sguardo, perché il sole non l’ha arrossata. Forse anche per questo

gli occhi mi sembrano molto profondi. La fronte è alta e ben proporzionata. L’angolo

facciale è retto, il mento e la bocca sono regolari.

§ 22 Mentre lo fissavo, egli, guardando lontano sempre verso la mia sinistra, aprì la

bocca e sentii pronunciare due parole, con voce forte e lentamente: – DALLA VOCE.

– Notai che mentre sentivo pronunciare “dalla”, il Ragazzo aveva mostrato tutti i

denti bianchi e regolari, anche i quattro canini che non erano più lunghi degli altri

denti. Aveva mosso la lingua verso gli incisivi come avesse pronunciato la prima

consonante ‘d’, e poi contro il palato per la ‘l’. Ma quanto alla parola “voce” non mi

sembrò corrispondente il movimento delle sue labbra, perché si erano contratte come

nell’atto di zufolare.

Inoltre il suono delle parole non mi veniva da quella direzione, ma da sopra la mia

spalla destra. Dovetti pensare un po’ per capire. Era la risposta alla mia ultima

domanda: “Ma che tipo di segno?”. E quel ‘segno’ era a sua volta la risposta a

quell’altra domanda espressa prima che iniziasse la visione mentre stavo per

prendere in mano la Bibbia: “Come ha fatto (l’Uomo) a trovarla (la Donna)?”.

Dunque l’Uomo aveva trovato la Donna da un segno e quel segno era la voce. Ma di

chi?

§ 23 Il Ragazzo era ad una distanza che calcolavo essere appena di là del muro dello

studio. Stava passando dalla mano destra alla sinistra quell’oggetto che credevo

essere un pezzetto di tufo volgendo anche il capo dalla stessa parte come volesse

rivolgersi a me. Invece guardava lontano. In quel momento la solita Voce diceva: –

HA SENTITO LA SUA VOCE. – Non avevo compreso che era stato l’Illustre

Commentatore a parlare. Credendo fosse stato il Ragazzo che mi stava dando del ‘lei’

e che si riferisse a qualcuno che aveva sentito la mia voce, risposi con lo stesso tono

forte:

– Eh! Ho altro a cui pensare io! Altro che la mia voce! – Desideravo studiare la

Bibbia. Non volevo distrazioni. Il mio Illustre Maestro intendeva invece, come mi

venne detto di lì a poco, che il Ragazzo aveva sentito la voce della madre che stava per

partorire quella che sarebbe diventata la sua Donna.

Frattanto Chi mi parlava nel pensiero si fece più insistente e andava dicendo parecchie

parole di cui ricordo bene solo queste:

– EGLI HA SENTITO. TI PARLO DI LUI. –

‘Il Campione’

(2° orientamento: scena rivolta verso Sud-Ovest)

§ 24 La finestra aperta si spostò verso destra inquadrandolo oltre l’angolo della

stanza: anzi era fuori del muro della biblioteca per almeno un metro, dietro l’angolo

della libreria. Ora l’inquadratura era rivolta verso Sud-Ovest. Non vedevo più il

mobile della libreria, come se fosse sparito. Sporsi la mano e la toccai, la sentii ma

non la vidi. Non vidi nemmeno la mia mano.

Una Voce di uomo mi disse dentro: – GUARDALO! È BELLO. LO

RICONOSCI? –

Lo fissai mentre si muoveva fino a quando, spostando i capelli che gli scendevano sul

viso mentre era intento al suo lavoro, li cacciò nuovamente dietro gli orecchi. Era

veramente bello. Aveva quindici o sedici anni.

Era paffuto. Forse la cavità orbitale sembrava così profonda proprio a cagione delle

guance paffute. Risposi mentalmente: “No”.

– RISPONDI – soggiunse.

Ero convinto che se io Lo sentivo e Lo capivo a livello intellettivo anche l’Interlocutore

mi capiva. Risposi facendo il gesto negativo con il capo.

– PARLA – insistette. – No, non lo conosco – dissi a voce normale. – Chi è? –

§ 25 – È IL CAMPIONE – mi rispose con voce tenue all’orecchio. – L’HAI

DEFINITO TU COSÌ, UN MESE E MEZZO FA, NELL’AULA MAGNA DEL

SEMINARIO16. –

1 6 Scrive in un appunto don Guido: “Un mese e mezzo prima della visione, cioè il 28 giugno del 1972,

assistetti nell’Aula Magna del Seminario ad una conferenza di microbiologia genetica in rapporto alle

tare ereditarie che condizionano il comportamento dell’uomo. Quando l’oratore, il prof. Giambattista

Marson, primario nel reparto di dermatologia dell’ospedale di Belluno, spiegò come in America l’esame

delle cellule di condannati all’ergastolo rivelò che alcuni di costoro invece di avere i normali XY avevano

anche un cromosoma più piccolo, cioè una y, per cui gli scienziati si chiedevano come quella y fosse

entrata nel patrimonio genetico umano rendendo squilibrato chi ne era in possesso, io intervenni

dicendo: – Siamo dei credenti e per noi è certissimo che Colui che ha guidato l’evoluzione delle specie dei

viventi fino ai vertici del ‘philon’, ha posto in essere una creatura umana perfetta che doveva essere ‘il

Campione’di tutti i suoi discendenti. Se ancora al giorno d’oggi si trovano dei casi di caratteri

ancestrali, ciò è dovuto al fatto che il Campione, il quale nel Paradiso terrestre va sotto il nome di

‘Albero genealogico della Vita’, ha avuto rapporti generativi con l’‘albero selvatico’ che poteva dare

frutti buoni con l’intervento di Dio e frutti cattivi senza l’intervento di Dio, cioè ibridi, bastardi...” – Non

potei continuare perché un anziano professore di Esegesi biblica, don Angelo Santin, mi interruppe

dicendo: – Non siamo preparati su questa linea.

– L’ho detto per fede, non per esperienza. Non l’ho mai visto! –

– L’HAI VISTO. TI HO ASCOLTATO VOLENTIERI IN QUELLA OCCASIONE, E

ANCHE PRIMA NEGLI ALTRI TUOI INTERVENTI ALLA CATTEDRA DEL

CONCILIO AL CENTRO DIOCESANO. –

– Non me ne ricordo – risposi. Qui una Voce femminile disse in sordina:

– E PARLERAI ANCORA ANCHE SULL’EUCARISTIA

– e aggiunse altre parole che non ricordo.

– Chi è? – insistetti.

§ 26 – IL TUO PRIMO PARENTE. –

– Eh no, Signore! Non ho parenti così belli, né prossimi né lontani. – Intanto cercavo

di realizzare:

– Ma chi è? Cosa viene a fare qui? Un mio parente...? Un campione...? Ho

un’allucinazione? – esclamai forte.

– PROTO, PROTOPARENTE – soggiunse sommessamente e ripetè:

§ 27 – PROTOPARENTE DI TUTTI GLI UOMINI. – E dopo alcuni attimi:

§ 28 – È LUI IL PROGENITORE. –

Ripensandoci poi, ricordai d’averlo già visto nella rivelazione de ‘Il peccato originale’

quand’era ancora poco più che un ragazzo e nella rivelazione de ‘La morte di Abele’,

Non dimentichiamo che prima di questa conferenza don Guido aveva avuto già 4 rivelazioni e che, a

differenza del suo confratello, aveva potuto vedere lo svolgersi del ‘peccato originale’ e osservare l’aspetto

del primo Uomo e della prima Donna ancora bambina (II rivelazione) e quello degli esseri della specie pura

più prossima all’Uomo (II e III rivelazione) e quello degli ‘ibridi’ di alcune generazioni dopo l’incrocio

delle due specie (IV rivelazione).

quand’era nel pieno della sua virilità. Ma vedendolo così giovane non l’avevo

realmente riconosciuto. Non potevo credere che Adamo fosse così giovane per cui,

fissandolo di nuovo in viso, al vedergli quella pelle rosea e delicata e le guance paffute

con quel naso di fanciullo, dissi:

– È mai possibile? È un ragazzino! – Ricordavo che nella Bibbia era scritto che

Adamo generò Set a 130 anni. Poi, ragionando, pensai che anche lui doveva pur esser

stato giovane. Anzi, un Giovane speciale che era dotato di doni soprannaturali e

preternaturali e che godeva di un dialogo costante con Dio che gli faceva da Padre e

da Maestro.

È scontato che il primo Uomo parlasse con Dio e che Dio gli avesse insegnato a

parlare. Non c’è da stupirsi, visto che parla anche oggi agli uomini! Se non fosse stato

così, Adamo avrebbe imparato solo i versi degli animali. Quindi, oltre alla parola,

anche la conoscenza dell’uso del fuoco gli venne trasmessa da Dio che gli insegnò ad

usarlo, ma si perdette assieme a tutte le altre conoscenze con l’ibridazione, fino a

riemergere nell’uomo preistorico come una conquista.

§ 29 – TU GLI SOMIGLI. –

– So di non essere bello, lo so fin dall’infanzia. –

– ‘ORA’ TUTTI GLI UOMINI GLI SOMIGLIANO. – – Beh! Pressappoco. Chi più,

chi meno... – Sentii sopra le mie ultime parole, la Voce sommessa che disse alcune

parole riguardo all’Uomo che per la sua disobbedienza divenne padre di un’umanità

degenerata e alcune altre considerazioni riguardo all’uomo decaduto.

Ogni volta che si trattava di accusare l’Uomo, Egli lo faceva in sordina, riguardoso.

E di lì a qualche secondo continuò:

§ 30 – L’HO PRESERVATO DALL’ESTINZIONE E L’HO GUIDATO ALLA

RISURREZIONE. – Seguirono altre 8 o 10 parole che non ricordo, ma che si riferivano

alla Sua opera nel guidare l’umanità, imbestialita a causa dell’ibridazione, al recupero

dell’immagine originaria, non tanto riguardo ai caratteri somatici che hanno ben poca

importanza, quanto alla ‘capacità di intendere e di volere’. Con quelle parole non

intendeva solo dire che siamo rievoluti, cioè che siamo stati recuperati parzialmente e

che, entro certi limiti, abbiamo riacquistato le sembianze del primo Uomo, ma che

abbiamo anche riacquistato in buona parte le capacità intellettive. ‘Ci ha messi in

grado’ di partecipare alla sorte dei Santi nella Luce, ci ha dato la possibilità di essere

liberati dal potere delle tenebre dandoci l’opportunità di essere trasferiti nel Regno del

Suo Figlio diletto per opera del Quale abbiamo la Redenzione, la remissione delle

conseguenze psicofisiche e spirituali del ‘peccato originale’.

‘Io Sono la risurrezione’

§ 31 Le ultime parole le ricordo bene: – IO SONO LA RISURREZIONE.

Ho inteso la parola “risurrezione” in senso pieno, attraverso la quale Egli ha operato

un recupero non solo spirituale ma anche psicofisico dell’umanità. È Lui l’Autore della

sua ‘rievoluzione fisica e psico-intellettiva’. “risurrezione” va dunque intesa come

recupero della immagine originaria secondo il modello con il quale fu fatto il

campione, il prototipo, il primo Uomo. Quindi, Rievoluzione, Rigenerazione,

Riabilitazione, anche fisica, sono state operate e guidate da Dio. Siamo, anche

fisicamente, dei risuscitati.

§ 32 Dopo una breve pausa soggiunse:

– MA ORA CHE TUTTI HANNO RECUPERATO LA CAPACITÀ DI INTENDERE E

DI VOLERE, HANNO PARI DIGNITÀ E DIRITTI. –

Da queste parole intesi che tutti abbiamo oggi “pari dignità e diritti” non riguardo

alla salvezza, ma alla ‘capacità’ di aspirare alla salvezza.

Il Vangelo di Giovanni ci dice che Cristo diede a tutti gli uomini ‘la possibilità’ o

meglio ‘l’opportunità’ di diventare figli di Dio (dedit eis ‘potestatem’filios Dei fieri) e

con ciò di avere la Vita eterna in comunione con Dio, ma non disse che Dio diede a

tutti la Vita eterna. Nel suo Vangelo Giovanni scrive anche che Gesù disse: “Oro pro

multis”; non disse: “Oro pro omnibus”. Quei ‘multis’ sono coloro che hanno buona

volontà perché corrispondono all’Amore di Dio, a qualunque credo in buona fede

appartengano. Perché, se tutti hanno pari possibilità di diventare figli adottivi di Dio,

solo coloro che mettono a frutto i beni della Redenzione diventano ‘figli di Dio’. Gli

altri, quelli che non seguono i principi del Vangelo, ‘restano creature di Dio’, ossia

esseri ‘inferiori’come gli animali, benché intelligenti: inferi fra gli inferi. Restano degli

esclusi. Dio non castiga, Dio promuove o non promuove. La non promozione è già un

castigo, ma non viene da Dio.

Il primo Uomo ‘è ancora innocente’

§ 33 Ero affascinato dalla figura del Ragazzo che mi stava dinanzi e desideravo

conoscere tante altre cose su di lui. Per esempio desideravo misurare la sua altezza

perché, fino ad allora, mi sembrava posto su un piano più alto del mio che non vedevo

perché dalle anche in giù restava nascosto.

Chi conosceva il mio desiderio, mi ha accontentato.

Per un attimo il quadro visivo si abbassò fino a terra, per riprendere subito dopo la

posizione di prima. Potei notare che aveva le gambe molto lunghe, la metà della sua

statura complessiva.

Il Ragazzo, un po’ più avanti di me di forse 10 cm, mi si accostò dal mio fianco destro

e mi si incorporò fino a metà del mio corpo. Vedevo la sua testa occupare la mia

spalla destra.

Non vedevo il mio corpo né la mia spalla, solo il suo corpo che era nella luce, sullo

stesso piano del mio. Alla mia riluttanza per quell’accostamento la Voce mi disse

dentro:

– È TUTTO BENE. È ANCORA INNOCENTE. –

Mi portai la mano sinistra sulla spalla destra, che non vedevo, per controllare

l’altezza precisa che ricercavo, ma la prova non riuscì. Non vedendo la mia mano non

potevo misurare. Portai allora la mia mano sinistra distesa sotto il mio naso. Non

vedevo ancora la mia mano. E poi essa si trovava troppo sopra la sua testa. Dovevo

misurare a occhio.

Potevo sbagliarmi di qualche centimetro, anche a causa del volume della sua

capigliatura. Il Ragazzo intanto si scostò e riprese la posizione di prima senza che io

avessi potuto raggiungere il mio scopo.

La sua altezza

(3° orientamento: scena verso Sud-Est)

§ 34 A consentirmi una misurazione più precisa accadde un fatterello incredibile. Ero

sempre nel lato più interno della cengia ed egli quasi sul ciglio, a due metri da me sulla

mia destra.

Il Ragazzo mosse il primo passo per dirigersi verso la mia sinistra. Al rimirarlo così

lucido di pelle e di capelli pensai: “Adesso mi passa davanti, proprio vicinissimo.

Voglio annusare i suoi capelli e la sua spalla”.

Il quadro visivo seguendo lo spostamento del Ragazzo verso la mia sinistra, coprì

parte della cartelliera attraversandola e attraversando anche il muro al quale era

addossata. Il Ragazzo mi sfiorò.

Piegai il capo, aspirando, sopra i suoi capelli che gli scendevano sulle spalle. Nulla,

alcun odore.

Sentii invece il sopracciglio dell’occhio sinistro urtare contro un oggetto contundente.

Mi ritrassi e tastai: era lo spigolo acuto della cartelliera che non vedevo. Ora so che

la cartelliera è alta m 1,50 dunque quella era la sua altezza. Mi arrivava alla spalla o

poco più.

“Che stupido sono stato – mormorai – sapevo bene che era un’ombra; come ho fatto

a lasciarmi incantare? E che c’entra tutto questo con lo studio che devo fare? È una

cosa fuori del normale? O sono io anormale?”.

Chiusi gli occhi, ma la luce era anche dentro la mia testa.

Contrassi le palpebre, le sopracciglia, mossi gli orecchi e il cuoio capelluto, strinsi le

labbra e i denti, strinsi ambo le mani sulla Bibbia, premendola contro il petto, mossi

alternativamente i muscoli dell’addome, delle braccia, delle gambe, delle caviglie e le

dita dei piedi dicendo tra me:

“Sono o non sono io?”.

Avevo un perfetto controllo della mia persona.

Scende lungo la cengia

(4° orientamento: scena verso Est)

§ 35 Mi girai sulla sinistra per uscire dalla stanza. Ora il Ragazzo si dirige verso Est

e cammina davanti a me. Non vedo la cartelliera che avevo toccato e che ora è alla

mia destra, né il tavolo alla mia sinistra.

Mi muovo a tentoni. Vedo invece una specie di corridoio illuminato dal sole che

proviene da destra e questo corridoio visivo si prolunga lungo la stanza, occupa in

parte la cartelliera, passa attraverso la libreria di sinistra e, attraverso il muro che

separa la biblioteca dalla cucina, a destra della portiera, prosegue giù per un piano

inclinato. Il percorso era coperto dalla sporgenza di un filone di lastroni di arenaria

giallastra. Era dunque una cengia che da Ovest scendeva verso Est.

Lo vidi scendere agile e prudente per quel sentiero largo ora un metro, ora molto

meno. Procedeva in quella direzione sempre diritto nonostante i balzi che presentava

la discesa.

Era, di certo, una discesa. Ad ogni passo di una gamba vedevo seguire il piede

dell’altra all’altezza del ginocchio. Lo vedevo dalla testa alle ginocchia. Solo due volte

potei vedere degli spuntoni di roccia alla sua sinistra.

§ 36 Cominciavo intanto ad avviarmi verso la porta per spegnere la luce che aveva

l’interruttore sulla parete opposta, palpando a destra e a sinistra per non urtare i

mobili e le mie scartoffie che non vedevo. Sebbene fossi attratto dalla sua figura,

volevo uscire dalla stanza per liberarmene. Il Ragazzo continuava la sua corsa nella

medesima direzione. Lo osservavo procedendo faticosamente mezzo piede per volta,

curvo come se portassi sulle spalle un quintale di peso.

Un rudimentale acquedotto

§ 37 Ad un tratto il Ragazzo si ferma per girare attorno ad un paletto forcello. Questo

era uno dei tanti paletti che si trovavano nei posti più stretti dove la cengia era

rientrante e mancava il tetto di roccia. I paletti erano parecchi, appaiati e legati

incrociati alla sommità: sostenevano una lunga serie di tubi di bambù uniti fra loro,

aderenti al soffitto e legati con stringhe dalla parte superiore dei paletti stessi: era un

rudimentale acquedotto formato da tubi di canna di bambù infilati per le estremità.

Egli, muovendo due stanghe contigue, stacca le due estremità in uno dei punti di

collegamento. Ne scende molta acqua ed egli si innaffia abbondantemente forse per

lavarsi o forse per rinfrescarsi dal bruciore delle punture di quegli insetti. Poi

ricongiunge i due tubi. A circa venti o trenta metri davanti a lui, la cengia era ostruita

da quattro o cinque tavole schiette e non rifilate, cioè ottenute spaccando in lungo il

tronco, messe di traverso e sostenute da pali. Sembravano aver la funzione di

arginare uno smottamento. O forse era un lato della cisterna nella quale affluiva

l’acqua della condotta. Camminando sempre davanti a me arrivò laggiù, davanti a

quella chiusa, si voltò a destra e scese sulla cengia sottostante e proseguì lungo il

nuovo tratto di sentiero.

§ 38 Spenta la luce, ancora curvo in avanti e sempre a passetti di mezzo piede per

volta, uscii dal mio studio. Passato di là, mi girai verso la portiera donde ero uscito,

la chiusi energicamente spingendola da sinistra a destra e vi appoggiai contro la

spalla sinistra per tener fuori l’intruso. Qui in cucina la lampadina da 60 watt

mandava una luce fioca, come là dentro prima.

Attraverso il vetro stampato della portiera non vedevo se nello studio ci fosse ancora

quella luce rosea. Non potevo distinguere. Aprii con uno spiraglio la portiera per

controllare meglio. La luce era sempre quella, dentro e fuori della portiera, ma non

vedevo nulla là dentro. Richiusi e vi appoggiai contro la spalla destra. Così facendo

mi ero rivolto verso la portiera dello sbrattacucina.

(5° orientamento: scena verso Sud)

§ 39 Con mia sorpresa non vedevo più tutta intera la portiera dello sbrattacucina, ma

vedevo al suo posto e a quello del muro alla sua destra, il solito quadro visivo con la

consueta cornice rosea. La visuale, limitata però in questa nuova scena entro un

secondo riquadro centrale che misurava 15 cm di base e 30 di altezza, mi mostrava il

Ragazzo che procedeva in quella nuova direzione verso Sud. Lì il percorso era ostruito

a destra da altri due o tre blocchi sovrapposti di pietra arenaria. Poggiò la destra

contro il più basso di quei massi, piegò le gambe e scomparve di sotto. Il Ragazzo,

uscito dal muro della mia cucina, era ormai lontano, forse una trentina di metri.

Rassegnato, più che contrariato, mi strofinai le palpebre con entrambe le mani.

La specie immediatamente precedente all’Uomo

(6° orientamento: rivolto verso Sud’Sud-Est)

§ 40 Torno a guardare: il quadro visivo ora è un po’ spostato a sinistra rispetto al

precedente ed occupa parte della portiera dello sbrattacucina, parte dell’interstizio con

la parte bassa della credenza, il fianco sinistro della credenza, che è al centro della

parete, e un po’anche dell’antina inferiore di destra. Il quadro con la cornice rosea ha

ancora il riquadro centrale con il campo visivo molto ridotto.

Il riquadro rettangolare che nella scena precedente era in piedi, ora è posto

orizzontalmente mantenendo le stesse dimensioni.

Vedo, alla distanza di dieci metri e da una posizione un po’ elevata, un tratto di campo

di frumento, o di cereali, grande poco più di un metro quadrato o due. Le spighe sono

biondeggianti, alte una quarantina di centimetri.

Un piccolo animale, nero e peloso, si muove tra le spighe. Quando si rizza in piedi e

guarda oltre le spighe, vedo che ha due cornetti sulla testa e questa è molto

schiacciata. Quando si abbassa e sparisce vedo, dal movimento degli steli che egli

sbanda passando, che si sposta di qualche metro.

Mi accorgo quando lo vedo di profilo che i cornetti sono orecchi. Penso ad un cane

Dobermann, ma poi vedo che ha il muso corto ed è senza naso. Gioca a nascondino

con un esserino più piccolo che si muove sui quattro arti ed è simile a lui, fuorché per

gli orecchi che, invece di essere ritti fin sopra il livello della testa, sono lunghi e

sporgenti orizzontalmente. Capisco che sono scimmie di una specie sconosciuta. La

più grande, il maschietto, fa delle capriole. È alta forse 40 cm.

Guardo intorno. Tutto come prima. Sempre la luce rosea che investe e nasconde tutto.

Ci vedo bene solo attraverso quella feritoia, in quel quadretto.

L’Albero della Vita e l’albero selvatico

(L’orientamento rimane lo stesso, ma la profondità di campo si allontana)

§ 41 Nuova scena. In primo piano, alla distanza di circa 15 metri, il Ragazzo nudo,

spuntato in quel momento dal lato destro, cammina con passo sicuro verso la mia

sinistra. Lo rivedo con molto piacere non solo perché la sua figura spicca bene su

quello sfondo, ma anche perché non lo sento più un intruso in casa mia. Guarda

davanti a sé, alla distanza di 20 metri, un gruppo di quattro animali, tre neri con pelo

arruffato, ma non folto, e uno bianco-giallastro senza pelo. Di essi non vedo, né la

testa, né le gambe, ma solo un tratto del tronco e questo molto curvo a sinistra in

modo anormale. Una Voce sommessa interviene: – ALBERI – ma io non capisco.

Questa famiglia animale è l’‘unico albero’ genealogico della sua specie

esistente sulla Terra

§ 42 Il piccolo quadro visivo abbandona la figura del Ragazzo e inquadra quegli

animali per intero e la Voce riprende: – SAI CHE ANIMALI SONO? – – Orsi seduti?

– chiedo forte. – NO – mi risponde in tono normale – QUATTRO RAMI DELL’

‘UNICO ALBERO’. –

§ 43 Erano schierati in fila di semiprofilo. I dorsi mostravano sempre la curva

dell’addome verso la mia sinistra.

Il riquadro si dilata e vedo che quelle bestie non sono sedute ma in piedi. Non si

trattava di bestie che conoscevo e ne rimasi sconcertato. Testa schiacciata, e quindi

fronte bassa, capelli neri, diritti e opachi fino al collo, orecchi enormi che spuntavano

fuori dai capelli orizzontalmente per più di 10 cm, senza naso, con fosse nasali nere e

scoperte, labbra nere aperte fino alla radice delle mascelle, senza mento. E le braccia

lunghe, giù fin sotto il polpaccio. Avevano tutti il ventre gonfio che, sopra quelle gambe

magre e corte, erano proprio un brutto spettacolo.

Quegli esseri dal ventre gonfio se lo toccavano ogni volta che quell’essere biancogiallastro

lo faceva. Simpatia? Forse gridavano, perché aprivano la bocca e facevano

vedere la lingua lunga e vibrante che sembrava attaccata solo alla gola e la

protendevano fuori dalla bocca.

– Obesi? – chiesi. Risposta sommessa:

– NO, PREGNANTI (cioè gravide). È LA LORO STAGIONE. – Allora capii che erano

femmine.

§ 44 Incredulo e deluso, mi volsi verso la portiera donde ero uscito e, appiccicando il

naso sul vetro, brontolai: “ Sogno o sono desto? Questo è il vetro, questo il montante

della porta, questa la maniglia” . Il mio controllo era reale perché toccavo con mano

gli oggetti, nonostante la luce mi impedisse di vedere ciò che mi stava attorno. –

Signore, se viene da Voi fate che io capisca. – Mi rispose:

– TI INSEGNO A LEGGERE TRA LE RIGHE LE COSE CHE IN QUEL LIBRO NON

CAPISCI. –

Avrei dovuto tranquillizzarmi ma, diffidente per natura di fronte alle cose che non

posso controllare e che non capisco, queste parole suggeritemi a livello intellettivo non

mi persuasero.

Continuai, toccando, il controllo del mio ambiente domestico, girandomi sulla destra

per voltare le spalle alla scena ed iniziai ad elencare ad alta voce i mobili, che solo

vagamente intravedevo, da sinistra a destra cominciando dalla portiera che conduce

in biblioteca:

“Questa è la chiave, questa la cassetta della legna, la cucina a legna, la porta donde

sono entrato venendo dal corridoio, il canapè addossato alla parete a destra della

porta. Sulla parete contigua, verso oriente, ci sono le due finestre, poi, nell’angolo di

destra, il televisore CGE a 24 pollici. Nell’altra parete, di seguito oltre l’angolo di

destra, c’è la portiera delle scale che portano in cantina”.

Non volevo girare lo sguardo più oltre per non vedere quegli animali pelosi da cui

volevo distogliere il pensiero. Ma qualcosa di irresistibile attirava la mia attenzione su

di loro.

“La prima famiglia degli ancestri più prossimi all’Uomo”

(_° orientamento: scena verso Sud-Est)

§ 45 Il quadro si sposta ancora più a sinistra. Con mia grande sorpresa e meraviglia

vidi al centro dell’alzata in vetro della credenza, la ‘vetrina’, la solita finestra aperta

per tutta la sua estensione alla luce diurna, come un quadro visivo rettangolare alto

55 cm e largo 75, delimitato dalla solita cornice rosea di luce più intensa larga circa 5

cm. In altezza arrivava quasi alla sommità della vetrina e sporgeva, nel suo lato

inferiore, di 15 cm al di sotto di essa, occupando circa metà del vano libero frapposto

col piano della credenza. Ci sarebbe stato dentro comodamente il mio televisore.

Dentro quella cornice una veduta panoramica dal vivo occupava l’intero schermo.

Sembrava un bellissimo dipinto: in alto il cielo azzurro, in basso una grande pianura

biondeggiante di messe matura che si estendeva a perdita d’occhio per due, tre, forse

quattro chilometri, delimitata dalla foschia dell’orizzonte.

A destra, il bordo del bosco verde di latifoglie, quello già visto dalla cengia. A sinistra,

alcune piante d’alto fusto dietro le quali non mi fu dato di vedere.

§ 46 Ora a quei quattro animali, i quattro rami dell’unico ‘albero’, se ne erano

aggiunti altri due: uno grigio ad un’estremità della schiera ed uno nero più alto di

tutti, all’altra, più prossima. Gli ultimi sopraggiunti non avevano il ventre gonfio.

Vedevo quell’essere bianco-giallastro e senza pelo e poi quegli altri esseri a

distanza tra i 6 e gli 8 metri così che potevo osservarli comodamente.

– Che bestie sono? – domandai.

– GLI ANCESTRI – mi fu risposto. Questo nome non mi era familiare e mi fece

pensare all’aggettivo ‘ancestrali’.

Quegli ancestri non erano belli a vedersi. La solita Voce, ora tenue, mi disse:

– LA PRIMA FAMIGLIA DEGLI ANCESTRI PIÙ PROSSIMI ALL’UOMO. –

Allora capii: quella che vedevo era la prima famiglia della specie animale più

prossima all’Uomo: la specie degli ancestri (cioè i nostri predecessori).

Da prima non avevo capito il significato di “alberi”, ma da questa spiegazione

compresi che la definizione significava ‘alberi genealogici’, indicando così le due

specie: ‘l’albero della Vita’, quello della specie umana rappresentato dal Ragazzo che

era appena uscito di scena, e ‘l’albero selvatico’, quello della specie di questi singolari

animali.

Compresi anche il significato di “unico”. Il Signore, come aveva affermato la

monogenesi della specie umana quando aveva definito Adamo “progenitore di ‘tutti’

gli uomini”, così aveva ribadito la monogenesi anche di quest’albero genealogico

selvatico.

Quindi, se per la specie umana il Progenitore era unico, ed unico l’albero genealogico

selvatico (gli ancestri puri nella loro specie) da cui l’Uomo era derivato, il Signore, di

conseguenza, affermava la monogenesi anche dell’albero ibrido, la specie umana

corrotta che avevo già visto in una precedente rivelazione, frutto dell’incrocio di

queste due specie pure.

“Non sono controfigure”

§ 47 Vedo di sfuggita il Ragazzo che passa veloce davanti al gruppo. Le femmine

pregnanti sciolsero il crocchio e si misero fianco a fianco un po’ più indietro del punto

occupato, alla destra di quel ‘figuro’ alto e grosso col ventre più alto e rotondo che

ora vidi essere un maschio. Era adulto e stava in primo piano, a sinistra della schiera

che andava nuovamente formandosi. Dal lato opposto si era sistemato quell’essere

brizzolato, evidentemente la madre di tutte le prime quattro. Quindi dedussi che, se

quella era la prima famiglia degli ancestri più prossimi all’uomo, la vecchia madre

era la capostipite di quella famiglia e anche della sua specie. Una Voce sommessa:

– LI VEDI VIVI. ORA NON CE NE SONO PIÙ. NON SONO CONTROFIGURE. –

Questa definizione non mi era familiare, ma era molto pertinente, per cui pensai:

“Gli scienziati ricostruiscono la loro figura basandosi sugli scheletri fossili e ci

mettono naso e orecchie a modo loro. Che cosa pagherebbero gli antropologi per

poterli vedere vivi!? E questo privilegio è toccato proprio a me!?”.

Compresi che se questi ancestri non esistono più allo stato originale è perché ora

vivono fusi nell’uomo.

Avevano caratteri assai diversi da come vengono raffigurati i cosiddetti ominidi, gli

uomini preistorici. Questi, in via di rievoluzione, sono chiamati comunemente ominidi,

ma è un termine equivoco perché comprende anche i pongidi, cioè le scimmie maggiori

non caudate come l’orango, lo scimpanzè e il gorilla17 .

“È una rivelazione come a Mosè”

§ 48 – È UNA RIVELAZIONE COME A MOSÈ – mi venne suggerito dentro da una

Voce di donna.

“Che cosa sono io? Un Mosè? Ah! È troppo per essere vero. Io vaneggio!” Non

capivo che l’accostamento riguardava la visione e non la persona.

Voltandomi dalla parte opposta, verso i fornelli:

1_

“Ancestri”, antropoidi, ominidi non sono termini equivalenti. Gli ancestri sono gli individui

appartenenti a quest’unica specie, ora estinta, dalla quale Dio trasse una femmina predisposta per lo sviluppo

dell’embrione dell’Uomo creato da Dio; ‘antropoidi’ è un termine generico per indicare le scimmie non

caudate come gli scimpanzé, gli orango e i gorilla; gli ‘ominidi’ sono tutti i primati bipedi a stazione eretta.

Questo termine viene generalmente usato impropriamente per indicare gli uomini preistorici con caratteri

intermedi che noi sappiamo ora essere gli ibridi alle prime tappe della rievoluzione.

“Stupido, imbecille, – imprecai contro di me – cosa ti prende? La megalomania?

Tieniti nelle tue pezze! Un moscerino di fronte a una fortezza volante...”

Mi ricordavo i versi del Salmo 130: “Non vado in cerca di cose grandi superiori alle

mie forze”. Chiusi gli occhi, me li strofinai ripetutamente...

“Non sono ubriaco né sonnambulo, voglio vedere se mi passa”.

Passai la mano sulla fronte, sulla testa con energia, sulle orecchie e il collo, tutto per

distogliere quella luce che credevo un’allucinazione, ma la luce era anche dentro di

me: la vedevo in ogni punto del mio cervello e in modo strano in tutto il mio corpo e,

quando aprii gli occhi, era più densa di prima nella stanza, tanto che non distinguevo

più, neppure approssimativamente, i mobili e gli oggetti.

Mi vennero in mente le parole di Sofonia: “Cose troppo difficili, chi le può capire?”; e

un altro passo della Sacra Scrittura: “Non pretendere di investigare le cose troppo

alte e difficili per te”; e mia mamma che mi ripeteva le stesse cose: “Non metterti a

studiare cose impossibili”.

“Io Sono: ti insegno a leggere e a interpretare il Libro che tieni

in mano”

§ 49 – QUESTA È UNA RIVELAZIONE, UNA VISIONE REALISTICA DELLE COSE

RACCONTATE E NON, NEL LIBRO CHE TIENI IN MANO. – E dopo alcuni secondi:

– IO SONO. TI INSEGNO ALEGGERE E INTERPRETARE QUEL LIBRO. –

Seguirono altre parole che mi esortavano a sintonizzarmi, cioè a riportarmi

all’altezza dei tempi, secondo il racconto genesiaco perché, mi spiegava la Voce:

§ 50 – È UNA RIVELAZIONE CHE NON HO FATTO NEMMENO AI CONVENUTI

NEL CONCILIO. – In quel momento mi si presentò alla mente la fotografia dei Padri

del Concilio nella Basilica Vaticana.

– No, Signore! Non fate questo torto a tutti quei Padri...! Là ci sono santi, dotti ed

esperti che reggono le sorti de...

– stavo per dire “della Chiesa”, ma mi interruppe dicendo:

§ 51 – DOVRESTI ESSERE SODDISFATTO CHE RIVELO A TE COSE CHE NON

HO RIVELATE AD ALTRI. HO SCELTO TE. NON SONO FORSE LIBERO? –

Replicai sottovoce:

– Rinuncio volentieri alla mia soddisfazione per loro. Non sono il tipo adatto, non

godo ascendente, sono un calunniato, perseguitato, disprezzato; non sciupate una cosa

così importante con questo povero uomo! –

Questa rivelazione non deve sostituire la Genesi mosaica, ma integrarla e

chiarirla

§ 52 Avrei potuto da quella mia posizione scostare da sotto il tavolo la sedia più

vicina alla credenza per sedermi e guardare la scena, invece vi girai dietro e passai

oltre, volgendo il dorso alla credenza per evitare la vista della vetrina e della scena

che vi si svolgeva. Mi sentivo contrariato. Qui feci il gesto come per gettare la

Bibbia sul canapè, ma mi fu detto dentro con fermezza: – TIENI IL LIBRO. – Fui

sorpreso nel sentire che già lo stringevo forte. Capii che se dovevo trattenere il

Libro, questa rivelazione non doveva sostituire quella mosaica, ma integrarla e

chiarirla.

Sono cieco

§ 53 Da quel momento non vidi più nulla, neanche nello schermo. Un senso di

profonda angoscia mi prese.

– Sono cieco. Questo è un castigo per la mia presunzione. Signore Benedetto! –

esclamai – cosa mi succede? Io mi sento ancora robusto, non può essere effetto di

senilità. Sono finito? Vi ho chiesto perdono della mia presunzione ai piedi dell’altare

poche ore fa e mi pareva che mi aveste perdonato. Adesso, invece, mi trovo in mano

ancora questo Libro e non so perché. –

L’Invisibile Interlocutore continuò:

§ 54 – IO SONO: L’HO VOLUTO. NON REAGIRE. ADEGUATI.

– Mi ricordai, allora, della chiamata e dell’ordine perentorio ricevuto e vidi la mia

ostinata contrarietà.

– Sì – risposi – e adesso mi castigate, accecandomi. – Sentii delle Voci femminili che

dicevano delle parole di protesta:

– NON DIRLO!... NON DIRLO!... – Poi la solita Voce di uomo disse

forte:

§ 55 – EH, GUIDO! COSA DICI? TI VOGLIO BENE; COME POTREI FARTI DEL

MALE?18-.

Ricordai che anche Teresa Neumann di Konnersreuth, passata per Dont quand’ero

parroco in quel paese dello Zoldano, mi disse fra l’altro: “Il Signore le vuol bene. Se

lo ricordi quando dovrà sopportare dei dispiaceri”. Le risposi che il Signore vuol

bene a tutti. Insistette dicendo: “Il Signore ha dei disegni di Misericordia sopra di lei”.

18 Quando don Guido ripeteva questa frase usava un tono di voce di immensa affettuosità ed ogni volta si

commuoveva.

E concluse: “Se lo ricordi! Se lo scriva!”.

Incoraggiato insistetti:

– Oh, Signore, ascoltatemi! – E piangevo davvero. E mi si presentò alla mente

l’immagine della mia povera mamma quando, all’età di 85 anni, la vidi piangere

perché non poteva più leggere i libri di meditazione e la ‘Famiglia Cristiana’...

– IO SONO. SONO QUI. TI ASCOLTO – mi disse, ed era vicinissimo.

– Fatemi questa grazia. Conservatemi la vista se sapete che io possa fare ancora un

po’ di bene in questo mondo. Vi prometto di non curiosare più nei segreti della

Bibbia.–

Non potei finire la frase perché mi interruppe di nuovo:

– NON TEMERE, RILASSATI. SEI SANO, SEI NORMALE, POTRAI LEGGERE E

SCRIVERE. –

§ 56 All’udir queste parole mi cessò il senso di angoscia e mi sentii contento, quasi

euforico. Potevo nuovamente vedere la scena che si svolgeva sullo schermo. La luce

rosea e densa che mi avvolgeva tutto non mi permetteva però di vedere null’altro.

Intanto mi ero curvato profondamente completando il giro del tavolo per avvicinarmi,

a passetti di mezzo piede, alla sedia che guardava il quadro visivo e che voltava le

spalle alla porta della biblioteca. Non riesco ancora a capire il perché di quei passetti.

Anche al buio mi sarei mosso con disinvoltura in ogni posto della casa. Ora forse

temevo di inciampare? O, come se Egli fosse intento ad una macchina da proiezione,

non volevo interferire tra Lui e il quadro visivo? Oppure il fatto di curvarmi quanto

più possibile era dovuto al peso insolito che mi gravava sulle spalle?

Era piuttosto la Sua Maestà che incombeva sopra di me. M’incuteva rispetto, ma me

La sentivo Amica. Gli Apostoli e i Profeti si prostravano alla Presenza manifesta di

Dio. Io, non so perché, sono stato da principio più refrattario.

La misurazione della statura degli ancestri

(Nota della curatrice) Il quadro visivo, per ottenere la misurazione degli ancestri, ha 4

successivi spostamenti. Le prime due inquadrature si sovrappongono alla credenza e sono

ancora orientate verso Sud-Est, mantenendo inalterato il 7° orientamento. Le ultime due

si sovrappongono alla portiera da cui si accede alle scale che conducono in cantina e sono

orientate verso Est.Sud-Est (8° orientamento. Il 9° al § 117).

§ 57 Il quadro visivo con la stessa scena si sposta in breve tempo su quattro sfondi

diversi. Solo ricostruendo con la memoria le sequenze nella loro progressione mi resi

conto del perché: era un modo semplice e sicuro escogitato dal Signore per permettermi

di misurare la statura degli ancestri. a) Lo schermo aveva ancora le dimensioni e la

posizione di prima, occupando lo spazio della vetrina e metà del vano sottostante. In

primo piano primeggiava il maschio. Si vedeva che era maschio, oltre che dai genitali,

anche dalla forma degli orecchi eretti e dalla posizione del torace gonfio più alto del

ventre delle femmine. Una figura massiccia, nera e pelosa, con quegli orecchi molto

grandi, eretti, che sorpassavano l’altezza del cranio di circa 10 o 15 cm. Cranio di

forma depressa, quindi fronte bassa. Arco osseo sopraccigliare quasi verticale, ma non

prominente. Occhio ad orlo delle sopracciglia. Senza naso. Fosse nasali nere scoperte.

Bocca con labbra nere aperte fino alla radice delle mandibole. Angolo facciale retto.

La mandibola era priva di mento. Il pelo nero, rado, arruffato, che gli copriva tutto il

corpo era come quello che costituiva la sua barba che lasciava scoperta solo la pelle

intorno alle occhiaie e la fronte.

I capelli neri, arsi, lisci e opachi gli scendevano fin quasi sugli occhi. Spalle larghe,

bacino stretto. Avambracci lunghi, gambe corte. Guardava immobile davanti a sè.

Probabilmente la sua attenzione era rivolta al Ragazzo.

§ 58 Alla destra del maschio venivano ad allinearsi le quattro giovani femmine

gravide e la vecchia madre. Avevano tutte gli orecchi sporgenti dai capelli in linea

orizzontale e traballanti ad ogni mossa del corpo. Prima fra le cinque femmine, alla

destra del maschio, si era sistemata quella femmina senza pelo simile ad una donna,

brutta e sproporzionata, che non volevo guardare perché nuda. Era circa 5 cm più

bassa del maschio. A destra di essa ve ne era una seconda nera e pelosa della stessa

altezza, ma di corporatura più magra, smilza; poi una terza simile a quest’ultima ma

un po’ più bassa, quindi una quarta, la più piccola, che guardava lontano dietro la

schiera e ripetutamente apriva la bocca emettendo la lingua lunga e appuntita,

condizione necessaria per emettere la voce, segno che la lingua quand’era in riposo

ostruiva lo spazio tra le corde vocali. Compresi che urlava perché faceva

contemporaneamente un gesto con il braccio e con la mano come per invitare

qualcuno. Anche le altre, prima di mettersi in schiera, si erano girate indietro aprendo

la bocca a quel modo.

§ 59 All’estremità dello schieramento vedevo la vecchia madre, magrissima, col pelo e

i capelli grigi brizzolati, che non aveva il ventre gonfio.

Vedevo tutti questi protagonisti di semiprofilo. Sembravano lì per ‘una posa

fotografica’.

§ 60 Altra particolarità che non ho ancora detto è la dentatura. Quando le femmine

aprivano la bocca, vedevo la loro dentatura sana, ma i quattro canini erano un po’

più lunghi degli altri denti. I capelli lisci ma non lucidi, erano neri ma non d’un nero

intenso come quelli del Ragazzo. Sembravano leggermente sbiaditi dal sole. Il pelo

diffuso su tutto il corpo era del tutto simile a quello che anche oggi certi maschi adulti

hanno sul petto o a quello che tutti hanno alla radice degli arti superiori e inferiori. Le

mani erano lunghe, nere, molto magre. Il pollice opponibile era distante dall’indice,

come se la sua parte esposta uscisse all’altezza del polso. Le unghie erano strette,

lunghe, arcuate, colme, robuste. Dal complesso di tali caratteristiche capii che quegli

esseri, dall’espressione più intelligente del cane e più efficienti nel servizio di

qualunque altro animale, erano stati predisposti dal Creatore come ausiliari

dell’Uomo, specialmente nel lavoro agricolo per piantagioni di riso, semina e raccolta

di tuberi ecc... Non avevano la pelle delicata che si screpola a contatto con la terra.

Non si dovevano curvare, come noi, per lavorare perché gambe corte e braccia

lunghe consentivano più lavoro e meno fatica. b) Mentre osservavo le loro

caratteristiche, la scena andava avvicinandosi fino a quando questi personaggi

raggiunsero la grandezza naturale.

§ 61 c) Nel frattempo il quadro visivo si era abbassato occupando la parte inferiore

della credenza.

Mi chiedevo il perché di questo spostamento, visto che non cambiava l’orientamento

della scena. Mi venne allora suggerito di osservare come la linea superiore del

quadro si era disposta esattamente al di sotto del livello del quadro precedente, linea

che tagliava esattamente a metà l’altezza delle colonnine che sorreggevano la vetrina.

A questo punto fui invitato a misurare l’altezza di questi strani protagonisti.

Ma non potevo dedurre la loro altezza perché la cornice inferiore del video mi

consentiva di vederli solo dalle anche in su e non sapevo se posassero i piedi su un

piano più basso del pavimento della mia cucina.

(8° orientamento: rivolto verso Est–Sud-Est)

§ 62 d) Estratta la sedia e giratala verso lo schermo, mi disponevo a sedermi di fianco

allo spigolo del tavolo quando il mio sguardo fu attratto dal chiarore che c’era sul

vano della portiera delle scale che scendono in cantina, a sinistra guardando la

credenza. Mi sedetti, appoggiando l’avambraccio sinistro sul tavolo, per guardare più

comodamente la scena, tenendo la Bibbia stretta al petto. I protagonisti ancestrali

erano lì: sembravano appena al di là della portiera. Davano veramente l’impressione

che poggiassero i piedi su un gradino più basso della soglia da cui si scendono le

scale.

§ 63 e) Lentamente il quadro si abbassò ancora, ma questa volta lasciando escluse le

teste, così potei constatare che si posavano sullo stesso livello del pavimento della mia

cucina. Vidi che avevano le gambe molto corte rispetto al tronco: circa un terzo della

loro statura. Allora ho misurato:

– l’altezza del piano della credenza è di 97,5 cm;

– l’altezza delle colonnine che reggono la vetrina è di 35 cm;

– altezza, quest’ultima, da dividere per due (35: 2 = 17,5 cm) poiché questo è il livello

superiore raggiunto dal quadro nella figura c);

– a questa altezza (17,5 cm) vanno tolti i 5 cm dello spessore della cornice luminosa

del riquadro: 17,5 meno 5 fanno 12,5 cm;

– questi, aggiunti ai 97,5 cm dell’altezza del piano della credenza, dopo che il quadro

visivo si era spostato sulla sinistra e si era abbassato fino a terra, danno un totale di

1,10 m.

Questa era l’altezza del maschio che toccava con la testa, nell’immagine precedente,

la cornice superiore del riquadro visivo e con i piedi, in quella successiva, il

pavimento della mia cucina.

L’altezza delle prime due femmine era minore di circa 5 cm, quindi misuravano m

1,05. Quella delle altre tre, rispettivamente m 0,90 e m 0,80.

Su quelle gambe corte avevo visto, nelle femmine in movimento, scendere le loro

braccia, anzi le mani, fino quasi sotto il polpaccio che non esisteva come muscolo.

L’avambraccio e la mano erano assai lunghi.

Mentre li osservavo di semiprofilo, i protagonisti si erano schierati uno a fianco

all’altro e guardavano verso la mia sinistra davanti a loro dove, intuivo, doveva

esserci il Ragazzo che dava ordini.

Le femmine continuavano a toccarsi il ventre ogni volta che lo faceva quella bianca,

aprendo la bocca e allungando la lingua in lamento.

* Misurazione degli ancestri

a) Il quadro in alto, sovrapposto alla ‘vetrina’ e situato più in alto della metà delle sue

colonnine, prende per intero la figura degli ancestri. b) Il quadro ravvicina l’immagine

fino alla grandezza naturale. Però ora esso comprende la testa ma esclude le gambe degli

ancestri.

c) Il quadro si abbassa, mantenendo inalterata l’immagine, fino a quando il bordo superiore

del quadro viene a trovarsi esattamente sotto la metà delle colonnine.

d) Il riquadro si sposta orizzontalmente a sinistra fino a sovrapporsi alla portiera delle

scale, mantenendo sempre la testa degli ancestri a contatto del bordo superiore del

riquadro.

e) Il quadro scende a livello del pavimento escludendo ora la testa, ma includendo i

piedi. Tutto questo gioco per rendere certa la loro altezza e per mettere in evidenza le

gambe degli ancestri sproporzionatamente corte.

La femmina ancestre, equivocata con la Donna, sta per partorire la

Bambina, la prima vera Donna, la futura moglie di Adamo

§ 64 Ora questi esseri neri e pelosi, tutti a statura eretta, si muovevano intorno a

quell’essere bianco e senza pelo, la femmina dalla pelle giallastra e nuda che

sembrava la caricatura più feroce della donna.

– OSSERVALA – mi disse dentro.

La femmina bianco-gialla e nuda uscì dalla fila e avanzò di alcuni passi, forse un

metro e mezzo o due. Subito la solita Voce forte di uomo mi disse da destra: – È IN

LUCE. – Credevo che uscisse dall’ombra di piante che non vedevo.

Non capivo che voleva dire che era ‘posta in evidenza’, cioè che era quella che doveva

interessarmi più delle altre.

Capii l’espressione solo dopo alcuni mesi ascoltando la televisione quando

quest’espressione fu usata per una diva del cinema.

Capii che essa era “in luce” perché su di lei stava per aprirsi il sipario e stava per

essere svelato il mistero che per tanti secoli l’aveva circondata: la sua vera identità.

Poi in sordina:

§ 65 – HO RISPOSTO ALLA TUA DOMANDA (“Come ha fatto Adamo a trovare sua

moglie?”) DICENDOTI: PRIMA, “DA UN SEGNO”; POI, “DALLA VOCE”; E

ORA, CHE “HA SENTITO LA SUA VOCE, QUELLA DELLA MADRE CHE SI

LAMENTA PER LE DOGLIE. STA PER PARTORIRE LA BAMBINA”. –

Compresi allora che colei che era “in luce” era “la madre”, la madre della Bambina.

Ma continuavo a pensare a quel “segno” e avevo ancora l’idea fissa di trovare ‘il

segno’, cioè il passo della Genesi che parla della Donna.

Non avevo capito che quel ‘segno’ era “la voce” e che l’ordine era: “prendi in mano

la bibbia” e non “studia la bibbia”.

Mentre il Signore mi parlava, sentivo la Sua Voce come di persona che mi parlasse

all’orecchio destro. Ero arrivato presso la sedia, quando sentii la parola “bambina”.

Al sentire la parola “bambina” fui molto contento, ed esclamai:

– Grazie, Signore! Questo potevate dirmelo solo Voi! – Vidi che la femmina biancogiallastra

uscita dalla fila urlava tenendosi il ventre.

Dall’estremità opposta della schiera, forse ubbidendo ad un ordine dell’Uomo, si

mosse la femmina più magra grigio-brizzolata. Si avvicinò a quella nuda, l’abbracciò

e la fece calare al suolo lentamente, con delicatezza. Non potei vederla adagiata

perché…

II Parte della visione: L’ALFA e la CREAZIONE

L’Alfa: “ego Sum”

§ 66 ...perché improvvisamente il quadro visivo si fece tutto nero. La luce rossa che

invadeva la stanza e la cornice rettangolare di luce più intensa che racchiudeva il

quadro visivo erano sempre là, a rassicurarmi che non si trattava di opera d’uomo,

né di fenomeno naturale. Tuttavia continuavo a borbottare sommessamente: “Proprio

sul più bello, quando incominciavo a capire! È una punizione alla mia incredulità? Ma

Egli conosceva la mia pochezza e gliel’ho anche detto che non ero idoneo a una cosa

così importante. Non sono un Mosè, né un Profeta, né tantomeno un Santo” . Il

quadro visivo rimase buio per 5 o 6 secondi. Alla mia espressione reattiva, sentii

dietro di me, da non so quale punto della stanza, o da tutte le parti di essa, la solita

Voce ripetere sommessamente per tre volte:

– IO SONO. IO SONO. IO SONO... – con cadenza finale sospensiva, ed alla terza

volta aggiunse altre tre o quattro parole che non ricordo, anche perché, in quel

momento, ero contrariato dall’interruzione.

Continuavo a pensare alle spalle di quel maschio. Gli avevo visto, sotto il pelo della

spalla sinistra, il colore rossiccio della pelle come di rame non lucidato. Pensavo a

quegli orecchi enormi, alla cartilagine centrale convessa che li sosteneva eretti.

“ Buon ausiliare dell’Uomo, pensavo, per lavorare la terra senza curvare tanto la

schiena. Più intelligente del cane, egli ha a disposizione due mani robuste ed è docile,

ma, se si arrabbia? Può anche mordere con quei denti canini, con quella bocca

larga...”

Quella Voce si fece più robusta, vicinissima, dicendo: – EGO SUM! – Non potei fare a

meno di sorridere contento. Ero in buona compagnia.

– Siete Voi, Signore? – dissi mentalmente.

Dopo qualche secondo, Egli, con lo stesso tono, soggiunse: – ALFA. –

“Alfa” e “omega”: due concetti da distinguere

§ 67 Nello stesso istante, sul quadro visivo nerissimo e opaco comparve nell’angolo

alto, a sinistra, la lettera maiuscola in carattere corsivo inglese A, bianca, luminosa di

luce propria, come fosse al neon. – PER ADESSO INTERESSATI SOLO DI ALFA. –

La prima gamba dell’‘Alfa’partiva dal basso con un lieve ricciolo, saliva obliqua

verso destra, discendeva verticale e più grossa, e risaliva leggera per un quarto di

altezza per portarsi, sottile, all’altezza dell’altra gamba con un ricciolo di ritorno.

L’‘Alfa’, leggermente separata, era seguita da una riga, lunga 10 cm, di punti

anch’essi bianchi, grandi come piselli, che parevano palline di cristallo

catarifrangente.

Osservai che la fila di puntini non brillava di luce propria, ma rifletteva la luce bianca

dell’ ‘Alfa’ che li illuminava e li faceva splendere come ‘di riflesso’.

Capii allora il motivo per cui dopo aver detto “ego sum” aveva continuato solo dopo

pochi secondi dicendo “alfa”: questo sta ad indicare che i puntini, la creazione, non

hanno luce propria perché non vadano confusi con il Creatore, l’ ‘Alfa’che invece

emana luce. Intanto guardavo i puntini. Mi fu suggerito sommessamente di contarli. Ci

provai:

– Uno... due... tre... – Nulla, mi sfuggivano... – DIVIDI LA RIGA. – Riuscii a contarli

tutti la terza volta, quando si mostraro-no separati: prima quattro e poi due, così: “ °

° ° ° ° ° ” . Sembrava che chiamassero il seguito, per cui dissi forte: – Et Omega. –

Mi interruppe:

§ 68 – DISTINGUI I DUE CONCETTI. –

Compresi: i due concetti, “alfa” ed “omega” erano ben distinti in quanto l’universo

ha cominciato ad esistere, mentre Lui, “l’alfa”, è da sempre, è l’Eterno, l’Onnipotente,

l’Assoluto, il Necessario. E “l’omega” è l’ultimo anello della creazione, l’Uomo e con

lui la Donna, l’ultimo capolavoro. Dopo di che “Deus ab omni opere Suo cessavit”:

si astenne dal creare nuove forme di vita19 .

1 9 Secondo la tesi di alcuni studiosi, dopo la creazione dell’Uomo sono apparse sulla Terra altre nuove specie

inferiori. Non sono in grado di giudicare la fondatezza di questa tesi, ma possiamo affermare con certezza che

dopo la creazione dell’Uomo non è stata creata alcuna nuova specie superiore all’Uomo. Quindi, per lasciare

aperta ogni possibilità d’interpretazione, potremmo tradurre il versetto 2,2 della Genesi ( “Deus ab omni

opere Suo cessavit”) così: “Dio, dopo aver creato l’Uomo e la Donna e aver dato loro la libertà, si astenne

dall’intervenire ulteriormente lasciando che le conseguenze del loro operato avessero il loro corso”. Infatti

Dio, dopo esser intervenuto a livello di gameti per il concepimento dell’Uomo e della Donna, non

intervenne nel concepimento di Caino lasciando che le cose andassero naturalmente seguendo le leggi

sull’ibridazione scoperte da Mendel.

Capii inoltre che “i due concetti” si riferivano non solo all’alfa e all’omega, ma anche

ai punti. Pensai: “L’origine, “l’alfa”, è Lui, il Creatore; ‘i punti’ sono la creazione

tutta, iniziando dall’universo: le tappe verso l’Uomo. Il punto di arrivo è l’Uomo,

“l’omega”, al vertice della scala della creazione”.

Guardavo l’ ‘Alfa’ che precedeva quei sei puntini: mi pareva la A maiuscola stampata

sulle cartoline postali, che introduce l’indirizzo del destinatario, seguita dai puntini.

Anche la creazione aveva una destinazione: ‘A … l’Uomo’. Il punto di partenza è

“l’alfa”, Lui, il Creatore, lo Spirito Puro; il destinatario è l’Uomo, “l’omega”, dotato

pure lui dello Spirito di Dio: l’ultimo salto, non più di qualità come per tutta la

creazione, ma di natura, dallo stato naturale a quello soprannaturale, “l’omega”. Ma

l’Uomo non può essere fine a se stesso, sarebbe troppo infelice. È stato creato per

amore, dunque è destinato alla felicità. E Dio ne vuole quanti più possibile partecipi

della Sua felicità. L’Uomo deve metterci il suo impegno, con l’aiuto di Dio.

La lettera ‘Alfa’ scomparve e rimasero solo i puntini. Il resto del quadro rimase nero.

Attesi parecchi istanti la sequenza dello spettacolo.

Osservai intanto i mobili della stanza che intravedevo offuscatamene e solo nei loro

contorni.

Primo ‘giorno’. Monogenesi dello spazio: ‘In principio Dio

creò’

§ 69 Dallo stesso angolo di sinistra, dove prima c’era l’Alfa e dove erano rimasti

solo i puntini, vidi uscire in un ventaglio di luce la figura di una mano aperta, rosea e

trasparente, senza braccio, con le dita unite e distese e dalle estremità del dito medio e

anulare vidi scendere verso il buio una favilla piccolissima, rossa, lucente come di

fuoco, che si moltiplicò fino a formare un pennacchio triangolare sempre più lungo ed

espanso. Lungo e sopra la linea superiore del pennacchio vi erano ancora i 4+2

puntini di luce più chiara che poi scomparvero assorbiti dal pennacchio. Quei sei

puntini erano il simbolo dei sei ‘giorni’ della creazione: quattro fasi in cielo e due

epoche sulla Terra. Non ricordo se alla prima favilla se ne fossero aggiunte altre o se

il pennacchio fosse l’evoluzione di quell’unica favilla; il fatto è che, in breve, tutto il

quadro visivo fu invaso da una miriade fittissima di scintille le quali, a brevissimi

intervalli, apparivano e scomparivano come minutissime e brulicanti lucciole, o

meglio, come minutissime foglie o scaglie di polvere-porporina di rame lasciate

cadere nell’aria. Quella nube di scintille aveva il colore del rame lucidato con riflessi

color oro. Mi chiedevo come facessero a moltiplicarsi quella, o quelle prime faville,

dato che non c’era reazione fisica col nulla. Era come un seme creato da Dio che

nella Mano di Dio cresceva col Suo Calore e la Sua Presenza. E quell’atto di

creazione e di conservazione continua anche adesso.

§ 70 ‘In principio’, prima di quel principio, c’era il nulla infinito, buio, freddo,

silenzioso, impenetrabile alla luce, al calore, al suono. Solo Dio esisteva, da sempre,

Pensiero Puro, inimmaginabile.

Dio nel primo ‘giorno’ stava creando lo ‘spazio’ e il ‘tempo’, pronti ad accogliere la

creazione intera.

Mi guardai intorno. La solita luce rosea che invadeva la stanza mi lasciava ora

intravedere il profilo dei mobili. La cornice luminosa era là: non era opera di uomo. A

voce normale dissi:

– Signore, se viene da Voi, fate che io capisca, perché sono un povero uomo. –

Il mio sguardo tornò sul video contornato da quella impalpabile cornice rosea.

La massa delle scintille di fuoco rosso-rame procedeva da sinistra verso la mia

destra. Una di queste mi raggiunse la mano sul dorso lasciando il segno di

quell’ustione come una crosticina che dopo quasi dieci anni porto ancora20 .

Voleva, forse, il Signore che all’indomani io non dubitassi dell’autenticità della Sua

rivelazione credendola frutto di autosuggestione?

Quando l’ambiente delimitato dal video fu pieno e brulicante di queste scintille color

rosso-rame, vidi, sempre proveniente da sinistra, una scintilla più grande delle altre,

dalla forma di bastoncino (come quelli che sulle stampe rappresentano i microbi) della

lunghezza di due o tre millimetri, color giallo-oro che ‘passava’in primo piano. Non

ve n’erano altre di simili. La ricordo bene perché era vicina, in primo piano.

Sparirono la massa delle faville e la scintilla più grande e si fece buio.

20 Don Guido scrisse queste pagine nel 1981.

Secondo ‘giorno’. La nascita dell’Universo

§ 71 Dopo uno o due secondi notai, a 5 cm dalla cornice verticale alla mia destra, un

punto piccolissimo e ‘fermo’, luminoso di luce bianca intensa, fulgidissima,

abbagliante. Al primo apparire di quel puntino mi ero meravigliato di essere capace di

vederlo tanto era piccolo. Mi tolsi gli occhiali. Lo vedevo lo stesso. Non potevo

paragonarlo al punto luminoso e tanto più grande che rimaneva per qualche istante

sullo schermo nel mio televisore cge, quando lo spegnevo.

– Ende21 – dissi, ma non era la fine. Era ancora il principio. Il “fiat lux”.

§ 72 Quel puntino bianco restava immobile e friggeva, nel senso che produceva

intorno a sè altri puntini bianchi e luminosi, uguali, che gli roteavano attorno

allontanandosi a spirale. Era un gruppetto di qualche millimetro che ora cresceva a

un cm, due, tre... Quei puntini allontanandosi si ingrandivano e proseguivano,

rimanendo in ordine fra loro come i raggi di una sfera. Continuavo a vedere

moltiplicarsi quei puntini bianchi intorno al primo e iniziare la loro traiettoria. Era

meraviglioso poter vedere cose così piccole! Il mio posto di osservazione era stato

lentamente distanziato fino a otto, dieci metri. Quei puntini formavano ora un gruppo

di un metro. I più vicini al centro erano piccoli, mentre quelli periferici ora erano

della grandezza di una palla da tennis da tavolo. Quello iniziale non si consuma, ma

resta al suo posto al centro del gruppo, mentre i puntini

21 Ende (= ‘fine’, in tedesco)

che si staccano non si spengono, anzi crescono di volume fino a diventare dei globi.

Vedo che ogni globo, raggiunta una certa grandezza e una proporzionata distanza

dagli altri, si sdoppia in due uguali che, ingrandendosi, girano in cerchi sempre più

grandi e che, raggiunta la dimensione prefissata, si dividono a loro volta in altri due

che si ingrossano, tutti rotondi e luminosi, roteanti e moltiplicantisi in ragione

geometrica. Era come se si alimentassero dalle faville dell’ambiente. Reazione a

catena?

Tutto il creato “in vista dell’Uomo”

§ 73 – FUOCHI DI FESTA – sentii con il consueto tono di voce.

Al sentir queste parole fui per un attimo disorientato e vedendo quello spettacolo che

andava allontanandosi esclamai:

– Fuochi artificiali? Prima della nascita della Donna? Ma non sono stati i Cinesi i

primi...? (e volevo dire: a inventare la polvere pirica?). – Fui interrotto da queste

parole:

– PRIMA DELL’UOMO. – E dopo qualche secondo:

– MOLTO. – Ancora una breve pausa, poi: – PER L’UOMO. –

Intesi dapprima quel “per” in senso limitativo anziché finale, per cui soggiunsi:

– Lo so, Signore, che per Voi non c’è né il molto né il poco, perché non siete limitato

nel tempo e nello spazio. – Egli proseguì:

– SAI QUANTO? –

– Lo so, Signore, – risposi presuntuoso e ricordandomi dei dati ottenuti dagli

astronomi americani con il telescopio del Monte Palomar, e dei calcoli successivi.

– Da otto a dodici miliardi di anni fa. – risposi. – DI PIÙ – – Quattordici? – – DI

PIÙ – – Sedici? – Trattandosi di miliardi non osavo alzare il numero più che

tanto. Era il doppio della prima ipotesi.

– DI PIÙ, MOLTO DI PIÙ. ‘IN VISTA DELL’UOMO’. DI TUTTI GLI UOMINI,

PERCHÉ VEDESSERO E CAPISSERO. –

Compresi allora che le parole “molto” e “per l’uomo” andavano distaccate, e quel

“per” aveva senso finale. Non osai insistere perché precisasse. Il tempo è cosa molto

secondaria rispetto alla finalità del Creato che è l’Uomo.

Frattanto, sul quadro visivo, scorgevo i globi bianchi sullo sfondo nero, ma ora non

erano più abbaglianti. Erano molto numerosi ed uscivano dalla cornice in tutte le

direzioni. Il cielo sereno, e non poteva non essere che sereno, era già trapunto di

stelle.

Sentii a quel punto delle voci sommesse:

– COELI NARRANT GLORIAM DEI. GLORIA AL PADRE, AL FIGLIO E ALLO

SPIRITO SANTO, COME ERA “IN PRINCIPIO”. –

Intesi quel “in principio” come ‘all’inizio’, ‘al tempo della creazione

dell’Umanità’quando l’Uomo e la Donna, e i loro discendenti legittimi perché

geneticamente puri, erano dotati dello Spirito di Dio e non Lo avevano ancora perduto

a causa delle conseguenze del ‘peccato originale’. Dovevano restare la Gloria di Dio

perché la Gloria di Dio è l’Uomo ‘che vive’ (in Dio) e vive solo quando ha la Vita

dello Spirito.

– Siete stato bravo, Signore, a fare tante cose così belle e grandi per noi così piccoli e

meschini e ingrati! Ma l’astronomia non è il mio forte, non ricordo più neppure la

posizione delle costellazioni. Fatemi vedere le cose più vicine, qui sulla Terra,

quell’Uomo, quegli animali, la Bambina che sta per essere partorita. –

Terzo ‘giorno’. La nascita del Sistema solare e della Terra

§ 74 I globi bianchi scorrevano sul video da sinistra a destra ed uscivano da quel lato.

La visuale inquadra più da vicino una corrente di astri più prossima alla cornice

destra. Un globo dalle dimensioni di un pompelmo passava più vicino, in primo piano.

Era arrivato quasi alla metà del video, quando vidi sopraggiungere, sempre da

sinistra, un altro globo luminoso, rosso e scintillante della stessa grandezza. Lo

seguiva una scia luminosa e bianca, lunga e più espansa dalla parte posteriore come

un triangolo. Era una stella cometa. Appena il globo caudato e rosso raggiunse l’altro

di striscio, che si trovava a 5 o 6 centimetri dal lato destro del video, sparì la vista di

ambedue entro un polverone nero che si diffuse alto nel cielo, tanto che potevo vedere

alcune stelle solo nell’angolo in alto a sinistra.“Fuori programma? È un incidente?

Uno sbaglio di traiettoria? Quello è un corpo estraneo di energia differente. Ci

lasciano le penne tutti e due” pensai, vedendo il disordine. Una Voce femminile

sommessa mi suggerì: – EGLI SA QUELLO CHE FA. –

“Allora era preordinato, non si tratta di evoluzione casuale” pensai.

Mi guardai attorno per riprendere contatto con la mia realtà. “Sono proprio io, qui?

Chissà che questa visione sia data anche ad altri, così mi aiuteranno a ricordare”.

Una Voce sommessa mi disse: – LA TERRA. – Guardai nuovamente il quadro.

– Oooh! La Terra! – esclamai contento.

Il polverone era scomparso, il cielo sereno, una luce meridiana illuminava un globo

biancastro opaco, come un macigno rotondo.

Lo vedevo grande come un pallone da calcio, o forse un po’ meno, presso l’angolo

destro del video, in basso, a circa 4 cm di distanza dai due lati contigui.

– “Terra erat arida et vacua”, priva di acqua e di vegetazione – dissi con maggior

verità di Armstrong quando mise piede sulla Luna.

Mentre osservavo la Terra arida, capivo come si era formata. Nel nuvolone c’erano

tutti i 90 e più elementi naturali semplici che la compongono. Quelli radioattivi, più

pesanti, si sono attratti fra loro per primi ed hanno formato il nucleo centrale

aumentando così la forza di attrazione. Facendo giri su giri di circonvoluzione e di

rotazione, quel nucleo si è ingrossato come un gomitolo, coprendosi di tanti strati

rocciosi da formare la crosta terrestre. La polvere di calcio, di silicio, di magnesio,

riscaldata dalla combustione interna, si è cementata formando i molti strati di roccia

che, con spessore di 2.900 km, avvolgono la Terra.

§ 75 La Terra era senza rilievi e senza avvallamenti, tutta uniforme nella superficie.

Pensavo ancora allo spessore della sua crosta rocciosa che vedevo secca.

C’era, nel Polo Nord, un cono bianco di ghiaccio (lo distinguevo dal riflesso) che, in

rapporto al diametro della Terra, era alto sicuramente alcune migliaia di chilometri e,

accanto al suo vertice, due nuvolette a forma semicircolare. Ghiacci d’acqua? Vapori

di gas? Idrogeno e ossigeno? Ma di che cosa erano formati il ghiaccio e i vapori se

non c’era ancora la fotosintesi delle piante? Di certo, in quel nuvolone che avevo

visto, vi erano tutti gli elementi naturali terrestri, quindi anche i gas. Il globo terrestre

mi sembrò oblungo come una pera o un limone invece che sciacciato ai poli. Forse per

causa di quel ghiaccio.

Osservai, sotto, il Polo Sud. Non c’era un cono simmetrico al Polo Nord, ma vedevo il

bordo di una crosta regolare e liscia di ghiaccio, una calotta uniforme, cioè senza

prominenze. Non vedevo su quella superficie né corrugamenti né ombre per cui,

pensando al versetto 9 del cap. 1 della Genesi che recita: “Disse ancora Dio: si

radunino le acque che sono sotto il cielo in un sol luogo e apparisca l’Arida”, mi

chiedevo:

“Come farà il Signore a separare l’Arida dall’acqua, se questa non c’è e non ci sono

neppure i bacini per raccoglierla?”.

Lo spettacolo rimase fermo per circa un minuto. Facevo intanto le mie considerazioni.

Quarto ‘giorno’. La prima esplosione della Terra e la formazione

della Luna

§ 76 D’improvviso la Terra tremò ed apparvero delle screpolature grandi sulla crosta

rocciosa e fumo che ne usciva. Le oscillazioni dovevano essere molto forti se potevo

vederle a quella distanza.

Ad occidente una screpolatura più ampia fendeva in modo deciso e repentino la Terra

da Nord a Sud. Vidi la parte occidentale di essa staccarsi dal resto della crosta con

una fenditura che, a forma simile ad una ‘S’maiuscola rovesciata, scendeva da un

Polo all’altro. Capii che erano le due Americhe che si stavano separando dall’Europa

e dall’Africa, e lo dissi forte.

– Quelle sono le Americhe che si staccano dall’Europa e dall’Africa! – Vedevo la

Terra da Ovest rispetto all’Europa. Ma non avevo finito la frase che vidi sollevarsi un

nuvolone nero oltre l’orizzonte opposto, cioè dal lato Sud orientale. La Terra era

esplosa nella parte ora occupata dall’Oceano Pacifico. La crosta terrestre, risucchiata

dall’enorme buco formatosi agli antipodi del mio punto d’osservazione, si era rotta di

qua, lungo la Dorsale Atlantica. Non è escluso che la crosta terrestre si sia rotta anche

in altri luoghi che, sempre dal mio punto d’osservazione, non vedevo.

Al di sopra dello spesso nuvolone che proveniva da oriente si alzavano, più veloci del

fumo nero che già proiettava ombra su tutto il globo, molti blocchi di pietra. La parte

centrale del fiotto immenso, fatto di pietre angolose senza forma, salì oltre quei 4 o 5

cm di cielo che vedevo tra il globo e la linea superiore del video che in quel momento

fu elevata di alcuni centimetri per 2 o 3 secondi.

Il fiotto salì a varie altezze; sembrava, a quella distanza, un grande tumulto di ghiaia

ma era composto da blocchi immensi, inimmaginabili.

§ 77 Parecchi di essi, quelli che salirono oltre il lato superiore del video, non li vidi più

ricomparire. Infatti quel materiale pietroso non ricadde sulla Terra.

È mia opinione che quei blocchi siano saliti oltre la zona di attrazione della Terra e,

attraendosi tra loro, si siano accostati per formare la Luna, in modo da mostrare agli

uomini una faccia bonaria. Era in programma, non per caso.

Pensavo a quel fiotto fuoriuscente e alla Luna che non ha crosta, ma è formata da

spezzoni di roccia non saldati e accostati fra loro con vuoti interni e, in superficie, da

un manto con inghiottitoi di polvere che in tanti anni non si è ancora cementato per

assenza di calore.

Solo i russi sono stati sinceri nel dire che il materiale della Luna è uguale a quello

della Terra e che la sua densità è come quella delle rocce superficiali della Terra. Lo si

poteva già intuire, visto che il suo movimento indica che la Terra è sua madre.

Invece il materiale periferico di quell’immenso pennacchio, quello che si era alzato

fino a poco sotto il bordo superiore del video, scendeva a terra sparso a ventaglio.

La maggior altezza era stata raggiunta dal materiale solido, fatto di spezzoni di roccia

molto grandi se, a quella distanza, potevo vederli alle dimensioni di alcuni millimetri.

Ebbi l’impressione che i più numerosi fra questi andassero a cadere oltre la Cina dove

c’è l’Himalaia. Altri sono caduti oltre il Polo Nord e in minor quantità nel Continente

americano.

Durante il tempo in cui avevano compiuta la loro parabola, la Terra era ruotata

verso Est. Perciò la grande cascata proiettata verso Nord aveva direzione Nord-

Ovest, segno evidente che l’esplosione era avvenuta nell’emisfero meridionale.

Gli spezzoni di roccia, caduti sulla Terra in luoghi più o meno lontani dalla zona

dell’esplosione in ragione dell’altezza raggiunta, formarono molti massicci montuosi e

quelle stele monolitiche che si ammirano in varie parti del mondo.

Intanto l’immenso nuvolone di fumo nero avanzava tumultuoso e minaccioso su tutta

la Terra coprendo progressivamente tutto il globo.

Quelle rocce che si erano alzate nel frattempo s’immersero, nel ricadere al suolo, nel

nuvolone nero perciò non vidi dove caddero.

§ 78 Cadendo, i più leggeri forse rimbalzarono sulla crosta terrestre. Ecco perché i vari

strati rocciosi presero inclinazioni diverse. Di qui spiegati alcuni misteri, quello: a)

della varia inclinazione degli strati rocciosi; b) dell’inclinazione dell’asse terrestre per

effetto dell’esplosione avvenuta nell’emisfero australe che impresse alla Terra in quel

luogo una spinta uguale e contraria e c) anche la non corrispondenza del Polo

magnetico con quello terrestre, problema finora insoluto, perché l’enorme massa di

materiali fuoruscita dall’emisfero Sud-Orientale ha mantenuto la forza magnetica

originaria, almeno nelle masse più imponenti, sbilanciando la forza di gravitazione del

nucleo della Terra.

§ 79 Mi ponevo anche alcuni altri quesiti sconvolgenti. L’Impareggiabile Regista mi

lasciava il tempo di ragionare. 1°) Quale dimensione avrà avuto il cratere

dell’eruzione? 2°) Quale profondità avrà avuto la voragine? 3°) Se il volume della

Luna è 1/49 della Terra e quello del materiale proiettato era ancor maggiore, quanto

sarà stato in tutto il volume del materiale fuoruscito dal cratere originario? 4°) Il

fenomeno della deriva dei continenti ha avuto dunque inizio da questa esplosione benché

non esistessero ancora gli oceani?

5°) Il frazionamento della crosta terrestre che si trovava ai bordi dell’immenso

cratere e il suo slittamento nella voragine, quanta superficie ha tolto alla Terra in

previsione che lì sarebbe nato il primo oceano?

6°) A quale altezza è arrivato il materiale ricaduto sulla Terra tenendo conto che non

c’era l’atmosfera a frenarlo? Un astronomo può calcolarlo.

In assenza dello strato di atmosfera i blocchi ricaduti possono esser saliti anche oltre

300.000 km, visto che la Luna dista da noi non meno di 356.000 km e che da quella

distanza il materiale proiettato non è più ricaduto sulla Terra. Di certo quello più

periferico della zona d’esplosione è salito solo a poche centinaia di migliaia di

chilometri, mentre il materiale vicino al centro del cratere sicuramente non è più

ricaduto. Ma quello rimasto dentro la zona d’attrazione della Terra, se è uscito dai

margini del fiotto, è ricaduto più o meno vicino alla zona di esplosione a seconda della

sua massa e della spinta ricevuta. Invece quello proiettato più in alto, occupò

parecchio tempo per compiere la sua parabola e quando cadde, la Terra si era nel

frattempo girata verso oriente. Ma di quanti meridiani?

7°) Alcuni monti della catena delle Alpi e di quella dell’Himalaia o della Cina sono

formati da questo materiale caduto dal cielo? È mia opinione che se sono blocchi

monolitici che non hanno fossili, sì.

8°) Provvidenziale quella esplosione. Ha portato in superficie i metalli che erano sotto

la crosta terrestre a più di 2.900 km di profondità. Ha portato in superficie gas

necessari per fare l’atmosfera, ha formato la polvere per concimarla, ha provocato il

bacino per l’Oceano Pacifico, i mari nelle screpolature formatesi nella parte opposta

del globo per il risucchio di materiale di superficie nella voragine dell’immenso

cratere, ha formato i monti e le valli per attirare le nubi e la pioggia e far defluire le

acque e preparare l’ecologia per la vita vegetale e animale. Oh! la Provvidenza! E

tutto questo “per l’uomo, per tutti gli uomini, perché vedessero e capissero”.

Quinto ‘giorno’. La comparsa della vita vegetale e animale e la seconda

esplosione della Terra

§ 80 Cambio di scena.

L’oscurità è cessata. Il cielo è limpido e vedo l’emisfero settentrionale della Terra tutta

coperta di verde eccetto al Polo Nord. È evidente che dalla scena precedente sono

passati milioni di anni perché ora ci sono i mari e c’è la vegetazione.

Il video inquadra solo l’emisfero settentrionale, dal Polo al parallelo che passa vicino

a Madras, nella costa orientale della penisola dell’India, e dal confine tra il Portogallo

e la Spagna fino all’estremo confine della Cina.

Osservo che la Cina ha solo la Penisola di Camchatka e, sotto di essa, la costa è tutta

compatta e si protende molto curva verso il Pacifico. Al Polo Nord vedo il bianco dei

ghiacciai, non pianeggianti, ma con dei rilievi e delle ombre. Non vi è più il cono

altissimo della Terra arida. Ad Ovest vedo l’azzurro del Golfo di Guascogna e del

Mar Baltico. A Sud non vedo mare nel Golfo Persico. Nella zona del Mar Rosso vedo

solo una striscia d’acqua. Il Mar Nero e il Mar Caspio erano quasi come adesso. Il

Mar Egeo non c’era e neppure il Mar d’Azov. La zona dell’Egeo era tutta verde con

qualche punto azzurro di laghetti.

Il Mediterraneo era stretto come un fiume e lungo quanto dista la Mauritania dal

Golfo di Tunisi.

L’Adriatico era coperto di verde, così che non ho potuto vedere la nostra penisola.

C’era un lago sotto la Sicilia, e uno tra la Sardegna e l’Italia.

Desideroso di vedere quanto l’America si fosse scostata dai cosidetti Vecchi

Continenti, tenevo d’occhio il limite Ovest del panorama, nell’illusione che la Terra,

girando come alla TV all’inizio del telegiornale, mi facesse vedere il mare.

§ 81 All’improvviso una striscia di vapore bianco, seguita da grande fumo, partendo

dal fondo del Mediterraneo, procede zigzagando verso Nord e dal Golfo di Lione si

inoltra fino alla Manica. Contemporaneamente, altre strisce bianche serpeggiano in

mezzo al verde dell’Europa e del Medio Oriente. Tutto scomparve in breve tempo

sotto il fumo seguito al vapore e vidi alzarsi, oltre l’orizzonte della Cina, un nuvolone

enorme. Non era come il precedente tutto nero, ma composto anche di vapori bianchi.

Questi scompaiono ad una certa altezza e si cambiano in blocchi di ghiaccio bianchi e

lucidi, molto grandi, mescolati agli spezzoni di roccia che salgono più veloci del fumo.

Il sole è oscurato dal fumo, ma al di sopra del fumo vedo che questi blocchi salgono

ad un’altezza molto minore di quelli della prima esplosione, forse 1°) perché era

minore la pressione dello scoppio, o 2°) perché c’era ormai uno strato di atmosfera

che li frenava, o 3°) perché il materiale risucchiato dai bordi nell’immane voragine

non aveva costituito un tappo resistente come la crosta terrestre naturale e poi 4°)

perché le stesse proporzioni della scena, in confronto con la prima, stanno a

dimostrare che la seconda esplosione fu meno violenta della prima.

Tutti quei blocchi, dopo una parabola molto alta (e mi aspettavo che anche questa

volta ne uscissero dal lato superiore del quadro visivo, ma quel lato fu per qualche

istante sollevato di circa 5 o 6 cm tanto che potei constatare il ritorno di tutti),

ricaddero verso il suolo scomparendo nel fumo e, per il girare della Terra, anch’essi

compirono una traiettoria in direzione Nord-Ovest.

Come nella prima esplosione, quei blocchi caduti dal cielo, dopo una parabola di

decine di migliaia di chilometri, hanno trovato la Terra girata verso oriente di alcuni

meridiani. Presumo che dove sono caduti abbiano schiacciato la crosta terrestre e

siano rimbalzati, adagiandosi poi alla meglio, con gli strati rocciosi inclinati in varie

direzioni, o orizzontali, o obliqui, o verticali, o contorti dall’enorme pressione.

Certamente hanno lasciato cadere lungo i fianchi molti lembi rocciosi che,

frantumandosi, si sono fermati in tante colline.

Altro materiale solido proiettato più in alto sulla traiettoria del Polo Nord è caduto

anche questa volta sopra il continente americano e il Polo Nord stesso che, a

quell’epoca, non era arrivato alla deriva attuale. Ma non è escluso che il lembo

marginale dell’immane cratere che guarda la costa orientale del Pacifico, sollevato

dall’esplosione marginale e non centrale, sia salito ad altezza relativamente modesta e

sia caduto ad oriente, cioè sul continente Sud Americano, formando alcune vette della

Cordigliera delle Ande e del Mato Grosso. Poi tutto l’emisfero settentrionale divenne

buio.

§ 82 Le rocce sedimentarie che tempo prima erano state dei fondali marini e che già

racchiudevano nei loro strati sovrapposti le conchiglie che hanno lasciato la loro

traccia, vennero proiettate nei più lontani angoli della Terra. Ne abbiamo un esempio

anche nelle nostre Dolomiti. I nostri monti non hanno il materiale che c’è alla base:

questo è un fatto. Quando si verificò la seconda esplosione queste rocce già ricche di

fossili si trovavano sotto le spiagge amplissime attorno all’immane voragine, le quali

ancor prima erano state sommerse lentamente dalle acque che andavano crescendo

anche in virtù della fotosintesi della vegetazione22 .

2 2 Circa le origini delle nostre Dolomiti, don Guido pensava: il fatto che esse contengano fossili non prova

che siano sorte per effetto di bradisismo, ma quasi sicuramente esse derivano dalla seconda esplosione della

Terra che catapultò, insieme a queste rocce contenenti fossili, anche delle rocce magmatiche che non

avrebbero ragione di trovarsi in luoghi ove manca un condotto vulcanico. – Dobbiamo tener presente che

alcuni gruppi o massicci dolomitici sono blocchi monolitici che non hanno alcuna continuità geologica

con gli strati sottostanti,

– spiegava. – Per questa discontinuità inspiegabile si sono formulate varie teorie riguardo alla loro

origine, ma alla luce di queste nuove conoscenze ognuna di queste tesi può essere riconsiderata. –

L’ipotesi formulata da don Guido potrebbe trovare conferma nel fossile di un pesce simile a un’orata, lungo

una ventina di centimetri, esposto in una bacheca al centro della hall della UniCredit Banca Spa di Belluno.

Questa esplosione è avvenuta in epoca successiva a quella in cui don Guido era giunto a queste conclusioni.

Il fossile del pesce porta sotto questa iscrizione:

“AMPHISTIUM PARAOXUM – Pesce fossile trovato nel giacimento oceanico di Bolca (Verona) risalente

a 50 milioni di anni fa. Amphistium è una forma fossile, ma pesci simili vivono attualmente lungo le coste

dell’Oceano Indo-Pacifico. La perfezione della conservazione di questo esemplare è dovuta alla grana

finissima del sedimento che ricoprì l’animale

dopo la morte”. Ciò che impressiona fortemente è il periodo al quale viene fatto risalire questo fossile,

poiché corrisponderebbe a quello della seconda esplosione della Terra che, secondo la rivelazione ricevuta

da don Guido, sarebbe avvenuta proprio intorno a 50 milioni di anni fa, poco prima della creazione

dell’Uomo, come vedremo al § 157.

La lontana origine di queste rocce non esclude che a questi fenomeni se ne siano

aggiunti altri come il bradisismo e il corrugamento del manto terrestre e che infine

siano inter-venuti anche fattori di erosione dell’acqua e del vento. In natura sempre i

fenomeni si assommano e si accavallano. Pensavo anche a quel materiale che

nell’attraversare l’atmosfera sarà diventato esternamente rovente e avrà soffocato e

bruciato la vegetazione sulla quale è caduto.

– Questo è meraviglioso, Signore. Avete seppellito le foreste e gli animali perché

l’Uomo avesse la gioia di scoprire il petrolio, il metano, il carbon fossile e potesse

trovare i metalli che erano sotto la crosta terrestre e servirsene. Con la polvere lavica

avete fatto il tufo perché vi racchiudesse il petrolio in fondo ai mari, l’oro nero che ci è

tanto utile! –

L’esplosione avrà portato anche l’acqua del mare, proiettata in cielo, diventata

all’improvviso ghiaccio con i suoi pesci surgelati, nelle più recondite regioni del

pianeta. Insieme agli spezzoni di rocce già contenenti fossili e a blocchi di ghiaccio,

saranno stati catapultati in aria anche piante e animali.

Altri animali invece saranno stati trasportati da gigantesche onde anomale, gli

tsunami, che li avranno spazzati via dalle loro terre e, scavalcando interi continenti,

depositati in luoghi lontanissimi insieme a brandelli di tigri, di leoni, di alligatori e a

tutto ciò che le onde avranno travolto. Ma quanti si saranno lesionati in questo

cataclisma sparendo senza lasciare traccia?

Certamente il fumo avrà oscurato il sole e questo avrà causato un improvviso

abbassamento della temperatura. Suppongo che la temperatura sarà scesa

repentinamente a parecchie decine di gradi sotto lo zero e il probabile perdurare della

estesissima attività vulcanica avrà fatto morire i grandi sauri.

Catapultando verso l’Eurasia nuovo materiale, con le piante e gli animali tropicali

cresciuti sulle rive del Pacifico e risucchiati nell’immensa voragine, l’esplosione ha

bonificato nuovamente la Terra che aveva bisogno non solo di acqua ma anche di

sostanze organiche fertilizzanti, vegetali e animali, riciclate per preparare l’ecologia

dell’Era Quaternaria.

Delle due esplosioni si devono considerare alcuni relativi effetti astronomici e alcuni

effetti geografici.

Due sono le deduzioni che si possono trarre da questo e da altri reperti di Bolca, dove se ne trovano a decine

di migliaia. Per prima cosa si può pensare che vi fu un’esplosione così potente da proiettare placche di crosta

terrestre dall’Oceano Pacifico fino in questa regione; la seconda deduzione ci porta a ipotizzare che se quelle

rocce sedimentarie contenevano già da prima questi pesci intatti sotto forma di fossili in ottime condizioni di

conservazione, è segno che questi pesci tropicali hanno trovato la morte molto tempo prima e tutti

contemporaneamente, forse per l’improvvisa presenza di anidride carbonica e solforosa nell’acqua e per la

contemporanea caduta di grandi quantità di polvere vulcanica che in breve li ha sepolti. Infatti non sono stati

divorati da altri pesci, ma si sono solidificati rapidamente prima di andare in decomposizione.

Gli effetti astronomici delle due esplosioni

§ 83 Dalla prima esplosione derivano: 1° la formazione della Luna, avvenuta per

attrazione reciproca delle rocce lanciate nello spazio che superarono la forza di

gravitazione terrestre, poiché non le vidi riapparire sul video. Non si sono saldate fra

loro per assenza di calore; 2° il giro circolare di circonvoluzione della Terra intorno

al sole divenne ellissoidale;

3° l’inclinazione dell’asse terrestre, a tutto vantaggio della variazione delle stagioni

che si sarebbero verificate sulla Terra. Così il pianeta venne riscaldato anche verso i

poli e la vita potè svilupparsi anche dove prima sarebbe stata impossibile;

4° lo sdoppiamento del polo magnetico da quello geografico.

Dalla seconda esplosione deriva l’accentuazione degli ultimi tre effetti.

Gli effetti geografici delle due esplosioni

§ 84 Dalla prima esplosione derivano: 1° la prima fase dell’improvviso e repentino

distaccamento delle Americhe dall’Europa e dall’Africa; probabilmente si sarà

verificato lo stesso fenomeno di distaccamento sia dell’Australia dall’Africa e

dall’Eurasia, sia dell’Antartide dall’Eurasia, dall’America e dall’Australia, ma

questo, dal mio punto di osservazione, non mi fu possibile vedere; 2° la formazione di

molti massicci montuosi, ma solo quelli ‘privi di fossili’, e la formazione di alcuni

nuovi vulcani.

Dalla seconda esplosione derivano:

1° la successiva ed altrettanto improvvisa fase di allontanamento delle Americhe

dall’Europa e dall’Africa. Quindi l’ulteriore allargamento dell’Oceano Atlantico il cui

bacino già con la prima esplosione si era formato. Stesso fenomeno per le terre del

Polo Nord. Idem, presumo, per l’Africa dall’Australia e dall’Eurasia;

2° il richiamo di enormi quantità di acqua riversata nell’invaso dell’Oceano Atlantico

per l’improvviso ulteriore allontanamento dei continenti;

3° il risucchio di altre immani quantità di acqua nella voragine dell’Oceano Pacifico

con il conseguente riaffioramento di terre prima sommerse;

4° il primo repentino e devastante diluvio, dopo la comparsa della vita vegetale e

animale, per l’improvviso sopraggiungere di gigantesche onde anomale chesca

valcarono interi continenti23;

5° la formazione di altre montagne costituite da rocce proiettate dai fondali

dell’Oceano Pacifico ‘già ricche di fossili’ e la formazione di altri vulcani;

6° la formazione dei giacimenti di petrolio per la parziale combustione delle foreste

sepolte dal materiale incandescente precipitato;

7° una probabile glaciazione per il fumo dovuto al perdurare dell’immane attività

vulcanica;

8° la scomparsa dei grandi sauri sorpresi dal fumo dei vulcani riattivati e dal

conseguente improvviso e prolungato abbassamento della temperatura.

23

Il diluvio di cui parla don Guido è un evento distinto da quello detto ‘universale’ che viene descritto

nella Bibbia perché al tempo della seconda esplosione della Terra l’Uomo non c’era ancora e, come vedremo

più avanti, verrà creato dopo. Inoltre l’espressione biblica ‘universale’ va intesa in senso limitativo e riferita

ad una zona circoscritta, anche se molto vasta, altrimenti ogni specie vegetale e animale precedente sarebbe

scomparsa. Non è infatti pensabile che Noè avesse potuto raccogliere sull’arca ogni specie esistente sulla

Terra. Più probabilmente la Bibbia sottintende le specie di animali domestici che gli sarebbero state utili

dopo.

(Nota della curatrice) A questo proposito don Guido mi spiegava: – Di certo dopo questa

esplosione è avvenuta una glaciazione. Poiché la geologia ci insegna che nella storia del

nostro pianeta le glaciazioni sono state più d’una, si può presumere che ad ogni ripetersi di

queste esplosioni della Terra sia seguita una diffusa riattivazione dell’attività vulcanica.

Questa avrebbe provocato una grande quantità di fumo, tale da impedire ai raggi solari di

riscaldare la terra, con una conseguente glaciazione, più o meno lunga a seconda

dell’estensione e del prolungarsi di queste eruzioni. Quelle esplosioni alle quali il Signore

volle che assistessi non erano che le più significative. Ma chissà quante furono quelle

effettive! Dallo studio degli strati rocciosi si può risalire al numero delle glaciazioni e da

queste all’intensità delle esplosioni della Terra che le hanno provocate.

Durante la lunga vita del nostro pianeta sono state probabilmente molte. –

Considerando che le esplosioni a cui ho assistito si sono verificate entrambe

nell’Oceano Pacifico e che la seconda era stata meno imponente della prima, si può

avanzare l’ipotesi che la cicatrice della crosta terrestre in quel luogo si sia fatta più

sottile, e che la loro intensità sia stata di volta in volta decrescente perché la resistenza

che la pressione interna ha incontrato è stata via via minore. Per la stessa ragione si

può supporre che gli intervalli siano stati più ravvicinati.

Non dobbiamo però considerare di queste esplosioni solo i loro effetti distruttivi. I

lunghi periodi di glaciazione, alternati a quelli di surriscaldamento, veri respiri della

Terra, si sono succeduti, o sono stati guidati, come i doppi anelli di una catena che ha

portato avanti lo sviluppo della vegetazione dallo stato primitivo (felci, licheni, ecc.)

fino allo stato attuale, spostando continuamente, ora verso Nord, ora verso Sud, il

limite delle nevi perenni costringendo animali e popolazioni a continue migrazioni e al

loro diffondersi su tutto il pianeta.

Previsioni future

§ 85 La seconda esplosione avvenuta ancora nel Pacifico dimostra che quella zona è

più vulnerabile, e che il fenomeno potrebbe ripetersi.

Vedi Isaia 24,1-13 e 24,17-2324.

Vedi in Apocalisse di S. Giovanni 20,925 .

Vedi il Vangelo di Luca 21,25-2626.

Vedi il Vangelo di Matteo 24,29; 25,1327.

24

Isaia 24,1-13 (i versetti delle note 23-24-25-26 sono stati ricopiati dalla Bibbia del Sales): “Ecco che il

Signore desolerà la Terra e la spoglierà e ne renderà afflitta la faccia e disperderà i suoi abitanti... La

Terra sarà devastata del tutto e sarà predata del tutto. La Terra è in lacrime e si consuma e viene meno... e

pochi uomini resteranno... La città della vanità (in senso figurato questa città non è solo Gerusalemme, ma

la civiltà umana intera) è distrutta. ... Nella città è rimasta la solitudine e la calamità opprime le sue porte.

Poiché avverrà come quando si scuotono le poche olive rimaste sull’albero e si tolgono i racimoli, finita

che sia la vendemmia”. Questi versetti furono sempre interpretati come una profezia dell’imminente minaccia

assira sul Regno del Sud e la disfatta di Gerusalemme, ma visti con una panoramica più vasta, potrebbero

assumere una valenza universale. Infatti Isaia continua (24,17-23): “Lo spavento e la fossa e il laccio sono

sopra di te, o abitante della Terra. E avverrà che chi fuggirà per il grido dello spavento cadrà nella fossa;

e chi si salverà dalla fossa sarà preso dal laccio perché si apriranno dall’alto le cateratte e le

fondamenta saranno scosse. Si schianterà con fracasso la Terra, andrà in frantumi la Terra, si

sconquasserà la Terra. Sarà in agitazione la Terra come un ubriaco e muterà sito come la tenda alzata

per la notte... La Luna arrossirà e il Sole si oscurerà...”. Appare chiaro che qui è descritto un fenomeno

geofisico.

25

Apocalisse 20,9: “E dal cielo cadde un fuoco spedito da Dio e il fuoco le divorò (le città) e il diavolo che

le seduceva fu gettato in uno stagno di fuoco e di zolfo dove anche la bestia e il falso profeta (l’anticristo)

saranno tormentati dì e notte pei secoli dei secoli”.

2 6 Luca 21,25-26: “E (vi) saranno prodigi nel Sole, nella Luna e nelle Stelle; e in Terra costernazione di

popoli per lo sbigottimento dal fiotto del mare e delle onde: gli uomini si consumeranno per la paura e

per l’attesa di quanto starà per accadere a tutto l’universo perché le potenze dei cieli saranno

sconvolte...”.

Anche a questo brano non venne quasi mai dato un valore apocalittico universale perché segue direttamente

la predizione della caduta di Gerusalemme. Ma è chiaro che i due fatti sono distinti e che in origine dovevano

essere separati e solo poi, con le ripetute copiature, sono finiti vicini. Infatti il brano continua: “...e allora

vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra una nuvola con potestà e grande maestà...”. Poiché questo

deve ancora accadere, quanto descritto è un fatto distinto dalla caduta di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C.

Quindi il brano può essere considerato anch’esso un brano apocalittico.

2 _ Il Vangelo di Matteo (24,29-35) ci riporta queste parole di Gesù: “...dopo la tribolazione di quei giorni il

sole si oscurerà, e la luna non darà più la sua luce, e cadranno dal cielo le stelle (rocce catapultate e rese

incandescenti dall’attrito dell’atmosfera) ... e piangeranno tutte le tribù della terra... In verità vi dico: non

passerà questa generazione (la generazione dei figli degli uomini sempre in contrapposizione alla

generazione dei Figli puri di Dio) che non siano adempiute tutte queste cose. Il cielo e la Terra passeranno

(si chiuderà un’epoca), ma le Mie parole non passeranno mai (cioè sono verità assolute)...”. E poco oltre

Matteo continua (24,37-40): “E come fu ai tempi di Noè, così sarà ancora... e come nei giorni prima del

diluvio gli uomini se ne stavano mangiando e bevendo... così sarà (anche questa volta)... E allora due si

troveranno in un campo: uno sarà preso e l’altro sarà lasciato... Vegliate dunque perché non sapete... né il

giorno né l’ora” (25,13). Scrive don Guido nei suoi commenti: “Credo che quando avverrà la prossima

esplosione della Terra, questa sarà ancora nel luogo dove vidi che la crosta terrestre è stata rotta già due

volte, cioè nell’Estremo Oriente, nell’Oceano Pacifico. Il materiale che ne uscirà cambierà la

configurazione geografica e topografica del suolo terrestre perché seminerà nuovi monti, nuove colline,

valli, laghi, ecc. Bonificherà la Terra dal suo inquinamento e metterà allo scoperto minerali ricercati e

nasconderà sotto le nuove montagne le piante che diver- ranno nuovo carbone”. Chiesi a don Guido se, a

parer suo, la Terra potrebbe esplodere di nuovo entro un tempo relativamente breve. – E perché no? rispose.

– Ma perché preoccuparci tanto? È certo che in tal caso il Signore la rifarebbe più bella di prima! – – E

l’umanità? – – Forse che il Signore, nella sua potenza, non potrebbe salvare ‘quel piccolo resto’di uomini

degni di perpetuare la specie? –

È chiaro che il Signore mostrò a don Guido le due esplosioni più significative, ma è intuibile che ve ne

furono molte in tanti milioni di anni e che ciclicamente si ripetono. Sicuramente una nuova esplosione, come

le precedenti, precederà una nuova glaciazione e aprirà una nuova epoca per l’umanità. Le premesse razionali

ci sono. Il fenomeno delle anomalie del Niño, apparso negli ultimi anni con i suoi effetti crescenti e

devastanti sul clima del pianeta, potrebbe prendere la sua origine da un surriscaldamento abnorme dei fondali

dell’Oceano Pacifico portando delle variazioni alle correnti marine e quindi ai venti. Il repentino

innalzamento di temperatura potrebbe non essere causato solamente dall’effetto serra, ma anche da una

crescente tensione della crosta terrestre nel luogo ove la Terra ha già dimostrato d’essere più fragile. I

devastanti uragani in zone solitamente tranquille, la moria di pesci lungo certe correnti dell’Oceano Pacifico,

il disorientamento di alcuni branchi di cetacei e la migrazione di pesci tropicali verso il Mediterraneo mai

visti prima, potrebbero essere dei sintomi di una nuova imminente esplosione del globo terrestre. Se gli

studiosi esaminassero la temperatura delle acque nelle profondità marine ove il calore atmosferico non può

influire sulla loro temperatura, avremmo una ragionevole risposta.

L’età della Terra

La Terra rinnovata

§ 86 La geofisica dà al nostro pianeta l’età di 4 miliardi di anni. La misurazione fu

eseguita su materiale esterno, oppure su quello fuoruscito dall’interno con le due

esplosioni? La differenza è certamente notevole. Per conoscere l’età della Terra si

dovrebbe ricercare l’età della polvere cosmica depositata sulla Terra o sulla Luna

prima delle due esplosioni. Anzi quella di quest’ultima sarebbe molto più sicura,

perché non influenzata dai cambiamenti della massa terrestre. E il suo spessore

andrebbe rimisurato là dove la crosta è rimasta intatta, cioè al centro del continente

Eurasiatico.

§ 87 Nuova scena. Il quadro visivo presentò uno scenario meraviglioso, più bello di

prima. Il cielo purissimo. Il mare turchino. La vegetazione copriva tutto l’emisfero,

eccetto la parte Nord dell’Africa, che appariva color cammello come le coste o spiagge

del Mediterraneo, sia meridionali che settentrionali. È chiaro che fra la scena

precedente e questa sono intercorsi nuovamente altri milioni di anni.

Questa volta lo scenario era spostato verso sinistra, e comprendeva, eccetto la costa

e l’Atlantico, tutto il Portogallo che nel quadro precedente era rimasto escluso. Dalla

parte opposta, ad Est, non vedevo più la Cina intera perché le mancava quel tanto che

ad Ovest comprendeva il Portogallo.

Al Nord la calotta polare era coperta di ghiaccio. La penisola Scandinava mi

sembrava meno staccata di adesso. L’alta Siberia aveva un color verde pallido.

L’Africa si era spostata verso Sud, lasciando più ampie le coste del bacino del

Mediterraneo rispetto a prima della 2ª esplosione. I mari erano quasi come prima di

quest’ultima esplosione. I due Mari chiusi, il Mar Nero e il Mar Caspio mi

sembravano più piccoli di ora.

Non vedo il Mare d’Azov, né l’Egeo, né la Gran Sirte. Là è tutto verde con qualche

laghetto. A Sud, verso oriente, non vedo la Penisola Malacca, perché la linea inferiore

del video passa all’altezza di Madras, quasi in fondo alla Penisola Indiana. Il Mare

Arabico è isolato entro una spiaggia molto larga da tutti i lati. La nuova voragine del

Pacifico ha assorbito tutte le acque?

La Penisola Arabica è unita al continente, quindi non c’è il Golfo Persico. Non riesco

a vedere l’estuario dei due fiumi confluenti, Eufrate e Tigri.

Forse è nascosto dalla vegetazione.

Vedo il così detto ‘Corno d’Africa’ proteso molto verso Nord, in confronto col

parallelo che passa per Madras’

Il Mar Rosso è ridotto assai. La sua lunghezza corrisponde a quella dell’Eritrea. Una

larga fascia di spiaggia lo separa dalle coste ed anche dalle due estremità, di Bab-elMandeb

e di Suez.

La zona del Mar Egeo è tutta verde con alcuni laghi.

La Gran Sirte non ha mare: è spiaggia. Vedo un mare piccolo sotto la Sicilia,

anch’esso separato e contornato da grande spiaggia brulla.

La Penisola Italica è unita alla Penisola Balcanica. Nessun segno del Mare Adriatico.

Distinguo bene la costa occidentale dell’Italia. Il Tirreno, isolato da larga spiaggia, è

compreso entro la lunghezza della Sardegna. Il Golfo di Lione è spiaggia verde

pallido.

Il Mediterraneo è molto più stretto dell’attuale; una larga spiaggia lo separa dalle

coste attuali. La sua lunghezza va dalla Tunisia alla Mauritania.

Guardando le vaste spiagge deserte attorno ai mari (Mar Rosso, Mar di Sicilia, Mar

Tirreno e Mediterraneo), pensavo come fosse facile alle popolazioni dei tempi

antichissimi, una volta creato l’Uomo, passare da un continente all’altro, e come

l’Arabia e l’Etiopia potevano comunicare.

§ 88 Nell’illusione di vedere sul quadro visivo, come al televisore, il globo terraqueo

girarsi verso oriente, tenevo fisso lo sguardo alla costa occidentale del Portogallo per

constatare di quanto le due Americhe si fossero scostate dalle coste Euro-Africane.

Invece la visuale, entro la cornice rosea rettangolare, si restrinse. Sparì il Portogallo,

la Francia, la Germania e vidi che altrettanto succedeva dalla parte orientale.

Mi accorsi che il quadro visivo veniva ridotto entro un cerchio che si restringeva

sempre più. Le ultime immagini furono il Mar Nero e il Mar Caspio. Ultima zona

visibile, compresa entro il limite del cerchio, era rimasta la parte sud-occidentale del

Mar Caspio. Poi il cerchio si restrinse ad un punto piccolissimo, nel centro, e sparì

anche quello. Il quadro entro la cornice luminosa e rosea, restò al buio assoluto.

Ho cercato, in seguito, di tracciare dei cerchi concentrici di cui uno abbracciasse

quella parte del Caspio, senza interessare il Mar Nero. Il centro mi sembrò Ninive,

presso la confluenza dei due rami superiori del Tigri tra Ninive, Assur e Calach, ma il

posto esatto non lo posso assicurare se non vedo di persona il luogo che corrisponda

alla topografia che ho descritto all’inizio del racconto di questa visione.

Sesto ‘giorno’. La creazione dell’Uomo e della Donna

§ 89 Ripensando all’Alfa e a quei puntini con cui si era aperta la seconda parte della

visione, compresi quali fossero i sei giorni, o fasi, della creazione, le quattro fasi in

cielo e le due sulla Terra. Io le interpreterei così: a) nella prima fase Dio creò

‘l’energia cosmica’ che consente l’esistenza dello spazio e del tempo. I buchi neri

potrebbero essere gli spazi rimasti increati frammezzo la creazione, le smagliature

delle coordinate ‘tempo’ e ‘spazio’. Ciò che vi cade dentro sparisce; b) nella seconda

fase Dio creò ‘l’atomo’ e quindi ‘tutti gli elementi naturali’ della materia e tutto ‘il

cosmo’; c) nella terza fase comprenderei la nascita del ‘Sole’e della ‘Terra’, frutto per

entrambi dell’impatto di una stella con una cometa; d) nella quarta fase considererei

la nascita della ‘Luna’ dovuta alla Iª esplosione della Terra quand’era ancora “arida

et vacua”;

e) nella quinta fase vedrei la creazione della ‘vita’ vegetale e animale, e la IIª

esplosione della Terra che prepara l’ecologia alla creazione dell’Uomo;

f) e nella fase ultima ‘la creazione dell’Uomo e della Donna’, l’Omega, nei quali Dio

introduce ‘l’Elemento spirituale’. L’Alfa e l’Omega, i due poli estremi della prima

immagine che mi fu mostrata, avevano in comune una stessa Realtà: lo Spirito di Dio.

L’Uomo, il primo Uomo, vero Figlio legittimo di Dio, e con lui la Donna, era il

depositario dei doni dell’intera Creazione. Doveva, con la sua corrispondenza, dar

prova a Dio di esserne degno;

g) nel settimo tempo ‘Dio si riposò’: è un eufemismo per dire che Dio volutamente si

astenne dall’intervenire di fronte agli errori dell’Uomo in rispetto alla libertà che gli

aveva donato. In realtà provvederà poi al recupero dell’umanità decaduta, cioè alla

sua redenzione.

(Nota della curatrice) Qui finisce la descrizione geofisica e geografica della Terra.

Nell’immensa commozione che don Guido provò ripensando a quanto il Signore gli aveva

mostrato ‘nel viaggio più lungo che l’uomo potesse mai fare nel tempo e nello spazio’

assistendo alla creazione del cosmo, scrisse questi versi come inno d’amore, di

riconoscenza e di lode a Dio.

Ovunque il guardo io giro, Immenso Dio ti vedo. Nell’opre Tue T’ammiro. Ti

riconosco in me. Quando Tu, nel nulla assoluto e buio creavi lo spazio con minuscole

parti di cosmica energia, e dentro la prima luce accendevi, provocando una reazione

a catena che innumerevoli luci intorno diffuse nello spazio, roteando e moltiplicando,

a me Tu pensavi che ancor non ero. Tu mi guardavi con Amore e non lo sapevo.

Quando mandavi una stella cometa ad infrangere un’altra stella e la sua energia

mutavi nei 93 elementi della materia, che in nube nera oscurava il cielo, e nei 9 pianeti

quella nube concentravi, Tu mi vedevi, ed io nol sapevo. Tu mi amavi prima che io

potessi amarTi.

Quando la Terra, liscia e compatta finì di raccogliere la polvere intorno e i raggi del

Sole infuocati cementavano in croste sovrapposte la polvere umida di vapori notturni

e dentro preziosi metalli nascondevi, inaccessibili all’uomo, Tu ‘l sapevi. In parte

ascosi nella sotterranea notte li volesti, in parte alla luce del Sole. E nel contempo

disponesti che uno specchio nel cielo quaggiù riflettesse il Sole ad illuminare la celeste

notte. Con grande sussulto la Terra tremò. Dall’esterno i raggi del Sole, all’interno la

pressione dei gas, squarciavan la crosta terrestre e un fiotto immane verso il cielo

eruttò.

PENSAVI... VEDEVI... AMAVI... CERCAVI... TROVAVI... SALVAVI.

III Parte della visione:

La nascita della Donna

L’‘OMEGA’

(Nota della curatrice) I primi paragrafi di questo capitolo, tra il § 90 e il § 108, si

svolgono in forma allegorica perciò non sono di facile visualizzazione e richiedono da

parte del lettore una particolare attenzione. Essi esprimono in forma simbolica dei

concetti utili in particolar modo ai teologi e agli studiosi di genetica. In pratica viene

spiegato in quale modo Dio abbia creato la prima Donna, partendo dal suo concepimento

fino alla sua nascita, processo che viene ripreso e spiegato anche più avanti. Poi il Signore

afferma che tutta l’umanità attuale discende da Eva. Infine il racconto riprende dalla

scena della femmina ancestre che si stende sul prato (ricollegandosi al § 65), aiutata dalla

vecchia madre che le fa da levatrice, e prosegue con la nascita della Bambina, la vera

prima Donna della specie umana, che diventerà la legittima moglie di Adamo. Quindi, il

lettore che volesse evitare di sforzarsi troppo nel linguaggio dei simboli può proseguire il

racconto andando direttamente al § 109 (che si ricollega appunto al § 65), riservandosi,

dopo esser giunto alla fine del testo, di leggere i paragrafi saltati che, a libro ultimato,

sono di più facilmente comprensione.

Il concepimento e la gestazione della prima Donna: l’omega

(Stesso quadro visivo e stesso orientamento, l’8°, verso Est–Sud-Est)

§ 90 Poco sopra il centro del video vidi comparire un piccolissimo punto bianco

illuminato sullo sfondo nero.

– ATTENTO! DÌ QUELLO CHE VEDI. –

Queste parole mi furono rivolte con voce forte. L’ammonimento mi sembrò un

rimprovero per non essere stato abbastanza attento precedentemente, specialmente

quando disse “alfa”.

Cominciai a dire quello che vedevo:

– Vedo un puntino bianco, piccolo, della dimensione della capocchia di uno spillo. –

– È illuminato e non luminoso come l’altra volta. Non è nel centro del quadro con la

cornice rosea, ma a tre quarti d’altezza del quadro. –

– Scende adagio verso il centro del video. – [È il gamete femminile, creato or ora da

Dio, che scende nel seno dell’imminente gestante – la femmina ancestre bianca e non

pelosa – e dovrà unirsi al gamete di Adamo per formare la prima cellula della futura

Donna. È l’ultima nuova creazione, l’Omega, che scende sulla Terra].

– Scende ancora. –

– Ora è circoscritto da un quadratino adagiato sulla base del video. –

– Quel puntino ora ha l’aspetto di un ‘nodo’, fermo al centro del quadratino. – [I due

gameti, quello femminile testè creato e quello maschile di Adamo, ora sono fusi insieme

formando un nodo].

– Il nodo cresce e vedo che è di color gialliccio. –

– Ora quel nodo sembra un mezzo pisello maturo, gialliccio e secco adagiato con la

parte piatta sul lato inferiore del quadratino e con la curva all’insù. Il riquadro, o

quadratino [il ventre che lo accoglie], segna i limiti di un campo visivo ridotto rispetto

alla cornice rosea. Dentro il quadro visivo vedo solo il quadratino, senza null’altro

all’intorno e senza punti di riferimento. –

– Quel mezzo pisello continua a crescere [il feto] e cresce con lui anche il quadratino

che lo contiene e che ora ha due centimetri di lato. –

§ 91 – Il mezzo pisello secco e giallastro ora è grande quanto mezza biglia. – – Cresce

e diventa come mezza palla da tennis. – – Ora è grande quanto mezzo pompelmo. –

– Adesso è come mezzo pallone da calcio la cui altra metà è come se rimanesse

nascosta. –

Osservo che la base del riquadro combacia quasi con quella del video che lo contiene.

La linea di contatto fra il riquadro e il video sembra una fascia di erba nera e secca

come quella che si trova sul ciglio di un sentiero campestre nelle vicinanze di

un’officina o di un garage, erba corta, calpestata e intrisa di olio nero scartato dai

motori. Vedo questo mezzo pallone di scorcio, come se lo guardassi stando sdraiato a

terra.

– Quel mezzo pallone è tutto liscio e del colore del cuoio crudo, naturale, non trattato.

È lucido come se fosse di plastica. –

– Ora viene avvicinato e le curve laterali di quel mezzo pallone scompaiono tagliate

fuori dai lati verticali del riquadro. –

– Ora il lato superiore del riquadro si alza di un centimetro o due. Quel rettangolo

lentamente continua ad espandersi nel suo lato superiore. –

– Ora quel rettangolo è largo circa 8 cm ed è alto circa 20, sempre di proporzioni

ridotte rispetto a quelle della cornice rosea.

§ 92 – Ora vedo solo la parte centrale di quel mezzo pallone da una posizione più alta,

ma non lo vedo verticalmente. Scorgo che la sua forma non è più rotonda, ma

oblunga. – Credo sia una palla ovale, o... forse… è un otre di pelle gonfio, ma non

vedo le sporgenze della pelle con gli arti legati alle estremità che hanno gli otri per

chiudere ogni fuoruscita di aria o di liquido. Deduco che i lacci devono essere nella

parte sottostante e che quindi quello che vedo è la schiena dell’otre.

– Intravedo una fossetta liscia e rotonda alla sommità di esso.

– Mi dice forte la Voce:

– CICATRICE DA UN MORSO. – “Se quella è una cicatrice, quello che mi era parso

un mezzo otre è allora un animale vivo” penso. “Che animale può essere?” mi

chiedo.

– Al di là di quella fossetta, o ‘cicatrice da un morso’, la superficie è bassa e piatta. Da

una parte e dall’altra di quella zona bassa e piatta scorgo due sporgenze lisce, curve

verso la linea esterna, come due mezze lune simmetriche attaccate al corpo centrale

solo nella parte superiore. –

Quell’animale strano ora mi sembra poggiato sopra il bordo sdrucito di una stuoia di

crine dai peli neri, radi, corti e arruffati. –

La bestia – “Ponte”

§ 93 – Quel corpo gonfio si muove, si alza e si abbassa lievemente e ritmicamente. È

proprio un animale vivo! Quelli sono movimenti autonomi, sembrano il moto del

respiro. –

– Ora quel corpo si gonfia molto verso un lato e si spiana dall’altro. –

– Adesso ritorna nella sua posizione. È come se, dalla parte opposta, un piede

invisibile l’avesse prima premuto e poi rilasciato. –

– Si inarca di nuovo, e fa una curva così stretta che pare non abbia la spina dorsale. –

La scena si ripete a intervalli regolari. L’animale giacente ansima e rinnova gli sforzi.

“Forse cerca di liberarsi da qualcosa che lo tiene vincolato al terreno” penso.

Ma questi sforzi sono sempre nello stesso senso e non riesco a capire da che parte

abbia la testa.

§ 94 Chiedo a voce normale: – È un animale esotico, di specie estinta? –

– PONTE – mi risponde la Voce.

Rimango sconcertato. Non so associare l’idea di ‘ponte’ con l’animale che vedo e

nemmeno con l’episodio del ‘peccato originale’ visto due anni prima in cui la stessa

espressione riferita ad una femmina ancestre mi era rimasta incomprensibile28.

(Nota della curatrice) Prima di entrare nel vivo del tema, può esser utile spiegare certi

termini usati dal Signore per favorire la comprensione del testo.

Qui troviamo un linguaggio apparentemente astruso, che racchiude invece chiare e

inequivocabili informazioni di carattere genetico.

Il “capo di ponte”, che troveremo ai §§ 96 e 9_, simboleggia la femmina di una qualsiasi

specie che, per intervento divino, mette al mondo la prima coppia d’una nuova specie.

Questa femmina è stata chiamata così dal Signore perché simbolicamente può essere

raffigurata dal ‘capo di un ponte’ a cui manchi il resto del ponte: lo potremmo raffigurare

come una mezza arcata. Assomiglia quindi più ad un trampolino che a un ponte perché

dopo la pedana c’è il vuoto, ossia la mancanza di quello che dovrebbe essere il frutto

naturale del suo patrimonio genetico: c’è invece l’inizio di una specie diversa per opera

creatrice di Dio che usa il suo utero solo come incubatrice. In pratica: dal ‘capo di ponte’

viene alla luce una specie nuova, autonoma, che non ha alcuna continuità cromosomica

con quella della femmina da cui è derivata. Quindi, da un ‘capo di ponte’ vi è un percorso

a senso unico, una via senza ritorno. Questa è la regola per la creazione di ogni nuova

specie. Il “ponte” invece indica una struttura che consente il passaggio tra una sponda e

l’altra. Nel significato che ha dato il Signore a questa espressione, è implicito che questa

femmina è stata dotata di un numero di cromosomi tale da consentire un percorso a

doppio senso, ossia il passaggio di geni da una specie all’altra e viceversa. Infatti, come

poi si vedrà, questa femmina ha potuto avere figli sia con gli ancestri, che avevano 48

cromosomi, sia con l’Uomo che ne aveva 46. Per questo motivo don Guido ha dedotto

che questa femmina abbia avuto necessariamente 4_ cromosomi per essere idonea, come

passaggio intermedio, alla creazione dell’Uomo. Questa femmina interfertile costituisce

un’eccezione, eccezione voluta dal Signore probabilmente per dare all’Uomo una nutrice

più intelligente e più vicina alle caratteristiche della specie umana. Un’attenzione paterna

di Dio.

Per questa particolarità essa, terminata la sua funzione di ‘capo di ponte’, avrebbe dovuto

essere allontanata dall’Uomo per non indurlo ad avere rapporti con lei dai quali sarebbero

nati figli secondo natura, ossia ibridi, come purtroppo è accaduto, facendo effettivamente

da ‘ponte’ fra le due specie pure: quella degli ‘ancestri’ e quella dei ‘Figli di Dio’.

Ciò che qui è bene sottolineare è che nella sua funzione di ‘capo di ponte’ essa non ha

contribuito con il suo ovulo naturale al concepimento dei Figli di Dio. Infatti Dio creò in

lei entrambi i gameti della specie umana per dar origine al primo Uomo mentre, qualche

anno più tardi, per il concepimento della prima Donna, Dio creò in lei solamente l’ovulo

perché lo spermatozoo era reso disponibile dal Giovane Uomo. Se ben ricordiamo ciò che

scrive la Bibbia, Dio fece cadere Adamo nel sonno perché non si rendesse conto di cosa

stesse accadendo affinché questo fatto non dovesse ripetersi. Dio creò così una gerarchia:

prima l’Uomo e poi la Donna.

Ma, come è stato detto, la femmina ancestre, una volta compiuta la sua funzione di ‘capo

di ponte’, rimaneva con le sue proprietà e i suoi geni naturali della specie ancestrale per

cui dall’Uomo poteva concepire da essa solo ibridi, secondo le leggi di Mendel. Ecco

perché, terminato il suo ruolo di ‘capo di ponte’, essa non avrebbe dovuto avere più

contatti con la specie umana, perché sarebbe diventata un ‘ponte’ fra le due specie.

28

La spiegazione di questo linguaggio allegorico la troveremo al § 112 e al § 124 ed è da mettere in relazione con i §§ 96 e 9_.

Anche le immagini che don Guido vede e descrive sono allegoriche. Questo è il motivo per cui non capisce ciò che sta

vedendo. Questo stratagemma usato dal Signore ha lo scopo di costringere don Guido ad osservare e a descrivere ciò che

vede evitando che, contrariato, egli si rifiuti. Il fine che il Signore si prefigge è che l’umanità sia conscia in modo

inequivocabile di tutte le fasi della sua creazione per bandire, una volta per tutte, le congetture inesatte che fino ad ora sono

state fatte.

In quel momento il riquadro si allarga di alcuni centimetri lasciando scoperto,

all’esterno di quel corpo gonfio e giallastro, il principio di una coscia dello stesso

colore giallastro e dell’altra simmetrica. Penso: “Se le due cosce sono attaccate da

questa parte, ciò vuol dire che la testa è di là”.

Insisto ancora e chiedo:

– Dov’è la testa? Di qua verso di me, o di là?

– DI QUA – mi risponde sommessamente. Poi, dopo due secondi, ancora alcune

parole dette sommessamente di cui ricordo solo queste: – NELLA BUCA. –

Queste parole avvalorarono la mia ipotesi che quell’animale esotico avesse la testa in

una buca del terreno e che cercasse di divincolarsi.

Ma mentre io intendevo la testa della bestia, la Voce parlava di quella della Nascitura.

Nel breve intervallo credo di aver detto o pensato: “Perché perder tempo dietro un

animale esotico? E la Bambina?”.

Il “Capo di ponte” non avrebbe dovuto diventare un “Ponte” fra le due specie

pure, quella dei Figli di Dio e quella degli ancestri

§ 95 Fissando lo sguardo sul cosiddetto video, ebbi l’impressione di essere portato lì,

vicinissimo, all’animale giacente e di guardarlo nuovamente da una posizione terraterra.

La visuale è chiusa tutto intorno. Adesso vedo che si avvicina e scompaiono le

cicatrici da un morso e le due sporgenze a semiluna. Vedo solo una striscia verticale

mediana, come attraverso una feritoia larga 4 o 5 cm ed alta 14 o 15: da sotto la

fossetta verso di me. Intanto riprendo a dire ad alta voce quello che vedo:

– Vedo due paletti al centro. – Pensavo: se il ruolo di questo animale che assomiglia

ad un otre gonfio è quello di un ponte, direi che quei paletti sono le gambe grezze

della testata di un cavalletto da armature edili detto ‘ponte’, ma non vedo le altre due

gambe del cavalletto dalla parte opposta.

– Quei paletti sono pelosi solo ai lati. –

Ho l’impressione che quel cavalletto sia incassato fra le pareti.

– Quei piccoli paletti si muovono. Signore, cosa succede?– Nessuna risposta. Il

sipario si alza un millimetro alla volta. Sono desideroso di vedere come quei paletti, o

gambe del cavalletto, sono collegati in alto fra loro. Così malsicuri, devono avere un

legaccio rilassato, o un chiodo mal piantato.

Finalmente vedo che sono uniti, in alto, da un archetto liscio, senza pelo, tutto intero,

senza connessure, dello spessore di uno o due centimetri che sporge sotto la linea

superiore del riquadro.

Riferendomi alla definizione suggeritami di ‘PONTE’, chiedo: – È una testata di

ponte? –

§ 96 – ‘CAPO DI PONTE’29 – risponde – LA VIA ALL’UOMO È COMINCIATA DI

LÌ. – Dopo alcuni secondi soggiunge:

§ 97 – DOVEVA RIMANERE ‘CAPO DI PONTE’, MA L’UOMO PRESUNTUOSO E

DISOBBEDIENTE L’HA RESA ‘PONTE’. –

Altre parole dette frammezzo non le ricordo, anche perché dette con voce troppo

sommessa. Non avevo capito il significato allegorico di queste parole né l’immagine

che stavo vedendo.

29

Mentre don Guido si riferisce a quello che gli sembra un ponticello formato dai due paletti e dall’archetto

che egli paragona a quello di armature edili, il Signore si riferisce all’intero animale giacente supino a terra.

La spiegazione di questa definizione allegorica e di quelle immediatamente successive sarà data dal racconto

stesso.

Anche don Guido, come ibrido, è passato sotto quel ‘ponte’

§ 98 Tuttavia, assecondando il discorso allegorico, che però non capivo, dissi con

tono quasi scherzoso: – Il ponte oscilla, è sgangherato. Chi vi passa sopra? –

– L’UOMO È PASSATO DI LÌ. TUTTI GLI UOMINI... LI HO VISTI: HO VISTO

ANCHE TE. – – Eeeh! Signore!, non passerei sopra quel ponte...! –

– NON SOPRA. SOTTO. –

– Allora lasciatemi vedere dove qualcuno lo muove. –

Speravo di vedere al di sopra dell’archetto che ho descritto, ma non fu così. Quel

ponticello mi fu avvicinato in primo piano. Lo vedevo dal di sotto, non dal di sopra.

Lo fissavo, sperando ancora di vedere sopra di esso chi lo muoveva. Invece mi venne

fatto vedere quel che vi era sotto quel ponticello come se mi stessi inoltrando dentro un

cunicolo buio.

(Nota della curatrice) Abbiamo visto che i Figli di Dio, benché ‘derivino’ dalla specie

estinta degli ancestri, non ‘discendono’ geneticamente da essa in quanto nuova creazione.

Come mai allora il Signore dice a don Guido che anche lui è passato di lì? Proprio perché

don Guido, a differenza del primo Uomo e della prima Donna, ‘discende realmente’ da

quella femmina per il fatto che, per la disobbedienza dell’Uomo, essa è poi diventata

‘ponte’. In altre parole il Signore dice a Don Guido che anche lui è ibrido, cioè

‘discendente naturale’ di quella femmina ancestre. Attualmente tutti gli uomini della Terra

sono ibridi perché la specie umana pura si è estinta con la morte di Noè, ultimo Figlio di

Dio, mentre tutti gli ibridi allora esistenti scomparvero per il diluvio così detto universale.

Rimase in vita solo Noè, geneticamente puro, e sua moglie che necessariamente era ibrida,

se ha dato origine a una discendenza ibrida. Dai loro figli ibridi, già meno inquinati di quelli

precedenti, discende tutta l’umanità.

Stavo ancora seduto di traverso sulla sedia a capo del tavolo, rivolto verso la portiera

delle scale che scendono in cantina, sul cui vano mi aveva inseguito per l’ottava volta

quel quadro visivo.

Tenevo il braccio sinistro sul tavolo e la mano destra sulla Bibbia appoggiata sul

ginocchio. Mi protesi innanzi: distavo dalla scena un metro e mezzo o due.

Ciò che vidi potrà sembrare effetto di autosuggestione, ma posso assicurare che non

ho mai perduto l’autocontrollo.

(Nota della curatrice) Da questo punto in poi don Guido viene immerso lui stesso nella

visione allegorica in cui si alternano, come in precedenza, immagini simboliche e, allo

stesso tempo, realistiche. Alla nascita della Donna, a cui don Guido sta assistendo, si

sovrappone all’improvviso l’esperienza (virtuale) della propria nascita, come se fosse

avvenuta pure essa dal ventre di questa ancestre. Aveva detto il Signore: “l’uomo è

passato di lì... tutti gli uomini... li ho visti... anche te...” Il Signore vuol fargli presente in

questo modo che non solo la prima Donna è passata di lì, ma anche il primo Uomo e,

disgraziatamente a causa del peccato originale, l’umanità intera, in quanto ibrida,

rappresentata in questo caso da don Guido. Egli perciò, nel brano che segue, da spettatore

diventa protagonista. Non si fatica a capire che don Guido subisce questa esperienza come

una violenza. Contrariato, descrive solo per obbedienza, attimo per attimo, ciò che vede e

che non capisce, ma ad un lettore attento non sfuggono i riferimenti anatomici se pur

espressi in chiave allegorica.

§ 99 Ebbi l’impressione che quel ‘ponte’ fosse diventato molto grande, e che

passandovi sotto io entrassi in un antro buio30.

30

Occorre fare una precisazione: per don Guido questa è la quinta rivelazione e quindi è già al corrente che

la specie umana pura è stata inquinata dal ‘peccato originale’ e che questo peccato è stato un atto di

ibridazione della specie.

Dentro era tutto pieno di brandelli di tele di ragno, bianche, grigie e nere, tutte

gocciolanti come ciuffi di pelo bagnato31. Fuori di esso non c’era parete. C’era luce,

ma non vedevo niente là fuori32. L’antro era stretto presso l’ingresso, ma più

addentro si allargava33. Non vi erano pareti laterali per sostenere il soffitto. Tutto il

peso sembrava poggiare su due tronchi grigi e pelosi che vedevo ai miei fianchi.

Fui esortato sommessamente, cioè a livello intellettivo, ad osservare il soffitto.

Esaminai il soffitto. Era alto circa m 2,10. Per toccarlo bastava la mano di una

persona normale. Questo non era diritto e orizzontale, se non al centro. Ai lati era

storto e ondulato e voltava all’insù fuori dell’ombra,

31

L’immagine allegorica del ponte si trasforma in una vera angoscia. Il Signore conduce don Guido a passare

sotto l’arco di quel ponte dal quale si accede ad un antro buio, il ventre della partoriente. Il simbolo è chiaro:

anche don Guido, come tutta l’umanità ibrida, avendo perso la sua perfezione originaria, ha imboccato una

via buia. Tutte le descrizioni sono lugubri e tristi perché devono raffigurare la tristezza della condizione

umana dopo aver perduto la luce dello Spirito che avevano i Figli puri di Dio. È come se il suo

disagioesprimesse lo smarrimento dell’anima che è diventata un ambiente abbandonato e fatiscente, cioè

destinato alla rovina. È chiaro che alla perdita dell’integrità fisica e psichica, che fece retrocedere l’Uomo

perfetto allo stato di ominide, seguì anche la perdita della Vita spirituale perché l’uomo ibrido, animalesco,

non poteva più essere degno tempio dello Spirito Santo. Il buio, è simbolo della morte spirituale. La morte di

cui parla la Bibbia come conseguenza naturale del ‘peccato originale’ è il ritiro, o la perdita, dello Spirito, e

non va confusa con la morte fisica.

3 2 Quei Figli puri di Dio che non furono contaminati dal ‘peccato originale’ perché non erano discendenti

dalla bestia-ponte, rimasero fuori dell’antro dove c’era la luce, lo Spirito di Dio. Vedremo poi che le due

discendenze dell’Uomo, quella pura e legittima e quella contaminata, crebbero parallele per un certo numero

di generazioni fino all’estinzione della specie pura.

33

Un’interpretazione potrebbe essere che l’umanità ibrida, all’inizio esigua (l’antro stretto), col tempo

divenne sempre più numerosa (l’antro più vasto) e oggi coinvolge la totalità dell’umanità. Senza il peccato

originale l’umanità non sarebbe passata di lì perché, geneticamente parlando, non sarebbe discendente

naturale, come si è detto, di questa femmina ancestre.

perché i margini laterali erano illuminati dal sole. Non vedevo come fosse attaccato.

Le sue dimensioni, come se lo osservassi attraverso una lente di ingrandimento, mi

parvero di m 2 per 1,50.

Al centro del soffitto squallido scorgevo una piccola sbavatura di calcestruzzo fatto

cadere dal di sopra del soffitto per otturare un foro non livellato al di sotto. “Quello è

il posto dove doveva esserci un punto luce – pensai – e quando questo ambiente è stato

abbandonato perché fatiscente è stato tolto il filo elettrico e turato il foro dal di

sopra con un materiale molle che è venuto a sporgere anche di sotto dove non è stato

levigato!”34 .

3 4 Sappiamo che lo Spirito e la Grazia vengono da Dio. Quindi Dio ha ritirato il Suo Spirito (la luce)

dall’uomo ibrido che ha perso così ogni diritto (all’eredità spirituale). Dice la Genesi (6,3): “Il mio Spirito

non rimarrà sempre nell’uomo perché egli è (solo) carne” (ovvero solo istinti animali). Ne rimase solo una

traccia di ciò che era un allegorico filo elettrico tagliato dal di sopra e il segno di un buco chiuso con un po’

di gesso non spatolato.

La vecchia madre ancestre fa da levatrice

(Nota della curatrice) La vecchia madre viene vista allegoricamente da don Guido sotto

forma di “albero” perché rispecchia il suo ruolo di capostipite dell’albero genealogico degli

ancestri.

§ 100 Frattanto, attraverso la piccola feritoia dalla quale ero entrato e che da dentro

guardava all’esterno, vedo prima a destra un tratto di un esile tronco poi, a sinistra,

un tratto d’un altro tronco identico [sono i polpacci della vecchia madre ancestre] che si

pongono uno per parte ai lati della feritoia35 . Lo sfondo del video, tutto nero, mi lascia

vedere la luce diurna solo attraverso quei due tronchetti. Riprendo a descrivere ciò

che vedo: – Vedo due tronchi. Anzi, solo due tratti di tronchi neri e pelosi. – –

Oscillano, si muovono. – Penso che l’Uomo sia intento a piantarli, ma non vedo come

poggino o siano piantati sul terreno, né quanto siano alti. La parte visibile è alta da 20

a 25 cm. In basso sono più sottili e di sezione non rotondi ma di forma ovale. Sono del

tutto simili, come gemelli. Il loro pelo rado, nero e arruffato è volto all’ingiù. Non

possono essere i tronchi di una vite o di un’edera. Forse si tratta di una liana o di una

pianta che non conosco, esotica. – Signore, che piante sono? –

§ 101 – ALBERO – mi risponde. Il video si alza più di prima e vedo che i due

tronchetti, più in alto, hanno ciascuno un nodo uguale, ma senza ramificazioni né

segni di potatura [le ginocchia].

– Due alberi – replico.

– UN ALBERO – insiste.

– Allora è piantato a margotto36, come si fa con le viti. – Sommessamente mi viene

suggerito:

35

Don Guido capirà più avanti che sono le gambe della vecchia madre ancestre che fa da levatrice e che sta di

fronte alla figlia, la femmina-ponte, distesa in travaglio. Siamo ancora nel linguaggio dei simboli: il fatto che

le gambe della nonna sembrino due tronchetti di legno ci fa capire come per il Signore il regno animale è assai

più simile al regno vegetale che non al Regno dello Spirito a cui appartengono i Figli di Dio.

3 6 Ossia piantando nella terra sia la radice che la cima, curvandola.

– UNICO ALBERO37 . – Il sipario si alza lentamente. – Sopra i nodi quei tronchetti

vanno ingrossandosi. – Mi accorgo che i due tronchetti vanno convergendo verso

l’alto, dove sono più grossi. Frattanto entrano nel video, al rallentatore, due rami

secchi neri con pelo uguale a quello dei tronchetti ma rivolto all’insù, prima quello di

destra, poi quello di sinistra [le braccia].

– Vedo due rami secchi. –

I due rami oscillano, come agitati dal vento, ma non sono rigidi. Sembrano spezzati e

tenuti dalla sola corteccia nel tratto che spunta dall’alto [l’articolazione del gomito].

Oscillano verso sinistra con movimento sincrono, poi il ramo di sinistra si mette

verticale mentre l’altro si mette obliquo, proteso dalla stessa parte. Gli stessi

movimenti si ripetono dalla parte destra.

Ultime a comparire sono le estremità dei rami che terminano con quattro stecchi

paralleli anch’essi un po’ curvi e snodati e uno un po’ più distanziato lungo il ramo [le

dita]. Poi questi scendono al di sotto della base del riquadro e non li vedo più.

– Vedo ancora quei tronchetti e quei rami che si muovono. –

– Signore, cosa succede? – chiedo. Nessuna risposta.

3_

L’espressione “UNICO ALBERO” va messa in relazione con quella già trovata al § 42. Si tratta della

vecchia madre degli ancestri. “Questa definizione, UNICO ALBERO, è molto importante – commenta don

Guido – perché significa che la vecchia madre brizzolata è la capostipite di quell’ ‘unica’ famiglia di

ancestri e che al di fuori di quei pochi individui da lei generati non ve ne sono altri. Perciò la creazione

degli ‘ancestri’ ha preceduto di pochi anni la creazione dell’Uomo”.

§ 102 Sono desideroso di vedere come i due tronchetti pelosi sono collegati in alto. Il

sipario si alza un millimetro alla volta e vedo che si uniscono in un sol tronco.

– Signore, che albero è? – insisto.

– CEPPO – mi risponde sommesso.

– Direi, piuttosto, che è una ceppaia rovesciata di albero forcello, che si appoggia sul

terreno coi rami flosci che si piegano sotto il peso38 . –

Il parto

(Nota della curatrice) Le pagine che seguono descrivono immagini molto dure e crude,

per cui don Guido aveva pensato di ometterle nella trascrizione del testo, ma il Signore è

intervenuto dicendogli: “Integrale!”

§ 103 All’improvviso il soffitto dell’antro buio in cui mi trovavo cominciò ad

oscillare fortemente, avanti e indietro e poi da un lato all’altro. “Accidenti – pensai –

dove sono andato a cacciarmi!?”. Guardai le due colonne di sostegno: si

contorcevano ad ogni oscillazione del soffitto. Mi accorsi che dal soffitto cadeva in

quel momento uno stillicidio di acqua bionda proprio davanti a me39: proveniva da

una fessura; ma non era una spaccatura della roccia perché aveva i bordi aderenti,

neri, levigati e ondulati. Forse si trattava di un lento cedimento di quel ponticello da

armature, che avevo già visto dall’esterno, frontato contro

38

Questa è un’altra espressione allegorica che fa intendere che se la vecchia madre brizzolata, la capostipite

degli ancestri, è raffigurata da un CEPPO, ossia da un tronco mozzato, perché la sua discendenza come specie

pura è estinta.

39 Le sequenze, sempre raffigurate con immagini allegoriche, nascondono un certo realismo. Si tratta

probabilmente della rottura delle acque che dà inizio al parto.

l’uscita della galleria per impedire il franamento del terreno. Non so perché, ma ero

certo che di là fosse l’uscita all’aperto, fuori da quella piccola galleria buia in cui mi

trovavo.

“Prima che mi crolli tutto addosso – pensai – è meglio che vada fuori”. Mi fermai

all’ingresso del cunicolo e, voltandomi indietro, vidi dentro di esso scendere e salire di

alcuni centimetri quel soffitto storto.

Come se ci fosse in me una doppia personalità, capivo che si trattava di un’illusione

ottica, perché sentivo di essere seduto sulla sedia e proteso in avanti. Mi raddrizzai,

controllai la mia posizione, il tavolo, la Bibbia, i mobili.

La solita luce rosea mi impediva di distinguere bene. Vedevo bene, come alla luce del

giorno, solo sul video. Lo guardai di nuovo.

Quell’antro semibuio era lì, ma ciò che mi era accaduto mi aveva sconcertato. –

Signore, se viene da Voi, fate che io capisca! – Mi protesi di nuovo verso il quadro

pensando: “Cosa posso fare altrimenti? Se ritornassi in camera mia, la visione mi

inseguirebbe anche là. Farò la volontà di Colui che È. Già non mi costa niente ed è

uno spettacolo insolito. Anzi: forse l’unico al mondo”.

Mi venne il desiderio di essere ripreso dall’illusione misteriosa di prima.

§ 104 Intanto il soffitto oscilla ancora dentro quel pertugio. Contemporaneamente

qualcosa si muove dalla parte opposta, fuori del cunicolo, alla luce del sole. Dal lato

superiore del riquadro, occupato interamente dalla feritoia attraverso la quale posso

sbirciare all’esterno, vedo sporgere due stalattiti larghe, corte e rotonde, parallele e

uguali, di forma semicircolare con goccia sotto, di colore bruciato [sono i seni

penzolanti della vecchia madre curva in avanti con l’appendice dei capezzoli che, visti

frontalmente, sembrano gocce].

Viene a frapporsi intanto un oggetto informe. – Quella sembra una zolla di loppa

secca, con steli bianchi e neri, – dissi – che scende e risale come se qualcuno dal di

sopra la scuotesse su e giù o forse è uno strano pennello largo da imbianchino, dalle

setole lunghe e disuguali, che in gergo vien detto ‘pennellessa’. Non riesco a vedere la

mano che lo scuote [è la ‘chioma’ scapigliata della vecchia madre vista frontalmente

mentre tiene la testa bassa]. –

– Quel ciuffo, che pare erba secca, ora scende un po’ più basso e sembra attaccato ad

un pezzo di legno nero, informe e relativamente grosso [è il collo]. –

– Viene ad agitarsi ancora un po’ più in basso. –

– Quel pennello ora mi sembra una maschera [perché la vecchia madre solleva la testa e

mostra il suo brutto volto]. –

Infatti, ad un ripetersi del movimento, vidi il bianco degli occhi vivi della vecchia

intenta nel suo compito di levatrice e anche le sue pupille vivide che per un istante mi

hanno guardato.

Compresi che quei movimenti erano un’espressione muta come se volesse ripetere...

un “Sì... sì... sì... esci... vieni fuori...”.

Durante questi scossoni, intravedo all’esterno, rispettivamente all’estremità dell’uno e

dell’altro ramo mosso dal vento, [le braccia della levatrice] un tratto di alcuni centimetri di

una coscia biancastra e liscia, poi un altro tratto uguale dell’altra coscia simmetrica

dalla parte opposta [sono le cosce della partoriente].

Finalmente rieccomi fuori e l’incubo finisce.

La nascita della prima Donna, l’omega

§ 105 Il piccolo riquadro, simile ad una feritoia dentro il virtuale quadro nero dalla

cornice rosea, è sempre molto limitato.

– Ecco, ora vedo nuovamente la vittima inarcarsi. Ma non vedo sangue. –

– Le due cosce, di quello che da prima mi pareva un otre gonfio, sono girate all’insù e

sono della stessa altezza. Ciò mi conferma che la testa dell’animale vincolato al suolo

dev’essere di là. – Ma la Voce sommessamente mi ripete: – DI QUA. – Il cavalletto

era ritornato alle sue dimensioni. Lo vedevo alla distanza di due o tre metri.

– È tutto un perditempo – dissi. – Cosa c’entra la Bambina con... – Non potei finire la

frase.

– NON C’ENTRA. ESCE. – Mi fu detto forte, ma non capivo.

– Allora aspetto ancora – dissi. – Se la Bambina ha da saltar fuori da qualche magia,

dovrò pur vederla. –

In quel momento il riquadro si abbassò e vidi che gli occhi della vecchia madre,

indaffarata e spettinata che mi pareva una strega, guardavano quell’animale

ansimante e semovente che era stato definito “ponte” e che era sotto la sua testa

protesa in avanti.

Non capivo ancora, però, di quale animale si trattasse. Il riquadro, dentro il quale si

svolgeva la scena, era sempre limitato a pochi centimetri di larghezza e di altezza

dentro l’ampia cornice rosea dello schermo visivo.

– Ora quel riquadro si alza. –

– Ora vedo l’archetto appena sotto il lato superiore del video. –

– Il riquadro ora si abbassa un millimetro al secondo, lentamente, non a scatti. –

– Più sotto l’archetto vi è un’altra fossetta, nera, come una cicatrice d’albero nella

corteccia color bruciato40. –

– La corteccia è cresciuta tutt’attorno rientrando in essa e coprendola. –

Mi richiama quella di un noce che osservo sempre, passando, all’inizio del paese. Un

suo ramo si protendeva sulla strada e fu tagliato a livello del tronco qualche anno fa.

Ora vi si annidano insetti perché non è ancora chiusa la ferita. Qui invece la corteccia

vi è cresciuta intorno raggrinzita e l’ha chiusa.

– No, non è chiusa. Ne esce qualcosa che non sono insetti o scarafaggi. –– È un

materiale inerte, semiliquido che cade a terra41. – Forse dentro ci sono dei ghiri che

puliscono la tana. Vedo che è un orifizio che si chiude e si contrae. Non volevo credere

ai miei occhi. Mi rizzai disgustato. Girai lo sguardo per togliermi ogni illusione. Dio

non mi farebbe uno scherzo così!

(Nota della curatrice) Qui termina il racconto di immagini allegoriche e ricomincia la

narrazione di immagini reali, visti però sempre attraverso un riquadro molto piccolo che

non consente una visione completa della scena.

§ 106 Guardo di nuovo e riprendo la descrizione. Il riquadro dentro la cornice rosea

ora misura 20 cm per 15 circa.

4 0 Benché la partoriente sia bianca, o giallastra, le sue parti intime sono nere in campo color bruciato.

41

Chi ha

partorito o ha assistito ad un parto sa che questo fenomeno durante le spinte è normale o quantomeno

frequente.

– Le gambe dell’animale giacente partono da un avvallamento centrale e sopra la

biforcazione sono lisce. –

– Il bordo superiore del riquadro si alza a destra un millimetro al secondo. –

– Vedo che la gamba destra, in alto, termina con una curva [il ginocchio flesso]. –

– Il bordo del riquadro si alza anche a sinistra e vedo che anche la gamba sinistra

termina con una curva. –

– Vedo sotto la fossetta (che ora vedo essere l’ombelico) una riga di peli neri e

arruffati che mi era sembrata il bordo sdrucito di una stuoia di crine. –

– I peli dell’una [i peli del pube della partoriente] e dell’altra [i peli dei polpacci della vecchia

madre ancestre] si assomigliano. – Comincio a capire e a rinunciare alla mia illusione.

“Impossibile che venga da Dio” pensavo.

Osservo che l’estremità superiore della gamba liscia e chiara di destra, in prossimità

del ginocchio, lascia vedere un movimento sotto la pelle liscia.

– Quelli – esclamo sorpreso – sono i tendini di un femore! Adesso capisco tutto! Ah!

Valeva la pena di tenermi tanto sulla corda per farmi vedere le parti intime di una

bestia viva! Eh! Signore! Mi avete giocato bene questa volta! –

Mi girai pensando: “Ma che sia proprio Lui a farmi questo scherzo? E a che scopo?

Veramente... ho chiesto io di vedere sopra quel ‘ponte’... Invece Lui mi ha fatto vedere

sotto. Non mi aspettavo però questa delusione! –

§ 107 Il riquadro, entro il video dalla cornice rosea, ora è più piccolo. Nel

vedere per terra quella ‘bestia-ponte’ che ansimava, curvava la schiena nei

suoi sforzi, e poi si rilassava, si dimenava ora di qua ora di là, senza girarsi

sul fianco mormorai:

– Signore, e l’Uomo dov’è? Cosa fa? –

– STA OSSERVANDO QUELLO CHE VEDI – disse sommessamente. “A quell’età?”

pensai. Mi volsi verso il tavolo. Avevo di fronte a me il quadro con la fotografia della

Madonna Pellegrina, che intravedevo nella luce che invadeva la stanza.

– Madonna benedetta! Una lezione di anatomia su una femmina antropoide, a me, che

sono Sacerdote e non veterinario! Perché? E della Bambina, ancora niente? –

Don Guido arriva alla conclusione delle sue ricerche: l’Uomo ha

trovato la Donna, neonata, che diventerà la sua legittima moglie

§ 108 – GUARDA ANCORA. FINALE BREVE, IMPORTANTE – mi disse la Voce.

Seguirono altre parole che non ricordo. Girai a destra soltanto la testa e malvolentieri

verso il video e qui, mi avvenne un fatto strano. Mi sentii come portato fianco a fianco

di quella vecchia femmina curva, che faceva la levatrice, con la mia testa allo stesso

livello della sua che stava alla mia sinistra. Con la sua mano destra, lunga, nera e

secca, stava scostando i capelli dalla fronte, e li appendeva dietro l’orecchio enorme

che si protendeva orizzontalmente verso di me. I capelli grigi, a ciocche quasi distinte,

erano bagnati. La sua fronte, bassa e rugosa, grondava sudore. Le sue guance,

magre ma non affossate, erano solcate da rughe più sottili e più fitte. Rugose anche le

labbra della sua grande bocca. Le fosse nasali erano nere e scoperte. Non aveva

mento. Potei vedere la sua dentatura, sana e completa, nella scena che sto per

descrivere. Gli occhi, vivaci, mi guardarono di sfuggita, e mi fecero una certa

impressione. Si deterse il sudore dalla fronte col dorso della mano destra, e anche gli

occhi. Poi prese un budello piccolo e rosso, che pendeva da ambo i lati della mano

sinistra, e lo portò alla bocca che, aprendosi, scoprì tutti i denti, anche i canini, più

lunghi degli altri denti, e i molari e con un morso troncò il cordone ombelicale. Ne uscì

qualche goccia di sangue. Non capii subito che si trattava del cordone ombelicale, per

cui, inorridito, esclamai:

– È questa la cosa importante? Questo è cannibalismo! – E mi volsi, di nuovo verso il

tavolo, brontolando:

“Anche i leoni cominciano a divorare la preda dalle parti più molli, ma prima la

uccidono. Questa vittima, invece, continua a sospirare”.

Continuavo a intravedere la bestia al suolo. “E l’Uomo è presente! Basta, basta! Via

tutto! Ho altro a cui pensare!”. Strinsi la Bibbia fra le mani, pensando: “Perché?

Perché? Possibile che venga da Dio? Egli non si abbassa a queste cose!”.

§ 109 – GUARDA...! L’HA TROVATA LA BAMBINA – mi disse forte la Voce. – Ah,

si!? L’ha trovata? Ma io ne ho abbastanza...! – Distolsi lo sguardo e, con le mani

sugli occhi, mi chinai sulla Bibbia. Era la risposta conclusiva alla mia domanda

iniziale: “Come ha fatto Adamo a trovare la Donna?”. Girai la testa a malavoglia e

fui preso come da un incantesimo: la vecchia era volta di spalle, ma io fui come

portato, di nuovo vicinissimo, alla sua destra. La vidi consegnare la Bambina

all’Uomo che le stava a sinistra. Egli la prese fra le sue mani e l’accostò al suo petto.

La vidi muovere una gambetta che usciva dalla sua mano destra.

Dopo pochi istanti di meditazione mi accorsi che in quel momento ero venuto alla

conclusione delle mie ricerche.

La Bambina era l’ultimo capolavoro della Creazione o, per dirla con i non credenti,

era il vertice dell’evoluzione delle specie animali, dopo di che non si ebbero altre

specie, o ‘salti di qualità’.

Dio, creando la prima cellula generativa del primo e del secondo esemplare di questa

nuova specie come aveva fatto fin qui da quando pose in essere la prima cellula

vivente, aveva cessato dall’intervenire.42

§ 110 Il riquadro si era abbassato e vedevo quella ‘bestia-ponte’ giallastra e

semovente che faceva ancora degli sforzi di qua e di là come volesse ancora

divincolarsi, ma non aveva più il volume di prima come quand’era gonfia. Quando si

quietava era piatta. Dal lato superiore del riquadro scendono, all’interno delle gambe

divaricate della vecchia, le sue due mani nere, lunghe e secche, dalle unghie strette,

arcuate e forti, seguite dalle rispettive braccia nere e pelose, che poi escono dalla

scena, verso la mia sinistra. La vidi allontanarsi con qualcosa fra le mani e, dopo

pochi passi, cominciò a mangiare quel qualcosa con molta soddisfazione. Capii che la

vecchia stava mangiando la placenta che la figlia non aveva voluto. Rimasi inorridito!

Mi parve una scena di cannibalismo! Mi fu chiaro allora che mentre la vecchia era in

tutto e per tutto un animale, la figlia era stata preservata da questo istinto.

42 Rivedere nota 9 a pag. 55.

§ 111 Il riquadro si fa lentamente più vicino così da lasciarmi vedere la fossetta alla

sommità della bestia giacente. Ora non la vedo più di scorcio, ma da sopra. Il

riquadro si alza un po’ più svelto. Vedo che la fossetta chiamata “cicatrice da un

morso” è l’ombelico. Le due sporgenze sono seni di donna. L’otre, o “ponte”, è il

ventre della puerpera che ora è piatto, anzi concavo e più stretto nella parte inferiore,

ciò che mi aveva fatto credere essere una palla ovale. D’improvviso il riquadro si

dilata d’ambo i versi e vedo quel corpo quasi per intero. Dura appena un secondo e

mi lascia sconcertato. “Accidenti – pensai – quella bestia sembra una donna viva che

respira e ansima!” e mi voltai verso il tavolo.

– Perché farmi vedere tutto questo? Signore, è possibile che questo venga da Voi? A

che scopo, se non sono né un medico né un veterinario? –

Stetti a meditare. “Macché! Quella non può essere una donna. Dio non può

contraddire Se Stesso. La Bibbia dice che “Dio trasse la Donna dalla costa (genitale)

dell’Uomo”, cioè ‘dal seme di lui’: il Capostipite. Quindi la Donna è più giovane di

lui. E se lui è appena un ragazzo imberbe, quella che vedo non può essere la sua

donna, perché è adulta. No, non c’era una donna prima di Adamo. Sto con la Bibbia.

Che sia opera diabolica? A che scopo? Per farmi perdere la Fede nella Sacra

Scrittura? Eh, no! Questo mai!”.

La puerpera “è la femmina del peccato originale”

§ 112 A questo punto la Voce, sommessa, mi disse dentro la mente: – L’HAI GIA’

VISTA: È QUELLA DEL ‘PECCATO ORIGINALE’. –

Queste parole mi riportarono alla mente la seconda rivelazione: il primo ‘sogno

profetico’ che ebbi a casa mia due anni prima durante il riposo pomeridiano. Ma già

allora avevo scacciato questo ricordo credendolo frutto di fantasia e ora, nuovamente,

non volli farci caso, anche perché qui non avevo potuto vedere il muso della femmina

biancogiallastra e i suoi grandi orecchi a sventola. Se avessi dato ascolto a quelle

parole, sarei stato ad un passo dalla soluzione.

Ricordavo che quel peccato fu commesso con una femmina dalla faccia brutta e dagli

orecchi grandi, sporgenti in fuori. Questa invece non mostrava la faccia, ma dal corpo

sembrava proprio una donna e una donna adulta, a giudicare dal pelo sul pube e dal

tronco con il seno formato.

“Impossibile che quella sia una donna! – pensavo. – Ho visto che Adamo ha trovato

la sua Donna ancor bambina. Non c’era una donna prima della Figlia di Adamo! Non

posso crederlo! Sto con la Bibbia!”.

Strinsi la Bibbia fra le mani. “Quante distrazioni! E ancora non ho letto una riga...

Basta! Via tutto!”.

§ 113 Aprii il Libro. Le dita non mi obbedivano per trovare le pagine della Genesi. Mi

sfuggivano tutte assieme, al primo, al secondo, al terzo tentativo. Con ambo le mani

aprii la Bibbia a caso, tanto per provare se avessi potuto leggere con quella luce rosea

che mi abbagliava. Speravo che mi fosse di aiuto la lampadina da 60W che pendeva

sopra la mia testa. Intravedevo le righe delle parole piccole e non riuscivo a decifrare

neppure quelle in grassetto dell’intestazione dei capitoli. Intanto pensavo:

“È Lui che l’ha voluto; è mai possibile che ora non riesca a leggere? Questo è il Suo

Libro, non uno qualunque”. Una Voce sonora di uomo mi disse:

– LASCIA STARE IL LIBRO. TI FACCIO VEDERE CIÒ CHE NON VI È SCRITTO

SENZA AFFATICARTI LA VISTA. GUARDA DAVANTI A TE. –

Il paesaggio visto dalla prima abitazione

(9° orientamento: scena rivolta verso Est)

Cambia la scena.

§ 114 Alzai gli occhi. Il quadro, o video, questa volta era sulla parete verso la strada,

che guarda verso Est, nel vano della finestra di destra della mia cucina. Tra la

portiera di prima e quella finestra vi è l’angolo delle pareti, occupato dall’apparecchio

televisivo cge da 24 pollici. Questo, tutto intero, ci sarebbe stato comodamente entro lo

spazio della cornice rosea. Questa toccava lo sguincio43 sinistro di quell’alta finestra,

ma non arrivava allo sguincio destro dal quale distanziava almeno 15 cm; in alto non

toccava la sua sommità e in basso scendeva sotto il davanzale fin quasi allo schienale

della sedia che era lì. Dal mio posto potevo vedere anche quella parte del quadro

visivo che veniva a trovarsi dietro l’apparecchio televisivo che era un po’ discosto

dall’angolo.

– Oh, bello! Grazie Signore! – esclamai. Mi sistemai più comodo girandomi

leggermente e mi appoggiai contento allo schienale della sedia.

43 Rientro obliquo del muro nel quale è incassata la finestra.

§ 115 Il quadro visivo è tutto aperto, come una finestra che guarda la campagna in

pieno giorno sereno e assolato.

Lo scenario è nitido, riposante, senza tremolii né rumori. C’è nell’aria un senso di

gioia intensa. La mia impressione dipende forse anche dal passaggio da scene

sgradite e anguste a questa, tutta festosa e aperta.

La scena è divisa in due parti da una linea perpendicolare tracciata dallo spigolo di

un manufatto: la parte sinistra, che ne occupa la terza o quarta parte, mostra, sopra

un’altura molto ripida coperta di vegetazione cedua a latifoglie, una parete liscia,

nerissima, di forma quasi quadrangolare, con le linee esterne perfettamente verticali.

Non mi sembra opera della natura, ma proprio un manufatto che domina la pianura

sottostante.

Intuisco che è la risposta alla mia ricerca, se cioè l’Uomo avesse un’abitazione

riservata e difesa. Su quella parete nera non vedo finestre, né porta d’ingresso, né

vedo la via d’accesso, segno che si trova su una parete laterale.

La grande pianura sottostante a destra, biondeggiante di messi e già vista prima, va

da Sud a Est e sembra allargarsi a ventaglio a Sud fino all’orizzonte, lontano più di 4

km, che si perde nella foschia.

Non potei vedere se ci fosse un corso d’acqua, ma ricordai d’aver visto dall’alto

della cengia l’alveo secco d’un torrente che delimitava il bosco dal lato Sud-Ovest di

questo promontorio.

Gli ancestri immediati dell’Uomo

(Il quadro visivo rimane orientato verso Est come quello precedente, il 9°, ma l’immagine visiva si

sposta verso destra e riprende la visuale già inquadrata nell’8° orientamento. Il Signore, evidentemente,

una volta ottenuto lo scopo di dare una panoramica del sito spostando l’orientamento del quadro

visivo a seconda dell’orientamento della scena inquadrata, cambia modalità e mantiene fisso il virtuale

schermo sulla parete Est della cucina seguendo invece solo con l’immagine gli spostamenti dei

personaggi nei luoghi già noti).

§ 116 Il video rimane orientato verso Est, ma l’immagine si sposta verso destra

abbandonando il manufatto e avvicina il campo visivo sulla pianura sottostante. Gli

ancestri immediati del Primo Uomo sono là, dove li avevo visti prima schierati come

per una posa fotografica, ma ora non sono bene ordinati. Sembra stiano ritirandosi

dalle immediate vicinanze della scena che ho appena descritta. Sono stati chiamati per

nome? Ora ritornano a mettersi in schiera, fianco a fianco con qualche variante. Sono

le quattro femmine: la vecchia madre e le sue tre figlie pelose. Accanto ad esse il

maschio. Dice la Bibbia che Dio fece passare davanti ad Adamo tutti gli animali del

Paradiso Terrestre, perché imponesse loro il nome. È un modo di dire. Gli animali

chiamati per nome erano solo quelli domestici: gli ancestri. Qui è l’Uomo che li

organizza. Alle due estremità della schiera ci sono i genitori: dal lato più lontano la

vecchia madre grigia e secca ‘capostipite di tutti gli ancestri’ che fece da levatrice alla

nascita della Bambina; dal lato più prossimo a me, suo figlio, tutto nero e peloso,

padre delle tre femmine nere e pelose, in tutto simili ai genitori. Esse sono in evidente

stato di avanzata gravidanza che, quando le vidi per la prima volta e solo

parzialmente, solo il ventre, avevo creduto fossero orsi seduti.

§ 117 La femmina bianca momentaneamente è fuori dalla schiera perché seduta di

fronte a loro per aver appena partorito. Per le sue caratteristiche particolari, deduco

che è figlia della vecchia grigia ma non del maschio, nata anch’essa per un intervento

diretto del Signore con la stessa modalità usata poi anche per il maschio: un nuovo

gamete maschile creato nel seno della madre per fecondare il suo ovulo naturale.

Penso però che nel caso del concepimento della femmina ancestre bianca sia stato

creato un gamete diverso rispetto alla specie pura degli ancestri: un gamete ‘sui

generis’, intermedio fra la specie ancestrale e la specie umana. Questo spiegherebbe

perché questa femmina, pur avendo molti tratti della specie degli ancestri, abbia

caratteristiche così diverse da quelle del fratello maschio e da quelle delle figlie di lui.

Come per una posa fotografica

§ 118 Il maschio è in primo piano e lo vedo di profilo. Nella scena di prima, alla sua

destra vi era la femmina bianca: ora c’è quella che era seconda, nera e pelosa. Alla

destra di questa sta arrivando quella che prima era la terza, un po’ meno alta della

precedente. Ma prima di sistemarsi come le altre guarda lontano, apre la bocca e fa

sporgere la lingua. Fa anche qualche gesto con la mano. L’ultima figlia, che è la più

piccola, alta forse appena 90 cm e che è anche la più vivace nei movimenti, guarda

anch’essa lontano prima di mettersi in fila e, a più riprese, apre pure lei la bocca e

mostra la lingua che è lunga e appuntita. Alla destra di tutte e tre, e ultima della fila, vi

è la vecchia grigia e magra stecchita. Ho notato che la più piccola ha la testa

rotondeggiante con occhi distanziati e collo sottile.

Viste così di profilo si notava ancor di più che erano senza mento e senza naso, con le

orecchie molto grandi, uscenti orizzontalmente dai capelli per 8 o 10 cm e

ballonzolanti ad ogni passo, come si vede nelle pecore o, meglio, nei maiali.

Questi sono i personaggi che avrebbero dovuto essere gli ausiliari dell’Uomo.

§ 119 La schiera non sembra completa; intuisco che si aspettano altri protagonisti dal

fatto che prima una femmina, poi un’altra, si volgono dalla parte opposta, ripetendo il

moto della bocca e della lingua. Infatti vedo arrivare dietro di loro, con un’ultima

capriola, il maschietto che avevo visto giocare a nascondino fra le spighe del campo.

Si pone alla destra del maschio ma, dopo alcuni secondi, le teste di tutte le femmine si

volgono a lui, poi girano lo sguardo verso qualcosa che sta fuori dal mio campo

visivo. Di certo esse guardano il Padrone che io non vedo. Il maschietto non si decide

a muoversi e viene preso per un braccio dalla seconda femmina e fatto passare alla

sinistra del maschio, in primissimo piano. Di lì a poco arriva, carponi, anche la

femminuccia che si pone tra la seconda e la terza femmina. Ne vedo solo la testa due

volte, per un istante, ad intervalli. Per questo penso fosse arrivata procedendo sui

quattro arti, come aveva fatto prima tra le spighe del campo. Pareva che tutto fosse

predisposto come avevo visto in precedenza, quasi fosse per una posa fotografica, la

prima famiglia degli ancestri immediati dell’Uomo era schierata in un certo ordine

logico.

§ 120 Molto significativo il cambio di posto del maschietto. È mia sommessa opinione

che egli si sia posto alla destra del maschio per l’abitudine, nell’ammaestramento, di

mettersi fra il padre e la madre bianca e senza pelo che in questo allineamento è

assente. Questo significa che la femmina bianca, qualche anno dopo aver generato

Adamo per intervento divino, generò con il maschio ancestre ‘secondo la propria

specie’ il maschietto. Essendo questa assente dallo schieramento, il maschietto poteva

esser creduto figlio del maschio e della 2ª femmina, per cui fu mandato all’altro lato

del padre.

Nei disegni del Creatore la nascita del cucciolo era una dimostrazione che la femmina

bianca, senza l’intervento diretto di Dio, non poteva generare persone, ma solo

animali della propria specie. E Adamo avrebbe dovuto capirlo! Era una

constatazione. Un’esperienza.

La neonata è osso delle mie ossa e carne della mia carne

§121 Tutti gli animali in scena erano in primo piano, agli ordini del Padrone.

Improvvisamente la scena degli ancestri viene spostata in secondo piano per

comprendere anche la femmina bianca e il Ragazzo con la Bimba in braccio che

prima, per la ristrettezza del riquadro, rimanevano fuori a sinistra. Ora vedo proprio

tutti, in special modo la femmina bianca di cui ora finalmente vedo anche il volto. Il

Ragazzo si scosta di circa 4 o 5 m da quella femmina bianca. Egli tiene sempre sulle

mani la Bimba e ora fa l’atto di sollevarla in alto. Credo abbia dato

contemporaneamente anche una voce, come ad esempio: “Questa è proprio una

creatura della mia specie, mia figlia, osso delle mie ossa e carne della mia carne”,

perché tutti gli schierati, a cominciare dal maschietto, alzano le loro braccia verso il

cielo e, piegando l’avambraccio sopra la propria testa, lo agitano in segno di

esultanza e aprono la bocca emettendo la lingua. Di certo gridano il primo ‘evviva’

all’ultimo capolavoro del Creatore.

Questo gesto del Ragazzo fu un atto di ringraziamento a Dio o il primo segno di

rivendicazione di ciò che reputa suo?

Il Ragazzo passa la Bimba nella mano sinistra, l’accosta al petto e, con la destra

distesa verso gli osannanti, fa schioccare le dita. A quel segnale tutte quelle braccia si

abbassano e la schiera si scioglie.

Il più svelto è il cucciolo che, posta la mano sinistra a terra, fa la prima capriola, poi

la seconda e così via, e sparisce.

§ 122 Il riquadro si sposta verso sinistra lentamente e ora le femmine restano escluse.

Osservo il maschio che cammina, dondolandosi a destra e a sinistra, secondo il piede

che porta il peso del corpo. Ha le spalle larghe e il bacino stretto, gambe corte e piedi

corti e larghi. Imponenti quegli orecchi alti che sporgono di alcuni centimetri sopra la

testa! Mi hanno proprio impressionato. Nessun antropoide vivente ne ha di simili. Lo

stesso gorilla, che è il più grezzo, ha gli orecchi con le cartilagini interne involute,

accartocciate e più simili a quelle umane.

Eva: la chiave del mistero

§ 123 Appena il maschio scompare dalla scena, il riquadro si sposta ancor più a

sinistra e ora comprende la femmina bianca e il Ragazzo con la Bambina, ravvicinati.

La femmina bianca non aveva potuto alzare le braccia esultanti come gli altri

spettatori perché le aveva protese all’indietro, come puntelli sul prato, per sostenersi il

tronco. Era semisdraiata e fissava il Ragazzo che le stava davanti, alcuni metri alla

sua destra. Le sue guance lisce erano arrossate per la gioia ed anche gli occhi

dimostravano gioia. Apriva ogni tanto la bocca allungando la lingua acuta.

Reclamava la sua Bimba. Mentre la osservo, mi viene un pensiero: “Ora che le vedo

il volto, quella l’ho già vista, in penombra, non so quanto tempo fa, con quelle enormi

orecchie a sventola, ma il suo muso allora non era così bello”.

§ 124 Avendole ora visto anche la testa, associai all’improvviso questa femmina a

quella che avevo vista due anni prima nel sogno del ‘peccato originale’. D’un tratto

realizzai: “Se la Bibbia dice che fu Eva ad indurre Adamo al peccato, quella femmina

che ho visto peccare con l’Uomo non può essere che Eva” pensai.

– Allora è questa Eva! – esclamai. Finalmente la chiave di tanti misteri per la scienza

sacra e profana! Ma perché il Signore mai la chiamò con il suo nome e già allora la

definì “ponte”? La fissavo attentamente. Non potevo immaginare, quando la vidi

partorire, che quella ‘bestia-ponte’ fosse Eva! Poi, scostandomi dallo schienale della

sedia mi protesi innanzi fissandola e dissi:

– Vorrei vederla più da vicino. – Sorpresa e soddisfazione! Ebbi la gradita sorpresa

di vederla avvicinata in primo piano come fosse sul davanzale della finestra della

cucina, a grandezza naturale, essa sola perché il giovane Uomo non stava nel

riquadro.

La vedevo dal petto in su, di mezzo profilo, con lo stesso atteggiamento di prima.

Guardava alla sua destra.

I suoi occhi, sebbene sporgenti e grossi, avevano qualcosa di umano

nell’espressione. Sembravano ridere di compiacenza nel guardare il Padrone con la

Bimba e, ad intervalli, continuava ad aprire la bocca per reclamare il possesso della

sua neonata.

Aveva un po’ di naso, a differenza delle sue familiari che ne erano prive affatto. Era

tanto piccolo che copriva solo a metà le fosse nasali.

La sua bocca si apriva fino alla radice delle mascelle lasciando vedere tutti i denti

sani, bianchi, regolari secondo la sua specie, cioè coi canini leggermente più lunghi

degli altri.

La lingua che protendeva era lunga ed appuntita. Sembrava attaccata solo alla gola.

L’estremità vibrava debolmente sotto il palato che era piatto; in quei momenti essa

certamente emetteva la voce. Non aveva mento.

La fronte, bassa, era nascosta fino agli occhi dai capelli castano-scuri, non fitti che,

dietro, le scendevano sulla nuca a coprire solo il collo. Le spalle erano spioventi. Gli

orecchi ho già detto com’erano. Le sue gote erano rosee.

La sua figura era così naturale e nitida che pareva fosse lì viva, tanto che

mormorai: – Vorrei vederla di fronte. –

Così dicendo mi ero alzato e posto a sedere a fianco del lato più lungo del tavolo.

Illusione. Dovevo accontentarmi di vederla così di mezzo profilo.

Mi venne l’idea di guardarla attraverso un foro formato dai pollici e dagli indici

sovrapposti, per vedere in essa solo i connotati positivi, cioè umani, e nascondere gli

altri, ma ebbi chiara la sensazione che i miei impulsi dell’ipotalamo arrivassero solo

fino al gomito. Non riuscii a sollevare le mani nel duplice tentativo di farlo. Ritornai a

sedermi dov’ero prima.

Eva “è la madre di tutti e due”

§ 125 – È LA MADRE DI TUTTI E DUE – mi dice la Voce con tono forte da destra.

– Allora Eva non è la vera moglie di Adamo, ma la madre! Rivedendola seduta

sull’erba e vedendo il Ragazzo con la Piccina in braccio riflettei che anche lui doveva

pur aver avuto una madre e che se quella era la madre di tutti e due, quella ‘bestiasimildonna’,

‘Eva’, era ‘ il passaggio obbligato’ fra la specie subumana e la specie

umana!

Compresi che ‘Eva’ non è un nome proprio, ma solo un appellativo che vuol dire

semplicemente ‘la madre di tutti i viventi’, proprio come dice la Bibbia.

Quindi fu la madre anche di Adamo, oltre che della Donna. E poi disgraziatamente

anche di Caino, quando essa fu partner dell’Uomo per una sola volta, quella fatale,

come vidi nella rivelazione del ‘peccato originale’.

Mettendo insieme questi tasselli, compresi anche l’espressione ermetica che aveva

usato il Signore quando, dopo avermi detto che “la via all’uomo era cominciata di lì”,

aveva soggiunto che quella bestia giacente al suolo e in procinto di partorire “doveva

rimanere ‘capo di ponte’, ma l’uomo presuntuoso e disobbediente la rese ‘ponte’ ”.

Compresi che ‘capo di ponte’ era sinonimo di passaggio obbligato, via senza ritorno,

tra questa specie e l’Uomo.

§ 126 “Per essere una bestia è proprio bella – pensai. – Il Signore ha fatto la figlia

molto più bella di sua madre, la vecchia ancestre”.

– AB UNO DISCE – mi disse la Voce. Cioè ‘da un esempio impara’, ossia ‘deduci la

regola’. E la regola la si ricava dai fatti. Capii che bastava osservare per dedurre.

L’espressione “ab uno disce” era densa di significati.

Andava meditata con calma. Capii che quest’affermazione era importantissima per la

scienza.

Lo scenario si fece buio per qualche secondo, dandomi il tempo di ricapitolare.

§ 127 Anche la figura di Eva (che era stata precedentemente avvicinata) venne

riportata alla distanza di prima. Alzò il braccio destro verso il Ragazzo, sostenendosi

col sinistro e aprì la bocca. Il Ragazzo si avvicinò, si curvò verso di essa e le

consegnò la Bambina. Eva, seduta per terra, l’accolse fra le sue mani lunghe e parve

molto soddisfatta. Il Giovane tornò indietro di parecchi metri, anzi, scomparve per

pochi secondi dietro un avvallamento del terreno, curvandosi. Poi ritornò e consegnò

alla madre quell’oggetto che gli avevo visto in mano sulla cengia. Allora mi era parso

un pezzo di tufo, poi una pannocchia abbrustolita, larga, cioè sdoppiata, e schiacciata

perché quei puntini neri e regolari sembravano dei grani abbrustoliti disposti in righe

regolari. Ora, invece, mi sembrava una braciola molle, abbrustolita sopra una

graticola dalle maglie strette e regolari, con qualche chiazza di bruciato, dove pareva

che i fori avessero delle smagliature.

Capii dalla scena che segue che era invece un pezzo di favo, reso molle dal calore del

sole per esser stato esposto ai suoi raggi per tutto il tempo del parto.

Eva appoggiò la Neonata sulla coscia sinistra e, tenendola con la relativa mano,

sporse la destra e, preso il dono, lo addentò strappandone un grosso boccone.

Dalla sua bocca larga e mal custodita dalle labbra larghe e sottili, calarono molti fili

di miele liquido e trasparente.

Il Ragazzo stava a guardare e, quando vide quel liquido filante e vischioso cadere

sulle gambe della Bambina, fece un gesto ed Eva piegò la testa sulla propria destra,

così che il liquido colasse per terra. Masticava molto volentieri, ma non era bello

guardarla. Aveva il palato piatto e le labbra aperte fino alla radice delle mascelle, così

che non poteva trattenere il miele.

Il Ragazzo rimase a guardare ancora un po’, poi tentò di prendere la Bimba, ma la

madre se la strinse al petto. Il Giovane allora se ne andò deluso: il trucco per

prendere la Figlia non era riuscito.

Il Capostipite succhia il latte di cangura

§ 128 Dopo una breve pausa, cessa il buio e cambia la scena. Entro uno stretto

riquadro sullo sfondo nero, appare una grande pelliccia. La parte dorsale resta

nascosta a destra, l’altra pende gonfia verso la mia sinistra. È grande come mezza

damigiana da 50 o 60 litri. La vedo di profilo. Ha il pelo bianco avorio sotto il ventre

e color cannella lungo il fianco e forse sul dorso che non vedo.

Al centro della pelliccia scorgo una protuberanza vistosa. Il colmo della sporgenza è

di colore più scuro. Proprio in quel punto vedo intervenire una mano umana rosea

che penetra nel ventre, segno che vi è un’apertura.

Quella mano abbassa il bordo inferiore di 15 o 20 cm. A tenerla ferma in quella

posizione interviene una mano nera molto magra con cinque dita, di cui nessuna

contrapposta alle altre ma che escono a ventaglio, munite di unghie robuste e nere.

Sopraggiunge un’altra mano uguale a quest’ultima, guidata ancora dalla mano rosea,

e abbassa il bordo di quella pelliccia dal lato opposto.

Quell’operazione mette allo scoperto due mammelle turgide, grandi ciascuna come

mezzo pompelmo, coperte di pelo bianco e molto corto, fino alla rosetta del capezzolo

che è di color rosa.

Succede un po’di confusione. Si frappone fra questa scena e il mio sguardo una

massa pelosa e nera e vi resta per forse uno o due minuti.

Quando si scosta vedo che quella massa pelosa è la testa dell’Uomo. Egli succhia il

latte e lo sbruffa in un osso cavo che vidi poiché lo avrebbe dato alla puerpera. Poi

quelle mani nere abbassano il bordo della borsa un po’ di più e mi pare d’intravedere

altre due mammelle.

Sono sempre stato appassionato di zoologia ma nelle enciclopedie che ho letto non

ho mai visto un animale simile, per cui chiesi a voce normale:

– Che animale è? – .

Per tutta risposta vedo sparire la pelliccia e comparire, al centro del video, un paio

di orecchie diritte, alte quasi quanto quelle di un asino ma non di forma tubolare come

quelle. Queste solo alla base sono accartocciate e accostate l’una all’altra, poi salgono

a forma di lancia.

Sono color cannella all’esterno e bianco avorio all’interno che è tutto occupato da

peli diritti che partono dai lati e salgono obliqui verso la linea mediana dell’orecchio.

Percepisco a livello intellettivo una domanda:

– LO CONOSCI? –. Feci un cenno negativo col capo poi, ricordandomi che

dovevo dare la risposta parlata, dissi:

– Non lo conosco. –

Per oltre un minuto stetti ad osservare quegli orecchi. Non potevo vedere altro.

Fissandoli bene mi accorsi che fremevano, cioè tremavano leggermente.

– Se ne vedessi la testa forse riconoscerei di che animale sono! – esclamo.

Fui accontentato.

Allo stesso posto, in primo piano, appare la testa di un animale. Esso guarda verso

la parte opposta al mio sguardo e vedo quella testa dal suo lato sinistro. Sotto quelle

orecchie vi è un cranio piccolo che culmina proprio lì. Il muso lungo e sottile è tra

quello del cavallo e quello della capra, ma va assottigliandosi molto verso la bocca.

Il suo pelo è lucido, color rossiccio-cannella. È un erbivoro. Le sue mandibole sono

a fior di pelle, molto lunghe rispetto al cranio, ma non è magrezza. Lo dimostra il pelo

lucido. L’occhio è fermo e attento. Gli orecchi vibrano.

– Direi che è un canguro, se ne vedessi anche il collo. –

Anche questa volta fui accontentato.

L’animale sparì dal primo piano e lo vidi, da un’altura, giù nel prato, distante 30

metri circa.

Gli vedevo solo la testa e il collo, il resto stava nascosto sotto la linea del quadro

visivo. Il suo collo era lungo ma non in posizione normale. Alla base sembrava

costretto in avanti mentre, verso la testa, si ergeva immobile e guardava verso la mia

sinistra.

Mi vennero dei dubbi: “Siamo in Tasmania? O in Australia? I canguri vivono là.

L’Uomo verrebbe di là? Impossibile. Non è cosa che riguarda la fede, ma la Bibbia fa

testo che egli è comparso presso le sorgenti dell’Eufrate e del Tigri. Oppure, che

questo sia un unico esemplare eccezionale, portato di peso come Habacuc da quelle

regioni, per dare all’Uomo latte e pelle?”.

In risposta ai miei dubbi scompare la figura del canguro laggiù e ne compare un

branco entro un riquadro di cm 5 per 10. Ne vedo solo le teste e a volte anche il collo

perché si alzano e si abbassano. Non vedo lo sfondo per capire se scendono da un

declivio o se saltano in piano. Penso: “Vivono allo stato brado? O è libertà per il

pascolo. Dunque quella cangura non è sola. Né era legata quando le si scopriro

no i seni. È un animale domestico o addomesticato?”.

La spiegazione verrà da un’altra scena. Questa:

Il giovane padre toglie la Neonata dalle mani di eva

(Nota della curatrice) Il quadro visivo rimane sempre proiettato sulla parete Est della casa,

mentre l’immagine segue la scena che si svolge ancora al lato Sud-Est del promontorio,

dove è avvenuto il parto).

§ 129 Il Ragazzo è di nuovo in piedi di fronte ad Eva seduta che tiene la Bambina

posata sulla coscia sinistra, che non vedo, mentre con la destra tiene ancora un pezzo

di quell’oggettocibo che le era stato dato, il favo di miele. Egli questa volta le porge

l’oggetto di forma simile ad un vaso portafiori, alto e stretto con costole verticali, più

aperto alla sommità. Era un femore, forse di canguro: il Giovane evidentemente

utilizzava i femori, svuotati del midollo, come recipienti. Qui le costole non sono

regolari. Partono a metà altezza. Una è più minuta, l’altra è più grossa, contorta e

sporgente fino alla sommità. Siccome glielo offre verticale, penso che contenga il latte.

Eva guarda, ma ha le mani occupate. Cessa di masticare e cerca sul terreno un posto,

a destra e davanti, dove posare il resto del cibo. Non trova di meglio che la propria

coscia destra, che non vedo, e prende con la mano libera l’oggetto che le viene offerto.

Il Ragazzo le toglie la Bimba, se la pone sulla mano sinistra accostata al petto e, con la

destra, prende la mano sinistra di Eva e la costringe a tenere quel biberon con

ambedue le mani e a portarlo alla bocca.

§ 130 Eva beve a canna, ma tiene d’occhio la sua Bambina. Si accorge che il Ragazzo

si allontana. È già a 10 metri di distanza e va verso il sentiero che sale lungo lo

scoscendimento e non torna indietro. Allora Eva butta per aria il biberon il quale, al

colmo della parabola, lascia uscire un liquido bianco e filante (latte e miele). La

femmina scatta in piedi furiosa, pone la mano sinistra a terra e, servendosi del lungo

braccio come fosse una pertica, spicca un salto dopo l’altro agilmente, sale anch’essa

per il sentiero dove il Giovane la precede e lo raggiunge presso un passo pericoloso.

Li vedo attraverso un cespuglio e un corpo opaco che sembra uno spuntone di roccia.

Là il sentiero è molto stretto, ed è il punto dove il Ragazzo, accortosi

dell’inseguimento, si ferma. Eva lo raggiunge: vuole la Bimba che egli tiene alta con la

mano destra accostata alla spalla. Essa allora lo graffia con quegli unghioni lunghi,

forti e ovali a nocciola, prima con una mano e poi con l’altra e gli produce dei solchi

sanguinanti dalla spalla al femore sinistro, dalla gola al ventre. Il dramma mi tiene col

fiato sospeso. Vorrei vedere più da vicino.

§ 131 Ecco, sono portato al posto di quello spuntone di roccia e li vedo ad un metro di

distanza, l’uno a sinistra, l’altra a destra. La femmina è infuriata e scarmigliata. Gli

occhi grossi sembrano uscire dalle orbite. Le labbra tirate mostrano tutte intere le due

file di denti fino alla radice delle mascelle. La lingua e la gola vibrano. Certo essa

urla. Anche gli orecchi enormi vibrano fuori della cortina dei capelli disordinati. Alle

prime rapide graffiature il Ragazzo reagisce con la mano sinistra, tentando di

allontanarla, ma essa gli afferra la mano e gliela morde profondamente fino alla metà

del dorso. Terribile quella bocca larga! I denti canini penetrano nel dorso e nel palmo.

A questo punto il Ragazzo muove una gamba e le fa uno sgambetto o le dà un calcio,

non so precisare perché non vedo le gambe sotto il riquadro.

Fatto sta che Eva si rovescia alla propria destra e sparisce lungo l’ultimo tratto del

canale che scende dall’altura.

“Macché! – brontolai fra me. – Quello non può essere Adamo. Egli era un uomo

grande, maturo, esperto, immune dal dolore e dalle malattie; sapeva dominare gli

animali con uno sguardo e indovinava i loro istinti. Costui, invece, è un ragazzo

ingenuo che si è lasciato prendere alla sprovvista”.

Eva, la femmina preumana, sarà il “dèmone” per l’uomo

§ 132 SARÀ IL DÈMONE PER L’UOMO. . Queste parole che sentii pronunciare alla

mia destra con voce normale di uomo, ed altre che seguirono in tono più debole di cui

ricordo solo il concetto, mi diedero molto da pensare là sul momento e poi in seguito.

Il significato immediato delle parole sommesse che udii era questo:

§ 133– LA LEZIONE DOVREBBE BASTARGLI PER TENERLA LONTANA E NON

FIDARSI DELLA PROPRIA INESPERIENZA, PERCHÉ È IL ‘SERPENTE’ (qui lo

vedevo simboleggiato da quei denti canini di Eva che mordevano la mano dell’Uomo)

‘L’ALBERO GENEALOGICO SELVATICO DELLA CONOSCENZA DEL BENE E

DEL MALE’, IL QUALE, SE ‘CONOSCIUTO’ O ‘MANGIATO’ (nel senso di aver

con esso un rapporto generativo) FUORI DAL PROGETTO DI DIO, SAREBBE

STATO PORTATORE DI MORTE, PERCHÉ AVREBBE CONDOTTO L’UMANITÀ A

PERDERE LA PROPRIA INTEGRITÀ FISICA E PSICHICA, PER FARLA

SOPRAVVIVERE SOLO ALLO STATO DI OMINIDE A CAUSA DELLA

PREVALENZA NUMERICA DEI CARATTERI ANCESTRALI (poiché gli ancestri

generavano più precocemente e con maggiore frequenza della specie umana). –

§ 134 Ha detto: – sarà il dèmone per l’uomo – . Compresi che non si riferiva soltanto

a quel primo Uomo personalmente quando vi sarà la tentazione, ma al fatto che nelle

successive generazioni alcuni dei ‘Figli di Dio’, cioè i legittimi discendenti di Adamo, si

sarebbero uniti alle ‘figlie degli uomini’ (Genesi 6,1-4), discendenti illegittime di

Adamo attraverso il ramo di Caino, mescolandosi fino alla completa ibridazione. Così

che tutte e due le specie sarebbero state corrotte e si sarebbe estinta la specie umana,

se Colui che è la Risurrezione non l’avesse guidata nel corso di milioni di anni al

recupero, parziale, dell’integrità originaria mediante la selezione naturale, a livello

genetico per incapacità di sopravvivere degli individui più tarati, e anche mediante

quella artificiale con la soppressione totale degli individui irrecuperabili (come ad

esempio con il diluvio di Noè o con cataclismi di altro genere come a Sodoma e

Gomorra).

– E allora perché non la uccide? – esclamo, pensando che dopotutto non era una

persona, ma una bestia. Perdo di vista il Ragazzo che sale per il sentiero. Mi guardo

attorno pensieroso.

La prima abitazione

§ 135 Quando guardo di nuovo lo vedo arrivare ad un piccolo spiazzo un po’

inclinato e dal fondo roccioso sul quale si affaccia la porta di un casolare rustico. La

porta è costituita di grossi polloni di vimini orizzontali intrecciati con altri vimini

verticali più grossi, tutti neri e lucidi.

Il Ragazzo si ferma davanti allo stipite sinistro e con una mano slega qualche nodo di

una stringa e spinge la porta che si gira su un palo che serve da cardine, aderente allo

stipite di destra. Non vedo il muro in cui si apre quella porta. La scena si allontana ed

ora vedo il muro. Non è però il muro nero posto in evidenza nel riquadro precedente e

che dominava la pianura sottostante perché quello non aveva aperture. Comprendo

che siamo di fronte a una parete laterale, anzi, oltre l’angolo di sinistra dello stesso

edificio.

Sento un grande desiderio di vedere dentro l’abitazione del primo Uomo, che vi entra

in quel momento.

§ 136 Non so se fu effetto di autosuggestione o di rapimento, ma ebbi l’impressione di

essere portato dentro quella povera abitazione nel momento in cui il Ragazzo entrava

con la Bimba in braccio. Egli, accostata la porta allo stipite, vi appoggiò la spalla

sinistra per farla aderire. Infatti era ‘imberlata’, cioè i suoi bordi contrapposti non

erano paralleli. Tolse un corto paletto appeso presso lo stipite e lo infisse in un foro

del medesimo per tenere chiusa la porta. Altrettanto fece per fissare la parte inferiore.

La porta anche all’interno era come un graticcio nero e lucido di catrame.

§ 137 Vedevo il Ragazzo stando ad un metro e mezzo dall’entrata. Egli si voltò e stette

a guardare una specie di piccozza posta sopra un mobiletto grigio, alto 60 cm con un

piano di cm 40 per 40, posto a due metri dalla porta e accostato alla parete di destra.

Emetteva dei sospiri. Forse piangeva, ma non potei vedere bene la sua faccia. Non

toccò quell’arma: la guardava soltanto. Era proprio una piccozza dal manico d’osso,

forse una tibia lunga circa 35 cm. Alla sua sommità l’arma era costituita da una pietra

levigata, nera, lunga tra i 22 e i 25 cm, con punta da una parte e taglio dall’altra.

Questa era legata a metà con una stringa di pelle pelosa che l’avvolgeva con due spire,

i cui capi entravano nell’osso bucato e spuntavano dalla parte opposta dove erano

annodati con un tassello. Due stringhe più sottili fermavano l’arma da uno e dall’altro

lato del nodo della tibia, già incavato su misura. Facevano due giri attorno alla pietra

e, incrociati al di sotto di essa, ne facevano altri due al di sotto del nodo. Così la pietra

era immobilizzata.

“Molto ingegnoso il Ragazzo – pensai – adesso se ne serve”. Ma il giovanissimo

padre non si muove. Sta lì, chino sulla sua Bimba.

§ 138 Approfitto per esaminare l’ambiente. L’ingresso era situato sulla parete rivolta

a Nord-Ovest e comunicava ad un solo ambiente con pianta a forma di ‘L’. La stanza

era composta da due volumi, uno più piccolo di fronte all’entrata, con una finestra

centrale sulla parete opposta alla porta, l’altro, a sinistra dell’ingresso, più profondo,

con una seconda finestra. Entrambe le finestre guardavano verso Sud-Est. La prima

finestra, di circa 60 per 80 cm e munita di sbarre trasversali, dista un metro

dall’angolo di destra. Addossati a quest’angolo vi sono, in piedi, dei manici di attrezzi

privi di corteccia, ma non vedo la loro estremità inferiore per cui non riesco a capire il

loro uso. Sono di varie altezze, fra un metro e un metro e mezzo.

§ 139 All’angolo opposto, a destra dell’entrata, altri attrezzi di lavoro, grezzi, di

legno. Al centro di questa parete il mobiletto su cui è poggiata la piccozza. A sinistra

della finestra frontale, sul pavimento di terra battuta, ai piedi d’una parete affumicata,

vedo un cranio di ruminante molto piccolo in confronto della mandibola, ancora

munita di denti, che è stretta e lunga. È bianco, con qualche segno nero e i fori delle

occhiaie tappati di nero. Capisco che è la mascella superiore di un canguro che ha la

funzione di un rudimentale mestolo.

§ 140 Altri recipienti, simili a secchi, sono allineati di seguito. Esternamente tutti

anneriti dal fumo, uno solo è nero-lucido all’interno e sembra di terracotta. Sembrano

pentole.

Sopra di questi, vedo appese alla parete tre o quattro borse pelose e gonfie e degli

oggetti informi. Davanti a tali oggetti, vedo sul pavimento due mobiletti grigi, simili a

quello che regge la piccozza, ma più piccoli, con sopra delle pietre nere e lucide,

lavorate con taglio e punta. Sono delle amigdale, dei raschiatoi e dei coltelli. Due

scaglie bianche sembrano pietre focaie.

Tutto questo si trovava nella metà della stanza di destra dominata dalla porta e dalla

prima finestra contrapposta.

§ 141 Mi giro a sinistra per vedere l’altra metà dell’ambiente. La parete che portava

le borse continuava, girato l’angolo concavo, con una parete attigua per altri due

metri in profondità ed aveva un basamento in muratura alto circa un metro e mezzo,

mentre la parte superiore era fatta di assi verticali, o tavole grezze un po’ contorte,

che avevano tutta l’aria di essere state tratte da tronchi mediante la spaccatura da un

capo all’altro con cunei di legno. Erano allineate e legate con corregge pelose a due

stanghe orizzontali in alto. In basso le tavole erano fissate al muro. Due piccoli

scaffali appesi a quella parete, portavano dei vasi di varia grandezza; qualcuno

sembrava una zucca decapitata. Gli scaffali arrivavano all’angolo dell’altra parete, a

Est.

§ 142 Al centro di quest’ultima, una finestra delle stesse dimensioni della prima, ma,

cosa che non avevo osservato in quella e che qui saltava agli occhi, c’era un luccichio

di vari colori. Il davanzale, gli stipiti e l’architrave portavano infisse pietre preziose,

bianche, rosse, verdi e gialle. Alcune grosse quanto un uovo di gallina, altre più

piccole. Riflettevano i raggi del sole che, a quell’ora, si dirigevano su un grande tavolo

che si trovava al centro della mezza stanza di sinistra. Sopra il tavolo vedevo, dalla

mia parte, una pelle d’animale che copriva altri oggetti voluminosi. All’estremità

opposta del tavolo, proprio davanti alla finestra, vedevo altri oggetti brillanti di vari

colori e dalla forma simile a cocci di bottiglia, fissati alla base e molto aguzzi alla

sommità.

Il mio pensiero correva alle abitazioni provvisorie dei pionieri, cercatori d’oro e di

diamanti nell’America.

* La prima abitazione

Il ‘dèmone’ della cupidigia e della sensualità

§ 143 Osservando quegli oggetti appuntiti, mi accorsi che non erano messi lì a caso,

ma erano disposti in un certo ordine, pronti a qualche scopo che non comprendo. Non

potei trattenermi dal chiedere: – Che cosa sono? –

– PREZIOSI – fu la risposta. Poi soggiunse: – PERICOLOSI. – – Perché li tiene così

esposti, se sono pericolosi? –

– TAGLIAPELLI – ripetè, e aggiunse sottovoce – DI ANIMALI. – Dopo qualche

secondo aggiunse:

– OGGETTI PREZIOSI PERICOLOSI. – In quel momento mi arrivavano agli occhi i

raggi riflessi dai preziosi posti attorno alla finestra e quelli di rimando da quei cocci

speciali.

Capii che le parole udite si riferivano agli uni e agli altri.

§ 144 Intanto la Voce continuava:

– L’UOMO HA VOLTO AL MALE TUTTE LE COSE PIÙ PREZIOSE, E NON SOLO

QUELLE MATERIALI, SCHIAVO DEL DÈMONE DELLA CUPIDIGIA, DELLA

SENSUALITÀ… – e altre cinque o sei parole che non ricordo.

Era la seconda volta che veniva nominato il ‘demonio’: capivo che, in questo caso,

non si trattava di un essere intelligente senza corpo, ma di ‘una passione’dell’uomo

cattivo. Al tempo stesso non potevo dissociarmi dai principi appresi durante la mia

formazione religiosa.

Avevo in mente la figura di Eva nell’atto di mordere e mi affioravano i dubbi che la

visione fosse di origine diabolica. Perciò, ricordando il gesto di S. Bernadetta davanti

all’apparizione a Lourdes e non avendo a portata di mano la corona del Rosario,

dissi:

– Adesso ti arrangio io, succeda quel che si vuole, uccidermi non puoi. Anche se ribalti

la casa. –

§ 145 Incominciai tutto teso e allarmato in previsione del peggio: alzo la mano per

farmi il segno della croce e dico:

– Nel nome del... – e non riesco a portare la mano fino alla fronte. Pesa come non mai.

Arriva solo all’altezza del naso, per cui devo accontentarmi di piegare la fronte fino a

toccare l’estremità delle dita con la punta del naso e proseguo:

– ... Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – tutto senza intoppi. Poi, volendo fare

l’esorcismo sul quadro visivo con un segno di croce accompagnato nei quattro punti

della finale

“Amen”, dico forte: – A-me-e-en. – Dicendo ‘A’ non riuscii a portare la mano sopra

il quadro visivo. Arrivai solo sotto il lato inferiore.

Con mia grande sorpresa sentii una Voce che sembrava l’eco della mia e forte come la

mia, sovrapporsi alla mia parola divisa e distinta nelle quattro sillabe, una, anzi due

parole equivalenti ad essa:

– VA BE-E-EN. –

Ero sicuro di aver detto “A-men”. Non avevo il raffreddore di naso, così da

pronunciare ‘ben’invece di ‘men’. Prima di aver capito il significato della nuova

formula, che credevo una storpiatura, reagii dicendo:

– Signore, mi cambiate le parole in bocca. Non sono Balaam, sto sempre dalla vostra

parte. –

§ 146 Intanto guardavo verso la portiera dove era terminata la risonanza dell’ultima

sillaba ‘en’. Una Voce mi disse dentro: – COSA VUOI DI PIÙ? – Diedi un’ultima

occhiata a quella abitazione rustica mentre il Ragazzo usciva. La parete, a destra

uscendo, era ingombra di fasci di legna. Non vi era un giaciglio, né una scala per

salire ad un ipotetico soppalco, né vidi un focolare nella stanza. Era solo

un’abitazione-laboratorio. Mi restava da spiegare la resistenza del braccio al

movimento voluto. Dai due tentativi avevo imparato che non dovevo coprire il video

con la mano. La mossi di fianco, in alto, in basso, avanti e indietro: tutto normale. Il

fatto non mi sorprese più, quando ricordai le parecchie volte che una Forza misteriosa

si impadroniva delle mie forze fisiche e mentali. È bello lasciarsi giocare dalla

Sapienza!

§ 147 Distratto, avevo dimenticato il Ragazzo, o meglio non capivo i suoi movimenti

dopo averlo visto uscire dalla stanza. Ora lo vedevo confusamente, come attraverso

un materiale, una massa di terra e roccia, resa trasparente. Era al di là del bordo di

un terrapieno e di un vuoto, distante 4 o 5 metri ed io mi trovavo circa due metri più

alto di lui. Compresi solo dopo, quando la visuale si allargò, che lui stava sul

ballatoio di un rustico ed io sul terrazzo sopra il terrapieno di fronte. Faceva delle

acrobazie che non capivo, perché lo vedevo di scorcio entro un piccolo riquadro,

senza contorni di riferimento.

Saliva, scendeva di qualche gradino, si curvava, si contorceva, si capovolgeva,

appeso, con una gamba piegata, a cavalcioni di uno dei pioli soprastanti di una scala

a pioli. Tenendo sempre la Bimba in braccio con la mano sinistra sanguinante per la

morsicatura, lavorava con la sola destra, la testa all’ingiù grondante sudore.

La Bimba accostata al suo petto sanguinante per le graffiature, e stretta da quella

mano pure sanguinante, era tutta intrisa di sangue. Compresi che il Ragazzo stava

slegando le corregge che tenevano legati i gradini di quella scala a pioli: voleva

togliere 2 o 3 dei pioli più bassi perché Eva non potesse salirla. Eva aveva infatti le

gambe corte e non sarebbe stata in grado di arrampicarsi senza qualche montante

perché i piedi corti e larghi non erano prensili.

Perciò il Ragazzo dovette cominciare a slegare quei pioli, distanti fra loro circa 35 cm,

cominciando dal basso, dal terzo e dal quarto, lasciando legati il primo e il secondo

per tenere uniti i montanti. Le corregge che legavano i pioli dovevano essere secche e

dure per la lunga esposizione all’aria e al sole. Da qui la fatica per sciogliere quei

nodi.

§ 148 Mi sembrava un gioco senza senso, per cui sentii il bisogno di un autocontrollo:

“Non sogno. Sono qui nella mia canonica, questi sono i miei mobili. Questa luce che

riempie la stanza è cosa misteriosa. Privilegio per me? Sarà una visione che hanno

anche altri veggenti? Ne sarei tanto contento. Molti testimoni danno maggior

credibilità e più completezza nel riferire, se si espongono a testimoniare”.

– Signore, Voi mi conoscete, sapete che non ho buona memoria, e le cose viste e udite

in così poco tempo non riuscirò a ricordarle e a coordinarle. –

Le costruzioni del primo Uomo

§ 149 Mentre il Ragazzo continuava il suo lavoro, cercavo di ricostruire mentalmente

il sito in cui mi trovavo e l’ubicazione degli edifici costruiti dal giovane Uomo

attraverso le inquadrature dalle misure assai ridotte dentro quel quadro visivo che

solo poche volte mi lasciava vedere in tutta la sua estensione una scena più ampia.

Dovetti faticare non poco per collegare i piccoli dettagli e farne mentalmente un

quadro unitario.

(Nota della curatrice) Poiché negli scritti di don Guido non si trova una descrizione globale

e al tempo stesso dettagliata di questo sito, mi sono fatta descrivere la complessa

morfologia di quel luogo prendendone appunti. Quanto segue è quello che ho raccolto dalle

sue spiegazioni. Mi disse don Guido:

– Poche volte ho potuto vedere scene panoramiche di vaste proporzioni. Quasi

sempre la visione era mirata a farmi osservare un determinato particolare che aveva una

qualche importanza.

Sull’estremo sperone roccioso di un promontorio proteso da Nord a Sud, e tagliato

trasversalmente da larghi e profondi strati di roccia arenaria inclinati a Nord-Est, il

Ragazzo aveva costruito la sua abitazione sfruttando le particolarità del terreno.

La cengia, sulla quale poggiava l’abitazione, era profonda in quel punto almeno 5

metri e alta non meno di 3.

La conformazione del terreno consentiva di usare il piano della cengia come

fondamenta e la cengia superiore come tetto naturale, sporgente di almeno un metro dal

muro dell’abitazione stessa.

Questo muro, visto frontalmente, appariva privo di aperture ed era stato trattato con

bitume per renderlo impermeabile, perciò appariva come un muro nero. Guardando

frontalmente l’edificio l’ingresso si trovava sulla parete a sinistra e, dal lato opposto,

l’abitazione prendeva luce dalle due finestrelle munite di barre trasversali di cui ho già

parlato.

Questa grande profondità della cengia era stata ricavata scavando il tenero strato di

marna che si trovava fra le due cenge.

Con le pietre di arenaria ricavate altrove il Ragazzo aveva costruito, invece, i tre lati

esposti dell’abitazione seminascosta tra le due cenge e un muro di contenimento sulla

cengia inferiore a quella dell’abitazione, alto circa 6 metri. Il materiale ricavato dallo

scavo era stato utilizzato per colmare il terrapieno sorretto dal muro di contenimento.

Questo ingegnoso lavoro aveva permesso al giovane Uomo di godere di un terrazzo a

livello del piano dell’abitazione che permetteva la comunicazione su tutti i lati a vista

dell’abitazione stessa e contemporaneamente di raccogliere tutto quel materiale che

altrimenti avrebbe ingombrato i percorsi lungo le cenge.

La cengia, che proveniva da Est lungo la quale correva il sentiero che collegava sul

fianco del promontorio l’altura con la pianura, dopo aver girato da Est a Sud e da Sud

a Ovest, era dunque ostruita da questa barriera artificiale al di sopra della quale era

stata costruita l’abitazione.

Lo sbarramento in muratura delimitava, alla sua base, un cortile dal fondo roccioso e

leggermente pendente verso Nord-Est che rimaneva raccolto, a destra guardando sempre

frontalmente il terrapieno, dalla parete di un altro rustico, una specie di ‘dépendence’,

con la quale formava un angolo retto.

Sulla facciata di questo rustico, che si trovava ad un livello inferiore, più modesto di

quello precedente e che delimitava il cortiletto – prosegue don Guido – si apriva verso

Ovest la sua unica porta d’ingresso; sul lato opposto del casolare, verso Est, vi era

un’unica finestrella.

Gli altri due lati del cortile roccioso, erano delimitati da un muretto semicircolare dal

quale si poteva ammirare la piana sottostante.

All’esterno di questo muretto correva il sentiero, quello stesso che dal lato Est del

promontorio aveva percorso, salendo, il Ragazzo inseguito da Eva e che, oltre l’angolo

del terrapieno, proseguiva scendendo verso il lato Ovest. Da qui il sentiero aveva una

pavimentazione parzialmente lastricata a larghi gradoni che scendevano fino a

raggiungere un praticello adagiato

su una balza del pendio dove il giovane Uomo aveva sistemato il suo pollaio.

Il rustico che si affacciava sul cortile – continua don Guido – non godeva come riparo

dalla pioggia del prolungamento della cengia su cui stava la più alta costruzionelaboratorio,

ma si trovava esposto su tre lati e costruito su una balza rocciosa, la cengia

stessa del cortiletto.

Questo casolare aveva quindi avuto bisogno di un vero tetto fatto di scandole di

corteccia d’albero, segno che in quel posto la cengia superiore era rientrante.

Dal lato opposto al cortile, dove si apriva la suddetta finestrella, il rustico guardava

su uno spiazzo erboso che proseguiva, voltando leggermente a sinistra, con il sentiero già

nominato che si snodava sul fianco Est del promontorio fino a raggiungere, dopo una

curva a destra di 180°, la valle sottostante dal lato Sud-Est. Sul primo tratto in discesa, a

qualche decina di metri dal rustico, vi era una frana che creava difficoltà, ma non

impossibilità, al passaggio. Era la frana che aveva fatto da sfondo alla scena del morso

di Eva.

Il piano terra di questo rustico più modesto era adibito anch’esso ad abitazione. Lo

vidi internamente dopo la morte di Abele: era un ambiente povero, affumicato, con il

pavimento in terra battuta, diritto, pulito. Scoprii nelle rivelazioni successive che qui vi si

accendeva il fuoco per cuocere il pane e in seguito era divenuta la dimora assegnata a

Caino.

Il piano superiore del rustico era adibito a fienile o a granaio ed aveva un ballatoio,

rientrante e coperto dal tetto in scandole, tutto lungo la facciata che guardava il cortile.

Poiché il dislivello tra il cortile del rustico e il terrazzo dell’abitazione del giovane

Uomo era di 5 o 6 metri – prosegue don Guido – il ballatoio del rustico era un paio di

metri più basso del piano del terrazzo che stava sopra il terrapieno. Perciò la

comunicazione fra i due livelli avveniva per mezzo di una scala a pioli posta all’estremità

Nord del ballatoio.

Dal lato opposto del ballatoio un’altra scala a pioli scendeva a livello del sentiero

che correva lungo il fianco Sud del casolare.

L’edificio inferiore adibito a fienile non era in asse con l’edifico superiore adibito ad

abitazione-laboratorio, ma fra i due corpi si formava un angolo di almeno 130° perché

la costruzione superiore, posta sul terrazzo, era obliqua rispetto al muro meridionale del

terrapieno.

Dalla prosecuzione della cengia che faceva piano unico con il terrazzo superiore, si

accedeva, sul lato più ad Ovest ed oltre l’abitazione del Giovane, all’apertura di un

abitacolo stretto e profondo nel quale era stato sistemato il giaciglio.

Questo cubicolo era stato ricavato interamente nella roccia e prendeva luce solo

dall’apertura. Mentre il fianco del cubicolo verso monte correva lungo il filone di

arenaria, il fianco a valle era stato chiuso da un muro di protezione alto fino al tetto

naturale della cengia stessa. Questa dimora la vidi solo internamente durante il sogno

del ‘peccato originale’.

Ho dedotto la sua posizione perché il Ragazzo in quell’occasione attraversò tutta la

lunghezza del ballatoio, salì la scaletta che portava in cima al terrapieno e non entrò

nell’abitazione dei preziosi, ma proseguì oltre, sul terrazzo, prima di scomparire

nell’abitacolo.

Vidi che l’entrata era rivolta alla luce meridiana e che il giaciglio era sistemato in

parallelo con la cengia stessa, nel lato più aderente alla parete verso monte, e

l’abitacolo ne risultava lungo e stretto.

Sopra la cengia che faceva da tetto all’abitazione del giovane Uomo vi era la cisterna

che non vidi, ma che suppongo fosse la chiusa di fronte alla quale il Ragazzo con il favo

in mano, nella prima parte della visione, si girò e saltò di sotto.

Lo dedussi dall’orientamento del rudimentale acquedotto fatto con canne di bambù,

visto anch’esso nella prima parte della visione, e dallo scorrere dell’acqua al di qua del

muro cieco e nero dell’abitazione quando il Ragazzo s’inoltrò nel vano buio, a sinistra di

quel muro, e, dopo qualche secondo, aprì la saracinesca e la lasciò defluire.

Quindi il Ragazzo – conclude don Guido – rendendo inagibile la scala che dal primo

livello, quello del sentiero e del cortiletto, saliva al ballatoio del rustico più basso,

rendeva impossibile l’accesso a tutti i suoi angoli riservati.

“Il Capostipite dell’umanità”

§ 150 Mi trovavo sopra l’angolo esterno del terrapieno che guardava sul cortile

sottostante ed avevo alla mia sinistra il muro nero dell’abitazione rivolto a Sud-Ovest.

Ad un livello più basso e quasi di fronte, in obliquo, vi è la facciata di un rustico [si

tratta del rustico nominato nella descrizione precedente]. Intravedo il Ragazzo che dal

sentiero era arrivato in cima alla scala a pioli di cui ora distinguo le estremità

superiori appoggiate al bordo del ballatoio, o poggiolo, che prima non avevo visto. Lo

vedo spuntare da sotto e cammina sul ballatoio venendo verso di me. Il Ragazzo non

era allo stesso livello della mia posizione, ma circa due metri più basso. Sostò

alquanto; passò la mano libera sulla fronte e la liberò dai capelli, che scendevano

disordinati e appiccicati davanti agli occhi. Lo guardavo di scorcio, poiché il poggiolo

era perpendicolare al terrapieno dominante lo spiazzo che avevo di sotto. Ad un certo

punto, in prossimità del terrapieno su cui mi trovavo, lo vedo scomparire. Doveva

salire un’altra scala, che non vedevo, per arrivare al mio stesso livello. Rimase

nascosto qualche minuto, forse per riposarsi.

§ 151 Fui molto sorpreso dal suo aspetto quando da quell’angolo lo vidi ricomparire

di fronte a me, sul terrazzo, distante forse 6 metri. Si fermò. Teneva la testa bassa,

ansimava, forse piangeva. I lunghi capelli erano appiccicati sulla nuca dal sudore e

dal sangue. Aveva la guancia destra gonfia e anche le labbra, e bernoccoli grossi sulla

fronte.

Poi s’incamminò verso la mia sinistra in direzione del muro nero. Il riquadro lo segue

e si sposta anch’esso verso sinistra e il ballatoio, a destra, scompare.

La scena inquadra sempre il Ragazzo, che si ferma qualche secondo, e ha ora come

sfondo il muro nero che ho nominato.

Il viso, il petto, le braccia, le mani, ed anche la Bambina, per quel poco che la vedevo,

erano intrisi di sangue. Era sfigurato, irriconoscibile.

Ciò contribuì a farmi credere che non si trattasse più della stessa persona, ma di un

estraneo. Vedendolo scuotere la mano sinistra grondante sangue, chiesi:

– Cacciatore? – La risposta non la ricordo bene. Mi sembra fosse:

– PRESSAPPOCO, – e poi una Voce femminile con tono sommesso – DI MIELE – ma

non capii.

– Poveretto – dissi – non aveva armi per difendersi e, preso alla sprovvista nella sua

avventura, si è lasciato scorticare a quel modo? Ma chi è? –

§ 152 – NON LO RICONOSCI ? È ROSSO – mi fu risposto.

– Eh, no Signore! Ci vedo bene: distinguo il colore roseo della sua pelle dalle striature

di sangue, di cui è imbrattato, e dalle righe rosse che gli solcano il braccio sinistro e il

petto. È insanguinata anche quella piccola preda che tiene tra le mani e che si dimena.

È ferita anch’essa? Valeva la pena di rischiare tanto? Ma chi è? –

§ 153 – È IL CAPOSTIPITE DELL’UMANITÀ. –

“È una delle definizioni di Adamo – pensai. – Non lo ha mai chiamato col nome di

Adamo, perché? Forse perché non dice tutto. Si riferisce alla Terra perché Ad-ham

significa il ‘Dominus-Terrae’ o ‘il Signore della Terra’ (e non come certuni credono

‘il fatto di terra’) e questo attributo non si riferisce all’umanità. Mentre è questa la

cosa più importante”.

Lo chiamò “il campione”, “il tuo primo parente”, “il proto”, “il protoparente”, “il

progenitore”, “rosso”, “il capostipite dell’umanità”, e “l’uomo”, con significato non

certo elogiativo, ma non lo chiamò mai ‘Adamo’. Così, come non chiamò mai ‘Eva’ la

femmina ancestre.

* Mappa delle costruzioni

* ricostruzione dello stesso ambiente

Il Giovane si deterge le ferite

§ 154 Ora che lo vedo di fronte a me, lo osservo, e non riconosco affatto in lui il bel

Giovane che aveva occupato la metà destra del mio corpo. Ha cessato di ansimare,

alza la testa, sbanda i capelli lordi di sangue e di sudore dietro gli orecchi, e, con

passo deciso e composto, si avvia lungo il fianco della parete nera verso l’angolo

opposto a quello da cui era comparso. Al termine della parete c’è una zona in ombra

con una maggiore profondità di campo, limitata a sinistra dalla linea verticale del

riquadro e alta quanto la parete nera, cioè, delimitata anche sopra dalla linea

orizzontale dello stesso riquadro e a destra dal muro nero. Non so ancora cosa vi è

sopra. Non vedo nemmeno ciò che vi è dentro quella specie di apertura che è tutta

nera, in ombra. Sicuramente vi è un’altra scala a pioli che sale sopra la cengia dove,

presumo, ci sia la cisterna.

Egli entra in quella macchia d’ombra e, pochi secondi dopo, vedo cadere davanti alla

parete nera una fitta cortina d’acqua larga circa un metro e mezzo.

Sarà salito per la scala e avrà aperto la saracinesca per dare avvio all’abbondante

acqua che comincia a cadere di qua del muro, ma discosta da esso.

Tutto fa pensare che l’abitazione sia incastonata sotto il bordo della cengia che le fa da

tetto e già per sua natura impermeabile.

Il nero della facciata è invece dovuto alla sua impermeabilizzazione con bitume.

Questa piccola ma sufficiente riserva d’acqua intiepidita dal sole e alimentata dal

rudimentale acquedotto formato da canne di bambù infilate una nell’altra è sufficiente

a rendere l’habitat più confortevole.

Penso: “Ingegnoso il Ragazzo!”. Poi, riflettendo, realizzo che nella sua perfezione egli

è di gran lunga più intelligente di qualunque scienziato odierno che, se anche ha un

maggior bagaglio di nozioni, porta sempre qualche minima menomazione nelle sue

facoltà.

A questa vivace intelligenza si aggiunga il fatto che Dio gli faceva da Madre e da

Padre, insegnandogli tutto ciò che gli era conveniente, anche a costruire.

Il Ragazzo esce, si porta al centro della parete, sempre con la Bimba in braccio

accostata al petto.

Lo vedo di fronte a circa 6 metri di distanza. Si scosta dalla parete con tre o quattro

passetti e si sottopone a quella doccia abbondante a testa bassa per alcuni secondi,

quindi senza voltarsi retrocede presso la parete.

L’omega rovesciato

§ 155 Nel frattempo il mio punto d’osservazione si era ritirato: era come se mi

trovassi sospeso nello spazio, distante forse 10 metri dal giovane Uomo. Il piano su

cui il Ragazzo si muove, e di cui non vedo il terreno perché mi è consentito di vederlo

solo dalle caviglie in su, sembra protetto al di qua della cortina d’acqua da un

parapetto nerissimo e opaco, largo 10 cm circa, perfettamente diritto e ancorato non

so come ai due lati del video. È senza soluzioni di continuità, cioè non vi è al centro un

tratto più stretto che segni un collegamento fra le due parti, ma è un tutt’uno

omogeneo. Al centro del parapetto, o fascia nera, vi è invece incorporato, senza

cuciture, un oggetto d’oro, forse un sigillo, di forma simile all’occhiello di un’ asola

grande 7 o 8 cm, sdraiato, con la curva rivolta alla mia sinistra. Non somiglia ad un

ferro di cavallo perché la parte rotonda è troppo stretta in proporzione alla sua

lunghezza. Dà l’idea, piuttosto, di un ‘omega rovesciato’. “Sì, è un Omega” conclusi.

§ 156 Quell’‘Omega’era in contrapposizione all’‘Alfa’: e l’Alfa era il Creatore,

pronunciato e scritto come al neon al principio della Creazione. L’Alfa: lo Spirito

Puro, l’Assoluto, la Forza Creatrice Prima che è Dio; l’Omega: il primo Uomo e la

prima Donna e i loro discendenti puri, dotati pur essi di Spirito, quello Spirito che è

della stessa Sostanza del Padre, perché l’Uomo e la Donna sono Figli legittimi di Dio.

Ho inteso anche che con la nascita della Donna è chiuso il periodo della creazione di

nuove specie viventi44 . Compiuta la sesta fase, il cosiddetto 6° ‘giorno’, il Creatore

disse: “Basta” e ‘cessò di creare’. Si astenne cioè dall’intervenire direttamente come

aveva fatto fino allora sulla cellula generativa. Il Creatore aveva terminato il Suo

programma ora che aveva posto in essere il Suo ultimo Capolavoro, la Donna.

“Ma perché rovesciato? – mi chiesi. – Forse che era già nata nella mente del Ragazzo

l’idea di fare a modo suo, di disobbedire a Dio, per cui era già previsto che il

capolavoro, l’Omega, venisse ribaltato? E perché a sinistra? Forse perché la sinistra

simboleggia le cattive ispirazioni, mentre il Signore sta invece alla nostra destra?”.

In verità Dio non cessò di creare vite nuove anche dopo l’Omega: creò ancora l’ovulo

di Sara, madre di Isacco; l’ovulo di Anna, madre di Samuele; l’ovulo di Elisabetta,

madre di Giovanni il Battista dimezzando così il tasso di ibridazione; l’ovulo di Anna,

madre di Maria e, contemporaneamente, il seme che lo fecondò giacché Maria si è

auto-definita “Immacolata Concezione”: ciò vuol dire che Maria non ha ricevuto geni

imperfetti da alcuno dei suoi genitori e che perciò Maria è interamente Nuova

Creazione; infine creò il seme che fecondò l’ovulo perfetto di Maria dando a Gesù una

Natura Umana perfetta a cui si unì lo Spirito di Dio, la Sua Natura Divina. Ma Dio

non creò più alcuna nuova specie45 .

44

Rivedere nota n. 10 a pag. 87. 4 5 Rivedere nota precedente.

La culla dell’umanità: il quando e il dove

§ 157 Mentre l’Uomo va e viene sotto la doccia, penso all’ultima definizione che gli è

stata data: “rosso” e, collegandolo con i Pellerossa, mi chiedo:

“È mai possibile che l’umanità abbia avuto la sua culla nell’America? La Bibbia non

può aver sbagliato, anche se vi è chi dice che essa non è attendibile sul piano

scientifico.

L’indicazione della Bibbia concorda con i dati più antichi della paleontologia e

dell’archeologia i quali sostengono che l’uomo è apparso nei Vecchi Continenti”.

Pertinente e puntuale mi venne la spiegazione.

– È ACCADUTO MOLTO TEMPO FA. SAI ANCHE QUESTO? –

Nella domanda c’era un rimprovero alla mia presunzione, dimostrata a proposito

dell’epoca della creazione delle stelle, ma non me ne accorsi subito e risposi

imperterrito:

– Lo so Signore; tra la fine dell’Era Terziaria e l’inizio

della Quaternaria. – – SAI QUANTI ANNI FA? – Ricordavo l’ipotesi più spinta di

Teillhard de Chardin che ammetteva un milione di anni e che giudicavo ancora troppo

limitata considerando il tempo necessario alle prime generazioni per diversificarsi e

per espandersi oltre la Catena dell’Himalaia, verso la Cina, e a Sud verso l’Africa.

Per cui risposi: – Un milione e mezzo o due. –

– DI PIÙ – rispose. – Tre? –

– DI PIÙ – ripeté.

– Quattro? Cinqu... Non avevo terminato la parola che sentii sovrapporsi:

– ...ANTA – e una debole eco continuò l’ultima ‘A’per due secondi.

La cifra era così iperbolica rispetto ai dati della scienza, che mi lasciò diffidente, anzi

incredulo. Aveva detto “anta” dopo che avevo detto “quattro” o “cinque” mentre lo

stavo pronunciando?

“Si tratta quaranta o di cinquanta?” pensai.

(Nota della curatrice) Quando don Guido mi parlò di questo particolare ammise di non

aver ben capito se il Signore avesse unito il Suo “ANTA” al “quattro”, che aveva appena

pronunciato, o al “cinq…”, che stava pronunciando, sovrapponendovi la Sua Voce. Don

Guido, nel dubbio, propendeva per questa seconda ipotesi. Ma mi disse anche che era stato

frettoloso in quella numerazione, senza lasciare alcun intervallo tra un termine e l’altro.

Alcuni anni dopo la sua morte, mentre stava per uscire la terza edizione, venni a sapere

che nel tardo Eocene, ossia tra i 56,5 e i 35,4 milioni di anni fa, ci fu un fiorire di

immense praterie dominate dalle graminacee.

Questo particolare mi colpì perché rispecchiava esattamente quanto descritto al §19 che

dice: “Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio verso Sud… una zona

pianeggiante, fertile, coperta di vegetazione cerealicola che si stendeva a perdita

d’occhio. Dall’enorme estensione di quella vegetazione color oro dedussi che quelle

messi crescevano spontanee”. Ricordando il dilemma di don Guido, trovo che la

descrizione fatta al §19 risolva ogni dubbio e che perciò il Signore intendesse dire che

l’Uomo apparve sulla terra in un periodo che va inserito in quel lasso di tempo.

Poi ricordai quanto è stato scritto sui libri che trattano dell’evoluzione. L’epoca in cui

avvenne la separazione tra le scimmie caudate e i pongidi (gorilla, orango,

scimpanzé) viene assegnata al periodo dell’Eocene (il 2° dell’Era Terziaria),

cominciato da un massimo di 70 milioni ad un minimo di 50 milioni di anni fa e durato

da un massimo di 40 milioni ad un minimo di 30 milioni di anni.

Gli ominidi sono giudicati contemporanei dei pongidi. Dunque la prima famiglia degli

ancestri, i progenitori immediati dell’Uomo e destinati ad esser i suoi ausiliari, è

proprio dentro il 40.mo e il 50.mo milione di anni. E, se la capostipite degli ancestri è

contemporanea del primo Uomo, è chiaro che Adamo è stato creato 40 o 50 milioni di

anni fa.

§ 158 Mentre guardavo sempre il Ragazzo che andava e veniva da sotto la doccia, la

Voce soggiunse:

– LONTANO DA QUI – e dopo qualche secondo,– OSSERVA: IN QUELLA

DIREZIONE. –

Le parole udite non mi avevano fatto capire il segno di interpunzione, cioè i due punti

dopo ‘osserva’, per cui reagii subito:

– Sto guardando in quella direzione. –

Allora mi accorsi che i lati verticali della cornice rosea, addossata agli sguinci della

finestra, brillavano a brevissimi intervalli, come per attirare la mia attenzione. Alla

mia sinistra il lato rientrava nello sguincio per 10 cm circa, e alla mia destra

sporgeva fuori dal muro oltre il limite del davanzale per altri 10 cm.

Sommessamente mi suggerisce: – OSSERVA L’ORIENTAMENTO. – Sapevo che la

facciata della canonica orientata ad Est, era leggermente girata a Nord.

L’orientamento indicatomi dalla cornice era un po’ di più che raddrizzare quello della

canonica, quindi Est-Sud-Est.

Subito domandai:

– In America? – pensando che l’aveva chiamato “ROSSO”.

– IN QUELLA DIREZIONE.

Alla mia domanda non poteva rispondere con il nome della Regione nominata dalla

Bibbia, cioè l’Armenia, perché l’antica Armenia è ora divisa tra la Turchia, la Russia

e l’Iran, e forse un po’ anche l’Iraq.

Mi ha risposto in modo inatteso: – SAI CHE ORA È? –

Una domanda così confidenziale mi stupì. Capivo che non aveva bisogno, Lui, di

sapere l’ora, ma voleva semplicemente che io lo dicessi. Risposi:

– Saranno le tre e dieci, pressappoco. –

– GUARDA IL TUO OROLOGIO. –

Lo avevo al polso. Lo avvicinai all’occhio sinistro. Avevo gli occhiali, ma stentavo a

vedere le lancette a causa della solita luce rosea. Sapevo che era passata da poco

‘l’ora solita’ delle mie levate notturne e quanto era accaduto così rapidamente, mi

sembrava un tempo breve.

Così dissi subito:

– Sono le ‘tre’ e... –

Tardavo a leggere la lancetta dei minuti, e per prendere tempo cominciai a

pronunciare:

– e minuti… – Volevo proseguire guardando l’orologio.

Appena pronunciata la sillaba ‘mi’, si sovrappose la Sua Voce:

– LA – Ma non vi feci caso. Ripetei:

– minuti... – Non capii la mia impertinenza ed Egli:

– CHILOMETRI – insistette sommessamente.

Non mi resi conto del gioco di parole e capii solo dopo alcuni mesi, in un ‘sogno’

profetico, che era la risposta esatta alla mia domanda e una precisazione della sua

indicazione, quando mi disse:

– LONTANO DA QUI; IN QUELLA DIREZIONE; TRE MILA CHILOMETRI. –

§ 159 Su una carta geografica che abbia sulla stessa scala l’Italia e il Medio Oriente,

partendo dal Lago di Santa Croce verso il centro di quel cerchio geografico che mi fu

fatto vedere subito dopo che Eva si era staccata dalla schiera dei suoi familiari perché

erano cominciate le doglie del parto, cerchio che dopo aver abbandonato a Nord il

Mar Nero restringendosi comprendeva la parte sudoccidentale del Caspio, credo si

arrivi a Ninive con 3.000 km secondo una misurazione sommaria. Non per nulla

quando, nel buio del quadro, comparve quel puntino illuminato mi aveva ammonito:

“attento! dì quello che vedi”.

Era anche un punto geografico! Oltre che una lezione di antropologia ginecologica:

dalla cellula fecondata al parto!

Il problema della ‘costa’

§ 160 Nel frattempo osservavo il Ragazzo andare e venire sotto quella doccia, o per

meglio dire cascata d’acqua, per otto, dieci o dodici volte. Le fermate erano brevi,

forse perché l’acqua era fredda e perché, scorrendo sulle ferite, ne accresceva il

dolore; ma anche perché, quando doveva lava re la Bambina, facendo cadere l’acqua

sulla propria testa per lasciarla correre intiepidita lungo i suoi capelli sopra la

Bambina, dovette accorgersi, dalle grida di lei, quando quel tepore veniva a mancare

man mano che si raffreddava la propria testa.

§ 161 Un’altra cosa mi interessava molto di sapere: la sua ‘costa’.

Un commentatore della Bibbia, Festorazzi46, aveva tradotto il versetto genesiaco con

queste parole: – Dio gli tolse una costola e ci mise intorno della carne e così fabbricò

la Donna. –

Avevo capito che quella ‘costa’ era la costa genitale, il membro maschile, ed ora

volevo proprio assicurarmi che il Creatore non avesse mutilato il Campione

dell’umanità proprio di quel membro per fabbricare la Donna.

§ 162 La fitta cortina d’acqua mi impediva di vedere bene il Ragazzo in faccia, ma per

vedergli la costa vi era quella fascia nerissima e opaca da un lato all’altro del quadro

visivo, proprio all’altezza del suo inguine. Da principio l’avevo creduta un parapetto

basso sul ciglio dello spiazzo, ma era così liscia e intera, cioè senza segni di

agganciamento nella parte centrale, che, a guardar meglio, stentavo a credere fosse

stata fatta dal Giovane. Quando egli si trovava addossato alla parete nera, la fascia

larga 15 cm gli nascondeva i genitali. Quando veniva avanti, sotto la doccia, speravo

di vederglieli da sotto quel parapetto, invece avevo l’impressione di essere portato

gradatamente più in alto, così che non potevo vedere al di sotto di quel virtuale

parapetto. Così ogni volta, finché:

– Signore, – dissi – alla mia età (65 anni) non mi scandalizzo se vedo un uomo tutto

intero. Lasciatemi constatare che non è vero che lo abbiate mutilato della sua – costola

genitale – per dare vita alla prima Donna. Quello è mio padre ed io non sono Cam. –

§ 163 Il Ragazzo ritorna verso la cascata, ed è l’ultima volta. Lo vedo a 6 m circa da

me, all’altezza del mio sguardo ed ho

46

Studioso e biblista poco noto del secolo XX e autore del testo ‘La Bibbia e il problema delle origini’.

l’impressione di essere sospeso per aria, discosto dal terrazzo. Solite mosse: l’acqua

scende sulla testa e scorre per i lunghi capelli sulla Bambina che tiene fra le mani, poi

la sposta, prima a sinistra fuori dall’acqua, e lava se stesso con una mano, poi a

destra e si lava con l’altra mano.

Le ferite sembra non sanguinino più.

A questo punto ebbi l’impressione di venir portato più in basso, per un istante, sotto il

livello della fascia nera. Vidi che il Ragazzo era integro e normale sotto la fascetta

nera della peluria pubica. Guardai in alto, per vedere, dalla mia posizione cosa ci

fosse sopra la grotta da cui scendeva la cortina d’acqua, ma il quadro visivo non

lasciava vedere nulla sopra quella cortina. Il Ragazzo ritornò alla parete e vi stette un

po’, quindi si diresse verso l’abitazione, alla mia sinistra, oltre l’angolo del muro

nero.

§ 164 Dopo pochi secondi l’acqua cessa di cadere ed egli esce e si mette al posto di

prima. Si asciuga al sole e tiene costantemente la testa sopra la Bambina, forse per

proteggerla dai raggi del sole. Non vedo l’ombra della testa, né quella della persona

per indovinare l’ora del giorno. Ma dal fatto che tiene la testa sopra il corpo della

Bimba, arguisco che solo così le protegge gli occhi e che il sole ha passato il

mezzogiorno. Dopo qualche minuto, egli sposta la testa della Bimba alla propria

destra. Sorpresa: il nuovo calore del sole ha portato in lei un senso di rilassamento,

forse dovuto anche alla cessata doccia, che si rivela con esiti fisiologici liquidi. Gocce

bionde cadono dalla mano sinistra che regge i glutei della Neonata e altre gocce

scorrono lungo il costato al quale era appoggiata, segnato dai graffi rossi. Egli sposta

la Creatura sulla mano e avambraccio sinistro e, tenendola leggermente scostata dal

petto, con la destra si terge quel liquido biondo. Sposta la Bimba di nuovo sulla destra

e scuote dalla mano sinistra il resto di quel liquido, misto a sangue. Pensavo con un

senso di compassione che il ‘Dominus’, il Signore della Terra, non aveva a

disposizione neppure un pannolino per la signora, la ‘Domina’ della Terra, la Donna.

Volevo esprimermi in modo analogo, ma in quel momento mi venne fatto dire:

– Cosa farai adesso di quel tuo... ‘cosino’? – riferito alla Bimba che era proprio

piccola.

§ 165 Il Ragazzo resta lì per parecchi secondi. Poi vedo che i suoi occhi non fissano

più la Bambina, ma guardano più in là, oltre il bordo del terrazzo. Sembrano seguire

il movimento verso la sua sinistra di qualche cosa che si muove laggiù, nel cortile

sottostante. Mi sembrava soprappensiero. Stava rigido sui suoi piedi e girava

lentamente solo la testa che seguiva lo sguardo. Stava osservando Eva. Ora gli

vedevo, di profilo, solo la nuca e la guancia destra. Questa sembrava molto più

paffuta di quando lo vidi vicinissimo. Il suo collo, al confronto, mi sembrò più sottile

del normale, tanto che pensavo al tipo umano dell’Estremo Oriente.

La causa della tentazione

§ 166 Fu a questo punto che sentii una voce di donna che parlava in una lingua

sconosciuta, non gutturale ma armoniosa come quella italiana, e pronunciava l’acca

distintamente, ma non capii le parole. Era sicuramente una delle due Celesti

Messaggere, per cui ripetei come già altre volte:

– Signore, se viene da Voi, fate che io capisca. – Pensai in seguito che probabilmente

quella voce voleva solo attirare la mia attenzione perché riflettessi su quanto stavo

vedendo.

Forse in quel momento il Ragazzo avrà considerato che la Neonata andava anche

nutrita. Quindi Eva andava richiamata per farle da nutrice. La tentazione del male

inizia quasi sempre con l’illusione di un falso bene.

Era questo il divieto: farla ritornare per evitare una funesta occasione? Era questa la

disobbedienza? Veramente il giovane Papà avrebbe avuto a disposizione il latte di

cangura. Ma, forse pensava, la cangura non sarebbe stata in grado di accudirla.

§ 167 Il Ragazzo si sarà anche chiesto: “Perché Dio mi ha proibito di avere rapporti

con ‘l’albero selvatico’? Ha generato me e poi da me questa bella Bambina. Dio ha

detto che se avessi rapporti con lei ne seguirebbe la morte per l’estinzione della mia

specie. Ma il mio seme è seme di vita, non di morte. Dio ha anche detto: “crescete e

moltiplicatevi e riempite la terra”. Ora io sono cresciuto in età da poter generare e

non voglio aspettare tanti anni che cresca anche questa Piccina perché mi dia dei figli.

Mi ha costituito Ad-ham, cioè il ‘Dominus-Terrae’, ‘il Padrone della Terra’, quindi

Lui comanda in Cielo e io sono il Padrone in Terra, il Signore, il dio qui sulla Terra. E

per raggiungere il mio scopo farò come ha fatto Dio: non sarò io a cercare lei, ma

essa stessa spontaneamente alla sua stagione, quella degli amori, verrà da me. Mi

troverò coricato, ma non in profondo sonno come la volta scorsa. E, se Egli mi

rimprovera, dirò che la colpa è Sua perché è Lui che mi ha insegnato il modo...”.

E avrà concluso che se il suo seme era buono e che se la femmina era come il solco

della terra, adatta a farlo germogliare, Dio gliel’aveva proibito solo per gelosia.

Dopotutto quella femmina senza pelo aveva cresciuto anche lui e, come madre, era

stata ineccepibile. Il riquadro si sposta, adagio adagio, verso destra, abbandonando

la metà sinistra della parete nera. Vedo comparire, oltre l’angolo, ad un livello di poco

inferiore a quello del terrazzo che appoggia sul terrapieno, un piano inclinato, coperto

da una specie di lunghi coppi diritti e rovesci, fatti con scorze d’albero, quasi tutti

disuguali, accartocciati alle estremità e tenuti fermi dal peso di parecchie pietre piatte,

informi e gialle. Capisco che è il tetto di una costruzione rustica. Anzi, ora riconosco la

costruzione.

Sono portato più in alto e vedo, sotto la sporgenza del tetto, verso il cortile, il ballatoio

di prima che corre per tutta la lunghezza del fabbricato.

Ora vedo che la parete interna è fatta di assi schiette come quelle che ho visto di

sopra, presso i preziosi. Dalle fessure vedo spuntare della paglia. Deve essere il

fienile, o il luogo dove si batte il frumento.

Eva, la femmina con le gambe corte

§ 168 Da una posizione gradatamente più alta che mi permette di vedere al di là del

bordo del terrazzo sul quale mi trovo, scorgo sotto il solaio del ballatoio, appoggiate

ad esso, le estremità disuguali e scheggiate della scala a otto pioli. La scala poggia a

lato del sentiero che corre a livello del cortile. È alta poco meno di tre metri e i

montanti sorpassano di mezzo metro l’altezza del piano del ballatoio. A metà della

scala vedo Eva con le lunghe braccia in alto. È aggrappata con le mani al terzultimo

piolo che sta a 70 cm dal piano del ballatoio e lo scuote fortemente ogni qual volta

volge il capo a sinistra, verso il Ragazzo, aprendo la bocca ed emettendo la lingua.

Poggia il piede sinistro sul secondo piolo. Mancano il 3°, il 4° e il 5° piolo. Dal posto

dove era legato il 4° piolo, verso sinistra, vedo per qualche secondo, come ci fosse un

fotomontaggio, una striscia di pelle mezzo allacciata al montante della scala, che si

sfila e cade sul terreno. Capisco ora le acrobazie del Giovane per rendere impossibile

a Eva di salire: capovolgendosi, egli aveva slegato tre pioli. Il piede destro di essa è

all’altezza del piolo seguente, cioè del primo piolo mancante che, se fosse rimasto al

suo posto, sarebbe all’altezza della biforcazione delle sue gambe. Nonostante gli sforzi

delle braccia aggrappate al 6° piolo, essa non riesce ad alzarsi.

§ 170 Osservo la testa schiacciata della femmina; i capelli sconvolti la coprono fino al

collo; le orecchie le ballano ogni volta che scuote rabbiosamente la scala.

Il suo tronco è bene sviluppato. Ha spalle spioventi. I fianchi sono più larghi di quelli

della madre e delle sorelle. Le vedo della peluria sotto l’ascella sinistra e quando

scuote la scala le vedo oscillare il seno di quel lato.

– OSSERVA LE GAMBE – mi viene suggerito.

– Sono tozze, senza sagoma – rispondo.

– SONO CORTE – insiste la Voce.

* eva sulla scala Eva ha le braccia lunghe e le gambe corte (1/3 della sua altezza).

– Sarà perché, stando quassù, le vedo di scorcio. –

Per brevi istanti sono portato dirimpetto alla scala, distante 5 m circa.

– Sono proprio corte! – esclamo – sia in rapporto al torace, sia in confronto alle

braccia, anzi, agli avambracci. Quelle gambe sono lunghe solo un terzo della sua

statura. –

Eva è riammessa nell’abitazione

§ 171 Vengo portato di nuovo all’altezza del terrazzo, al posto di prima, anzi un po’

più discosto dal bordo di esso. Dalla fascia nera è ora sparito l’occhiello o fermaglio

d’oro, l’Omega rovesciato a sinistra che vedevo sovrapposto a quel bordo. Vedo sul

lato destro del ballatoio il Ragazzo con la Bimba in braccio nella posizione di prima.

Ora si muove verso l’angolo dal quale era salito e scompare dietro di esso. Capisco

che va incontro ad Eva.

Il muro nero

§ 172 Il riquadro, spostato di nuovo a sinistra, mostra ora tutto il muro nero come da

principio. È proprio un manufatto e non una roccia nera, come avevo immaginato.

Scena vuota. Non mi resta che guardare il muro. La fascia nera, già priva dell’asola,

dopo un po’ sparisce anch’essa. Eppure, finché vi è quel muro, quella cornice del

riquadro e la luce che riempie la mia stanza, una conclusione deve venire. Esamino

quel muro. È lungo poco più di tre metri. L’altezza non mi è dato di calcolarla perché

lo vedo fino all’altezza del lato superiore della cornice rosea. È formato di pietre

giallastre di arenaria di vario spessore, tolte dai filoni di cui è composta l’altura e

sistemate direttamente sul muro. A fianco di una pietra grossa ve ne sono due e anche

tre di più sottili. È evidente che il costruttore le ha usate man mano che poteva

scavarle, senza avere la possibilità di scegliere quelle dello stesso spessore per

ciascuno strato, o corso di muro. Vorrei contare il numero dei corsi, ma è impossibile

per l’irregolarità delle linee.

Dei due spigoli verticali alle due estremità del muro, solo in quello di destra posso

distinguere le pietre. Vedo che, invece di sovrapporre incrociate le teste delle pietre più

lunghe, queste sono sovrapposte dallo stesso verso. Eccetto in qualche caso non sono

‘legate’, come si dice in gergo edilizio: la linea verticale della giuntura fra due pietre,

invece di essere coperta da una pietra del corso soprastante, corrisponde ad una

connessura di quel corso. È evidente l’inesperienza di lui anche nel collegamento delle

pietre.

§ 173 Il materiale di coesione è il catrame misto a quella sabbia fine e regolare di cui

non ricordo il nome specifico ma che qui, nel Bellunese, chiamiamo ‘saldàn’e che si

trova spesso tra i filoni di arenaria al posto della marna. Quell’impasto è stato

mescolato alla paglia o alla loppa, di cui vedo sporgere dalle connessure le estremità,

più nere presso la parete e più gialle nella parte più esposta.

Penso che a togliere il catrame da quegli steli più esposti abbia contribuito, più che lo

stillicidio della cascata d’acqua, lo strofinio di oggetti che vi sono passati d’appresso.

La parte più bassa del muro (circa 1 m) è intonacata di catrame e non lascia vedere

steli di paglia. Lo spigolo di sinistra, quello dietro il quale c’è l’ingresso, è

perfettamente verticale, come l’altro, e coperto, per la larghezza di un metro, da un

intonaco grigio ben levigato.

Suppongo che il giovane costruttore abbia fatto aderire allo strato di catrame

dell’intonaco sottostante la sabbia di ‘saldàn’, onde proteggersi dal contatto

inquinante del catrame. In qualche punto un brandello di intonaco è caduto.

§ 174 Mi chiedo da quanto tempo l’Uomo abbia costruito quel muro.

– È appena un ragazzino – dissi quando lo vidi per la prima volta nella visione. Ma

dal lavoro fatto, direi che egli non avesse meno di 15 o 16 anni, così pure dalla sua

corporatura e dal fatto che è già padre. La sua faccia, priva di barba e anche di

peluria, lo mostra alle soglie dell’adolescenza che in lui dovette essere precoce perché

campione di salute ed esuberante di vitalità.

§ 175 La scena è ancora vuota e sono stanco di aspettare una conclusione. I minuti

sono lunghi quando si aspetta, tanto più dopo le brevissime sequenze viste fino allora

nel dramma. Non mi resta che immaginare quello che succederà tra i tre protagonisti.

Lui, sarà sceso dalla scala a pioli e, per ripararla, avrà dovuto consegnare la

Figlioletta alla madre. Questa avrà cercato di scappare, ma egli l’avrà raggiunta e

l’avrà condotta ad un corso d’acqua perché si lavasse. Si sarà lavato anche lui e la

Bimba dalla pipì. Poi, dopo aver riparato la scala, l’avrà fatta salire per tenerla come

bàlia della Bimba, ruolo che essa ebbe anche con lui durante l’infanzia, per il latte,

l’assistenza ecc... Infatti, dice la Genesi all’inizio del 3° capitolo: era “la più astuta di

tutti gli animali che camminano sulla Terra”, “callidior erat”, cioè la più sviluppata

psicologicamente. Era affezionata alla Bambina come lo era stata a lui ed anche già

esperta.

§ 176 L’attesa mi pareva troppo lunga, forse 5 o 10 minuti. Faccio per alzarmi e

andarmene, ma non ci riesco. Mi viene voglia di consultare l’ora nell’orologio, ma la

solita Voce, in tono normale, mi ammonisce:

– ATTENTO ALLA FINALE BREVE, IMPORTANTE!

– Seguono altre parole in sordina che non ricordo. Si riferivano al racconto genesiaco

da “leggere tra le righe” e specialmente a quanto mi fu rivelato nella seconda

rivelazione, quella del ‘peccato originale’. Rassegnato attendo la conclusione. Mi

ritorna il desiderio di consultare l’orologio, sebbene l’esperienza di prima mi abbia

insegnato che, con quella luce, non avrei distinto le lancette. Penso: “Adesso porterò il

polso proprio davanti all’occhio e, tenendo lo sguardo fisso sullo scenario, potrò

sbirciare sull’orologio per qualche istante. Ecco, eseguo: l’orologio è davanti al mio

occhio sinistro, il migliore”.

§ 177 In quel momento ricompare il Ragazzo dall’angolo da dove era uscito di scena,

a destra. Tiene sulle mani la Neonata. Ricompare anche la fascia nera senza l’asola

d’oro, ma è più larga di prima e gli nasconde anche parte delle gambe. Si dirige

spedito e composto, con passo sicuro verso l’angolo opposto. Ha fatto appena tre o

quattro passi quando compare anche la madre dietro di lui. Essa, nel fare il primo

passo sul piano, poggia a terra la mano sinistra, senza curvarsi molto. Cammina a

stento e ‘dondolandosi’ ad ogni passo. “Serpens erat”, – pensai – cioè ‘camminava

oscillando di qua e di là’, ‘serpeggiando’. Allora ‘serpens’ non è un ofide: è il

participio presente del verbo ‘serpeo’”.

Barcolla, sembra stia per cadere perché si appoggia ancora a terra con la mano altre

due volte. Il Ragazzo è arrivato all’angolo di sinistra ed entra, sempre con la Bimba in

braccio accostata al petto.

Suppongo che dal di dentro egli abbia chiamato Eva, perché la vedo alzare le braccia

e agitare sopra il capo gli avambracci in segno di gioia. Prende forza e si affretta ad

entrare.

Eva fu “Lenza” per il giovane Uomo

§ 178 “Ecco – pensai – l’ha chiamata lui”. Poi, con tono naturale dissi:

– Per il latte. –

– SUO, DI LUI – dice la Voce.

– Per il latte... – e intendevo proseguire ‘e per l’assistenza’, e comincio:

a) – e per l’a... – ma dovetti interrompermi perché la voce, ripetendo sopra la mia

mezza parola, vi aggiunse: L’ATTE DI MASCHIO. – Senza prestarvi attenzione e

senza ripetermi, continuai imperterrito per completare la seconda parte della parola

‘assistenza’:

b) – asss’… – e non potei proseguire.

– SI CHIAMA SPERMA – concluse la Voce.

Contrariato per l’intromissione di parole che per me in quel momento non avevano

alcun senso, tentai di ripetere la mia frase dall’inizio e di spiccare le sillabe, come

soglio fare nelle discussioni con i contestatori che non sanno ascoltare:

– Per il latte e per l’assist... – Un solletico alla gola mi fece inghiottire un niente.

Ripresi fiato e volli riprendere con forza la parola ‘l’assistenza’, ma non mi riuscì di

dire che: c) – lllll’... – finché ebbi fiato. Mi interruppi senza poter continuare. Questa

volta mi fu suggerito:

– TERMINA LA PAROLA DA DOVE L’HAI LASCIATA INTERROTTA. – Dissi con

facilità: – ...enza. – A questo punto, mentre guardavo Eva indecisa dinanzi

l’ingresso dell’abitazione del giovane Uomo, sentii come l’eco della mia voce, subito

dietro le spalle, ripetere prima:

– LLL’...ENZA, – poi un po’ più lontano – LL-ENZA,

– poi ancora – L-ENZA, – in tono più fievole, come se provenisse dal di là della

portiera donde ero uscito. E la Voce: – L’HAI DETTO, PURTROPPO. –

Lì per lì non compresi il significato delle due ultime sillabe che la Voce aveva ripetuto

per tre volte premettendovi la lunghissima ‘elle’ che io avevo pronunciato con fatica.

Io ci vedevo l’apostrofo dopo la ‘elle’ e non capivo cosa significasse ‘l’enza’.

Capivo però che si trattava di un significato allegorico.

Poi capii che quella lunghissima ‘elle’andava unita a ‘enza’ e perciò formava il

termine ‘LENZA’.

‘Lenza’ è il filo che il pescatore usa per prendere il pesce.

Ecco: quella femmina simildonna, Eva, fu ‘lenza’ per Adamo che, preso all’amo,

inciampò. In quell’istante vidi scomparire Eva dentro l’ingresso. Con quest’ultima

immagine sparì definitivamente il quadro visivo con la sua cornice e anche la luce

rosea che riempiva la mia cucina.

§ 179 Mi sentii solo, come nelle solite veglie notturne. I mobili e le cose d’intorno,

illuminati dalla solita lampadina da 60 W, mi parvero più poveri di prima. “Questo è

un messaggio – pensai. – Chi mi crederà? Non è per me solo, ma per la Chiesa. Anzi,

per l’umanità intera. Riferirò”. La visione era stata una lezione teologico-scientifica

che aveva dissipato tanti miei dubbi o problemi. Dovevo essere contento come di una

scoperta, e lo ero sinceramente. Avevo ancora le mani sulla Bibbia, la sola cosa che

avessi continuato a vedere durante tutta la visione, e, guardandola, mi dicevo: “Mi

ordinò di prendere in mano la Bibbia, non di leggerla. Non ne ho letta neanche una

parola, perché Lui me l’ha fatta leggere tra le righe ed anche sulle righe che non vi

sono scritte, senza che avessi da affaticarmi la vista. ‘La Verità’ mi è venuta incontro

e mi ha investito, dolcemente. ‘La Sapienza’ [cioè Dio] ha giocato con me. Mi ha

giocato più volte, mi ha trattato con confidenza e io sono stato tante volte diffidente e

contestatore ostinato. Egli mi conosceva. Gli ho detto che non ero adatto a ricevere

una rivelazione di tanta importanza. Mi ha anche fatto diventare cieco per qualche

minuto. Perché ha scelto proprio me? Vermis sum et non homo [Sono un niente, un

verme, non un uomo importante]. E non ho neanche capito tutto. Chissà se mi

ricorderò tutto?! Mi ha rimproverato: “l’hai detto purtroppo”. Cosa ho detto di

male?”.

§ 180 Capii che quelle Sue parole erano vere e profetiche. Il “purtroppo” non si

riferiva a me che avevo detto ‘per il latte’, ma al fatto riguardante il “latte di maschio

o sperma”, ossia al desiderio di Adamo di usare il suo seme per farsi, ‘purtroppo’,

una discendenza tutta sua con un progetto di estrema ambizione e autosufficienza per

svincolarsi dalla sottomissione a Dio, la vera causa del peccato. E si riferiva anche

allo ‘stesso peccato’ commesso dai suoi discendenti che lo ripeterono con le donne

ibride per avere schiavi più forti e più intelligenti (Genesi 6,1).

§ 181 “E quella “finale breve, importante” a cosa si riferiva?”. Alcuni mesi dopo

rividi la scena di cannibalismo che mi inorridì: la vecchia che tagliava con i denti il

cordone ombelicale e poi che si mangiava la placenta. Soltanto meditando riuscii a

capire che il morso con cui la vecchia madre brizzolata troncava il cordone

ombelicale della Neonata segnava la separazione stabilita dal Creatore fra la specie

degli ancestri e quella umana. “L’Uomo doveva lasciare la madre e unirsi alla sua

Donna per dare vita, a suo tempo, ad una sola carne (Genesi 2,24), cioè alla nuova e

unica specie umana, quella pura dei ‘Figli di Dio’ ”. Riposi la Bibbia al suo posto e

andai a coricarmi, recitando prima il Miserere e poi il Te Deum. Si! Perché, sebbene

non abbia mai posseduto né un’automobile, né una moto, potevo dire di aver fatto il

viaggio più lungo a ritroso nel tempo e nello spazio e di aver risolto l’annoso

‘problema delle origini’, con dei dati molto più esaurienti di quanto avessi mai

sperato.

Promesse del Signore a don Guido

§ 182 Volevo riassumerli prima di addormentarmi, perché temevo di non ricordare

molte sequenze, ma mi fu suggerito:

– RIPOSATI, OGGI È LA FESTA DELLA MADONNA. TI AIUTERÒ A RICORDARE

E A CAPIRE. –

E, continuando, pareva che ripetesse il passo biblico di Isaia (55,10) dicendomi:

– LA MIA PAROLA NON RITORNA A ME SENZA AVER OTTENUTO IL SUO

EFFETTO. – E poi le parole di Geremia (1,12):

– RICORDATI CHE ANCH’IO STO BEN ATTENTO PERCHÉ SI REALIZZI TUTTO

QUEL CHE DICO… POICHÉ IO VIGILO SULLA MIA PAROLA PER

REALIZZARLA. –

Poi, mi parve di sentire ancora la stessa esortazione: – RIPOSATI. OGGI È LA

FESTA DI MARIA. – Mentalmente aggiunsi: “maria, madre naturale di gesù e madre,

secondo lo spirito, di tutti i redenti”(§8). Oh! Che bello! Non è venuta qui sola, ha

condotto con Sé anche la prima vera ‘donna, la madre naturale dei figli di dio’(§ 8),

finora sconosciuta ed equivocata con Eva”.

Eva: ‘albero della conoscenza del bene e del male’

§ 183 Nel passare dei giorni meditavo sulle cose viste e udite e scrivevo degli appunti.

Nei momenti più impensati mi ritornava in mente or l’uno or l’altro episodio. La prima

cosa riguardava quella ‘bestia-ponte’ che finalmente avevo collegato a quella femmina

già vista nel ‘sogno profetico’ del ‘peccato originale’: quell’episodio mi era ritornato

limpido alla memoria, sebbene avessi sempre cercato di dimenticarlo perché lo avevo

creduto frutto di autosuggestione.

Avevo compreso l’identità di Eva e avevo visto che apparteneva all’‘albero

selvatico’, alla specie degli ancestri. Ora mi appariva chiaro il suo ruolo.

Lo riassumo:

– Come ‘strumento’ di creazione, Eva è stata due volte ‘capo di ponte’, cioè

fecondata ad opera di Dio. In entrambi i casi nessun gene ancestrale passò ai Figli di

Dio perché:

a) per creare il primo Uomo, Dio creò in lei sia l’ovulo della nuova specie umana,

sia lo spermatozoo che lo fecondò;

b) per creare la Donna, Dio creò in lei solo l’ovulo della specie umana poiché allo

spermatozoo provvide il giovane Padre, Adamo, nel sonno.

– Allo stesso tempo Eva fu ‘per Adamo’ anche “l’albero” (§133) della ‘conoscenza’,

del Bene e del male:

1) fu ‘albero genealogico selvatico della conoscenza, in senso biblico, del Bene o in

Bene’ quando fu strumento del Creatore per dar vita alla Donna.

2) Ma Eva fu anche ‘albero della conoscenza del male o in male’ quando, “non per

volontà di Dio ma per volontà del Capostipite dell’umanità” (Romani 8,19), contribuì

realmente al concepimento di Caino attraverso il suo ovulo ancestrale, con i suoi

cromosomi e geni, secondo le leggi naturali della genetica, “sottomettendo (la specie

umana) alla corruzione”.

In questo caso, perciò, Eva fu veramente ‘madre’ di Caino, cioè ‘ponte’ fra le due

specie pure, a differenza di quando fu solamente “capo di ponte” per i ‘Figli di Dio’.

“ponte” fatale!

In quest’ultima circostanza Eva fu anche ‘lenza’ per Adamo perché lo prese all’amo

quando il giovane Uomo volle fare, cioè ‘pretese’ di poter fare, ‘come Dio’.

Eris sicut dii..., in senso negativo. Egli si era illuso di generare una creatura umana

perfetta da quella femmina, o ‘albero genealogico selvatico’, che aveva prodotto già

due bei frutti, prima lui e poi la Bambina, ed era ‘bello da vedersi’, rispetto alle altre

femmine ancestri, e ‘desiderabile per arrivare alla conoscenza’, ossia al rapporto

generativo (Genesi 2,6).

– Ecco spiegato perché Eva “è in luce” (§ 64). Eva ‘è la chiave del mistero’e, una

volta individuata la sua vera identità, risulta l’innocenza assoluta della vera Donna,

Figlia e legittima Moglie dell’Uomo, la quale, quando fu commesso il ‘peccato

originale’, aveva un anno di età o forse due, come dirò nelle pagine che seguono.

Prime reazioni al racconto

§ 184 1) La mattina seguente alla visione, alla prima Messa, supponendo che i fedeli

avessero sentito il tuono e il terremoto nel cuore della notte, annunciai dal pulpito:

– Questa notte ho avuto una visione misteriosa. Una luce intensa ha riempito la stanza

dove studio e una Voce di uomo disse “io sono” (§ 13). Poi due Voci femminili dissero:

“non temere, siamo qui anche noi, le due madri dei figli di dio” (§ 8), ecc… – e

conclusi: – Abbiamo in cielo una Santa sconosciuta: la prima Donna. Non è Eva, ma

una vera Donna. È difficile spiegare l’equivoco, ma basta che sappiate che

responsabile del ‘peccato originale’ fu solo Adamo, come dice per l’appunto la Lettera

ai Romani di S. Paolo che ripete per ben quattro volte di fila: “come per il ‘peccato di

uno solo’, Adamo, il peccato entrò nel mondo, così ‘per opera di uno solo’, Gesù,

riacquistammo il titolo di ‘figli di Dio’ non più legittimi però, ma ‘adottivi’ in Gesù”.

La prima Donna è assolutamente innocente, aveva al momento del ‘peccato originale’

l’età di un anno o poco più. –

Non era il caso di dare maggiori spiegazioni in pubblico.

(Nota della curatrice) Queste parole di don Guido furono recepite dall’assemblea in

modo assolutamente negativo. Fra i presenti vi fu un vero e proprio sconcerto e da quel

momento don Guido fu ritenuto esaurito o quantomeno strano, tanto che in seguito fu

trattato con ironia da molti del paese.

L’accaduto fu riferito al Vescovo Gioacchino Muccin ancor prima che don Guido

avesse avuto il tempo di stendere la sua relazione. Il risultato fu che il suo Superiore gli

proibì formalmente di parlare ancora in pubblico di tutto ciò che riguardava l’argomento.

Con la stessa tempestività l’accaduto fu riferito anche ai suoi confratelli i quali da quel

momento assunsero anch’essi nei suoi confronti un atteggiamento di palese sufficienza.

§ 185 2) La seconda volta che parlai in pubblico, ma senza accennare alla visione in

obbedienza all’invito del Vescovo, esponendo il realismo che si nasconde dietro le

pagine difficili della Genesi Biblica, e in particolare nei riguardi del ‘peccato

originale’, fu ad una tavola rotonda presieduta da Padre Pont (S. J.), predicatore degli

Esercizi Spirituali che si tennero a Possagno il 28 Settembre del 1972, un mese e

mezzo dopo la visione. Quando il predicatore annunciò l’argomento del ‘peccato

originale’, che diceva di voler trattare “prescindendo dall’evoluzione e dalla

selezione”, chiesi la parola. Ero arrivato a spiegare come il Creatore, intervenendo a

livello di microbiologia genetica, creò nel seno di una femmina antropoide, eccezionale

ed unica perché più simile fisicamente ad una donna di quanto non lo fossero le altre

femmine della sua specie, una cellula germinativa umana, cioè formata da

spermatozoo più ovulo. Da questa cellula nacque il primo Uomo. E come, appena il

primo Uomo fosse arrivato all’età di poter generare, il Creatore lo avesse fatto cadere

in un profondo sonno perché non si accorgesse di ciò che sarebbe accaduto, cioè il

rapporto che sarebbe intervenuto con quella stessa femmina già preparata

eccezionalmente per la seconda volta dal Creatore con un ovulo umano ad essere

fecondata dal primo Uomo. Il rapporto avvenne e ne nacque la vera prima Donna.

Dopo di che, Dio cessò di intervenire con la Sua opera creatrice-mediata, chiamata

così perché Dio si era servito ‘come mezzo’ o supporto di una femmina della specie

più prossima a quella umana, come aveva fatto fino a quel punto, avendo raggiunto il

vertice della Creazione...

Padre Pont mi interruppe: – Che libri ha letto? –

– Tanti – risposi –. – In quale libro ha letto queste cose? –

– In nessuno – risposi.

– E come si permette di interpretare così la Sacra Scrittura? –

– Ho cercato di rappresentarmi le cose in modo umano – dissi, per non rivelare

pubblicamente d’aver avuto una rivelazione. Capivo che non era né il momento né il

luogo adatto per entrare in discussione. Mi bastava suscitare il problema.

Non mi lasciò continuare e mi tolse la parola. Un giovane confratello che mi sedeva

accanto mi chiese se avessi avuto una rivelazione.

– Non voglio dirlo – dissi. – Perché? –

– Perché i preti sono feroci contro queste cose e voglio stare al riparo dai loro strali. –

Altri confratelli mi si erano avvicinati, mentre Padre Pont continuava a parlare. Ma

intanto il ghiaccio era rotto.

Il dì seguente, il secondo degli esercizi, fu cantato il ‘Te Deum’ dinanzi al Santissimo

esposto. Ero commosso!

§ 186 3) Una breve relazione al mio Vescovo, scritta dopo alcuni mesi, e una seconda

di lì a poca distanza, rimasero lettera morta per un anno. In esse non accennai ad Eva

vista due anni prima nella rivelazione de ‘Il peccato originale’, per il disagio di dover

parlare di quel corpo nudo. Quando, recatomi in vescovado, chiesi al Vescovo se

l’avesse letta, mi rispose:

– È la terza volta che ho prova della sua fervida fantasia. Idee peregrine, proprio

peregrine – disse ridendo.

§ 187 4) Reazioni negative, anche violente, ebbi dai confratelli quando raccontavo loro

qualche episodio della visione. Preferivano stare al sicuro sull’interpretazione

tradizionale della Bibbia e mi ricordavano che “La Rivelazione è chiusa con l’ultimo

degli Apostoli”. Ma io soggiungevo che “Verbum Dei non est alligatum”, la Parola di

Dio non può essere imprigionata entro schemi umani o, meglio, entro volontà umane

(II Tm 2,9). L’anatema dell’ultimo versetto dell’Apocalisse riguarda solamente il

Libro dell’Apocalisse, per chi avesse manomesso ‘quel Libro’. Non dice che Dio

avrebbe cessato di parlare agli uomini quando Egli avesse ritenuto che questo fosse

utile ad alimentare la fede.

§ 188 5) Parecchio tempo dopo, quando mi convinsi che la strada gerarchica era

chiusa, spedii una relazione, molto breve, al Patriarca di Venezia Albino Luciani, già

mio condiscepolo. Mi rispose dicendomi che non si può far uso delle rivelazioni

private che tocchino il contenuto della Bibbia se prima la Santa Sede non ne abbia

riconosciuta l’autenticità, cioè l’origine soprannaturale e l’assenza di errore. Penso

che nella sua delicatezza non volesse pronunciarsi in modo più esplicito per non

invadere il campo d’autonomia del mio diretto Superiore. Tuttavia, memore

evidentemente delle predizioni fatte ad entrambi ancora seminaristi da Padre Matteo

Crawley nel lontano 1928 con cui questi preannunciò a lui che sarebbe salito ai più alti

gradi della scala ecclesiastica e a me che da anziano avrei avuto dal Signore una

rivelazione sui punti oscuri della Bibbia, cominciò a dire pubblicamente che “Dio è

Padre e Madre per l’Uomo”, come io gli avevo spiegato47.

Segno evidente che mi aveva creduto.

§ 189 6) Un giorno venne a trovarmi il mio confessore. Dopo il solito favore

reciproco, lo fermai in canonica e gli raccontai di quella femmina nuda nel branco

degli ancestri e del ricordo che mi seguiva.

– Immorale! – esclamò. E se ne andò senza salutarmi. Quella sera ero conturbato per

averlo scandalizzato. Prima di addormentarmi mi lamentai:

– Signore, è mai possibile che venga da Voi una cosa immorale? –

E il Signore mi rispose con un altro ‘sogno profetico’ che aveva solo la funzione di

confermarmi quello del ‘peccato originale’ che avevo avuto nel 1970 e di collegarlo

con la visione che ho testè narrato.

4_

La frase, già scritta in un versetto di Isaia, qui non si limita ad un significato spirituale, ma acquista un

significato totale che comprende anche il corpo e l’anima del primo Uomo avendo creato direttamente i gameti

che hanno dato origine alla prima Donna.

§ 190 In quel ‘sogno’ rividi la femmina nuda al centro del crocchio delle sorelle nere

e pelose. Non la vedevo più di color giallastro, ma proprio bianca. La vidi uscire

dalla compagnia schierata e udii nuovamente la Voce che diceva: – È IN LUCE. –

Quest’espressione l’avevo capita solo pochi giorni prima quando in un programma

televisivo fu usata per sottolineare che quella certa persona ‘era degna di particolare

attenzione’. Per cui questa volta ne compresi il significato. Rividi Eva distesa a terra,

accudita dalla vecchia madre. Credo sia ora opportuno esporre lo ‘status

quaestionis’, cioè le altre ‘rivelazioni’, i ‘sogni profetici’ e le ‘locuzioni’, che ebbi

prima e dopo la visione che ho testè raccontato.

Chies d’Alpago: don Guido davanti alla chiesa parrocchiale dove tenne l’omelia sulla Genesi alla luce

della nuova rivelazione.

Il Segno di Caino

PRIMA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago in data incerta fra il 1965 e il 1968

(Nota della curatrice) È bene ricordare al lettore che questa locuzione è pervenuta

almeno quattro anni prima della grande visione appena descritta e che fino a quel

momento don Guido non aveva avuto alcuna rivelazione. Aveva solo intuito che la

Donna era figlia di Adamo perché tratta dalla sua ‘costa’, ma la identificava ancora con

Eva.

Premessa

§ 191 Rileggendo nella Bibbia il racconto della ‘Torre di Babele’, giunsi al versetto 5-

8 del Capitolo 11 della Genesi e mi soffermai alle parole:

“Il Signore discese e disse: – Confondiamo le loro lingue in modo che non si

intendano più –”.

– Macché! È un’eresia – esclamai. – “Deus intentator malorum est”, dice la lettera di

S. Giacomo, Dio non può tentare nessuno al male (Gm. 1,13). La confusione è

avvenuta molto tempo prima, sicuramente con il peccato originale. –

La prima locuzione interiore

§ 192 Rilessi la storia di Caino e mi fermai ad indovinare quale fosse “il segno che il

Signore gli aveva posto perché chi lo avesse incontrato non lo uccidesse” (Genesi

4,15).

“Quel ‘segno’ – pensai, – deve essere sul davanti della sua persona, per essere

riconoscibile da chi lo incontra: a) Un marchio sulla fronte? Sarebbe stata una crudeltà.

Doveva essere un segno a sua difesa, non a sua condanna. b) Un orecchino? Non è in

faccia. c) Un anello al naso? O sul labbro inferiore? Impossibile. d) Un segno sul

mento? Nella bocca?”.

– FERMATI LÌ – mi disse una Voce sommessa – NON SI VEDE, SI SENTE. – Era la

prima volta in assoluto che udivo la Voce del Signore. Ne rimasi commosso. “Allora

è dentro la bocca” pensai. e) – I canini sporgenti? -

– È QUELLO DI CUI TI INTERESSI.

Chiusi il Libro, vi appoggiai la fronte e stetti parecchi minuti a fantasticare.

Domandai: – Signore, che segno era quello? Doveva aprire la bocca, mostrare la

lingua? La stessa Voce mi suggerì in tono chiaro: LA PAROLA. – Fui entusiasta della

rivelazione ed esclamai: – Grazie, Signore; questo potevate dirmelo solo Voi! –

‘La parola’

§ 193 Andavo ricapitolando: “L’uso cosciente della parola, o la manifestazione del

pensiero attraverso la parola, come ebbe a dire Paolo VI, è privilegio esclusivo

dell’Uomo fra tutti gli esseri creati in quanto è stato fatto ad immagine di Dio”.

Quindi il primo Uomo, creato perfetto ad immagine e somiglianza di Dio, parlava. In

senso accomodativo si può dire che: “In principio erat verbum”, in principio,

all’inizio dell’umanità esisteva la parola, il linguaggio.

Ma se ‘la parola’ era un requisito normale per l’Uomo, come poteva essere un segno

che contraddistingueva Caino come uomo?

Conclusi che se l’umanità ai suoi esordi era ristretta a quell’unica famiglia che

necessariamente parlava e che se Caino si faceva conoscere come uomo soltanto con

l’uso della ‘parola’ per non essere ucciso, era chiaro che Caino nelle forme somatiche

non si dimostrava un uomo ma un ominide.

L’ipotesi dell’ibridazione della specie umana con quella subumana, espressa da alcuni

studiosi già nel ‘700, era dunque ben indovinata48 .

E di conseguenza se Caino, come dice la Bibbia in Genesi 4,15, aveva timore di venir

ucciso perché poteva essere scambiato per un ominide, è chiaro pure che era

cominciata la caccia agli ominidi per sterminarli ed impedire che si moltiplicassero e

compromettessero ancora l’integrità della specie umana mediante rapporti generativi

irresponsabili.

A conferma di questa supposizione starebbe il “canto della spada” di Lamek, quel

Lamek discendente di Caino (Genesi 4,18-24) che non va confuso con il suo omonimo

discendente di Set (Genesi 5,25-31).

Grazie a questo ‘segno’ Caino non fu ucciso. Sicuramente non prima d’aver generato,

poiché noi uomini odierni siamo tutti discendenti di Caino.

4 8 Don Guido sta pensando al francese George Louis Leclerc conte di Buffon (1_0_-1_88). Fu il primo

studioso di scienze naturali nell’intuire che se l’Uomo era stato creato perfetto, come dice la Bibbia, e poi era

decaduto allo stato bestiale, la causa andava ricercata in un problema di ibridazione genetica.

Il peccato originale

SECONDA RIVELAZIONE: ricevuta nel 1970 a Farra d’Alpago e scritta dopo il 1974

(Nota della curatrice) Questa rivelazione è strettamente legata a quella precedente,

ragione per cui don Guido ha voluto che i due capitoli fossero messi di seguito. Va

ricordato al lettore che, quando nel 19_0 don Guido ebbe questa rivelazione, non aveva

ancora avuto la grande visione del 19_2 riportata nelle pagine precedenti. Aveva avuto

solo la rivelazione de ‘Il segno di Caino’ ricevuta sotto forma di locuzione interiore.

Quindi, durante questa rivelazione, non conosce ancora la vera identità di Eva, motivo

questo che giustifica le riflessioni precedenti il racconto di questa rivelazione, ma ha già

assunto come una certezza la tesi dell’ibridazione della specie umana. Partendo però da

questa conclusione, si aprivano due possibilità: chi aveva peccato con un ancestre, il

primo Uomo o la prima Donna? La Bibbia diceva che “Eva aveva ascoltato il ‘serpente’ e

che poi... ‘aveva mangiato’ e aveva dato da mangiare all’Uomo”. Il verbo ‘mangiare’

aveva chiaramente un significato allegorico. Era una metafora per intendere ‘avere

rapporti generativi’. Lo diceva già il commento del Sales (Genesi 4,1). Inoltre questa era

una deduzione logica sapendo che la conseguenza del peccato originale era stata la nascita

di Caino, un ibrido. Tutto ciò, però, non era ancora sufficiente alla comprensione del

testo biblico. Il problema quindi era insolubile e don Guido comprese che né lui, né altri,

avrebbe potuto risolverlo senza l’aiuto di Dio. Perciò, quando si arrese di fronte ai suoi

limiti, il Signore lo considerò pronto a ricevere la rivelazione del ‘peccato originale’ che

gli fece sotto forma di ‘sogno profetico’. Data la scabrosità del contenuto, il ‘sogno

profetico’fu scelto dal Signore come il modo migliore affinché il messaggio arrivasse a

don Guido, volente o non, almeno nel subconscio. È la stessa dinamica della rivelazione

della morte di Abele e di alcune altre rivelazioni avvenute prima e dopo la grande visione.

Poiché don Guido aveva un carattere forte e deciso e quand’era contrariato opponeva

tutte le sue forze per resistere a un’idea che non approvava, il Signore lo mise in

condizione di accogliere come conoscenza ciò che probabilmente ad occhi aperti avrebbe

rifiutato. Il fatto che avesse avuto questa rivelazione ‘in sogno’, gli creò non pochi

problemi di credibilità. In quest’epoca così materialista, le esperienze che non possono

essere scientificamente dimostrate e ripetute trovano poco credito!

Perfino egli stesso fu indotto in un primo tempo, a causa della scabrosità del

contenuto, a respingerlo come fonte di conoscenza, cercando con la volontà di

dimenticarlo. Solo dopo la grande visione del 1972 e dopo aver compreso i collegamenti

con quella, essendosi tranquillizzato che pur questo era un messaggio autentico del Signore,

si accinse a trascriverlo dando ad esso l’importanza che ha un ‘sogno profetico’. Perciò,

prima di proseguire, è utile spendere qualche parola per spiegare al lettore che cosa

s’intende quando si parla di ‘sogni profetici’.

I ‘sogni profetici’

Questi sono una delle tante modalità scelte dal Signore, come le locuzioni, le visioni, le

estasi, le apparizioni, ecc., per far conoscere il Suo Pensiero o la Sua Volontà agli uomini.

Il termine oggi suona in modo strano perché si tende a confonderli con i sogni onirici

o sogni comuni che sono una proiezione inconscia dell’‘io’. Ma don Guido, che ha

sperimentato cosa sia un ‘sogno profetico’, sa che, a differenza dei normali sogni, la

mente e le capacità razionali non vengono attenuate, ma addirittura potenziate! Egli

infatti mantiene tutte le sue capacità di analisi e di sintesi mentre il suo corpo rimane in

totale inerzia, nel sonno appunto. Il ‘sogno profetico’ ha per don Guido molte

caratteristiche simili alla visione, dove le capacità intellettive e la memoria restano

integre, tant’è vero che le mette sullo stesso piano.

Nell’Antico Testamento, quando questo avveniva, nessuno se ne stupiva, e parlarne

era cosa normale. Il soggetto infatti, al suo risveglio, non aveva alcun dubbio che il sogno

avesse un contenuto profetico autentico, anche se talvolta in chiave allegorica da

decodificare.

Ma, a differenza di S. Giuseppe, di don Bosco, e di altri Santi, don Guido è meno docile

perché tende a respingerne i contenuti. Se, come accadde, le scene che ha visto sono

troppo violente per il suo animo sensibile, inconsciamente tende a cancellarle dalla sua

mente. Tuttavia alcuni ricordi si sistemano ugualmente nel suo inconscio, permettendogli

più tardi di fare collegamenti, similitudini, deduzioni, ecc. fino a quando, confermato dal

Signore, si decide a prenderne nota.

È comunque chiaro che don Guido, come egli stesso afferma nel suo manoscritto, non

fa alcuna distinzione fra visioni in stato di veglia o di sonno, poiché entrambe sono

esperienze soprannaturali che gli danno immagini della medesima intensità, nitidezza e

consapevolezza. Si tratta, in entrambi i casi, di doni carismatici in cui le percezioni

avvengono attraverso lo Spirito e sono altrettanto vive di quelle percepite in stato di

veglia attraverso i sensi.

Premessa

§ 194 È la seconda rivelazione dopo quella de ‘Il segno di Caino’, ma questa mi venne

fatta ‘in sogno’. Ho già detto come mi fu rivelato ‘Il segno di Caino’ mentre stavo

studiando sul libro della Genesi le parole che lo riguardavano. Quel ‘segno’ era ‘la

parola’, l’uso della favella, prerogativa esclusiva dell’Uomo, perché solo all’Uomo fu

dato un cervello perfetto, molto più perfetto di qualunque altro animale, un

apparecchio computer ricetrasmittente.

Quella prima rivelazione rafforzò il concetto che mi ero formato sul problema della

confusione delle lingue come effetto della confusione o ibridazione fra la specie umana

e quella degli ominidi-ancestri. L’uso della favella era dunque un’eccezione per Caino

che doveva assomigliare in tutto ad un ominide-ancestre.

Nel testo di ‘Storia Sacra’ scritto da don Bosco avevo appreso che Caino, diventato

vecchio, era tanto ‘peloso’ e brutto ‘da essere scambiato per una bestia’. Ma mi

chiedevo se fosse già vecchio quando uccise Abele e se fosse brutto fin dalla nascita,

donde l’invidia verso il fratello come Esaù verso Giacobbe.

Caino dunque doveva essere frutto del peccato originale commesso dal primo Uomo,

peccato ripetuto dai discendenti puri di Adamo, i ‘Figli di Dio’, “quando videro che

tra le ‘figlie degli uomini’ (le discendenti ibride di Caino) ce n’erano di belle (non

pelose) e le presero in sposa” (Genesi 6,1-2).

Studiai di nuovo il terzo capitolo della Genesi e considerai il versetto 6: “Vidit quod

bonum esset lignum ad vescendum... aspectuque delectabile”, cioè “Adamo vide che

l’albero genealogico era buono e, nell’ebraico si legge, desiderabile per avere

conoscenza”.

Quel ‘conoscenza’ è un eufemismo: indica, come si sa, ‘rapporto generativo’. Qui sta

il nodo del mistero: individuare l’albero genealogico che, conosciuto, avrebbe portato

alla rovina.

La rovina del genere umano non poteva venire per via di generazione dall’Albero

genealogico della Vita umana, perché il Creatore, che fece bene tutte le cose, fece

benissimo il Campione dell’umanità e altrettanto bene la sua legittima Sposa, la

Donna. Dunque, la rovina non avrebbe potuto venire dalla Donna, perché anch’essa

apparteneva all’Albero della Vita, giacché fu “tratta dalla costa”, cioè dal seme, di

Adamo e un rapporto generativo fra Lei e l’Uomo non solo non era proibito, ma

comandato.

L’incesto nella prima e seconda generazione, nella monogenesi della specie umana

come per qualsiasi altra specie, era d’obbligo per necessità di natura per la

trasmissione dei caratteri integri della nuova specie e per l’unità stessa della specie.

Non c’erano alternative.

Perciò l’albero genealogico a cui allude il versetto doveva essere estraneo alla specie

umana. Questa è la verità che si nasconde dietro l’espressione metaforica del versetto

3,6 della Genesi.

In altre parole l’Uomo, quel primo Uomo e come lui ogni suo discendente legittimo,

doveva evitare ogni rapporto generativo al di fuori della sua specie, cioè con ‘l’albero

genealogico’ da cui fu tratto, quello degli ancestri.

§ 195 Ed ecco i miei pensieri:

– Dice la Genesi al versetto 15 del terzo capitolo: “Porrò inimicizia fra te, serpente, e

la Donna e fra il tuo seme e quello di lei”. L’“inimicizia fra il ‘serpente’ e la Donna”,

rispecchiata nella “inimicizia fra ‘il seme’ suo e quello di lei”, si riferisce a Caino e

Abele? Ma se essi sono entrambi figli di Adamo (Genesi 4,1-2), allora essi avrebbero

avuto come madre, il primo questo simbolico ‘serpente’e l’altro la Donna.

– Che cos’era quel ‘serpente’ maledetto femmina, il cui seme avvelena e porta alla

morte?

– Il problema era ancora incentrato nei primi versetti del terzo capitolo:

– Se le madri di Caino e Abele, come è detto al versetto 3,15, sono distinte e sono per

Caino il ‘serpente’ e per Abele la Donna, e se in entrambi i casi il padre è lo stesso

Adamo, allora al versetto 4,2 “Adamo conobbe Eva, sua moglie; ella concepì e partorì

Caino; e poi partorì il fratello di lui Abele”, il verbo ‘partorì’, qui espresso al

femminile, andrebbe sostituito con ‘generò’ che indica per entrambi i casi la paternità

di Adamo, al maschile.

Per lo stesso motivo il pronome femminile andrebbe sostituito con un pronome

maschile che sottintenda Adamo, così: “Adamo conobbe Eva, da essa egli generò

Caino e poi generò, dalla Donna, il fratello di lui Abele”.

– Certo è che tutti e due sono figli di Adamo, il primo sicuramente della femmina

denominata ‘il serpente’, l’altro della Donna.

– E se la madre di Caino nei versetti precedenti era stata denominata ‘il serpente’, era

improprio chiamare quella femmina ‘moglie’ di Adamo.

Questi ed altri insistenti interrogativi mi venivano alla mente ogni volta che mi

dedicavo alla lettura della Genesi. Ricordandomi d’avere a casa mia a Farra

d’Alpago una Bibbia del 1700 con molte note in calce, pensai che, vista l’epoca in cui

fu stampata così vicina a quella di G. L. Leclerc, ci fosse in essa qualche accenno alla

sua teoria sull’ibridazione della specie.

Avevo sistemato la biblioteca nella mia camera. Presi quella Bibbia del ‘700, scritta

ancora con la lettera ‘f’ al posto della ‘s’, e vi studiai fino a mezzodì.

Tempo sprecato, delusione, amarezza. Per quanto mi arrovellassi il cervello in tante

supposizioni, capivo che non potevo riuscire a comprendere quel mistero tenuto

nascosto per tanti secoli ai profeti dell’Antico Testamento ed anche a quelli del Nuovo.

§ 196 Ma sapevo che ci sarei riuscito, perché nel 1928 Padre Matteo Crawley, al

termine di una meditazione che tenne a noi chierici, predisse al seminarista della I

liceo classico Albino Luciani che sarebbe salito ai più alti gradi della Gerarchia

Ecclesiastica, e predisse a me, alunno allora di I teologia, che sedevo a 2 metri davanti

a lui nel banco della Cappella, che il Signore mi avrebbe rivelato i segreti della Bibbia.

Mi predisse anche avversità, ma aggiunse che il Signore mi avrebbe sostenuto e

consolato con le Sue rivelazioni.

Ricordavo inoltre come, già nel 1922, anche don Giovanni Calabria, da Verona, mi

fece sapere che ‘da anziano, avrei dovuto scrivere un libro importante sulla Genesi

Biblica’ e aveva insistito che lo scrivessi presto.

Erano però ormai trascorsi tanti anni e le tristi vicende che si erano succedute nella

mia vita mi insegnavano che non ero più la persona adatta per ricevere una

rivelazione.

§ 197 Chiusi la Bibbia a mezzodì e, dopo un pasto frugale, andai a riposare nella

camera attigua alla mia, sul letto che era stato della mia povera mamma, morta alcuni

mesi prima. Adagiandomi ero arrivato a recitare le parole del Miserere del Salmo 50

di Re Davide: “Et in peccatis concepit me mater mea”, nel peccato mi concepì mia

madre. A quel pensiero mi ribellavo e trovavo assurdo che un atto d’amore benedetto

da Dio potesse essere un peccato. La frase dunque doveva avere un altro significato.

Quale? Aveva forse a che fare con il ‘peccato originale’? In che cosa sarà consistito

questo misterioso peccato? E, meditando, mi soffermai sul versetto seguente: “...

Incerta et occulta Sapientiae tuae manifestasti mihi”, Tu, o Dio, hai manifestato a me i

misteri della Tua Sapienza.

– Signore, non avete ancora manifestato alla Chiesa il mistero del ‘peccato originale’!

Se lo avete rivelato al Re profeta, perché egli non lo ha detto? – Mi addormentai e

puntualmente ebbi un ‘sogno’.

Scene di vita quotidiana

Ecco il ‘sogno’.

§ 198 Mi trovavo in un cortiletto a poca distanza dal suo ingresso49 .

A destra avevo la facciata di un rustico, di fronte un terrapieno, alto circa 6 m e lungo

5 o 6, che scendeva verticalmente e si congiungeva ad un muretto che in forma

semicircolare delimitava, alla mia sinistra, il cortile per gli altri due lati. Questo

spiazzo dominava la pianura sottostante verso Sud e verso Ovest.

Davanti a me, poco più oltre e sempre vicino all’ingresso del cortile, vedo un animale

femmina a statura eretta, alto quasi un metro, nero e peloso, di un pelo non fitto e

liscio come quello delle scimmie, ma più rado e arruffato come la lanugine che l’uomo

ha dall’adolescenza alla radice degli arti superiori ed inferiori.

Tiene in braccio il suo piccolo, brachicefalo, privo di naso e di mento, che con la sua

mano si diverte a far oscillare il grande orecchio destro orizzontale della madre che

esce sulla spalla e lo urta.

Alla sinistra di essa ci sono altre due femmine, pure in piedi e vedo, di profilo, il loro

muso glabro con l’angolo facciale retto, senza mento e senza naso, con capelli che

scendono sulla nuca fino al collo e davanti fino agli occhi.

Sono un po’più alte della prima e guardano verso il centro del cortile. Le vedo dalle

anche in su, così che posso osservare al di sopra delle loro teste, quello che esse

vedono.

4 9 Abbiamo visto che questo ‘sogno’ è stato ricevuto 2 anni prima della grande visione già raccontata, ma le

scene si riferiscono ad un episodio avvenuto un anno e mezzo o due dopo la nascita della Bambina. Quindi

Adamo, che nella rivelazione di prima aveva una quindicina d’anni, ora ne ha 16 o 17.

§ 199 Quattro cuccioli della stessa specie si muovono carponi attorno ad una piccola

Creatura umana, rosea e grassoccia, che vedo di schiena, ridere contenta e stare in

piedi. Età: un anno e mezzo o due. Vidi poco dopo che era una Bimba. Mi sembrò che

il maschietto più grande insegnasse agli altri a girare intorno alla Bambina e,

passandole davanti, a fare la genuflessione doppia con inchino profondo.

Sopraggiunge dal lato opposto al mio un bel Giovane completamente nudo, dalla pelle

arrossata e lucida, imberbe, con capelli neri che gli scendono fino alle spalle. Scavalca

il muretto e, passando attraverso la scena, va a sedersi sulla panca con le spalle

appoggiate alla parete della costruzione rustica. Sta a guardare la scena. Il cucciolo

più grande, nero e peloso, con gli orecchi grandi, nudi, eretti fin sopra la testa, si

muove con molta disinvoltura. Fa una genuflessione doppia e inchino profondo

davanti al Giovane e poi davanti alla piccola Creatura umana. Quindi si allontana

verso il fondo del cortile con agili capriole. Un altro cucciolo, questa volta femmina,

un po’più piccolo ma con gli orecchi orizzontali, si sforza di ripetere i gesti del primo,

ma li fa in modo più impacciato.

La femmina ‘sui generis’ della specie preumana

§ 200 Vedo intervenire una femmina diversa, un esemplare eccezionale ed unico nel

suo genere, non pelosa salvo alla radice degli arti, di pelle non nera ma giallastra,

non vista prima perché era accovacciata presso l’angolo esterno del cortile alla mia

sinistra. Non ha orecchi eretti come i maschi, né completamente orizzontali come le

altre femmine.

* Scene di vita quotidiana

Sono sì di grandezza sproporzionata, ma solo la parte superiore è piegata in fuori,

orizzontalmente, di circa 4 cm e senza il bordo ripiegato della cartilagine. La sua

bocca, quando è chiusa, non appare larga come quella dei suoi simili ma, quando la

apre, si vedono i quattro canini un po’ più lunghi degli altri denti.

Ha gli avambracci lunghi, ma le mani sono meno rozze. Ha gambe corte e tozze, ma

non come gli altri esemplari della sua specie. È brachicefala, con i capelli opachi

castano chiaro, lunghi dietro fino al collo e davanti fino agli occhi.

Ma sotto quella fronte bassa ci sono un paio di occhi umani e gote umane. Mostra dai

25 ai 30 anni paragonata alla donna di oggi. Essa interviene fra i piccoli ogni volta

che uno di essi si azzarda a toccare la Bambina. Avanza a salti. Non cammina sulle

gambe, ma, servendosi delle braccia come di grucce, avanza portando innanzi il suo

sedere ad ogni balzo.

Il più intraprendente è il maschietto più grande. Al sopraggiungere della femmina

glabra, il più grandicello schizza via svelto con delle capriole.

La Bambina è stata ‘concepita immacolata’

§ 201 Appena l’avevo vista la Voce mi suggerì delle parole che non ricordo

esattamente, ma il cui senso era che:

– QUELLA FEMMINA SENZA PELO È LA MADRE DELLA BAMBINA,

CONCEPITA IMMACOLATA PER L’INTERVENTO DIRETTO DEL CREATORE

SULLA FORMAZIONE DEL GAMETE FEMMINILE E SULLA MODALITÀ DELLA

SUA FECONDAZIONE AD OPERA DI ADAMO ‘IN SIMILITUDINE NATURAE’ – ,

cioè con un rapporto secondo natura, benché nel sonno come dice la Bibbia.

La femmina bianca e senza pelo fa la genuflessione doppia e l’inchino profondo

davanti al Giovane e costringe la cuccioletta nera a ripetere la cerimonia. Poi ritorna

all’angolo dal quale era venuta. Altri due cuccioli, ultimi arrivati, si muovono sui

quattro arti intorno alla piccola Creatura umana.

Interviene di nuovo il cucciolo più grande che ripete la cerimonia, ma succede

confusione. Forse ha toccato la Bimba ai piedi, o questa vuol giocare coi più piccoli

perché si curva verso di loro. C’è un nuovo intervento della femmina senza pelo che

sopraggiunge dal suo angolo dove era tornata ad accovacciarsi.

Ma questa volta la femmina si avvicina troppo al Giovane e, dopo un nuovo atto

d’adorazione con inchino profondo, pare dapprima che gli voglia toccare un

ginocchio: poi lo tenta avvicinando la testa fra le ginocchia del giovane Uomo seduto.

Ma egli la scaccia, ed essa questa volta si erge in piedi e ritorna al suo posto ma,

passando a fianco della Bimba intenta a guardare i più piccoli e china su di loro, le dà

uno schiaffetto per scaricare su di lei l’umiliazione e procede.

La Bimba cammina piangendo verso il giovane Papà seduto e si ferma al suo fianco

destro. Speravo che la prendesse in braccio, o che, almeno, l’accarezzasse. Invece egli

sta osservando la femmina bianca che si allontana.

La piana ai piedi del promontorio

Cambia la scena.

§ 202 Vidi quest’ultima scena da un livello superiore, non più dal cortile dove prima il

Giovane stava seduto sulla panca, ma dal ballatoio di legno sovrastante la facciata

alla quale egli prima appoggiava la schiena.

Questo ballatoio non era sporgente dalla facciata ma rientrante da essa e coperto

dal tetto.

Di là potei vedere, verso Sud, una grande pianura che dal piede dell’altura su cui mi

trovavo si allungava fino a perdita d’occhio (3 o 4 km) nella foschia lontana,

contenuta entro due solchi divergenti per tutta la lunghezza.

All’inizio la larghezza della piana poteva essere di 50 m circa, più lontano pareva

fosse più larga.

Era tutta coperta di messi spontanee biondeggianti. Il pane era assicurato e anche la

biada per gli animali servitori.

Era un vasto campo di frumento, tracciato nella parte più prossima da qualche solco

per l’irrigazione anche lungo la linea mediana.

Nella parte occidentale di questa pianura e vicino all’altura su cui mi trovavo, il

campo era stato ridotto ad orto con diverse specie d’ortaggi.

Oltre l’orto, fino alla distanza di 100 metri, vedevo una fila di cinque o sei casette

alte un metro e mezzo, sicuramente costruite dal giovane Uomo per quelle femmine

con i loro cuccioli, ed una più grande in mezzo all’orto, forse per mettere a riparo gli

attrezzi da lavoro.

Sul ballatoio compare il Giovane dall’estremità Sud. Lo seguo fino al capo opposto

di esso. Di là, una scaletta saliva sopra il terrapieno. Sale e, girando a sinistra,

percorre il terrazzo fino al suo termine (oltre l’ingresso dell’abitazione con i preziosi

che vidi nella grande visione). Lo percorro con lui ed entro in una grotta che riceveva

luce solo dall’entrata.

Il soffitto era composto di lastroni di pietra giallastra di arenaria. L’abitacolo era

stato evidentemente ricavato lungo una cengia e murato in tutta la sua lunghezza nella

parte esterna.

All’interno dell’abitacolo la parete di sinistra, volta a valle e lungo la quale

camminavo, era coperta da una malta di sabbia grigia, sopra uno sfondo nero non

ben levigato che aveva lo scopo di renderla impermeabile. Alla mia destra c’era un

giaciglio, alto 30-40 cm, addossato alla parete rocciosa.

Ora mi ritrovo nella parte più interna dell’abitacolo. Il Giovane vi si adagia con i

piedi verso l’ingresso. Lo osservo di scorcio da dietro la sua testa, al suo stesso

livello,vicinissimo.

La Bimba è innocente riguardo al peccato originale

§ 203 Compare all’ingresso la Bambina nuda. Si ferma un poco. Poi avanza coi

passetti incerti dei pargoli di un anno e mezzo o due, forse per l’asperità del

pavimento. Mentre passava a fianco del giaciglio, m’aspettavo di vedere il giovane

Papà farle una carezza, ma nulla. Ormai avevo capito che il giovane Uomo era il

Capostipite Adamo. Non volevo guardare la Bimba perché era nuda, ma una Voce mi

disse: – GUARDALA! È MOLTO BELLA. – Era proprio molto bella. Un viso paffuto,

con lineamenti così delicati, armoniosi e ben proporzionati che mi fecero sorridere.

Anche le sue membra erano ben proporzionate e grassocce. La pelle era lucida e

rosea, ma di un roseo meno intenso di quella del suo Papà. La vedevo bene

nonostante fosse in controluce. Pareva a piedi scalzi, ma forse aveva una suoletta.

Passò lungo il fianco del giaciglio, superò il posto nel quale mi trovavo e si diresse

verso il fondo dell’abitacolo e non la vidi più. Doveva avere, penso, il suo giaciglio

dietro a me.

– RICORDATI CHE È INNOCENTE! – mi venne detto – RICORDALO! –

Non capii che queste parole si riferivano al fatto che stava per accadere.

Quella femmina “Ponte”

§ 204 Vidi, invece, un’ombra comparire e sparire due, tre volte, all’ingresso della

grotta. La terza volta la vidi completamente inquadrata nella luce dell’ingresso. Non

la vedevo bene in controluce, ma quegli orecchi lunghi, dalle punte orizzontali mi

fecero capire che era la femmina glabra già vista nel cortile. La Bambina non poteva

essere salita lassù da sola; vi fu portata certamente dalla madre, la quale si era

fermata fuori dell’ingresso per l’abitudine, perché evidentemente il Giovane non la

voleva nel cubicolo. Le reiterate apparizioni della sua testa nel vano dell’ingresso

dovettero corrispondere ad altrettanti segnali della sua voce, perché emetteva la

lingua. Certo ciangottava come una gatta in calore. Era la sua stagione, prevista dal

giovane Uomo. Egli “diede ascolto a quella voce”, incoraggiandola, suppongo, la

prima, la seconda, la terza volta che essa aveva sporto la testa dallo stipite

dell’ingresso. Poi lo vidi sollevare la testa dal guanciale e anche un po’ le spalle,

poiché giaceva supino, e la guardò per alcuni istanti. Forse la invitava. Fu allora che

essa si decise ad entrare. La solita Voce intervenne dicendo: – PONTE. –

Rimasi pensieroso. Quale legame poteva esserci mai fra quel che vedevo e un ponte?

Rinunciai a capire e concentrai nuovamente la mia attenzione sulla femmina che mi

stava davanti.

Il ‘peccato originale’

§ 205 La vedevo solo dalle anche in su, ma poi, dai movimenti che faceva, capivo che

poggiava prima un ginocchio sul giaciglio da un lato dei piedi del Ragazzo, poi l’altro

ginocchio dall’altro lato. Quindi, aiutandosi con le lunghe braccia come grucce, si

spinse innanzi sopra il corpo del Giovane, fino a presentare i suoi seni sopra la faccia

di lui come volesse offrirgli il proprio ‘frutto’, cioè il latte dei suoi seni. Quando si

chinò sopra di lui vidi il suo muso ad un palmo sopra i miei occhi. Quella testa

schiacciata, quei capelli corti che le scendevano fin sugli occhi, quegli orecchi enormi e

orizzontali, quella bocca dalle labbra aperte fino alla radice delle mascelle, ma

specialmente quegli occhi grossi, quasi fuori dalle orbite, che mi fissavano, mi fecero

inorridire. In quel momento fui scosso di soprassalto dal fracasso che pareva ripetere

un suono simile a pecc... pecc... pecc... prodotto dalla messa in moto di un grosso

camion a tre assi posteggiato a fianco della mia casa. Istintivamente mi ritrassi e mi

svegliai. Anch’io giacevo supino ed avevo l’impressione che la femmina giallastra

fosse sopra di me come se mi fosse venuta addosso. Che orrore!

Contemporaneamente una Voce potente, assecondando lo strepito del motore e

dell’innesto della marcia, disse:

– PECCATO ORRRR... ENDO, ... ORRRR... IBILE, ... ORRRR... IGINALE. –

Il tre assi partì con un suono metallico, come se il parafango fosse urtato

ripetutamente da un ferro. Mi alzai esclamando:

– Gesù mio, misericordia! E il Ragazzo si è innamorato di una strega simile? –

§ 206 Non si era innamorato di quella femmina preumana. Si era solo illuso di

generare da essa una creatura bella come la Bambina. Vide (perché aveva osservato)

che l’albero (selvatico) era bello (rispetto alle altre femmine) e desiderabile per

arrivare alla conoscenza (ossia al rapporto generativo) per avere altri figli (Genesi

3,6). Non vidi il Giovane mangiare cioè succhiare il frutto ossia il latte dell’albero, né

lo vidi mangiare dell’albero. Era intuitivo. Pensai: “Inimicus homo superseminavit

zizaniam”. Solo un ribelle poteva seminare la zizzania sopra il campo del Signore, la

Vita Umana! Riflettei: “Qui potest facere mundum de immundo concepto semine?”. E

chi se non Dio può nuovamente rendere mondo ciò che è stato concepito da un seme

immondo? Ripensando allo strepito (pecc... pecc... pecc...) di quel motore che veniva

messo in moto e alle tre parole udite contemporaneamente a quel rumore,

specialmente all’ultima con quell’‘erre’ prolungata della parola ORRRR... IGINALE,

sono indotto a credere che fosse già predisposta la coincidenza della parola col

fracasso onomatopeico che ho già detto e che mi ha fatto sussultare inorridito.

§ 207 Avevo quasi dimenticato molti particolari di questo ‘sogno’, quando, due anni

dopo la grande visione del 1972 e quattro da questa rivelazione, ebbi un altro ‘sogno’,

quello de ‘La sera del giorno fatale della morte di Abele’ che narrerò più avanti.

Quel ‘sogno’ aveva un preciso riferimento a questo, riguardo alla Donna. Quando

durante quella rivelazione dissi “vorrei vederla, perché non l’ho mai vista”.

– L’HAI VISTA – mi fu risposto e rividi la Bambina nel cortile e nel cubicolo con il

padre e udii nuovamente le parole:

– RICORDATI CHE È INNOCENTE! –

Il Signore voleva riportarmi con la memoria a questa rivelazione (del ‘peccato

originale’), perché l’estraneità della Donna a questo peccato è fondamentale per la

comprensione di tutta la Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento.

L’ibridazione della specie umana creata perfetta

§ 208 Se Adamo non si fosse illuso di generare da questa femmina preumana delle

persone, cosa che non poteva accadere senza l’intervento del Signore, passata la sua

generazione il problema non si sarebbe mai più ripresentato per l’incompatibilità

genetica fra le due specie. Se il Capostipite non avesse generato dalla femmina

ancestre, essa non avrebbe portato con i suoi cromosomi lo squilibrio nella specie

umana. Invece l’istinto bestiale entrato nel patrimonio genetico dell’umanità, sarà il

genio malefico dell’animo umano. Ecco dunque perché aveva così grande valore

l’obbedienza a Dio: il Giovane non poteva conoscere le leggi della genetica, e Dio non

era tenuto a spiegargliele, ma solo a dargli un ordine e fargli sapere che, se avesse

trasgredito, la sua specie, come specie pura, avrebbe trovato la morte... l’estinzione. È

quanto è accaduto.

§ 209 Per l’uomo perfetto era impossibile generare dagli ancestri comuni. I

cromosomi, come i gancetti di una cerniera-lampo, possono combinarsi solo se sono

appaiati o, al massimo, se da un lato ve n’è solo uno in più.

Quindi fra la specie umana e quella preumana non c’era alcuna possibilità di

ibridazione perché la differenza di due cromosomi rendeva impossibile l’aggancio a

tutta la cerniera. “... Puoi mangiare a volontà di tutti gli alberi del giardino...”50 è una

frase che nasconde una verità di ordine genetico: i cromosomi ed i geni della cellula

riproduttiva umana non potevano attecchire con quelli della cellula riproduttiva delle

altre femmine ancestri.

Potevano attecchire solo con quelli dell’‘albero della conoscenza del bene e del male’,

cioè con quell’esemplare unico ed eccezionale, il ‘capo di ponte’ che doveva restare

‘ponte a senso unico’e che non doveva essere usato in senso vietato, pena la rovina, la

morte del genere umano come specie pura.

Passato il pericolo relativo a questa femmina, le due specie avrebbero potuto

coesistere serenamente. Da qui il perentorio divieto di ‘mangiare’il frutto di ‘quel

l’albero’. Il Giovane disobbedì. Si credeva un dio in Terra e volle fare come Dio, non

sapendo che, troncato il cordone ombelicale che univa la Bambina alla madre

preumana, “Deus cessavit ab omni

5 0 “Questa era un’ipotesi teorica – spiegava don Guido – che non voleva intendere che ad Adamo fosse

concesso accoppiarsi alle altre femmine ancestri esclusa Eva. Sarebbe inverosimile una mostruosità

simile! ‘Deus intentator malorum est’, Dio non può spingere alcuno al male”.

opere suo quod patrarat”, Dio aveva terminato il Suo programma d’intervento

creativo diretto, essendo stato raggiunto il finalismo della creazione della specie

umana.

Voler fare come Dio aveva fatto è stata l’infausta presunzione del primo Uomo che

così creò un ‘ponte’ fra le due specie, aprendo la via all’involuzione della specie

umana dalla quale tuttora non siamo completamente risorti.

Adamo non sapeva che i figli ereditano i caratteri non solo del padre ma anche della

madre in uguali proporzioni.

Credeva, come si è creduto fino a tempi relativamente recenti, che la femmina fosse

solo il ‘locus aptus’, il luogo adatto come il solco della terra per far germogliare il

seme.

La sua ignoranza delle leggi della genetica non giustifica il suo peccato di

disubbidienza, di presunzione, di incesto bestiale.

Caino, il frutto di questo rapporto vietato, come mi fu fatto vedere nella terza, nella

sesta e nella settima rivelazione, sarà in tutto simile ai figli delle sorelle di Eva perché

erediterà i caratteri fisici della specie degli ancestri dalla madre. Sarà nero, peloso e

brachicefalo ecc…

Ma erediterà dal padre i caratteri psichici e intellettivi nella misura in cui sarà capace.

Da quel peccato, infatti, ebbe origine l’ibridazione della specie umana con quella

subumana degli ancestri.

Essa avrebbe portato all’estinzione della specie umana pura e al totale abbrutimento

di quella ibrida se il Creatore, “per opera del quale furono fatte tutte le cose”, non

fosse intervenuto ‘in extremis’ ad eliminare con il diluvio, cosiddetto universale, o con

più diluvi, tutti gli individui irrecuperabili e non avesse guidato la rievoluzione di quei

pochi che erano meno contaminati dalle tare ancestrali.

Dunque solo in questo caso si può parlare di ‘rievoluzione guidata’.

L’ipotesi o teoria sostenuta nel ‘700 da Leclerc era dunque esatta. Egli era credente e

credeva alla Bibbia che dichiara l’Uomo fatto ‘molto bene’ da Dio e non allo stato di

bestia in via di evoluzione, e che l’umanità fu corrotta fin dalla prima generazione a

causa dell’ibridazione fra le due specie mediante il ‘trait d’union’ o ‘capo di ponte’.

Leclerc ebbe una profonda intuizione o una rivelazione? Se avesse detto di aver avuto

una rivelazione sarebbe morto sul rogo!! Io non fui messo al rogo, ma ho

sperimentato quanto pesi essere emarginato...!

§ 210 Avendo assistito al ‘peccato originale’ compresi il vero significato della

‘circoncisione’: la ‘costa’51 di Adamo peccò e la ‘costa’ di Abramo e figli fu circoncisa.

Compresi anche che il Battesimo è un perfezionamento della circoncisione: 1) la

‘circoncisione’ è un atto di riparazione al ‘peccato originale’: è un atto simbolico di

sottomissione e di obbedienza a Dio in contrapposizione all’autosufficienza e alla

disobbedienza di Adamo; 2) il ‘Battesimo’ è un atto formale di adozione a ‘figlio di

Dio’, previa la sottomissione a Dio. Il diseredato viene riammesso ai diritti

dell’eredità.

51

Fino dall’adolescenza don Guido aveva intuito che l’espressione allegorica della Genesi (la costa)

nascondeva un significato genetico, aiutato dalla fortuita identica espressione idiomatica del suo paese natio

che chiamava ‘costa’ il membro maschile. Don Guido riteneva inutile fare esegesi biblica su un termine

metaforico. Prima, diceva, bisogna comprendere il concetto che si nasconde dietro un eufemismo, poi si può

tradurlo adeguatamente. Infatti aveva compreso che “se la Donna fu tratta dalla ‘costa’ di Adamo, Ella era

sua Figlia”.

La circoncisione non può essere considerata in modo riduttivo come un atto di mera

osservanza alla Legge, ma deve essere il segno di una consapevole volontà di riscatto

dalla condizione di illegittimità di fronte a Dio. La Circoncisione è l’espressione della

volontà dell’uomo di stringere un’alleanza personale con Dio alla quale Dio

risponderà con l’adozione a figlio mediante il Battesimo.

L’ultimo pasto di Abele

SESTA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago nel 1974 sotto forma di sogno, il

quarto, due anni dopo la visione

(Nota della curatrice) Dal 1972 al 1974, ossia fra la 5ª rivelazione (la grande visione) e

la 6ª, ci sono due anni di intervallo. Il Signore aspetta che don Guido comprenda ed

interiorizzi i due concetti essenziali del messaggio precedente:

1) che la prima Donna è assolutamente estranea al peccato originale, quando invece

dalla Genesi mosaica sembrerebbe che fosse stata proprio lei la responsabile della caduta

del Capostipite.

Don Guido ritiene che questo equivoco della Genesi non sia da attribuire a Mosè, ma

agli Agiografi del tempo di Re Salomone i quali, sensibili alla cultura del proprio tempo,

avrebbero ritoccato il testo originale facendo ricadere sulla Donna le responsabilità del

peccato originale, responsabilità che invece erano state unicamente del primo Uomo.

Questi Agiografi avrebbero colto una similitudine tra la tentazione provocata dalla

‘femmina’ del peccato originale e l’influenza nefasta per il popolo ebraico che la regina di

Saba stava esercitando su Re Salomone poiché aveva introdotto in Israele il culto di dei

pagani.

2) Il secondo concetto, altrettanto difficile da assimilare per don Guido, era che la

figura femminile chiamata Eva nella Bibbia, non era la Donna ma quella ‘femmina

ancestre’ che egli aveva visto partorire la Bambina ed era “la madre di tutti e due” (§

125) i primi soggetti umani, il “capo di ponte” (§ 96) fra la specie degli ancestri e la

specie umana. Di lei, Eva, fu anche detto dal Signore che “avrebbe dovuto rimanere

‘capo di ponte’, ma (che) l’uomo presuntuoso e disubbidiente la rese ‘ponte’” (§ 9_),

quando essa divenne “lenza” (§ 1_8) per l’Uomo e lo prese all’amo facendogli

commettere il peccato originale. Tutte espressioni che dovevano ancora essere

interpretate. Infatti, il Signore mai chiamò quella femmina ‘Eva’, ma la chiamò “quella

del peccato originale” (§ 112), “ponte” (§ 204), né mai chiamò il primo Uomo ‘Adamo’,

ma in sette modi diversi: “il campione” (§ 24), “il tuo primo parente”, “proto”,

“protoparente” (§ 26), “protoparente di tutti gli uomini” (§ 27), “il progenitore” (§ 28),

“rosso” (§ 152) e infine, con senso negativo, “uomo”, (§ 237). Allo stesso modo mai

chiamò per nome Caino e Abele.

È quindi comprensibile che per don Guido non fu facile ricostruire i fatti. Anzi, furono

per lui anni travagliati in cui dovette impegnare tutte le sue energie per collegare

coerentemente gli eventi narrati dalle rivelazioni.

L’unico suo conforto era la promessa del Signore che l’avrebbe aiutato “a ricordare e

a capire” (§ 182). Quindi c’era anche la fiducia che prima o

poi ci sarebbe arrivato.

A noi che leggiamo il racconto già ordinato, tutto sembra logico e chiaro. Ma

proviamo per un istante ad immedesimarci nello stato d’animo di don Guido, fermamente

convinto che la Bibbia intera, quindi anche la Genesi, essendo Parola di Dio non poteva

essere stata alterata.

Se il Signore non l’avesse più volte rassicurato e non gli avesse detto che gli stava

rivelando “cose che non aveva rivelato ad altri” (§ 51), che gli stava “insegnando a

leggere fra le righe le cose che non capiva nel suo libro” (§ 44) e che questa “era una

rivelazione come a mosè” (§ 48) , e se non l’avesse incoraggiato, sostenuto e guidato,

facendogli rivedere i tratti delle scene non comprese, senza dubbio don Guido avrebbe

rinunciato a proseguire nel suo sforzo.

Era proprio questo che il Signore voleva: insegnargli a ragionare, a dedurre, a collegare,

ad usare la mente insieme al cuore. Avrebbe potuto dirgli semplicemente: “Guarda, questa

è Eva..., questo è Adamo... e le cose sono andate così e così....”. Invece no! Il Signore non

lo voleva passivo.

Egli vuole che ciascuno di noi entri nella Sua logica dopo aver capito i ‘perché’. Vuole

che la Verità sia una conquista desiderata, motivata, magari anche sofferta, ma raggiunta

per mezzo della libertà e della volontà.

Questo periodo fu per don Guido un alternarsi di sofferenze e di gioie infinite, ogni

volta che raggiungeva una nuova comprensione. Solo quando i punti fondamentali furono

chiariti ed assimilati, il Signore riprese i suoi insegnamenti che, essendo più facili, si

conclusero tutti nel giro di un anno.

Solo Abele e Set, e non Caino, furono generati ‘a immagine e

somiglianza di Dio’

§ 211 Sempre in ossequio alle ripetute esortazioni di Papa Paolo VI, continuavo a

leggere la Bibbia e i vari libri di commento scritti da bravi esegeti. Molti problemi mi

si affacciavano alla mente.

– In Genesi (4,3-6) trovavo che i due fratelli “offrivano sacrifici al Signore” e anche

la liturgia della Messa si riferisce al Sacrificio di Abele come “Sacrificio a Dio

gradito”.

Ma nell’ultimo versetto dello stesso capitolo trovo che solo alla nascita di Enos, figlio

di Set, solo allora, “si iniziò ad ‘invocare’ il Nome del Signore”. La contraddizione mi

pareva evidente: come avrebbero potuto Caino e Abele offrire sacrifici al Signore-

Iddio se solo con la nascita di Enos si cominciò ad invocare il nome del Signore?

Infatti: non si offre a Dio un sacrificio senza invocare il Suo Nome.

E perché solo allora? C’era un segreto da scoprire.

§ 212 – Un altro pensiero mi assillava: cos’era accaduto di tanto grave perché Caino

uccidesse Abele? L’aver scoperto il ‘segno di Caino’ mi invogliava a conoscere un po’

meglio questo personaggio. Una notte mi coricai meditando il ‘Canto della spada’,

seguendo la versione ebraica: “Io uccisi un fanciullo per una lieve ammaccatura (per

un colpo leggero) che mi ha dato...”. “L’omicidio di Caino sarà punito 7 volte...”

(Genesi 4,24).

Mi chiedevo se Lamek, quel Lamek discendente di Caino, andasse ripetendo a ragion

veduta un ritornello che ricordava il suo antenato fratricida che aveva ucciso Abele

‘per un colpo leggero’ ricevuto da lui. C’era stata una provocazione? Una lite?

Ma un colpo leggero può essere stato uno scherzo! Tra i fratelli che convivono in

famiglia succede spesso che il più forte non sopporti gli scherzi del più debole e

reagisca in modo violento. Ma, per arrivare ad uccidere, bisogna supporre che Caino

non fosse una persona normale.

Caino era invidioso del fratello per la preferenza che il Signore dimostrava verso

quest’ultimo? Ma il Signore Iddio non pretende da un minorato ciò che un individuo

normale può offrire con modi convenienti. Dio non umilia alcuno. Dice il Siracide e lo

ripete S.Paolo che “Apud Deum non est acceptio personarum”, Dio non fa preferenze.

Soltanto di Set è detto, al capitolo quinto versetto 3, che fu generato da Adamo a “sua

immagine e somiglianza” e che doveva sostituire, non il primogenito Caino, ma Abele.

Perché?

A questi quesiti ecco puntuale la visione che ebbi ‘in sogno’.

La prima famiglia riunita durante l’ultimo pasto di Abele

Ecco il ‘sogno’.

§ 213 Ero in un ambiente buio e mi trovavo a guardare, attraverso un finestrino

aperto alla luce del giorno, su un breve tratto di terreno di cui potevo vedere solo

l’estremità opposta delimitata fino a due, tre metri di altezza dalla base di alcuni

tronchi d’albero, posti in fila lungo il sentiero che girava all’esterno del cortile, quello

stesso cortile già visto nel ‘sogno’ del ‘peccato originale’. Distavo circa un metro da

quel finestrino e questo misurava circa 30 cm di larghezza e 10 di altezza. Da qui

l’impossibilità di vedere un panorama più vasto, ma sufficiente per capire che mi

trovavo nell’angolo interno fra il casolare rustico e il terrapieno. Arrivò dalla mia

destra, da oltre l’angolo del terrapieno, alla distanza di 7 o 8 metri, l’Uomo. Era di

grande statura. Era rosso e sudato; una tunica di pelle pelosa di animale gli pendeva

davanti, come falda appesa alla spalla sinistra, legata sotto il braccio destro, e lo

copriva fino ai ginocchi.

Fece pochi passi, si girò su se stesso e si sedette sulla panca, che stava alla mia

sinistra, appoggiando la schiena alla parete del rustico, sotto il ballatoio. Lo vedevo

dalle anche in su.

Portava capelli lunghi fino alle spalle ed erano neri. Aveva poca barba che gli

incorniciava le guance e baffi non molto lunghi ma accurati, segno che erano

naturalmente acconciati e che non gli crescevano più di tanto lasciando libere gran

parte delle guance e completamente il collo. Guardava davanti a sé donde egli stesso

era venuto.

§ 214 Comparve nel cortile alla mia destra, sopra il livello del lato inferiore del

riquadro che delimitava il mio campo visivo, a 3 o 4 metri di distanza, un paio di

orecchi ritti e neri che credetti di un cane. Scomparve sotto il limite della mia visuale per

alcuni secondi, poi lo rividi al centro. Notai due occhi irrequieti: appartenevano ad una

testa scimmiesca. Il mento era appena accennato. Allora vidi che era un antropoide, un

ancestre.

* L’ultimo pasto di Abele

Si accostò un poco all’Uomo, scomparve di nuovo sotto quella specie di davanzale e si

rialzò davanti a lui, muovendo le braccia pelose in atto di offrire qualche cosa che non

vedevo. Si curvò come per deporre a terra quel qualche cosa e, rialzatosi, si pose a

sedere alla destra dell’Uomo. Dopo qualche istante vidi comparire, sempre dallo stesso

lato, la sommità di una testa capelluta. Scomparve anch’essa sotto quel limite e, come

nel caso del protagonista precedente, si rialzò, fece qualche passo verso l’Uomo,

scomparve per la seconda volta, si rialzò e si accostò all’Uomo. Gli vidi la faccia.

Scomparve sotto per la terza volta, si rialzò, e allora lo vidi interamente.

Era un Bambino di due o tre anni, vivace nei movimenti, tutto nudo, roseo, grassoccio,

dalla faccia bellissima e dalle forme somatiche perfette. Fece un gesto con le braccia

come per sollevare da terra un peso e offrirlo all’Uomo.

Non vidi cosa fosse. Lo calò a terra, poi con molta agilità saltò sul sedile e stette in piedi

alla sinistra dell’Uomo. Capii che il primo era Caino e il secondo Abele. Mi venne il

pensiero che il triplice abbassamento fosse dovuto alla fatica di portare il peso e alla

necessità di deporlo per riprendere fiato, ma non era così: capii poi che avevano offerto

i loro doni al padre dopo una triplice genuflessione. Vedevo i protagonisti d’infilata e di

profilo e fissavo quel mostriciattolo irsuto che era appena a due metri da me.

§ 215 – Quello è Caino e l’altro è Abele, – dissi – ma la sua mamma, dov’è? Sarei

contento di vederla. Non l’ho mai vista. –

– L’HAI VISTA – mi disse la Voce. Risposi:

– Non mi pare; l’ho solo intravista alla sua nascita fra le mani del Padre. –

– ANCHE DOPO. –

In quel momento mi si presentò alla mente la Bambina che entrava nella grotta,

seguita dalla madre e udii nuovamente le due parole: “PECCATO ORRRRIGINALE”.

(§ 205) E poi la finale: “GUARDALA È MOLTO BELLA. RICORDATI CHE È

INNOCENTE! RICORDALO!” (§ 203). L’Invisibile Interlocutore si riferiva al primo

‘sogno’ che avevo dimenticato credendolo frutto di fantasia.

Ripensandoci poi lo ricostruii: l’avevo vista Bambina nel cortile circondata dai

cuccioletti ancestri, custodita dalla madre che allora non sapevo fosse Eva.

Poi la ricordai camminare a passetti incerti dentro l’alcova dell’Uomo dove passò a

fianco del suo giaciglio e scomparve dietro a me, a destra.

La Donna

§ 216 Improvvisamente il finestrino si fece più vicino e quindi più grande anche la

visuale, pressappoco della misura di 50 per 70 cm. Da sinistra, per tutta l’altezza del

quadro, comparve il lembo inferiore di una tunica di pelle di animale che mi nascose

la vista dei tre protagonisti. Da sotto quella pelle, venne avanti la caviglia di una

gamba umana, ben modellata, nuda, rosea e lucida, la destra. La vedevo dalla

caviglia a poco più su di metà del polpaccio bentornito; era scoperta; più su era

nascosta dalla tunica di pelle. Il suo ginocchio, nascosto dalla pelle, era all’altezza

della linea superiore della finestra del mio quadro visivo. Adagio, come al

rallentatore, venne avanti l’altra gamba e la prima rimase scoperta nello spacco

posteriore della tunica fin sopra la giuntura posteriore del ginocchio. Era in

primissimo piano e copriva tutta la visuale.

– È la gamba diritta e ben modellata di una donna grassoccia – dissi. – Deve essere

di statura alta e di corporatura massiccia. –

Mi curvai per vedere più in su quella persona che procedeva così adagio. Il quadro

visivo si alzò e si allargò in due secondi e potei vederla in faccia.

Era una donna molto giovane e molto bella, sui diciotto anni, dal viso paffuto e

roseo, alta quasi due metri.

Compresi dopo la settima rivelazione che, per analogia con la statura dell’Uomo,

non aveva ancora finito di crescere.

Portava, a mo’di falda, una pelle di animale un po’spelacchiata davanti e appesa al

collo. Quando si girò per sedersi vidi che la pelle era chiusa sulla schiena con due

legacci, uno all’altezza delle costole e l’altro del bacino.

Ritardava i suoi passi perché intenta ad avvoltolare in un liquido gialliccio e

filamentoso, contenuto in un teschio che fungeva da piatto, un pezzo di carne fumante

vapore che dalla forma mi è sembrato una grossa coscia di pollo o di piccolo

canguro.

Quella falda era molto gonfia davanti e, immaginando che fosse la pelle di una

femmina di canguro, pensai che contenesse nel marsupio i cibi per tutti e quattro i

componenti della famiglia. Ma ben presto mi accorsi che era in avanzato stato di

gravidanza.

Mentre la giovane Donna passava oltre la finestra del solito campo visivo, vidi che

con la mano sinistra cercava di stringere i legacci che sulla schiena tenevano uniti i

due lembi opposti della falda.

Aveva capelli neri e lucidi, discriminati nel mezzo e raccolti dietro la nuca, che le

scendevano lungo la schiena.

Passò davanti a Caino e le vidi le gambe ben fatte, diritte, un po’ distanziate alla

loro origine, caratteristica che le donne d’oggi cercano di nascondere e che invece

dovrebbe essere un requisito di bellezza se la giovane Madre era modello di

perfezione.

Giunta presso l’Uomo, si curvò. Al primo istante parve che cadesse in ginocchio.

Ma non vidi interamente la sua mossa perché la vedevo solo da mezzo busto in su.

Speravo che l’Uomo le desse una mano, ma egli non si mosse e quella si alzò da sola,

a stento. Capii allora che la giovane Sposa si era genuflessa davanti all’Uomo con

genuflessione doppia, come avevo visto fare dai cuccioli ancestri e dalla madre di lei

quand’ella era ancora Piccina.

Gli porse quel cosciotto che ho nominato, poi trasse dal marsupio un disco gialliccio

con delle piccole macchie nere, largo quanto i due palmi delle mani accostate di

quell’Uomo. Quando vidi l’Uomo strappare un pezzetto e mangiarlo, capii che quello

era pane cotto fra due lastre roventi sotto la cenere e raffermo. Aveva lo spessore di

due o tre centimetri.

La Donna diede al Bimbo e a Caino del cibo. Il Piccolo restò a mangiare in piedi sulla

panca, a sinistra del Papà. Caino prese la sua porzione di pane e di carne e restò

seduto alla destra del Padre.

La Donna gli fece segno di scostarsi per lasciare a lei quel posto, ma egli non voleva

muoversi. Ella allora lo prese con gentilezza per un braccio, lo alzò di peso, lo depose

un po’ più verso di me, e si sedette a destra dell’Uomo.

§ 217 Intanto sentivo una Voce sommessa: – LA PRIMA FAMIGLIA. – Caino aveva

proprio un brutto modo di mangiare, tanto che ne sentivo schifo. Masticava con la

bocca aperta. Credo avesse il palato poco incavato perché, ad ogni movimento delle

mascelle e della lingua, sfuggivano, dalle sue labbra aperte fino agli orecchi, delle

briciole e dei fili di saliva. Come avrebbe potuto parlare correttamente?

Il pasto fu consumato presto. L’Uomo si curvò in avanti un po’ verso sinistra, allungò

un braccio in basso e, quando lo ritrasse, vidi che teneva in mano due uova. Ne sorbì

uno e gettò il guscio lontano, in direzione donde i piccoli erano venuti, che suppongo

essere l’altra entrata del cortile.

Ne raccolse ancora, ma non vidi quanti, perché anche il Bimbo scendeva in quel

momento a prenderne uno. Anche Caino si mosse e la Donna, che si era a sua volta

curvata, gliene porse uno e uno lo sorbì lei.

La provocazione che fu causa dell’uccisione di Abele

§ 218 Abele saltò giù di nuovo, passò davanti al padre, un po’ più a destra di lui, si

curvò; poi si alzò con una mela in mano. Risalito sulla panca, addentò la mela, la

guardò e la gettò lontano. Scese un’altra volta, prese un’altra mela. Alla Donna,

questa volta, fu Caino a porgere una mela. Egli stava come nascosto alla vista del

padre, seduto alla destra di lei, e si sporgeva ogni tanto per osservare la scena. Al

vedere il disappunto di Abele la prima volta si ritrasse sogghignando. Alla seconda

mela che Abele era andato a mordere al suo posto, la reazione del Bimbo fu vivace.

Appena addentata la mela, che era bella, questa si divise in due ed egli, tenendo sulla

sinistra una metà e lasciando pendere l’altra metà che era tenuta dalla buccia, stese il

braccio per mostrare ai genitori come il frutto era tutto marcio sotto la buccia bella.

Caino vide e si ritrasse ghignando. Il suo sorriso, con quelle labbra in quella bocca

senza mento, con quegli occhi furbi e sporgenti fin sotto le sopracciglia, aveva

qualcosa di maligno. Capii che si godeva del brutto scherzo e capii perché l’Uomo

non si fosse curvato a prendere una mela. Forse aveva osservato Caino quando,

invece di cogliere le mele dall’albero, le aveva raccolte da terra. O forse vedeva che le

mele erano bacate o marce, a colpo d’occhio.

Vista la reazione del Bimbo, la giovane Donna aveva cessato di mordere la sua mela e

si era curvata per prendergliene un’altra.

§ 219 Per due volte, mentre la Donna si curvava a raccogliere le mele, Caino si

spostava verso di lei per sbirciare tra le sue gambe. La falda di pelle era scivolata

all’interno del ginocchio destro. L’Uomo la avvertì ed ella si accomodò la falda di

pelle che ora aderiva. Con questo suo spostamento lasciò allo scoperto Caino che le

sedeva a destra e non le arrivava all’altezza dell’ascella. Il Bimbo, intanto, aveva

ritratto il braccio e aveva riunito le due metà della mela, era salito coi piedi sulla

coscia sinistra del Padre e, tenendosi con la mano sinistra alla spalla di lui, con la

destra, che teneva la mela, gli fece piegare la testa in avanti ed anche lo costrinse a

curvarsi il più possibile, finché, in punta di piedi, potè guardare, al di sopra e al di là

della spalla paterna, il fratello ad un metro di distanza circa e gli scagliò la mela sulla

testa. La mela all’impatto andò in 4 o 5 pezzi che, rimbalzando, caddero intorno.

Caino forse si aspettava qualche altro colpo, perché si curvò coprendosi il capo con

ambo le mani. Quando le distolse guardò verso il Fratellino che era sceso a terra e

correva svelto verso l’uscita del cortile donde era venuto.

§ 220 Credo che il Bimbo abbia detto che forse voleva andare a giocare con i cuginetti

ancestri o che sarebbe andato a prendere mele buone per sé e per Papà. Ma a Caino

quella fuga parve quasi dettata dalla paura di una ritorsione e la considerò come la

buona occasione per porla in opera, lungi dagli sguardi del Padre, custode del

Giardino, dove erano preziosi i rampolli dell’“Albero della Vita”. Si levò in piedi,

pose la sinistra a terra e fece una capriola, poi un’altra e un’altra ancora ed in breve

uscì dal cortile dietro ad Abele.

Vedendolo passare correndo davanti a me e notando che il Padre restava immobile,

non potei trattenermi dal dirgli:

– Fermalo! Tu sai che è male intenzionato. Tocca a te custodire il frutto del tuo

Giardino. –

Dopo qualche secondo la Donna si era alzata in piedi e guardava con apprensione

verso l’uscita. Presentimento? O aveva sentito le grida del Bimbo? Rivolta all’Uomo

gli fece cenno di andare a vedere.

Egli sembrava si dicesse stanco del lavoro e mostrava con una certa compiacenza i

fabbricati edificati. Ella, toccandosi il ventre sembrava dirgli che, se la sua opera

quotidiana delle faccende domestiche non si vedeva, aveva in nove mesi prodotto un

edificio più prezioso e che stava per darne un secondo alla luce e non poteva andare a

vedere.

L’Uomo con un cenno, seguito certo da alcune parole, le ordinò di andare a vedere.

Ella cominciò a correre ma, dopo tre o quattro passi, rallentò l’andatura, si strinse le

mani al petto e, quando giunse al limite del cortile, alzò le mani alla testa, poi le

protese verso il cielo, segno che era rimasta sempre in stretto rapporto d’amore con il

Signore, quindi le abbassò per sostenere il ventre. Si curvò e stava per cadere, ma

l’Uomo con due salti corse a sostenerla.

Qui il ‘sogno’ finì e mi destai molto impressionato.

Il ‘Signor-padrone’, il ‘Dominus-Terrae’, ‘il Signore della

Terra’: ‘Adham’

§ 221 Queste ultime scene preannunciano la nascita di Set, venuto alla luce, forse

prematuramente, mentre Abele moriva. La visione che ebbi in questo ‘sogno’ mi

aveva dato tutte le risposte che cercavo.

a) Ora sapevo qual era stata la futile provocazione che aveva portato Caino a

compiere quel terribile delitto.

b) Avevo anche compreso a quale ‘Signore’ Abele e Caino offrissero i loro doni.

Se la Bibbia dice che “Caino e Abele offrivano sacrifici al Signore”, ma poi dice che

“solo dopo la nascita di Enos si cominciò ad invocare il Nome del Signore”, (e qui si

intende senza ombra di dubbio che si tratta del ‘Signore-Iddio’), è segno che quel

‘Signore’ a cui Caino ed Abele offrivano i loro doni era il loro ‘Signor-padrepadrone’,

e non il Signore-Iddio, esattamente come vidi in ‘sogno’. Avevo capito che il

termine Ad-ham non significa ‘Signore dalla-terra’ cioè ‘proveniente dalla terra o

fatto con la terra’, ma ‘Dominus-Terrae’, il ‘Signore della Terra’, cioè ‘il Padrone

della Terra’.

‘Adham’ non è un nome proprio ma un attributo. È un titolo nobiliare come ad

esempio Camillo Benso ‘conte di Cavour’, dove Cavour è anzitutto il nome del luogo o

della tenuta della quale la sua famiglia portava il nome.

L’equivoco nell’interpretazione di questo attributo, frequente nei primi capitoli, aveva

reso oscura la comprensione di quel ‘Signore’.

Ora mi ero rafforzato nella convinzione che nella Genesi il termine ‘Signore’ è un

termine polisemico che ora sostituisce ‘il Signore-Iddio’, ora ‘il Signor-padrone’. Solo

il contesto e la differente scrittura (‘il Signore’ usato come termine singolo, ma non

sempre, e ‘il Signore-Iddio’ usato come termine composto) ci fa capire di quale

‘Signore’ si tratti.

Questo ‘Signore’ fa pensare a quel Signore che “scese a confondere le lingue” nel

racconto della Torre di Babele, che non può essere Dio. “Nolite fieri sicut equus et

mulus quibus non est intellectus”, non fate come il cavallo e l’asino che non hanno

l’uso della ragione! È assurdo pensare che Dio possa nuocere all’uomo! Quel

‘Signore’ che mise confusione nelle lingue non è Dio: è il primo Uomo e con lui quei

suoi discendenti puri, i “Figli di Dio”, i “Giganti” (Genesi 6,4), che sposarono

(sarebbe il caso di dire ‘si accoppiarono con’) le ‘figlie più belle dei figli degli uomini’

(Genesi 6,2) e si facevano adorare come ‘dei’ dagli schiavi, uomini ibridi.

Di lì cominciò la ‘confusione delle lingue’, con la progressiva deformazione della

parola. Ciò avvenne dalle origini in poi, cioè ancor prima di Noè, quando “omnis

caro corruperat viam suam”, quando ogni uomo rimase formato solo di ‘carne’

(poiché Dio aveva ritirato il Suo Spirito dall’uomo ibrido), e si trovò ad avere la

propria natura corrotta. Ancor prima, dunque, che tutti gli abitanti della Terra fossero

diventati ibridi.

Quando poi ogni uomo sulla Terra ebbe una carne corrotta perché i ‘Figli di Dio’ si

erano estinti assimilati dagli ibridi ed erano rimasti solo gli ibridi, la confusione del

linguaggio fra i popoli fu totale.

c) Compresi anche perché Set doveva sostituire Abele e non il primogenito Caino.

Vedendo Caino inserito nella famiglia, lo avevo finalmente identificato.

Per la verità avevo già visto Caino in un ‘sogno’ orribile quattro anni prima quando

Abele fu ucciso e che dirò più avanti. Ma a quel tempo non avevo capito che la vittima

era Abele e l’altro Caino. Solo dopo questo ‘sogno’potei identificare i due fratelli.

Poiché Caino non fu generato ‘ad immagine e somiglianza di Adamo’, ‘il campione’ (§

25) previsto e preordinato ‘ab eterno’ dal Creatore, il diritto di primogenitura

spettava ad Abele!

Ciò dimostra che per Dio la primogenitura non dipende da una precedenza

cronologica della nascita, ma da una maggior somiglianza con la perfezione

originaria che, per noi ibridi, si manifesta attraverso una maggiore o minore capacità

di accogliere i Doni soprannaturali e un più profondo desiderio di conoscere ed amare

Dio.

Questo principio è stato valido anche tra Isacco e Ismaele, tra Giacobbe ed Esaù, tra

Giuseppe e i suoi fratelli.

d) Da questa visione avevo capito anche un’ultima cosa. Vedendo la Donna stringersi

il ventre per le doglie e afflosciarsi dal dolore, meditai anche il versetto 16 del terzo

capitolo: “E il Signore-Dio disse alla donna: “Partorirai con dolore”...”.

Pensai: Non è vero che il dolore del parto sia una conseguenza del ‘peccato originale’

e che le Donne non contaminate dalle tare di questo peccato fosso preservate da tale

dolore. Anche le Donne della specie pura e perfetta dei ‘Figli di Dio’partorivano

secondo natura e con dolore, proprio come ogni creatura della Terra che genera

secondo le leggi normali prestabilite da Dio che prevedono il dolore nel dare alla luce

la prole.

La frase della Genesi mosaica ci dice piuttosto un’altra verità: con l’ibridazione, tra

le altre cose, si ebbe anche, come conseguenza diretta, il parto più doloroso perché le

donne cainite, per conformazione ereditata dagli ancestri, avevano in proporzione

spalle più larghe e spioventi e fianchi più stretti rispetto alle Donne pure e ciò rendeva

meno agevole il passaggio della testa del nascituro.

Per questa ragione il parto per le donne ibride diventò più difficoltoso e più

doloroso. A questo dolore fisico si aggiunga il dolore morale di una madre che si

rende conto d’aver messo al mondo una creatura tarata che cresce irresponsabile.

“Partorirai con dolore…”! E quale dolore!

Questa predizione della Genesi in realtà è solo una ‘sententia post factum’, perché

Dio non può maledire alcuno, come dice giustamente S.Giacomo, e tanto meno può

maledire coloro che ereditano le conseguenze di un peccato che non hanno commesso.

Perciò Gesù ha tanto amato i malati e i peccatori!

Un altro esempio di ‘sententia post factum’ è l’altro versetto che recita: “.... e

maledetto sia il suolo... con dolore ne trarrai cibo... e con il sudore del tuo volto

mangerai il pane” (Genesi 3,17).

Anche questa è una constatazione a posteriori perché l’uomo ibrido, avendo perso i

contatti diretti con Dio come Padre e Maestro, ha perduto anche le cognizioni per

coltivare la terra, accendere il fuoco, ecc. e non ha più i docili ancestri come lavoratori

dei campi.

Da qui altra sofferenza, altra fatica, altro sudore.

La morte di Abele

TERZA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago nel 1970 sotto forma di ‘sogno

profetico’, il secondo, scritta nel 1974 e riscritta nel 1982

(Nota della curatrice) Ricordiamo al lettore che fino a questo momento don Guido aveva

ricevuto soltanto due rivelazioni: la 1ª, quella intitolata ‘Il segno di Caino’ (1968), nella

quale era venuto a conoscenza che Caino era un ibrido dall’aspetto antropoide; la 2ª,

quella riguardante ‘Il peccato originale’ (19_0), nella quale aveva visto che a commettere

il ‘peccato originale’ era stato l’Uomo soltanto, con una femmina ancestre. Ma per

comprendere l’identità di Caino e Abele gli mancava la rivelazione de ‘L’ultimo pasto di

Abele’. Questo è il motivo per cui non si preoccupò di trascrivere subito l’episodio che

stiamo per leggere. Solo dopo il 19_4, vale a dire solo dopo aver ricevuto la rivelazione

che abbiamo appena letto, ne prese nota e solo dopo il 1982, quando il Signore gli fece

rivedere alcune sequenze di questa rivelazione che al tempo di questo ‘sogno’ non aveva

capito, don Guido scrisse quanto segue.

Premessa

§ 222 Quand’ebbi la rivelazione de ‘La morte di Abele’ non compresi che il Bimbo

assassinato era il Figlio legittimo del Capostipite. Lo avevo creduto un discendente di

Set e Caino un ancestre come tutti gli altri. Per questo avevo ritenuto che gli ancestri

fossero pericolosi e perversi.

Le scene di violenza di questo ‘sogno’ erano state molto forti per cui avevo cercato di

dimenticarlo. Solo nel 1974, grazie alla rivelazione de ‘L’ultimo pasto di Abele’, potei

identificare i protagonisti.

Nel 1970, all’epoca di questo ‘sogno’, non potevo ancora sapere che si trattava di

quel vispo Bambino di circa 3 anni che avrei visto nel 1974 scherzare durante la cena

in famiglia e poi correre fuori dal cortile a cercare frutta e che fu inseguito da Caino.

Solo dopo la rivelazione de ‘La sera del dì fatale’, nella quale vidi che oltre l’angolo

del terrapieno il sentiero scendeva al prato sottostante dove l’Uomo aveva costruito il

suo pollaio, compresi che quello era il luogo dove il Piccino fu portato dagli ancestri

quand’era già morto.

Ma solo nel 1982, dopo che il Signore mi fece rivedere e comprendere le tragiche

scene di questo ‘sogno’ che non avevo capite, compresi che gli ancestri erano di indole

mite e affezionati all’Uomo e alla sua famiglia, e scrissi quel tanto che mi ricordavo.

La morte di Abele

Ecco il ‘sogno’.

§ 223 La visuale non mi permetteva di conoscere l’ambiente in cui si svolgeva la

scena. Potevo vedere soltanto un gruppo di giovani ancestri, forse sei, forse dieci,

perché alcuni in margine del gruppo comparivano e scomparivano fuori del video.

Credo fossero, oltre a quei due che vidi schierati davanti al giovane Uomo per

festeggiare la nascita della Donna, quei tre che stavano per nascere dalle sorelle nere

e pelose, e quelli che dalle stesse sicuramente nacquero nel periodo in cui la Donna

crebbe per diventare madre di Abele.

Avevano una statura varia tra metri 0,50 e 0,80, ma quello più alto di tutti, e

sopraggiunto per ultimo, misurava metri 1,10 circa.

Erano in lotta tra loro e si battevano con pugni, calci e morsi. Fra loro c’era un

Bimbo di carnagione bianca. In quel gruppo avevo intravisto scene di omosessualità,

di sadismo e di furia bestiale.

Alle grida del Bimbo e a quelle della giovane Donna che stava per partorire e che lo

chiamava, unite a quelle del Padrone occupato a soccorrerla perché era iniziato il

travaglio, erano accorsi per primi i compagni di gioco ancestri. Essi, cercando di

togliere Abele dalle mani di Caino, slogarono con i loro strattoni gli arti del suo tenero

corpicino.

Girai la testa per non vedere quello strazio. Ma quando tornai a guardare, Abele

giaceva a terra morto. Poco distante giace a terra, esanime, anche un esserino nero e

peloso che era arrivato tra i primi in soccorso di Abele e che avevo visto aggredito,

malmenato e strozzato da Caino.

I cuccioletti ancestri si accalcano attorno ad Abele e con le loro esili braccine si

sforzano di farlo stare in piedi, ma il corpicino esanime ricade.

In quel modo pensavano di farlo rivivere! I piccoli ancestri lo conoscevano compagno

di giochi e probabilmente non avevano capito che era morto: forse credevano che il

Bambino fosse addormentato e lo volevano vedere desto: perciò si sforzavano

inutilmente di farlo stare in piedi.

§ 224 Un giovane maschio, ma già adulto per la sua statura, alto circa m 1,10, forse il

figlio secondogenito di Eva, nato dal maschio ancestre dopo la nascita dell’Uomo e

prima della Donna, (probabilmente quello che avevo visto alla nascita della Donna

venir cambiato di posto e fatto passare dalla destra alla sinistra del maschio adulto, e

quindi più vecchio di Caino) arriva per ultimo.

Questo con poche mosse, con morsi e pugni, riesce ad allontanare i più furiosi ancora

in lotta con Caino ed i piccoli si ritirano a qualche metro di distanza. Poi allunga una

mano sui testicoli di Caino che si arresta e si ritira.

L’intervento del più grande degli ancestri ha fatto quietare il gruppo. Egli prende il

Bambino dalla pelle bianca sulle braccia e lo depone supino, con delicatezza, sul

prato. Tutti sono fermi e guardano la scena.

Poi il crocchio si forma di nuovo e la lotta contro Caino riprende furiosa, ma intanto

sopraggiunge il Gigante che con la sua presenza li costringe a dominarsi.

Vidi il Gigante fermo a guardare il corpo immobile e pallido del suo Bambino.

Capivo che il Piccino morto era la Creatura del Signor-padrone. (Nel 1970 non

potevo immaginare che quel Bimbo fosse il Figlio del Capostipite Adamo perché

pensavo che Abele fosse morto quand’era adulto).

Vedevo il Bimbo morto alla distanza di due metri circa stando dietro al giovane

ancestre che era accorso per ultimo in suo aiuto. Lo vedevo da sopra la sua testa.

Il Piccino era disteso supino, rivolto verso di me. Non gli vedevo i genitali nascosti

dalla testa del giovane maschio che mi stava davanti.

Il cadavere del Bimbo, che vedevo dal tronco in su, non era insanguinato. Non volevo

insistere a guardare il povero corpicino di Abele laggiù presso il pollaio.

Mi destai inorridito pensando: “Animalis homo non percepit ea quae sunt spiritus”,

l’uomo-animale, come Caino, non percepisce le ispirazioni e i sentimenti di origine

spirituale.

Gli ancestri erano miti, obbedienti e fedeli all’Uomo e alla

Donna

§ 225 Questo ‘sogno’ fu molto triste, motivo per cui nel 1970 mi preoccupai di

cancellarlo dalla mia mente invece di prenderne nota. Per dodici anni, da quando nel

1970 ebbi questo ‘sogno’ fino a quando il Signore mi fece rivedere alcune scene

facendomi osservare ciò che non avevo capito, avevo ritenuto che gli ancestri fossero

pericolosi perché credevo che il Bambino fosse stato loro vittima per come lo

dimenavano e poi lo lasciavano cadere esanime. Ma dopo aver rivisto alcune scene

nel 1982, compresi che il più aggressivo di quegli esseri pelosi era Caino. Grazie a

questo nuovo intervento del Signore, ho capito anche che Caino stava abusando di

Abele, mentre i cuccioli ancestri cercavano di strapparglielo con forza slogandogli

così tutte le articolazioni. Ecco perché si sforzavano inutilmente con le loro esili

braccia di far rivivere quel Bimbo che amavano e che era stato loro compagno di

giochi. Solo quand’era già morto l’avevano portato laggiù nel prato vicino al pollaio.

Avevano lottato per difenderlo, rischiando la loro stessa vita. Gli ancestri, a differenza

di Caino, erano miti, obbedienti e rispettosi verso l’Uomo, la Donna e il loro

Bambino, intelligenti e fedeli più del cane attuale. Soltanto Caino, dalla mente contorta,

frustrato e invidioso del fratello, covava sentimenti di odio e di rivalsa e aveva

deviazioni del comportamento sessuale.

Le deviazioni sessuali trovano la loro origine e causa nella corruzione

genetica

§ 226 L’anomalo Caino voleva proprio uccidere Abele oppure soltanto punirlo “per

una lieve scalfittura ricevuta” come dice la versione ebraica? Probabilmente ci fu,

insieme al desiderio di vendetta, il desiderio di abusare di lui. L’istinto sessuale di

Caino dovette essersi manifestato più volte in famiglia se l’Uomo e la Donna

dovettero coprirsi con pelli di canguro. Quello sbirciare insistente fra le gambe della

Donna durante ‘L’ultimo pasto di Abele’ ogni volta che ella si curvava a raccogliere

un frutto e che il lembo della falda le lasciava scoperto un ginocchio era un segnale

della sua passione latente. Caino non sapeva dominare il “furor mali desiderii”, la

furia degli istinti. Era sensuale, e visto Abele allontanarsi, lo rincorse per sfogarsi. Il

peccato di Caino fu un triplice peccato: di pederastia, di pedofilia e di infanticidio. Sua

unica giustificazione: Caino era minorato nel corpo e nella psiche.

Riflettevo: se il ‘peccato originale’fu commesso quando la Donna aveva un anno e

mezzo o due, Caino era più giovane della Donna di 2 o 3 anni. E se la Donna concepì

Abele all’età di 14 anni, ella, quando Abele fu ucciso (pressappoco a 3 anni), ne aveva

circa 18 e Caino 15.

Si legge che le scimmie raggiungono mediamente l’età feconda intorno agli otto anni.

Si può presumere che gli ancestri non si differenziassero molto da quelle. Egli dunque

era adolescente come uomo, ma maturo come ancestre. Sebbene la statura dei due

fratellastri fosse quasi simile perché somaticamente appartenenti a specie diverse, la

differenza d’età fra i due era di 12 o 13 anni.

§ 227 Fu il terrore dell’insidia e della morte che fece comprendere al Capostipite che

ormai non poteva più dominare la situazione? È da questo momento che ha inizio lo

sterminio (degli ancestri) di cui parla la Genesi (4,15), nel folle desiderio di vendetta o

nel tentativo di arginare il pericolo di un delitto che avrebbe potuto ripetersi? Il

Capostipite invece non uccise Caino perché il Signore lo aveva diffidato dal farlo. Per

questo “il Signore aveva dato a Caino un segno, ‘la parola’, (§ 193) affinché chi lo

incontrasse (e non poteva essere che l’Uomo) non lo uccidesse”. Dunque l’Uomo in

questa circostanza obbedì all’ordine di Dio di non sopprimere Caino perché Caino era

‘figlio dell’Uomo’e perché questa discrezionalità spettava solo a Dio. Sappiamo con

certezza che rispettò la vita di Caino altrimenti non saremmo nati noi, ibridi. Caino fu

invece cacciato verso Oriente. La Bibbia dice che ad Oriente prima di lui fu cacciata

Eva, sua madre, forse dopo che lo ebbe svezzato o, al più tardi, quando Caino potrebbe

aver mostrato un particolare interesse anche verso di lei. Si deduce per logica che

Caino si accoppiò con Eva perché se Caino è “uomo” (così lo ha definito il Signore

nella rivelazione che segue) (§ 233) è segno che, oltre alla parola, aveva il numero dei

cromosomi della specie umana. Quindi poteva unirsi a tutte le femmine, ma generare

solo da Eva. Da questo sventurato connubio nacquero figli e figlie, i cosiddetti ‘figli

naturali dell’Uomo’ o ‘figli degli uomini’. Quindi Caino non fu cacciato dal Signore-

Iddio, bensì dal Signor-padrone Adamo, il Signore della Terra! Così la triste coppia si

compose, o si ricompose: ‘Lei, Eva, bestia simile a donna, e l’altro, Caino, uomo simile

a bestia’. Abele va annoverato fra i ‘Santi Innocenti’ e fu il primo martire a salire al

cospetto di Dio.

La sera del giorno fatale della morte di Abele

SETTIMA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago nel 1974

(Nota della curatrice) La _ª rivelazione, ossia il quinto ‘sogno’, è di una portata immensa.

Avviene dopo e a breve distanza dal quarto ‘sogno’, quello relativo a ‘L’ultimo pasto di

Abele’.

Mentre nelle rivelazioni che precedono la grande visione del 1972 il Signore intende

mettere a fuoco il ‘peccato originale’ e le sue conseguenze immediate e successive, nelle

rivelazioni che seguono la grande visione il Signore entra nell’analisi psicologica e nel

campo delle responsabilità, sia di quelle di Caino, tarato, frustrato, complessato e

malizioso, che di quelle di suo Padre.

Premessa

§ 228 Nelle circostanze più impensate mi ritornava alla mente ora una scena, ora

l’altra di quanto avevo visto e udito nei ‘sogni’ che avevano preceduto e seguito la

grande visione. Capivo sempre meglio la connessione delle cose e, appena potevo

mettermi a tavolino, scrivevo su un foglio qualunque l’ultima ispirazione con il

riferimento ad altre precedenti.

Dopo l’ultimo ‘sogno’ riguardante la morte di Abele, mi chiedevo se la Donna avesse

partorito prematuramente; se il Neonato fosse una femminuccia o un maschietto e se

l’una o l’altro avesse riportato conseguenze fisiche.

Mi chiedevo anche se l’Uomo, umiliato e stressato per l’assassinio di Abele, si fosse

ravveduto della sua superbia e autosufficienza.

A dare una risposta a questo mio interrogativo venne puntuale quest’altra rivelazione.

Il Signore-Iddio sta alla mia destra

Ecco il ‘sogno’.

§ 229 Era nel tardo pomeriggio dello stesso giorno della morte di Abele e mi trovavo

sul prato, ai piedi di quel colle che si protendeva verso di esso come un promontorio,

proprio nel luogo dove avevo visto il giovane Uomo con la Neonata sulle mani e “la

madre di tutti e due”(§125), Eva, ancora semisdraiata dopo il parto, che reclamava la sua

figlioletta. L’Invisibile Accompagnatore che stava alla mia destra mi condusse su per il

sentiero, ora in ombra, già percorso dall’Uomo che 18 anni prima portava la Bimba. Il

sentiero che saliva verso Nord per il versante orientale di quel promontorio che si

protendeva verso Sud, era piuttosto stretto ed aveva a destra nel primo tratto la pianura

coperta di messi e più avanti alberi sparsi ad alto fusto.

§ 230 Durante il percorso sentivo vicinissima, alla mia destra, la Voce che mi istruiva

con molta competenza e bontà, raddrizzando parecchie delle mie idee preconcette, ed

era tanto il rispetto e la venerazione che mi ispirava, che mi sentivo tutto avvolto e

come affascinato dalla Sua Presenza. Non La sentivo come una Persona estranea che

mi incutesse timore, ma come una Persona familiare con cui fossi vissuto a lungo con

molta dimestichezza e che, perciò, mi conosceva bene nella mente, nel cuore e nelle mie

vicende. Purtroppo non ho scritto subito dopo ciò che mi ha detto, ma era tutto

relativo all’interpretazione della Bibbia. Ad un certo punto vi era una svolta a 180

gradi e la direzione del sentiero che salivamo ora era verso Sud e lo scoscendimento

scendeva alla mia sinistra.

Sopra e sotto il sentiero vi era erba a ciuffi che sembrava loppa, quell’erba secca dei

prati non falciati, e qualche cespuglio basso di nocciolo o di carpine. Mi tenevo sul

bordo sinistro di esso per lasciar spazio al mio invisibile Accompagnatore che

continuava a parlarmi familiarmente all’orecchio destro:

– TIENITI AL CENTRO. NON HO BISOGNO DI SPAZIO. –

Arrivammo ad un punto dove il sentiero era interrotto per una lunghezza di 2 o 3

metri da una piccola frana che terminava in basso a sinistra presso la prima parte del

sentiero che avevamo percorso. Non si poteva passare che uno alla volta, saltando su

due o tre sporgenze rocciose e distanziate, sempre allo stesso livello del sentiero.

Stranamente ero scalzo e temevo di scivolare. Mi arrestai sul ciglio sinistro di esso

per dare la precedenza al mio Venerando Maestro. Guardando il precipizio

pensai:

“Perché non si mette alla mia sinistra per sostenermi?”. Ma Egli mi disse:

– PASSA. NON TEMERE. RIMANGO SEMPRE ALLA TUA DESTRA. IMPEGNATI

QUANTO PUOI. TI ACCOMPAGNO SEMPRE. TI SOSTERRÒ. –

§ 231 In quel momento mi si affacciò alla mente il dramma che avevo visto in quello

stesso posto tempo prima, come attraverso un corpo opaco e un cespuglio: rividi Eva

che, raggiunto il giovane Uomo, voleva la Bimba ma, alla resistenza di lui, lo graffiò e

lo morse, tanto che egli, per togliersela d’attorno, le fece uno sgambetto che la fece

cadere, ma non vidi dove fosse caduta. Allora capii perché Eva, quando saliva la

scala e nel camminare verso l’ingresso della grotta, zoppicava, e perché il Giovane,

ancor prima di ammetterla nella sua abitazione, avesse guardato a lungo la sua

piccozza.

Pensai anche come avranno fatto le madri dei cuccioli a salire lassù per far

compagnia alla Bambina il dì del ‘peccato originale’.

A sinistra vi erano altri alberi lungo l’orlo del ripido pendio. Erano sempre piante

d’alto fusto che non potei identificare perché ne vedevo solo il tronco fino all’altezza

dei rami. Dopo una trentina di metri circa dalla frana il sentiero si faceva

pianeggiante e girava dolcemente a destra.

§ 232 A quel punto il sentiero si apriva a ventaglio su uno spiazzo o pianoro erboso

che a sinistra verso valle era delimitato dai soliti tronchi d’albero. Questi alberi, non

fitti, lasciavano intravedere un ripido pendio che scendeva per 30 o 40 metri sulla

vasta pianura biondeggiante di messi. Lo spiazzo terminava 20 metri più avanti con la

facciata posteriore di un casolare rustico sulla quale si apriva un’unica finestrella. Il

sentiero, che passava a Sud del casolare lasciandolo a circa 2 metri di distanza sulla

destra, proseguiva all’esterno del cortiletto dal fondo roccioso girando ulteriormente a

destra. Arrivati a tre metri dal casolare fui invitato ad uscire dal sentiero e ad

affacciarmi alla finestrella. Non volevo, ma mi trovai a guardarci dentro.

L’autore del primo omicidio

§ 233 Frattanto il Maestro continuava a parlarmi e mi avvertiva pressappoco con

queste parole:

– VEDRAI L’AUTORE DEL PRIMO OMICIDIO. È UN ‘UOMO’ DISPERATO. –

Dopo qualche istante:

– NON È DEL TUTTO RESPONSABILE. EGLI È L’AUTORE DEL CRIMINE, MA IL

VERO RESPONSABILE È SUO PADRE CHE PER LA SUA DISOBBEDIENZA E

PRESUNZIONE È LA CAUSA PRIMA DI TANTI MALI E DEL DISORDINE NEL

MONDO. –

Disse altre parole che non ricordo, ma che capivo benissimo. Mi era entrata in cuore

una grande angoscia mista a timore.

La stanza era un ambiente povero e affumicato ed era illuminata dal sole attraverso la

porta aperta dalla parte opposta. Doveva essere di tardo pomeriggio perché quella

luce entrava da Ovest di sbieco così da illuminare il pavimento di terra battuta, tutto

diritto e pulito, fino in prossimità della finestra.

Ad un metro da quest’ultima vidi un essere peloso raggomitolato sul pavimento. Lo

vedevo di schiena. Il pelo, lungo 4 o 5 cm, non era proprio nero, ma castano scuro e

discriminato lungo la spina dorsale. Capii che era Caino perché l’avevo già visto in

altra occasione. Teneva i gomiti sulle ginocchia e le mani sul capo, in modo che i polsi

appaiati ne coprivano la sommità e le mani nascondevano gli orecchi e l’una e l’altra

parte della testa schiacciata. Non mi fu possibile vederlo in faccia perché teneva la

testa bassa sulle ginocchia. Il suo bacino era stretto.

“Quello teme un colpo di piccozza, oppure il Padre gli ha tirato gli orecchi che adesso

gli dolgono” pensai.

– IL PADRE NON L’HA UCCISO E NON LO UCCIDERÀ PERCHÉ È ‘FIGLIO DI

UOMO’ E ‘UOMO LUI STESSO’

– mi venne detto. E dopo qualche secondo disse altre parole che non ricordo

testualmente, ma potrei esprimere il concetto così:

– I DIFETTI, ANCHE IL COMPORTAMENTO ABERRANTE DELLA SESSUALITÀ

UMANA, SONO DOVUTI ALLA DISUBBIDIENZA PRESUNTUOSA DEL PRIMO

UOMO. –

Compresi perciò che non solo certe malattie ereditarie, come la sindrome di Down o la

sindrome di Turner o la pazzia, o certe deformazioni fisiche, come il nanismo o il

labbro leporino, ma anche le deviazioni sessuali, come l’omosessualità o la sodomia o

la pedofilia, ecc... sono deformazioni psicofisiche dovute allo squilibrio entrato nel

genere umano attraverso il ‘peccato originale’.

§ 234 Ritornato sul sentiero e oltrepassato il fianco Sud del rustico, il sentiero voltava

ulteriormente a destra girando attorno ad un cortiletto lastricato e delimitato da un

muretto. Venendo dal sentiero che avevo percorso si accedeva al cortile dal punto in

cui mi trovavo. Superato il secondo angolo del casolare, mi accorsi di trovarmi nello

stesso posto nel quale, nel ‘sogno’del peccato originale, avevo visto la Bambina

giocare nel cortile in mezzo ai cuccioletti ancestri e dove avevo visto riunirsi la

famiglia per consumare il suo pasto frugale. Mi girai sul fianco destro e, voltando le

spalle a Sud, vidi che questo cortiletto era delimitato a destra dalla facciata di quello

stesso rustico che prima avevo visto di spalle. Ad un metro dall’angolo si apriva

l’unico ingresso della costruzione dentro la quale avevo appena visto Caino. Di fronte

avevo la parete del terrapieno, alto circa 6 metri e largo 5 o poco più, sopra il quale

avevo visto l’Uomo, quand’era ancora giovane, sottoporsi alla doccia. Gli altri due

lati del cortile erano delimitati dal muretto semicircolare, all’esterno del quale correva

il sentiero che stavo percorrendo e che proseguiva, al termine del muretto, scendendo

lungo il lato Ovest del terrapieno.

Da quel lato, ai piedi del terrapieno dove terminava il muretto, era uscito per l’ultima

volta Abele rincorso da Caino.

Il piano del cortile era roccioso e pulito. Era la superficie di uno strato o filone di

arenaria, inclinato e pendente verso la facciata di quel rustico, tanto che vi erano due

o tre gradini davanti alla porta d’ingresso. Non li avevo notati la prima volta quando

vidi il Giovane seduto sulla panca addossata alla parete del casolare, poco prima di

commettere il ‘peccato originale’, né in quell’altra occasione quando vidi la prima

famiglia riunita per pranzo nell’ultimo giorno di vita di Abele.

La porta era aperta.

Indugiai a guardare dentro, sempre con il timore di essere scoperto e rimproverato.

Caino era ancora là immobile, con la faccia sulle ginocchia, in una posizione

impossibile per una persona normale. Ginocchi bassi, braccia corte, avambracci

lunghi sproporzionati alla lunghezza della schiena e questa era molto flessibile nella

curva.

Mi ritirai e tornai sul sentiero.

La prima famiglia è in lutto

§ 235 – CI AVVICINIAMO ALL’ABITAZIONE DELLA PRIMA FAMIGLIA CHE È IN

LUTTO E IN GRANDE ANGOSCIA E SOFFRE MOLTO PER LE COSE

ACCADUTE QUEST’OGGI. –

L’abitazione a cui alludeva la Voce stava sulla cengia superiore, in alto, sopra il

terrapieno. Reagii volgendomi verso sinistra, protestando:

– Signore, – dissi – non sono preparato ad affrontare una situazione del genere. Non

so quali parole di conforto io possa dire. E poi, cosa dirà l’Uomo che vengo a

curiosare in casa sua in questa solitudine? Ho paura. –

Desideravo andarmene prima che arrivasse l’Uomo, e lo dissi. Ero trepidante. Non

volevo farmi vedere. Il Signore mi accontentò ed evitammo l’abitazione. Riprendemmo

il sentiero e costeggiammo il muretto che finiva all’angolo con il terrapieno e di qui

cominciammo a scendere verso Ovest per un viottolo ripido e lastricato di larghe

pietre a mo’ di lunghi gradoni che percorsi veloce fino al suo termine dove c’era un

praticello a mezza costa.

Giunti al praticello l’Accompagnatore mi avvertì con la solita Voce: – QUI VEDRAI

LA VITTIMA. –

– No, Signore; non voglio vederlo. Un Bambino straziato e morto mi farebbe troppa

impressione. –

Intanto, guardando alla mia sinistra, vidi una rete fatta di anelli di vimini larghi da

cinque a otto centimetri, addossata ad un cespuglio e sostenuta dalle sue fronde verdi

fino all’altezza di tre metri. Ne vedevo solo un tratto, dall’altezza di un metro in su,

perché il campo visivo era molto limitato.

Mi fu suggerito che lì c’era il pollaio affidato alle cure del Bambino che, poco prima di

venir ucciso, aveva raccolto le uova per portarle al suo Papà. Abele faceva

l’allevatore, limitatamente alla sua età, non di pecore, bensì di polli.

Risalimmo il viottolo e mi pareva di volare. Ero meravigliato nel constatare come

potevo correre senza fatica posando i piedi scalzi su quelle lastre informi e grezze,

giallastre e di varia grandezza che erano posate sopra la terra bagnata come a

segnare le pedate onde evitare di sporcarsi i piedi.

A circa metà della salita vidi vicinissimo, all’altezza della mia spalla, un grappolo di

uva rossiccia. Sembrava uva fragola non ancora matura e il grappolo non era più

grosso del pugno di un fanciullo. Volevo vedere in che modo fosse sostenuto il tralcio,

ma non mi fu possibile. Era sopra la linea del quadro visivo.

La salita terminava ai piedi del terrapieno e qui fui avvertito che avrei visto uscire dal

cortile l’Uomo che temevo. Ero in apprensione e mi arrestai a mezzo metro

dall’angolo dal quale cominciava il muretto del cortile.

Adamo era un gigante

§ 236 Dallo spigolo del terrapieno, al di sopra del muretto, vidi spuntare l’estremità di

un piede umano, ben fatto, il destro. Avanzava molto lentamente come al rallentatore.

L’alluce era fasciato, dall’ultima falange in dentro, da una striscia bianca, liscia che

non era stoffa, ma sembrava ‘semolina’ larga da due a tre centimetri. Altre due dita

erano fasciate da una striscia più sottile. Le dita erano diritte e regolari, segno che non

erano mai state costrette in una scarpa. Erano arrossate come se fossero state lavate

nell’acqua calda. Venne avanti il piede e, quando lo vidi interamente, calcolai che era

10 o 11 cm più lungo del mio che porto il numero 43 di scarpa. A ridosso del tallone

vidi il risvolto di una pelle pelosa che passava sotto il piede, una suoletta che era

legata in qualche modo alla caviglia. Dietro il piede venne fuori lo stinco, un po’ alla

volta, su, su, e sembrava non finisse più. Era d’uomo, senza peli.

Quando stava per comparire il ginocchio vidi il lembo peloso di una falda scivolare al

di dentro del ginocchio così che quando il piede si posò sul sentiero fuori del muretto

la gamba intera era allo scoperto fino alla coscia.

“Un gigante! – pensai – Chissà cosa mi dirà nel trovarmi qui a curiosare fra le sue

cose”. Da sopra il muretto venne avanti la gamba sinistra e, insieme, tutto l’Uomo,

che, scostandosi dalla parete del terrapieno alla quale era appoggiato con

l’avambraccio destro, pose a terra il secondo piede e si rizzò giusto davanti a me, a

circa un metro di distanza.

Figura imponente dalla pelle lucida e arrossata. Aveva i capelli quasi tutti bianchi con

qualche piccola ciocca di neri frammezzo. L’avevo visto in altra rivelazione

consumare il pasto con la sua famiglia poco prima dell’infanticidio del suo Bambino

ed era tutto nero di capelli e di barba. E adesso, a poche ore di distanza, perché questa

rivelazione riguarda ancora quel giorno funesto, è incanutito come un vecchio!

Facevo intanto fra me qualche calcolo: “Supponiamo che sia diventato padre a 15 o a

16 anni e sua Figlia, la Donna, abbia partorito a 14, e che il loro Bambino oggi,

quand’è morto, abbia avuto circa 3 anni: l’Uomo non può avere più di 33 anni”.

I suoi occhi iniettati di sangue non mi guardavano e ne fui lieto. Guardava lontano, al

di sopra della mia spalla destra, forse verso il sole che stava per tramontare alle mie

spalle. La falda gli si era spostata a sinistra lasciandogli scoperta la metà del petto

fino a quattro o cinque centimetri sotto lo sterno. Un petto poderoso, senza peli, largo

certamente 15 cm più della media. Braccia enormi, anch’esse senza pelo. Si assestò la

falda che, appesa sulla spalla sinistra, copriva l’addome fino a qualche centimetro

sotto la giuntura delle costole.

Mi fu suggerito sommessamente di confrontarmi con la sua statura. Venne avvicinato

fino a 30 o 40 cm dai miei occhi. Fissai quel punto perché corrispondeva al mio

sguardo orizzontale. Mi ripromisi di fare in seguito il calcolo. Eccolo:

– Il mio piede misura 25 cm; il suo 35 o 36.

– L’altezza del mio sterno è di 1 m e 15. L’altezza del suo è uguale a quella dei miei

occhi: 1 m e 63.

– La mia statura è di 1 m e 76 cm e mezzo. La sua, in proporzione, è di 2 m e 50 cm.

Pensavo anche:

– Gesù, per non umiliare l’uomo attuale, assunse la statura media fra quella del

Campione (2 m e 50) e quella degli ancestri maschi (m 1,10). Per cui m 2,50 + 1,10 =

m 3,60 che, divisi per 2, fa m 1,80.

Per guardarlo in faccia, così vicino, dovetti retrocedere di un passo e guardare in

su. Al considerare quel petto e quelle braccia enormi, ma ben proporzionate, mi assalì

ancora il timore:

“Se vedendomi si irrita e mi dà uno schiaffo – pensai,

– mi fa rotolare giù per il pendio”. Ebbi paura, ma mi venne detto sommessamente:

– NON TI VEDE. SONO PASSATI TANTI ANNI. NON TEMERE. –

Anche la barba era quasi tutta bianca. Non era lunga che pochi cm e non era

abbondante: gli incorniciava il viso lasciando quasi libere le gote.

I baffi, essi pure grigi, erano ben tagliati appena sopra il labbro. Penso che forse

erano acconciati così naturalmente perché le guance erano prive di peluria.

* L’uomo contro Dio

L’Uomo contro Dio § 237 A tratti le sue labbra si muovevano, come se parlasse, ed

intanto guardava al di sopra della mia testa e poi al di sopra e oltre la mia spalla

destra. Guardava il sole che tramontava. Una sola volta i suoi occhi si incontrarono

di sfuggita con i miei ed in quel momento mi parve che il movimento delle sue labbra

corrispondesse alle parole che sentii pronunciare:

– ORA HAI VISTO. – Credendo che fossero parole sue e che si riferisse al Bambino

morto, gli risposi tosto:

– No, non ho voluto guardare il Piccino. Un Bambino assassinato mi farebbe troppa

impressione! Ho visto l’altro, là dentro, seduto per terra. –

Credetti, sul momento, che l’Uomo riconoscesse le sue disgrazie come effetto del suo

peccato e si lamentasse. Invece, erano parole del mio Interlocutore.

E, in contrapposizione alle mie allusioni ai due figli, il mio Venerando Maestro ha

precisato a voce normale:

– ...HAI VISTO COSA È ACCADUTO ALL’UOMO! – Egli stava ora a capo chino.

Mah... Che cosa vedevo!? Che cosa faceva!?

– QUESTO! – precisò la Voce. Egli aveva sbandato la falda a sinistra e con la

destra... credevo guidasse una funzione fisiologica per non bagnarsi e, per non

guardare, alzai lo sguardo ai suoi occhi. Ma si intratteneva un po’ troppo a lavorare

con quella mano...

– ADESSO HAI VISTO CHE COSA HA FATTO... LUI, L’UOMO (nel senso di:

‘come si è comportato l’Uomo’, o ‘come ha reagito alla disgrazia...’) – ribadì la Voce

che proveniva dalla mia spalla destra.

Il suo sguardo verso il sole morente ed il suo gesto mi sembrò simile a quello di

Giuliano l’Apostata52 che stese il pugno pieno di sangue raggrumato verso il Cielo

dicendo:

– Hai vinto, o Galileo!53 – O simile al gesto di... Malthus54 col significato di:

– Perché non lo hai custodito? Eppure era Figlio legittimo. Non vuoi che

sopravvivano? Ebbene, non ne avrò più! –

Mi rimase impressa la sua immagine di Uomo disperato che sembrava prendersela

con Dio perché non aveva impedito il delitto.

La Donna “è innocente”

§ 238 Io stavo in pensiero per la Donna, l’unica che non si lasciava vedere e che vidi

accasciarsi nel presagire, impotente, l’uccisione di Abele. Pensavo:

“Ora soffrono in conseguenza del loro peccato”. Ma la solita Voce disse forte:

– MA LEI È ‘INNOCENTE’. RICORDALO! – (§207)

E mi presentò allo sguardo la scena di lei ancor Piccina nel cortile e poi nella grotta.

Alludeva alla Donna che anch’io avevo ritenuta colpevole, dimenticando di averla

vista, ancora Bambina, in occasione della rivelazione del ‘pecca

to originale’. Il ‘sogno’ svanì e mi destai.

52

Giuliano Flavio Claudio (331-363) imperatore romano dal 361, fu detto l’Apostata per aver rinnegato (nel

351 circa) il cristianesimo e restaurato il culto pagano. 5 3 Il ‘Galileo’ è Gesù perché viene dalla Galilea.

Giuliano l’Apostata stese la mano piena di sangue verso il Cielo, mentre Adamo la stese piena di sperma.

54

Thomas Robert Malthus (1_66-1834) economista inglese. Nel suo libro ‘Saggio sul principio della

popolazione’ (1798) sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno

fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza e arresto dello sviluppo economico. Propose come

soluzione la limitazione delle nascite.

§ 239 Ha voluto precisare: “ma lei è innocente”. Ecco dunque la novità portata dalle

due inclite Celesti Messaggere, “le due madri dei figli di dio”, nella festa

dell’Assunta: la donna, la madre naturale dei ‘figli di dio’ (§ 8) è innocente’ (§ 20_ e

238), poiché non fu lei a commettere il peccato originale visto che al momento di quel

‘peccato’ aveva un anno e mezzo o due. Lei, l’ultimo capolavoro del Creatore, fu

anche immacolata perché nata, come Maria, senza tare del ‘peccato originale’

perché concepita per opera dello Spirito Santo e del giovane Uomo creato perfetto, e

fu martire nello spirito come Maria per aver visto uccidere il suo primogenito. È

giunta l’ora di riabilitarne la figura e la memoria. Questa dunque la novità qui

ribadita dalle Eccelse Donne, associate nella gloria, che ora si fanno conoscere

all’umanità, ma specialmente a tutte le donne, per far loro comprendere la loro

dignità di persone umane e in particolare di madri, col ruolo sublime di mettere al

mondo sempre nuove creature destinate a popolare la Terra e conseguire la Vita

eterna. È mia convinzione che la Madre naturale dei ‘Figli di Dio’ ci segua dal Cielo

e sia divenuta la protettrice di tutte le donne che soffrono per la presunzione e la

prepotenza dei loro mariti e per le morti premature dei loro figli.

“Sono uomini” ovvero ora “Tutti siamo animali”

QUARTA RIVELAZIONE: cioè il terzo ‘sogno’, ricevuta a Chies d’Alpago nel 1970

(Nota della curatrice) È importante ricordare che questa rivelazione è la quarta e

giunge dopo ‘Il segno di Caino’, ‘Il peccato originale’ e ‘La morte di Abele’. Quindi don

Guido non aveva ancora ricevuto la grande rivelazione, e perciò in quel momento sapeva

solo:

1) che il primo Uomo era stato creato integro e perfetto, come dice la Bibbia, perché

lo aveva visto quando commise il ‘peccato originale’ (II rivelazione, avuta nel 1970);

2) che il ‘peccato originale’ era stato un rapporto procreativo non voluto da Dio (II

rivelazione);

3) che il ‘peccato originale’ fu un peccato di ‘ibridazione’ della specie umana perfetta

(associando la I e la II rivelazione);

4) che il frutto di questo peccato era un individuo ibrido (ancora I e II rivelazione);

5) che il peccato era stato commesso ‘solo’ dal primo Uomo (II rivelazione);

6) che la prima Donna, anche lei ‘perfetta’, era ‘innocente’ perché ancora bambina

quando venne commesso il peccato originale (II rivelazione);

7) che quello che classificava Caino come ‘uomo’ era ‘la parola’, ‘unico segno

umano’ percettibile (I rivelazione 1968);

8) e che se Caino poteva esser confuso con gli esseri preumani, era perché di questi

aveva l’aspetto (I rivelazione). (Questi esseri preumani il Signore li definirà “ancestri”

solo nella quinta rivelazione che avverrà due anni più tardi).

Ma quali erano state le conseguenze di questo peccato sul genere umano? La risposta a

questa domanda che don Guido si andava ponendo venne con una nuova rivelazione, la

quarta, ancora una volta ricevuta sotto forma di ‘sogno profetico’.

Premessa

§ 240 Avevo avuto da poco la rivelazione de ‘La morte di Abele’, senza tuttavia

comprendere chi fossero i protagonisti di quella terribile tragedia. Nel frattempo

continuavo a leggere libri scientifici e la Genesi Biblica, meditando. Tre problemi

erano le considerazioni che avevo fatto: 1) non poteva essere vero che la civiltà fosse

cominciata coi Cainiti; solo con la rievoluzione questo era vero, ma allora i Setiti non

c’erano già più. 2) La pelle nera e pelosa era ereditata da Caino, non dall’Uomo.

Senza dubbio le figlie più belle degli uomini erano quelle chiare e senza pelo perché

più somiglianti al nonno paterno, nate secondo le leggi dell’ereditarietà scoperte da

Mendel. 3) La statura gigantesca era propria degli Adamiti, perché gli ancestri maschi

avevano un’altezza di 1 m e 10 e le femmine di 1 metro e 5 soltanto. In relazione a

questi miei pensieri, ebbi la grazia di un altro ‘sogno’: quello che ho intitolato: ‘Sono

uomini’, ovvero, ‘Tutti siamo animali’, poiché ora siamo tutti ibridi. È la quarta

rivelazione, avuta anch’essa nel 1970, due anni prima della grande visione, ma non

ne presi subito nota perché non vedevo alcun nesso con le rivelazioni già ricevute.

Quando però mi interessai dei ‘Giganti’, come è accennato in Genesi 6,1-5, di “quegli

uomini potenti e famosi”, gli ibridi (generati dai ‘Figli di Dio’ e dalle ‘figlie degli

uomini’) di cui si parla nella frase seguente, e di Noè e i suoi figli, compresi che questo

‘sogno’ aveva la sua importanza sotto diversi aspetti e scrissi quanto mi ricordavo.

Gli effetti della corruzione della specie: i primi esemplari dell’ibridazione

§ 241 Sognai di essere arrivato ad un cortile diverso da quello già veduto nel ‘sogno’

del ‘peccato originale’, dove si muovevano alcuni esseri neri e pelosi, a statura eretta

e con gambe corte. Seduta su un ceppo, 4 metri davanti a me, una madre allattava il

suo piccolo, anch’esso nero e peloso. La madre aveva orecchi grandi ed orizzontali.

Più oltre, a destra, alcuni maschi in piedi, ‘di statura differente tra loro’, smistavano

delle stanghe e dei rami d’albero pieni di foglie facendone due cataste vicine addossate

ad un muro. Vidi arrivare alla mia destra uno di quegli esseri pelosi. Era più alto dei

suoi simili. Si fermò a due passi davanti a me e, voltandomi la schiena, cominciò a

tagliare l’estremità di un paletto che teneva verticale sopra un ceppo. L’arma usata

era un grosso coltello nero la cui lama di pietra tagliente era saldata, non ricordo

come, ad un lungo manico verde robusto. Squadrava la punta del paletto da tre lati,

tagliandone di volta in volta una sottile scheggia e presentandolo sulla tacca di una

stanga che giaceva davanti a me. Pareva stesse ginocchioni, invece aveva le gambe

assai corte. Quando vidi che riuscì a far combaciare bene le parti lavorate,

meravigliato della precisione dei suoi colpi, esclamai: – Industrioso questo animale!

Ed anche gli altri! –

Tutti siamo animali

§ 242 Quell’animale industrioso si girò e mi guardò con quegli occhi quasi nascosti

dalle sopracciglia basse. Mi osservò tre volte da capo a piedi, mentre io facevo lo

stesso nei suoi riguardi. Aveva la testa schiacciata, fronte bassa, ‘un principio di naso

che copriva solo in parte le fosse nasali’, la bocca larga fino alle orecchie e queste,

molto grandi, sorpassavano di 5 o 6 centimetri l’altezza del cranio. Mi giunsero

all’orecchio queste parole:

– TUTTI SIAMO ANIMALI. – L’animale che ‘aveva parlato’ intendeva anche me.

Anzi, tutti noi.

Intanto, dopo avermi squadrato, si era rivolto nuovamente al suo lavoro. Si curvava

poco su quel ceppo così basso, perché aveva gli avambracci lunghi e le gambe corte.

§ 243 Apparve in cima al cortile, a 8 metri di fronte a me, un Gigante nudo e roseo. Si

avvicina e controlla il lavoro del gruppo che armeggia con delle stanghe.

Egli assisteva e consigliava quegli operai. Era il Padrone. M’intrattenni a parlare con

quest’Uomo, grande e rosso di carnagione, quando soggiunsi: – Quello ha uno

sguardo intelligente. – L’animale di prima fece un cenno affermativo col capo.

– Mi ha capito – replicai.

– EH SÌ – rispose quell’essere peloso.

– Quell’essere peloso parla come un uomo! – dissi.

– SONO UOMO – mi disse l’essere peloso che stava ritagliando un altro paletto. E

l’altra Voce dietro a me disse: – SONO UOMINI – e in sordina: – FIGLI

DELL’UOMO. – Erano i Cainiti, i discendenti di Caino, i primi ibridi, e il Padrone li

istruiva e li sorvegliava.

Con queste parole il ‘sogno’ finì.

§ 244 La carnagione arrossata dell’Uomo mi fece credere durante questa rivelazione

che si trattasse del Capostipite, già visto nella rivelazione del ‘peccato originale’,

adulto e ravveduto, volonteroso di riparare l’errore commesso in gioventù, mentre si

prodigava per questi nipoti ibridi discendenti di Caino. Perciò fino al 1974 lo

chiamavo ‘Santo Adamo’. Ma poi, dopo la settima rivelazione nella quale assistetti

alla sua ribellione contro Dio, capii che Adamo tanto santo non era e che non si era

pentito. E, cosa che allora non mi fu evidente, ma che invece notai qualche anno dopo

facendo un raffronto con le rivelazioni che ho avuto successivamente, capii che alcune

caratteristiche di questi esseri non erano quelle degli ancestri puri. Questa piccola

comunità aveva caratteri più umanizzati rispetto alla prima famiglia degli ancestri,

come ad esempio: a) ‘un inizio di naso’ che copriva parzialmente le fosse nasali ed

‘orecchie meno lunghe’, b) una certa ‘armonia e coordinamento nei movimenti’, c)

una ‘maggior intelligenza’, d) una ‘statura non omogenea’ ma differenziata tra i

maschi adulti e mediamente ‘più alta’, e) una ‘destrezza manuale più umana che

animale’ e f) soprattutto l’uso della ‘parola’. Da queste considerazioni dedussi che

erano passate molte generazioni dalle scene delle rivelazioni precedenti e successive e

che quel Gigante non poteva essere il Capostipite ma un discendente puro di Set, forse

Lamech, non ovviamente l’omonimo discendente di Caino a cui è attribuito ‘il canto

della spada’ (Genesi 4,23-24).

(Nota della curatrice) È sconcertante pensare che un uomo potesse aver perso la

perfezione originaria da non sembrar più un uomo e aver assunto un aspetto simile a

bestia. Eppure, se Caino era un uomo, anche questi esseri pelosi erano ‘uomini’.

Essere ‘uomo’ o ‘figlio degli uomini’, è la stessa cosa: significa essere solamente

‘discendente di Adamo’ tramite il ramo di Caino, cioè ‘ibrido’, e non essere più ‘Figlio

legittimo di Dio’. Oggi siamo tutti per nascita figli degli uomini, ossia figli di Caino e ‘figli

di Eva’ e perciò ‘esuli’ dal Regno spirituale di Dio, come recita la Salve Regina. Non

aveva voluto Adamo dei figli tutti suoi? Tragicamente ci è riuscito! Dio infatti era stato

escluso per volontà esplicita dell’Uomo dal loro concepimento.

(Gesù per umiltà si professava ‘Figlio dell’Uomo’ per dirci che voleva condividere con

gli uomini le loro sofferenze, ma si proclamò ‘Figlio di Dio’ all’inizio della Passione

quando fu necessario chiarire la sua Identità.)

L’ultimo colloquio

OTTAVA RIVELAZIONE: ricevuta a Chies d’Alpago nel 1974

“O Padre Santo, a tutti sei venuto incontro perché coloro che Ti cercano Ti

possano trovare”

§ 245 Stavo spalmandomi sul collo, sotto la mandibola sinistra, un pizzico di calce

bianca, l’unico medicamento che mi toglieva subito il prurito ed essiccava le

vescichette che da parecchi anni, 40 per la precisione, mi venivano provocate dal

bordo del collare di celluloide, collare semplice e non doppio perché più facile da

essere lavato. Mi vennero in mente le parole di Giobbe: “Manus tuae fecerunt me et

plasmaverunt me totum in circuitu”, le Tue mani mi plasmarono totalmente, e intanto

la calce si scioglieva fra le dita e mi colava sul palmo e sulla veste nera. Dovetti

smettere e pensare a lavarmi. Così, d’improvviso, mi venne fatto di esclamare con un

po’ d’ironia verso coloro che prendono alla lettera il testo della Genesi:

– Signore, vi siete lavato le mani dopo aver fatto l’Uomo col fango della terra? – Non

avevo affatto l’intenzione di tentare Dio; piuttosto, era un po’ di sarcasmo contro

molti biblisti che interpretano ancora il racconto della Genesi in senso letterale.

Ma “Egli si lascia trovare da quanti non lo tentano”, dice il Libro della Sapienza. Con

mia grande sorpresa sentii rispondermi:

– NON ME NE SONO LAVATO LE MANI. GLI HO SEMPRE VOLUTO BENE (Isaia

57,17-21).

HO ASPETTATO PER VEDERE COME SI SAREBBE COMPORTATO ‘QUESTO

ANIMALE DELLA NUOVA SPECIE’ E VIDI CHE ANDAVA COPRENDOSI SEMPRE

PIÙ DI NUOVE SOZZURE FINO A PERDERE LA MIA IMMAGINE E

SOMIGLIANZA E OGNI DIRITTO ALL’ETERNITÀ. –

§ 246 Disse altre parole il cui senso era quello del Salmo 80:

– HAI GRIDATO A ME NELL’ANGOSCIA E TI HO LIBERATO.

ASCOLTA POPOLO MIO, TI VOGLIO AMMONIRE:

NON CI SIA IN MEZZO A TE UN ALTRO DIO, NON PROSTARTI AD UN DIO

STRANIERO!

MA IL MIO POPOLO NON MI HA ASCOLTATO E IO LO HO ABBANDONATO

ALLA DUREZZA DEL SUO CUORE. CHE SEGUA IL PROPRIO CONSIGLIO! –

§ 247 Continua ancora la Voce seguendo ora il Salmo 88,33-35:

– PUNIRÒ CON LA VERGA IL LORO PECCATO E CON FLAGELLI LA LORO

COLPA, MA NON GLI TOGLIERÒ LA MIA GRAZIA E LA MIA FEDELTÀ NON

VERRÀ MAI MENO.

NON VIOLERÒ LA MIA ALLEANZA, NON MUTERÒ LA MIA PROMESSA,

PERCHÉ RICORDERÒ SEMPRE LA MIA ALLEANZA CHE È FRA ME E VOI. –

§ 248 Disse altre parole che mi sfuggirono perché, a questo punto, sentii una

moltitudine di voci vicine e lontane, che risuonavano alte e basse, ma tutte concordi in

un’unica armonia, come fossero in una immensa cattedrale e dicevano:

– NOI TI LODIAMO, PADRE SANTO, PER LA TUA GRANDEZZA;

– TU HAI FATTO OGNI COSA CON SAPIENZA E AMORE; A TUA IMMAGINE E

SOMIGLIANZA HAI FORMATO L’UOMO;

– ALLE SUE MANI OPEROSE HAI AFFIDATO L’UNIVERSO, PERCHÉ

NELL’OBBEDIENZA A TE, SUO CREATORE, ESERCITASSE IL DOMINIO SU

TUTTO IL CREATO. –

§ 249 A questo punto l’immenso coro tacque e sentii la voce di due sole Donne

continuare seguendo le parole del Canone quarto della Messa:

– E QUANDO, PER LA SUA DISUBBIDIENZA, L’UOMO PERSE LA TUA

AMICIZIA55 , TU NON L’HAI ABBANDONATO IN POTERE DELLA ESTINZIONE E

DELLA MORTE56 , MA, NELLA TUA MISERICORDIA, A TUTTI SEI VENUTO

INCONTRO, PERCHÉ COLORO CHE TI CERCANO TI POSSANO TROVARE. –

§ 250 Qui tacque la voce più grave della prima Donna e rimase solo quella della

Vergine Maria, più alta e sonora che avevo già sentita, insieme all’altra, la notte del

15 agosto 1972.

55

L’Uomo puro non poteva perdere l’immagine di Dio (la ‘capacità’ di intendere e di volere) né la

Somiglianza con Dio (lo Spirito di Dio, ‘elemento costitutivo’ ed essenziale della sua persona), ma poteva

perdere il buon rapporto con Dio, la Sua amicizia. Solo gli ibridi, perdendo l’immagine di Dio, hanno perso

di conseguenza anche la Somiglianza con Dio, lo Spirito.

56

Qui ‘l’uomo’ non è più Adamo ‘il Figlio puro di Dio’, o ‘i Figli puri di Dio’, i discendenti legittimi,

come al versetto precedente, ma l’uomo ibrido, l’umanità intera.

– MOLTE VOLTE HAI OFFERTO AGLI UOMINI LA TUA ALLEANZA E, PER

MEZZO DEI PROFETI, HAI INSEGNATO A SPERARE NELLA SALVEZZA.

PADRE SANTO, HAI TANTO AMATO IL MONDO DA MANDARE A NOI, NELLA

PIENEZZA DEI TEMPI, IL TUO UNICO FIGLIO COME SALVATORE. –

§ 251 Da principio credetti che queste due voci fossero quelle di Sacerdoti

concelebranti in qualche parte del mondo, poiché la prima aveva un tono basso da

contralto che poteva quasi sembrare la voce acuta d’un uomo. Quando sentii la

seconda voce, quella della Madonna che aveva una voce più alta, mi chiesi come mai

una Donna potesse interferire nel Canone della Messa, come se si trattasse di una

lettura che c’è prima del Vangelo. In seguito ho capito che queste parole erano la

risposta alla mia scherzosa domanda: “Signore, Vi siete lavato le mani...?”, alla

quale mi rispose direttamente in senso metaforico e poi, per mezzo delle Sue Celesti

Messaggere. Sentivo le voci continuare il coro anche durante il rumore che faceva

l’acqua nel lavandino mentre lavavo la lametta da barba e la relativa macchinetta. Le

sentivo anche mentre uscivo dalla stanza e andavo di fretta a prendere la corriera.

Pensavo di rileggere, sul messalino, quella preghiera e meditarla. “Che bello sapere

che anche la Chiesa Trionfante si unisce alla Chiesa Militante nel lodare Dio con le

stesse parole!”. Raccontai il fatto ai Confratelli congregati, ma non riuscii a

raccontare l’ultima parte perché, a loro parere, sognavo ad occhi aperti. Ma ero e

sono sicuro che “Colei che benignamente al dimandar precorre” ha cominciato e

terminato con le Sue parole questa bella vicenda.

§ 252 Ritornai col pensiero alla grande visione di due anni prima e compresi che c’era

uno stretto rapporto con questo messaggio. Il Maestro, volendo insegnarmi a

“leggere e interpretare la bibbia” (§ 49), non ha cominciato dalle parole: “in

principio Dio creò”, ma ha puntato direttamente sull’Uomo che è lo scopo e il vertice

della Creazione. Così mi fece vedere prima l’Uomo, il primo, nel suo habitat, nella sua

bella figura, nella sua giovane età quando divenne padre, poi, un paio di anni più

tardi, quando peccò e, infine, quando divenne adulto e quando incanutì in conseguenza

dell’assassinio di Abele. Prima di farmi vedere la Donna, volle ricapitolare tutta

l’opera della creazione per farmi comprendere che questa è l’esecuzione nel tempo di

‘un progetto unitario dall’Alfa all’Omega’, stabilito fin dall’eternità. Disse: “per

l’uomo”. “in vista dell’uomo. di tutti gli uomini. perché vedessero e capissero” (§ 73).

Fin qui l’opera del Creatore era riuscita molto bene, perché guidata dalla Sua

Volontà.

Da quel momento in poi il Creatore ha delegato il Suo dominio all’Uomo sopra tutte le

creature dell’universo. E perché potesse esercitare correttamente, cioè nell’ordine,

quella missione, gli aveva dato intelligenza perfetta e libera volontà: quindi lo aveva

reso responsabile.

Una sola proibizione: “Non devi generare da quell’unica ed eccezionale femmina

della specie sub-umana, altrimenti sconvolgerai tutto l’ordine che ho stabilito e

rovinerai la tua discendenza fino all’imbestialimento completo, cioè all’estinzione

dell’umanità pura”.

Non era il caso che venisse impartita al giovanissimo Progenitore una lezione sulla

microbiologia genetica, sull’ibridazione e sulle tare ereditarie.

Era sufficiente, a buon intenditore, sapere che, violando quell’ordine, avrebbe causato

la desolazione e la morte della specie pura dei ‘Figli di Dio’ e di conseguenza la morte

spirituale di ogni suo discendente ibrido.

Il Primo Uomo all’età di 15 anni era pienamente responsabile. Già a 12 anni di età gli

Ebrei erano soggetti alle leggi. Gesù stesso si era assoggettato ad esse e ‘abbandonò il

padre e la madre’ per fare la volontà del Padre Celeste: atto di ubbidienza pubblica, in

contrapposizione all’atto di disubbidienza di Adamo.

“... fare la volontà del Padre mio” sono le prime ed uniche parole di Gesù dalla

nascita alla vita pubblica che ci vennero riferite dai Vangeli, e non casualmente, bensì

con uno scopo certamente didattico.

Il salto di natura

§ 253 Ora l’uomo, rievoluto dallo stato selvaggio, redento nelle sue facoltà

psicofisiche, recuperato, risuscitato dallo stato bestiale, rigenerato attraverso continui

atti di guarigione psicofisica a livello genetico (vedi l’importanza del Sacramento del

Matrimonio in cui il patto non è fra gli sposi, ma fra ‘la coppia’ e Dio), reso capace di

conoscere ed amare Dio per il recupero parziale delle facoltà conoscitive ed intellettive

proprie dell’Uomo integro, è chiamato a fare il ‘salto di natura’, cioè a passare dallo

stato di natura visibile, sensibile e degli istinti naturali, a quello trascendente,

ultrasensibile, spirituale, soprannaturale di figlio di Dio, assumendone il modo di

pensare e di esprimersi, che è l’amore, per diventare erede della Vita eterna in

Comunione con Dio.

“Dedit eis potestatem filios Dei fieri” disse Giovanni (1,12). Ossia: “Gesù diede agli

uomini l’opportunità di diventare, da semplici creature di Dio, figli (adottivi) di Dio”.

Egli, unico Redentore, ha offerto all’uomo questa possibilità, alle condizioni espresse

nel suo Vangelo e lo chiama, lo precede, lo aiuta a giungere a questo incontro col

Padre, a questo abbraccio paterno attraverso la sua Grazia, perché “Chi ha creato te

senza di te, ti ha visto ancor prima della creazione del mondo e fin da allora ti ha

amato, ma non può salvarti senza la tua cooperazione”57. surge et ambula! Alzati e

cammina! Scuotiti e datti da fare!

5_ S. Agostino.

Schema riassuntivo

Per comprendere meglio lo sviluppo delle conoscenze di don Guido, forse è bene fare

un quadro riassuntivo di tutte le rivelazioni avute e ricapitolare quali sono stati in totale

gli apprendimenti avuti in ordine di successione che, come è stato detto fin dall’inizio,

non sono nello stesso ordine con cui le troviamo in questo testo.

* I rivelazione ricevuta nel 1968 (sotto forma di locuzione interiore): apprende che

l’unico carattere ‘umano’ di Caino è ‘la parola’. Da qui viene a don Guido la certezza che,

se l’Uomo è stato creato perfetto come è detto nella Genesi e Caino non ha l’aspetto

umano, a monte c’è stato un problema di ibridazione genetica.

* II rivelazione ricevuta nel 1970 (I ‘sogno profetico’): apprende che il ‘peccato

originale’ è stato commesso ‘solo’ dall’Uomo.

* III rivelazione ricevuta nel 1970 (II ‘sogno profetico’): con la ‘morte di Abele’

comprende che, con il peccato originale, la violenza e le deviazioni sessuali erano

entrate nell’uomo. Non capisce però che la vittima era Abele e pensa che questi, per la

sua tenera età, sia un discendente di Set.

* IV rivelazione ricevuta nel 1970 (III ‘sogno profetico’): vede le prime

generazioni di ibridi: gli uomini della preistoria simili agli ominidi.

* V rivelazione ricevuta nel 1972 (‘la grande visione’): vede la nascita

dell’Universo, della Terra, della Luna e della prima Donna. Infine gli viene detto dal

Signore che quella femmina ancestre, che ha messo al mondo la Bambina, è eva,

e gli viene fatto notare che è la stessa protagonista del ‘peccato originale’. Il Signore gli

dice pure che eva è l’‘capo di ponte’ fra le due specie, ossia ‘la madre di tutti e due’ i

primi soggetti del Genere Umano.

* VI rivelazione ricevuta nel 1974 (IV ‘sogno profetico’): assiste all’‘ultima cena di

Abele’ e capisce la vera identità di Caino e Abele.

* VII rivelazione ricevuta nel 1974 (V ‘sogno profetico’): è la rivelazione con cui il

Signore gli spiega che responsabile indiretto della morte di Abele è l’Uomo per aver

generato contro il volere di Dio Caino, un irresponsabile. Il Signore gli conferma inoltre

che il ‘sogno’ del ‘peccato originale’ era autentico e che quindi la Donna era

completamente estranea a quel ‘peccato’ perché in quel momento ella aveva solo un

paio d’anni. Per cui la responsabilità era da addebitarsi interamente all’Uomo. Capisce

inoltre la profonda ribellione dell’Uomo a Dio e la sua mancanza di

pentimento.

* VIII rivelazione ricevuta ancora nel 1974 (sotto forma di locuzione interiore) in

cui comprende il vero Amore di Dio e il suo misericordioso progetto di Redenzione per

l’uomo ibrido. Termine delle rivelazioni.

* Nel 1982 durante l’ultima stesura del manoscritto avvengono nuovi interventi

del Signore che gli ripropone la visione di alcune scene già viste nelle visioni precedenti

per correggere le sue errate interpretazioni o convinzioni. Da queste ultime, fra l’altro,

capisce che gli ancestri erano miti ed obbedienti ausiliari dell’Uomo, e che

l’istinto della violenza era entrato nell’uomo ibrido come conseguenza dello squilibrio

genetico dovuto al ‘peccato originale’.

A partire dal 1982 inizia la revisione dei suoi scritti sotto una luce nuova e redige

l’ultima stesura.

Appendice

di Renza Giacobbi

Credo sia bene dare al lettore alcuni elementi utili perché possa comprendere meglio i

motivi che hanno indotto il Signore ad intervenire, in questi anni e non prima, per

spiegare ciò che nella Genesi mosaica è espresso solo ‘in nuce’.

Come collocare la Genesi rivelata a don Guido Bortoluzzi nell’ambito della

Teologia e della Scienza

L’origine dell’uomo, uno dei problemi più affascinanti e coinvolgenti di questi ultimi

secoli, è stato al centro di aspre polemiche fra uomini di Fede e di Scienza. Diamo una

veloce carrellata. Nel ’700 un grande filosofo e scienziato naturalista francese, George

Louis Leclerc conte di Buffon (1_0_-1_88), nominato nel 1_39 intendente del

Gabinetto del re di Francia Luigi XV, titolo paragonabile oggi a un ipotetico ministro

delle scienze per le ricerche botaniche, pubblica l’opera “L’Histoire Naturelle Générale

et Particulière” in 44 volumi, editi in più di una ventina d’anni, in cui ribadisce

fermamente la stabile definizione di ogni specie. In particolare sostiene la tesi della

creazione dell’Uomo perfetto, corrotto successivamente a causa di un probabile peccato

di ibridazione con una specie inferiore. Visto il periodo in cui vive, viene erroneamente

scambiato per un illuminista anziché per un uomo illuminato. Don Guido, al termine

delle rivelazioni, pensa che anche Leclerc abbia avuto qualche esperienza mistica simile

alla sua, ma che egli non abbia osato parlarne per timore di veder vanificata la sua opera

scientifica. Un secolo più tardi, nel 1859, Darwin pubblica la sua opera “L’origine delle

specie” in cui afferma che l’uomo deriva dalla scimmia. Lo scalpore negli ambienti

cristiani è grande perché questa affermazione contraddice la Bibbia. Nel 1860 viene

indetta a Colonia una Conferenza Episcopale, chiamata ‘Concilio di Colonia’. Sette

Vescovi si riuniscono per discutere su questo argomento della massima importanza per la

Fede. La posizione dei Vescovi si divide. Alcuni difendono la Bibbia nella sua integralità

perché sostengono che la Parola di Dio è infallibile; altri, i più, pur accettandola come

Parola di Dio, pensano che la Bibbia vada letta con senso critico ritenendo che essa non

debba avere necessariamente i requisiti di libro scientifico o storico, ma che tratti

principalmente i rapporti di Dio con il Suo popolo. Un secolo dopo, nel 1960, a Nimega

in Olanda, alcuni teologi e Vescovi si riuniscono nuovamente per chiarire e decidere una

posizione comune sullo stesso tema. Nel 1967, viene promulgato un documento, ‘Il

Catechismo Olandese’, approvato quasi all’unanimità dai Vescovi olandesi, in cui

sostanzialmente si accoglie l’ipotesi evoluzionista. Questa pubblicazione segna una grave

ferita nella Chiesa Cattolica. Nel frattempo la Chiesa aveva introdotto come chiave di

lettura della Bibbia ‘i generi letterari’ spiegando che molti episodi, specie quelli dei primi

capitoli della Genesi, non hanno una valenza scientifica o storica, ma riflettono concetti

e fatti, spesso allegorici, che possono essere catalogati in ‘miti’, ‘leggende’, ‘saghe’, ecc.

Vengono tuttavia ribaditi alcuni principi irrinunciabili per la Fede come: a) la creazione

quale opera di Dio, b) la monogenesi della specie umana, c) l’esistenza dell’anima creata

direttamente da Dio e d) la presenza di un peccato di origine, peccato misterioso di

disobbedienza e di ribellione a Dio, che ha compromesso tutto il genere umano. Cosa

accade in campo scientifico? Darwin apre la strada all’evoluzionismo che si sviluppa

principalmente nel Nord America. Secondo questa teoria il caso determina delle

mutazioni dei geni e dei cromosomi le quali gradualmente trasformano i caratteri delle

specie favorendo gli individui più idonei a superare la selezione naturale. Le specie non

sono più definite, ma in continua evoluzione. Gli evoluzionisti si illusero d’aver trovato

la formula della creazione focalizzando la loro attenzione soprattutto sui reperti

archeologici dell’uomo, che presentano effettivamente un quadro di progressiva

evoluzione passando da forme ancestrali a forme sempre più evolute fino a quelle dei

giorni nostri. Essi non potevano però sapere che il fenomeno evolutivo riguardante

l’uomo era un caso a sé stante: ciò che appariva ai loro occhi non era un’evoluzione,

bensì un lento recupero a seguito di un precedente decadimento avvenuto per un

problema di ibridazione della specie. Essi perciò estesero erroneamente le loro deduzioni

alle altre specie e ne costruirono artificiosamente una teoria.

È chiaro che se fosse stato ‘il caso’ e non Dio a determinare il sorgere di nuove specie, il

ruolo di Dio-Creatore sarebbe risultato inutile. Perciò la teoria evoluzionista porta

all’ateismo e pone la Scienza contro la Fede.

Di fronte alle affermazioni evoluzioniste uno scudo di protesta si è alzato dai

creazionisti di credo cristiano evangelico. Sempre negli Stati del Nord America gruppi di

studiosi di alcune università canadesi e statunitensi si impegnarono per smentire la

fondatezza scientifica dell’evoluzionismo e, applicando metodi statistici rigorosamente

matematici e una seria osservazione di tutte le altre specie, dimostrarono l’infondatezza

della teoria evoluzionista. Ad essi diede definitivamente ragione la scoperta del DNA

che, possedendo un particolare sistema di difesa dei caratteri originari di ciascuna specie,

elimina automaticamente ogni significativa variazione che entri casualmente nel

patrimonio genetico.

I creazionisti, tuttavia, mostrarono i loro limiti nella interpretazione rigorosamente

letterale della Bibbia per cui i frutti del loro lavoro vennero vanificati da critiche

altrettanto mordaci e giustificate che vennero rivolte loro.

Purtroppo oggi la cultura di massa si è ovunque uniformata alla tesi evoluzionista nella

misura in cui l’umanità si è andata adeguando ad una mentalità laicista. Ciò non toglie

che l’evoluzionismo sia uno dei più grandi abbagli della storia scientifica moderna.

Mentre in America gli studiosi si andavano accapigliando su posizioni diametralmente

opposte e inconciliabili, in Europa si è andato delineando un filone di pensiero

intermedio, il cosiddetto ‘teismo evoluzionista’. Questa teoria, sviluppatasi

essenzialmente in ambienti cattolici, cerca di ripristinare il ruolo di Dio come Creatore

pur ammettendo in qualche modo l’evoluzione delle specie. Questa strada più moderata

ha visto distinguersi correnti diverse alle quali accenno brevemente.

a) Pierre Teillhard de Chardin (1881-1955) propone la cosiddetta ‘evoluzione guidata’,

espressione puramente teorica perché non scende nel concreto. Essa si rifà in sostanza

alla tesi evoluzionista in cui Dio ha solo una funzione di guida, come dice la stessa

espressione. Questa teoria ha trovato in passato grandi consensi nell’ambiente

ecclesiastico.

b) Una seconda teoria è quella assunta dall’Ateneo Bolognese. Alla Facoltà di

Antropologia di questa Università il prof. Fiorenzo Facchini insegna che Dio diede un

‘input iniziale’ alla Sua creazione perché fosse in grado di evolversi indipendentemente

ed autonomamente e, quando l’uomo raggiunse una adeguata evoluzione, Dio gli infuse il

Suo Spirito. Dal punto di vista scientifico e teologico, anche questa teoria presenta dei

limiti: all’attenzione costante di Dio e a tutti i Suoi interventi creatori si sostituisce un

automatismo che conduce la natura ad evolversi spontaneamente dove l’ambiente e la

selezione operano in un loro ruolo autonomo. L’intervento di Dio sulla realtà psicofisica

dell’uomo si esaurisce dunque nell’atto creativo iniziale. In pratica Lo si estromette da

ogni intervento successivo. Che cos’è questo se non un compromesso fra teologia ed

evoluzionismo?

c) Il nuovo ‘Catechismo della Chiesa Cattolica’ (1992), scrive che l’Uomo, maschio e

femmina, fu creato da Dio e fa un riferimento implicito alla monogenesi. Dice che

l’uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio, ma omette di dire che il primo Uomo

fu creato nella sua massima perfezione. I tre requisiti, perfezione, immagine e

somiglianza di Dio, non sono equivalenti. Un bacterio è stato creato perfetto, un

coniglio, o un orso, o un pollo sono stati creati perfetti, ma non sono stati creati né ad

immagine, né a somiglianza di Dio. Invece l’Uomo è stato creato sia perfetto, che ad

immagine e somiglianza di Dio. Al contrario l’uomo di Neanderthal non era né perfetto,

né ad immagine e somiglianza di Dio, mentre l’uomo odierno, pur non essendo perfetto,

ha riconquistato parzialmente l’immagine di Dio e, nei casi più favorevoli, anche la Sua

somiglianza. Dice tuttavia che fu creato buono, in totale armonia con il Suo Creatore e

con la natura. Riguardo al peccato originale, dice che questo fu un peccato di

disobbedienza e di mancanza di fiducia in Dio pretendendo l’Uomo di diventare come

Dio e che, a seguito di tale peccato, venne spezzata l’armonia con Dio e la Sua

creazione. Infine afferma che questo peccato è stato trasmesso a tutta l’umanità ‘per

propagazione’, espressione vaga che tuttavia non esclude di per sè la via genetica. Si

direbbe che il C.C.C. (Catechismo della Chiesa Cattolica) non intenda di proposito

prendere alcuna posizione definitiva sull’entità di questa misteriosa caduta, lasciando

aperta la porta ad un’eventuale luce dal Cielo e permettendo in seguito alla Scienza di

pronunciarsi in modo più convincente. Infatti, con i pressanti interrogativi dell’uomo

moderno su questi temi vitali, le sue spiegazioni risultano giuste, ma insufficienti. D’altro

canto è comprensibile che la Chiesa non potesse pronunciarsi con asserzioni più definite,

visto che doveva testimoniare la Genesi mosaica, decisamente antievoluzionista, e che

una grande incertezza permane proprio nella Scienza odierna.

d) Altra posizione, che si avvicina a quella creazionista, è quella della Facoltà di

Medicina dell’Università di Urbino. Qui già si entra in campo scientifico e si dà a Dio il

ruolo di Diretto Operatore e si scende nella concretezza quando si afferma che Dio

interviene sulle cellule germinative durante il concepimento del primo e del secondo

esemplare di ogni nuova specie, compresa quella umana. Però la visione di questa scuola

predilige la tesi della ‘modificazione’ di ciò che già esiste. Questa teoria assume i

caratteri dell’‘innovazione’ piuttosto che della ‘creazione’. Il suo Autore è il più vicino

alla realtà, ma interpreta troppo liberamente il processo creativo. Non si capisce perché

il ruolo di Dio debba limitarsi a ‘modificare’ ciò che già esiste quando per Dio-Creatore

non ci sono barriere al ‘creare’ ciò che Egli desidera mettere in atto. Pare ci sia una

inconscia volontà di non considerare la possibilità che Dio operi creando, cioè facendo

dal nulla. Forse per uno scienziato questa espressione suona come un’ingenuità.

Creare con il solo Pensiero Volitivo è quanto è espresso nella Genesi mosaica. È quello

che Dio ha sempre fatto da quando decise di porre in essere il creato stesso e poi la vita.

Creare, come diceva il Catechismo di Pio X, significa ‘fare dal nulla tutte le cose’.

Questo è lo spirito di tutta la creazione nei primi capitoli della Genesi mosaica e di quella

rivelata a don Guido.

Creare è uno dei requisiti fondamentali di Dio. Perché ora si vuole mettergli dei limiti?

Non è forse questa una sorta di contestazione dovuta al nostro diffuso pensiero laicista?

Parlare di ‘modificare’ oppure di ‘creare dal nulla’ quando il risultato è lo stesso sembra

un particolare poco importante, una quisquilia insignificante e puramente accademica,

ma non è così. Dio non trasforma, Dio crea!

Dalla cultura diffusa su tutto il pianeta abbiamo appreso alcuni principi della chimica e

della fisica che hanno sottilmente minato il concetto di ‘creazione dal nulla’.

L’enunciato di Lavoisier che dice che “nulla si crea e nulla si distrugge” oppure quello di

Einstein che l’energia è riconducibile alla materia e viceversa, hanno convinto

l’opinione pubblica che tutto subisce solamente una trasformazione. A nessuno è venuto

in mente che queste e tutte le altre leggi della natura riguardano unicamente ‘ciò che è

già stato creato’ e non valgono per la creazione stessa, mentre Dio continua a creare

galassie ed universi nuovi. Rimaniamo in umiltà di fronte al nostro Creatore!

Come facciamo allora ad essere tanto sicuri che Dio sia intervenuto direttamente

‘creando’ e non trasformando i cromosomi che diedero origine al primo Uomo e alla

prima Donna? Semplicemente ponendo l’attenzione su ciò che il Signore ha fatto vedere

a don Guido e che troviamo descritto nella terza parte della grande visione. Gli mostrò in

forma allegorica, riguardo al concepimento della prima Donna, come per la creazione

della sua prima cellula, sia stato calato dall’alto un punto piccolissimo e luminoso (il

gamete femminile creato in quell’attimo da Dio) per andarsi ad annodare a ciò che già

esisteva: il gamete maschile reso disponibile dall’Uomo. Dio avrebbe potuto creare

simultaneamente entrambi i gameti anche per il concepimento della Donna come aveva

fatto per l’Uomo, ma non lo fece perché l’Uomo doveva essere padre della Donna e,

gerarchicamente, il Capostipite di tutto il genere umano.

Questo particolare, di grandissima importanza teologica e scientifica, dimostra che Dio

non trasformò un gamete già esistente appartenente ad un individuo di una specie

precedente, ma lo creò dal nulla e lo pose nel posto adatto. Per analogia, possiamo

dedurre che per creare la prima cellula dell’Uomo compì lo stesso procedimento, solo

che, invece di creare un gamete soltanto, li creò entrambi. E, sempre per analogia,

possiamo estendere questa modalità alla creazione di qualunque altra specie, in cui Dio

creò prima il primo esemplare (con la creazione di entrambi i gameti), poi l’altro ( con

la creazione di un solo gamete poiché il secondo gamete era già presente essendo

naturalmente prodotto dal primo esemplare), così che i primi due individui della specie

desiderata ne divenissero i progenitori.

L’ evoluzionismo e la rivelazione

Eccettuato l’intervento creatore divino, la rivelazione ricevuta da don Guido condivide

le tappe dello sviluppo della vita in genere, che parte dagli stadi più semplici fino a

giungere a quelli più complessi ed evoluti, così come viene proposta dagli evoluzionisti,

ma supera i loro limiti riguardo alla modalità della creazione delle specie, e alla datazione

della comparsa dell’Uomo. Infatti questa rivelazione, oltre a ribadire che l’Uomo venne

creato con il massimo grado di perfezione e non già in via di evoluzione, afferma che la

sua comparsa avvenne come conclusione all’epoca della creazione dei grandi mammiferi,

ossia in un tempo di gran lunga antecedente a quello supposto. Fu l’ibridazione della specie

pura a sviare le conclusioni delle osservazioni sui reperti archeologici i quali non

chiarivano se appartenessero a esemplari provenienti dalla parabola discendente in via di

regressione o a quella ascendente in via di ‘ricostruzione’, cammino quest’ultimo che

venne scambiato dagli antropologi per evoluzione.

Quello che inoltre in questa rivelazione si contrappone nettamente all’evoluzionismo

è che la Forza Motrice che fece apparire le infinite nuove specie non va ricercata nel

caso, ma nella Volontà Creatrice di Dio stesso.

La vera Scienza, comunque, si sta già avviando da qualche anno ad una critica severa

dell’evoluzionismo fondamentalista, o neoevoluzionismo, e sta mettendo sotto accusa

attraverso la matematica e il calcolo delle probabilità quei principi di casualità che hanno

fatto la fortuna di quella teoria e che hanno tolto tanto terreno alla fede in Dio Creatore.

Il fatto che in natura appaiano tante specie simili non smentisce questa rivelazione a

favore della tesi evoluzionista, perché Dio operò infiniti interventi creativi. Come

spiegare allora i cambiamenti di molte specie dovuti all’ambiente? Gli adattamenti dovuti

all’ambiente sono sempre, e solo, compresi nell’ambito delle variabili già previste nella

specie stessa al momento della sua creazione. Mai comunque questi adattamenti possono

trasformare una specie in un’altra. La modifica resta sempre un semplice adeguamento

all’ambiente entro i limiti previsti in quella specie.

Ciò che piuttosto si evidenzia nella rivelazione è che l’ibridazione della specie si è

verificata a causa del peccato originale, o meglio, è il peccato originale stesso. Il problema

dell’ibridazione può sollevare una reazione in coloro che credono che tutti gli ibridi siano

sterili, ma nella realtà non tutti lo sono. Tra specie geneticamente vicine può accadere

che nasca una prole ibrida e molto spesso questa ha un alto grado di sterilità, vedi ad

esempio il mulo, ma talvolta, assai raramente, non è sterile, compreso il mulo. Nel caso

della specie umana il salto cromosomico fu consentito dalla presenza della femmina

ancestre che funse da ‘ponte’ fra le due specie, in quanto dotata eccezionalmente di 47

cromosomi. Per cui una discendenza umana ibrida divenne non solo possibile, ma reale.

Poi, con lo scorrere delle generazioni, gli individui con 46 cromosomi si affermarono

rispetto a quelli con 47 cromosomi perché dotati di maggior aspettativa di vita.

In natura esiste un caso singolare che potrebbe considerarsi un esempio di popolazione

con individui dotati di un diverso numero di cromosomi, esempio che dimostra che questa

situazione non è di per sé impossibile. Esiste a tutt’oggi un tipo di Lemuride, il ‘Lemur

fulvus fulvus’, che presenta una popolazione mista, in cui vivono in perfetta

interdipendenza individui, tutti vitali e fertili, con un diverso numero di cromosomi e,

cosa più importante, questi individui sono interfertili: come probabilmente è accaduto agli

esordi della specie umana, dove la comunità riscontrava individui con 46, 47 e 48

cromosomi. Se Eva ha trasmesso a Caino, che era uomo con 46 cromosomi come il padre,

l’aspetto di un ancestre, potrebbe aver trasmesso ai figli di Caino altri caratteri recessivi

ancestrali. Ne è esempio il pelo di Caino: Eva, pur non essendo pelosa, diede alla luce

Caino peloso come la nonna materna. Allo stesso modo Eva poteva trasmettere ai figli di

Caino il proprio numero di cromosomi (47), oppure quello della sua vecchia madre

brizzolata (48). Così anche Caino, pur avendo 46 cromosomi, poteva trasmettere il suo

proprio numero di cromosomi (46), o il numero di quelli della madre Eva (47) o della

nonna (48). Perciò, teoricamente, una popolazione ibrida mista era possibile. E mentre gli

incroci fra individui con 46 e 48 cromosomi erano infecondi, quelli con 46 e 47, o quelli

con 47 e 48 erano fecondi. Dopo di che, con il passare delle generazioni, gli individui con

47 cromosomi andarono diminuendo per l’alto indice di instabilità del 47° cromosoma,

per cui i due gruppi, quello con 48 cromosomi e quello con 46, andarono separandosi e

differenziandosi.

Riflessioni sulla Genesi mosaica

Come conciliare questa rivelazione con la Genesi mosaica? Dobbiamo anzitutto

considerare che il Signore potrebbe aver tenuto con Mosè un linguaggio più semplice,

adatto alla cultura del suo tempo. In secondo luogo dobbiamo tener presenti alcuni

trascorsi storici della Parola ricevuta da Mosè.

Quando Dio rivelò a Mosè le origini dell’universo e la creazione dell’Uomo, il popolo

ebraico non aveva una sua propria scrittura. Dobbiamo scendere a poco prima del tempo

dei Re, intorno al 1000 a.C., per trovare le tracce del primo documento scritto in ebraico

che riguarda l’episodio di Debora nel Libro dei Giudici. Questo significa che fra i due

eventi, la rivelazione avuta da Mosè e la sua stesura al tempo di re Salomone (950), sono

trascorsi dei secoli, sia che si voglia datare Mosè intorno al 1250 a.C. come vuole la

tradizione, e ancor più se lo si data intorno al 1700 a.C., come sostengono gli storici più

recenti: tempo che in entrambi i casi sfida, per la mole complessiva dei cinque Libri del

Pentateuco, qualunque tradizione orale!

Dobbiamo anche tener conto che l’antica lingua ebraica era una lingua molto vivace

perché si compiaceva di usare allegorie, giochi di parole, espressioni idiomatiche, simboli,

immagini infantili che celavano però concetti profondi. Il linguaggio ebraico era quello di

un popolo intelligente che sapeva giocare con le espressioni e lasciare spazio

all’intuizione. È quindi limitativo e fuorviante fare esegesi biblica su una parola o su una

frase se il suo significato è allegorico!

Sappiamo poi che una qualsiasi lingua è in costante trasformazione, specialmente se

questa lingua non è ancorata alla scrittura. Una tradizione orale subisce molte

sollecitazioni culturali, storiche, ambientali che, con il passare del tempo, possono dare ad

un’espressione colorazioni che si discostano dal suo significato iniziale. Basta che un

termine con un significato preciso assuma a poco a poco una sfumatura diversa perché

diventi sinonimo di un altro termine che ha, grosso modo, un significato simile. Parole

come ‘femmina’, ‘donna’, o ‘moglie’ possono con il passare dei secoli esser state usate

inavvertitamente in modo improprio ed aver creato così una grande confusione che ha

travisato il senso del testo. È quello che probabilmente è accaduto quando, prima ancora

che esistesse la lingua scritta, questi termini diversi, ma simili, vennero usati come

sinonimi determinando la sovrapposizione delle due distinte identità femminili. Fu

probabilmente questo fatto che ha causato nella stesura del testo biblico al tempo dei Re

non poche confusioni che si sono andate perpetuando nei secoli.

Ma poiché Dio vigila sulla Sua Parola, possiamo supporre che Egli con questa

rivelazione abbia voluto riportare in asse ciò che già dai tempi remotissimi era stato

equivocato. E possiamo anche presumere che, se non è intervenuto prima d’ora, sia stato

perché volle aspettare che la Scienza fosse in grado di comprendere le modalità della Sua

creazione e le reali conseguenze del peccato originale.

Va fatto notare che questa rivelazione è assai meno distante sia dalla Genesi Mosaica

che dalla Dottrina Cristiana di quanto possa sembrare perché i suoi cardini fondamentali,

come l’intervento diretto di Dio in ogni atto creativo, la perfezione dell’Uomo originario

e la sua arrogante disobbedienza, disobbedienza che ha alterato l’equilibrio della creazione,

sono perfettamente rispettati. Quelle che sembrano a prima vista delle novità

inconciliabili trovano la loro spiegazione nella stesura del testo. È naturale pensare che

quando una cosa non viene capita, finisca per essere tralasciata e dimenticata. Ne è un

esempio la mancanza di una spiegazione della distinzione fra i ‘Figli di Dio’ e i ‘figli degli

uomini’ (Gn.6,2-4). Ciò fa pensare che ci siano altre lacune presenti nel testo mosaico a

noi pervenuto, lacune che solo talvolta hanno lasciato la loro traccia come in questo caso.

Questo è il vero motivo dell’incomprensione di alcuni passi della Genesi perché noi

leggiamo solamente ciò che rimane della vera rivelazione fatta a Mosè. Così si

spiegherebbe anche perché un’altra Genesi mosaica, quella che deriva dal copto e

anch’essa cristiana, abbia non pochi passi che si differenziano sia da quella attuale ebraica,

sia da quella cattolica, sia da quella rivelata a don Guido.

Se da un lato la Bibbia ci parla della creazione, ma non ci dice ‘come’ avvenne questa

creazione e dall’altro la Scienza moderna non è stata ancora in grado di capire ‘come’ Dio

abbia creato, questa rivelazione arriva quanto mai opportuna. Essa infatti è di

un’importanza immensa sia per la genetica, sia per la teologia.

Interventi del passato sulla Genesi mosaica

Poiché si è visto che applicando al Pentateuco (che comprende 5 Libri: Genesi, Esodo,

Levitico, Numeri e Deuteronomio) nuovi criteri di analisi che prendono in esame le

diversità di espressioni, di stile e di sensibilità dei vari brani, se non addirittura dei vari

versetti, alcuni biblisti sono giunti alla discutibile conclusione che il Pentateuco sia opera

di differenti autori,

o scuole di autori, che si sono succeduti nel tempo intrecciando i loro scritti fra loro.

Secondo costoro gli Autori più importanti sarebbero almeno quattro: l’Autore yahvista,

l’Autore eloista, l’Autore deuteronomista e l’Autore sacerdotale. Questi biblisti non

tengono conto però che, come dice la dottrina ebraica e la tradizione cristiana, l’intero

Pentateuco è opera di Mosè.

Ma poiché delle differenze di stili esistono davvero, si può avanzare l’ipotesi che esse

siano dovute a successivi interventi di rimaneggiamento mirati, nel corso dei secoli, ad

aggiornare il testo mosaico a sempre nuove esigenze culturali e linguistiche.

Questi ‘revisori’, per così dire, avrebbero operato come un restauratore che avesse

fatto scomparire l’originale lasciando tuttavia trasparire talvolta la traccia del suo

intervento. Questo spiegherebbe come mai vi siano nei primi capitoli della Genesi due

narrazioni della creazione e due del diluvio.

Abbiamo visto che il più antico documento di scrittura in ebraico arcaico è un piccolo

frammento che risale a poco più di un secolo prima dell’avvento dei Re e riguarda

l’episodio di Debora narrato nel Libro dei Giudici. Da ciò possiamo avanzare una prima

ipotesi che questo documento fosse un primo tentativo di scrittura in lingua ebraica.

Altra ipotesi è che accanto a questo campione di scrittura arcaica vi fosse l’originale

dell’intero Pentateuco andato perduto e che tutti e quattro i così detti ‘Autori’ non siano

altro che il frutto di ‘interventi’ massicci che sono stati fatti a macchia di leopardo

successivamente. Perciò, tenendo buona la distinzione fra stili proposta da Wellhausen1,

sostituiremo il termine ‘Autori’ con ‘interventi’e li chiameremo semplicemente: a) l’

‘intervento’ yahvista, che risale al tempo dei Re intorno al 950 a.C, detto così perché usa

il termine Yavè (Yhaweh o Yhwh) per indicare l’unico Dio; b) l’ ‘intervento’ elohista,

venuto circa un secolo dopo, che introduce il termine Elohim riferito alla Divinità; c)

l’‘intervento’deuteronomista, venuto un altro secolo dopo, così chiamato perché a lui si

rifanno la maggior parte dei capitoli del Deuteronomio; e infine

d) l’‘intervento’sacerdotale, indicato con la lettera S o con la lettera P (che è l’iniziale

del termine Priestercodex che in tedesco significa ‘codice dei sacerdoti’ o ‘codice dei

sacerdoti’) che opera durante e dopo la deportazione a Babilonia intorno al 550 a.C.

Per quanto riguarda il nostro campo di studio, ossia i primi sei capitoli della Genesi, noi

troviamo presenti solamente:

a) l’autore dell’intervento yahvista, che ha uno stile più sciolto, più vivace, più colorito a

cui si attribuiscono i racconti della creazione dell’Uomo e della Donna, del peccato

originale, del fratricidio di Caino, della distinzione fra i Figli di Dio e degli uomini, dei

giganti, e, più oltre, del diluvio, della torre di Babele, ecc. e

b) l’autore dell’intervento sacerdotale, posteriore a quello dell’intervento yahvista di

circa quattro secoli, che presenta uno stile più monotono, più schematico, più azionale

e che lascia trapelare una certa influenza della cultura e della filosofia babilonese. A lui

si attribuiscono la creazione del cosmo e della Terra, le genealogie, e più oltre una

seconda versione del diluvio, ecc. Ed ecco dove questo ragionamento vuole arrivare.

Abbiamo già accennato che la scrittura yahvista era ancora molto rudimentale. Essa

era composta da segni monosillabici corrispondenti alla radice dei vocaboli che

1

Julius Wellhausen, 1844-1918 scrisse i Prolegomeni: La Storia di Israele, 1883. Dà inizio alla ricerca

delle ‘fonti’ dei Testi Sacri.

potevano essere al tempo stesso sostantivi, aggettivi o verbi. Questa scrittura era priva di

vocali, di articoli, preposizioni, di punteggiatura e di spazi tra le parole. Una frase poteva

quindi essere interpretata in molte maniere ed assumere anche una decina di significati.

Doveva essere decodificata come ‘un rebus’. Perciò, al tempo della scrittura yahvista, la

lettura e l’interpretazione del testo dovevano essere affiancate dalla tradizione orale che

integrasse il testo e sopperisse a questa difficoltà. Questo compito era affidato alla classe

sacerdotale e agli scribi. Solo molto più avanti la scrittura si arricchì e si trasformò in

scrittura flessionale, ossia in una scrittura che fa corrispondere un segno ad ogni suono.

Ma una tradizione orale specializzata nel leggere ed interpretare dei Sacri Testi così

vaghi, lo si può ben intuire, è una scienza che può diventare molto fragile: basta una

smagliatura, come abbiamo visto, che immediatamente si crea il caos. Così un errore

d’interpretazione, avvallato da un linguaggio non univoco, può diventare una valanga di

errori. È quello che probabilmente è accaduto. Perché, in verità, è sulla distinzione e

precisazione di quei tre termini (donna, femmina, moglie) che verte il nocciolo di questa

nuova rivelazione che ha lo scopo di bandire ogni equivoco sui ruoli delle varie identità

femminili del testo yahvista, equivoco che, trascinatosi fino ai giorni nostri, ha impedito

una visione più realista del problema delle origini dell’Uomo.

Sappiamo poi che tutti questi scritti, yahvisti, eloisti, deuteronomisti e sacerdotali di

cui è composto il Pentateuco, furono fusi in un unico testo intorno al 430 a.C. e solo nel

5° secolo dopo Cristo furono rielaborati e trascritti nella scrittura ebraica odierna con

l’aggiunta delle vocali. Questo testo venne detto masoretico. Il risultato di questo immane

lavoro è il testo che attualmente viene letto e studiato nelle scuole di teologia.

Poi il Pentateuco, assieme agli altri Libri che formano la Bibbia, venne tradotto nelle

lingue classiche e infine in quelle odierne.

Quindi la Genesi mosaica che abbiamo fra le mani è il risultato di innumerevoli

interventi lungo il corso dei millenni, ciascuno dei quali ha lasciato il suo segno.

Il terzo capitolo della Genesi va riletto alla luce delle nuove conoscenz e

Di fronte alle mie perplessità di conciliare la nuova rivelazione con la lettura del Testo

biblico, don Guido mi spiegava:

– Tutto il brano mosaico del terzo capitolo della Genesi va considerato un brano

ermetico come l’Apocalisse, perché fu scritto in forma simbolica in cui la verità è stata

nascosta dietro molte allegorie. Senza dubbio questo ermetismo rientrava nel progetto di

Dio che aveva riservato la sua comprensione per i tempi nei quali l’umanità sarebbe

stata in grado di comprendere i meccanismi genetici e le loro implicazioni morali. Fu

dunque per Sua Volontà che solo oggigiorno venisse data al mondo la chiave di lettura

per la sua decodificazione per mezzo di questa rivelazione.

È il concetto di Eva quello che va riveduto nella tradizionale interpretazione del terzo

capitolo della Genesi. Eva, quella che la Bibbia chiama ‘la madre di tutti i viventi’, è lei

‘l’albero della conoscenza del bene e del male’, oggetto della proibizione del Signore,

albero selvatico che avrebbe potuto diventare ponte pericoloso fra le due specie perché

potenzialmente in grado di procreare, con i suoi 47 cromosomi, sia dagli ancestri che

dall’Uomo.

Da questo ‘albero selvatico’ l’Uomo, per volontà di Dio, generò ‘in bene’ la Donna

e, contro la volontà di Dio, generò ‘in male’ Caino. Dio, rispettoso della libertà che

aveva donato all’Uomo, si astenne in questa circostanza di intervenire con la sua opera

creatrice. –

Molto inchiostro è stato versato per tentare di spiegare il mistero dei versetti del

Terzo capitolo del testo mosaico e fortunatamente l’interpretazione letterale del

serpente, dell’albero e del frutto è stata già da lungo tempo abbandonata.

a) Per alcuni studiosi il ‘peccato originale’ è consistito nel sottrarsi da parte dell’uomo

o della prima comunità di uomini (in evoluzione, loro dicono) alle leggi della natura che

regolano negli animali i tempi e le stagioni della fertilità. Questa libertà rubata e ripetuta

all’infinito dai loro discendenti portò, secondo costoro, alla perdita della felicità. Essi non

considerano che Dio possa aver creato l’Uomo già diverso dagli animali.

b) Per molti, invece, ‘il peccato originale’ è considerato soltanto un peccato della

mente, causato dalla superbia, dall’autosufficienza e dalla disobbedienza dell’uomo.

Secondo costoro il peccato dell’uomo, e dell’umanità, è consistito nell’addentrarsi in

campi del sapere che non gli erano permessi.

* La creazione di una qualsiasi nuova specie animale

* La creazione della specie umana

Questo modo di interpretare il passo biblico appare alquanto riduttivo e fuorviante,

perché dà l’immagine di un Dio che, geloso dei propri segreti, mortifichi la creatura

umana nella sua naturale e legittima ricerca della verità. Partendo da questa

interpretazione nasce il dubbio che l’uomo possa mai essere felice avendo insito nella sua

natura il bisogno di conoscenza. Risulterebbe che Dio è un Dio distante, incomprensivo,

punitivo, un tiranno. Questo sarebbe un Dio imperfetto dal quale ci si dovrebbe difendere,

un Dio che ha più l’aspetto di una proiezione umana piuttosto che l’immagine del Dio

della Misericordia. Non sarebbe più Dio.

c) Altri ancora considerano l’espressione ‘albero della conoscenza del bene e del

male’ come il desiderio dell’uomo di crearsi un proprio concetto di bene e di male. Questo

atteggiamento presuntuoso sarebbe stato il cosiddetto ‘peccato originale’, peccato che è

sempre stato presente nell’animo umano fin dalle sue origini. Nel volersi appropriare da

parte dell’uomo di questa distinzione che spetta solo a Dio, essi dicono, consisterebbe il

vero peccato di superbia e di disobbedienza. Da questa disobbedienza, che in verità è

arroganza, nasce la presunzione di negare una ‘morale oggettiva’. Da qui alla ‘morale

relativa’, già avanzata da Voltaire, il passo è breve. Questa presunzione, che il Signore non

tollera perché è una morale che va contro l’uomo, sarebbe, secondo questi pensatori, il

nocciolo del ‘peccato originale’. In realtà quest’ultima interpretazione, alla luce di questa

rivelazione, è la più vicina alla verità perché l’autogiustificazione delle proprie

trasgressioni agli ordini di Dio porta inevitabilmente alla superbia e all’autosufficienza in

campo morale. Questi biblisti hanno il merito d’aver compreso che l’uomo non può

trovare la felicità quando esce arbitrariamente dalla legge di Dio. Ma non basta. Ora noi

sappiamo che il lato morale è solo un aspetto del ‘peccato d’origine’, che invece si è

attuato anche in un atto concreto.

d) Soltanto una minoranza di studiosi ha preso in considerazione il fatto che questo

peccato possa aver compromesso anche l’integrità fisica e psichica dell’uomo. Le

scoperte archeologiche relative all’evoluzione, che ora sappiamo trattarsi di una

regressione e di una lenta ricostruzione, avevano sviato il pensiero teologico e fatto

dimenticare che la Bibbia aveva enunciato che l’Uomo era stato creato con la massima

perfezione: era cosa ‘molto’ buona. Questa affermazione della Bibbia non era stata presa

in seria considerazione, perché pareva non potersi conciliare con l’imperfezione

dell’uomo attuale e tanto meno con quella dell’uomo preistorico. Il problema sembrava

insolubile e finiva per togliere alla Genesi credibilità e il requisito di ‘Parola di Dio’. Solo

una nuova rivelazione poteva darci la chiave di lettura di questo brano ermetico.

L’eredità di Caino

Caino è la chiave di lettura non solo della Genesi, ma della Bibbia intera. Caino è

nostro padre, ricordiamocelo, perché anche il ramo genealogico puro di Set finì per essere

inglobato da quello ibrido dei discendenti di Caino. Perciò tutto quello che riguarda Caino

riguarda anche noi.

Si domanda don Guido perché Caino sia così perverso se il padre è perfetto e gli

ancestri sono esseri buoni, più fedeli e mansueti del cane.

Senza dubbio lo squilibrio è dovuto alla distorsione genetica. A questo si aggiunga

l’intelligenza, sia pur ridotta, messa a servizio degli istinti non più regolati dalle sapienti

leggi programmate dal Creatore.

Questo sangue corrotto portatore di qualità negative, incomplete o distorte, “sarà il

demone per l’uomo” (§132). Dalle scimmie ha ereditato istinti deviati omosessuali.

Alcuni studiosi di comportamenti animali hanno affermato che la sodomia è tipica di

alcuni tipi di scimmie che mostrano con questo comportamento la loro supremazia fisica

su altri individui del gruppo.

I lupi o altri animali invece, quando sono vinti, si allontanano dal branco o si gettano a

terra supini scoprendo il collo indifeso alle zanne del vincitore che spesso, soddisfatto del

riconoscimento della vittoria, abbandona la lotta. Di certo Caino, oltre alla stizza per lo

smacco ricevuto nella scaramuccia durante ‘L’ultimo pasto di Abele’ e l’invidia, o la

gelosia, per la preferenza che il padre Adamo dimostrava per il figlio legittimo, voleva

provare la sua superiorità fisica sul fratellino a causa del suo grande complesso

d’inferiorità.

Da una statistica effettuata da uno studio degli Stati Uniti è risultato che il 10% della

popolazione della Terra è affetta da ‘tendenze omosessuali’. Dopo questa rivelazione,

capiamo chiaramente che questa distorsione psicosomatica è una delle tante tare ereditarie

derivate dalla bestia con il ‘peccato originale’.

Cosa possa fare la medicina per questo problema è difficile dirlo. Sicuramente molto

potrà fare l’educazione e la Redenzione attraverso i Sacramenti, specialmente

l’Eucarestia, visto che Gesù è venuto non per i sani ma per i malati.

Ciò che più impressiona oggi non è tanto il constatare la vastità di questo fenomeno

che è sempre esistito, quanto il permissivismo con cui viene accettato, perché sempre di

deformità si tratta. Questo modo di pensare denuncia una mentalità propria dei ‘figli degli

uomini’, e non dei ‘figli adottivi di Dio’. Purtroppo verso la fine degli anni ‘90 tali

deviazioni hanno finito per essere considerate, in alcuni Stati, un aspetto della libertà

personale e regolamentate come oggetto di diritto equiparandole alla normalità.

Il problema poi della pedofilia è un’anomalia sopra l’anomalia che ripete il peccato di

Caino.

Non per nulla la dottrina cristiana dice che ‘i peccati contro natura’ sono tra ‘i peccati

che gridano verso il cielo’2.

Dio vietò ad Adamo di eliminare Caino, sebbene con la morte di lui sarebbe finito ogni

problema di futura ibridazione dei Figli puri di Dio, perché solo Dio può disporre della vita

di un uomo. E Caino era uomo. Non era compito di Adamo fare giustizia.

Ma nemmeno Dio stesso intervenne ad eliminare direttamente Caino perché

evidentemente Adamo non si era pentito, e per questo le conseguenze del male commesso

dovevano far parte dell’economia redentiva anche di Adamo.

Infatti ogni guarigione individuale o collettiva, perciò anche quella della presunzione di

Adamo, doveva e deve passare attraverso la sofferenza, la separazione da Dio, per

giungere alla consapevolezza di ciò che è male. Con la sopravvivenza di Caino, Adamo e

gli Adamiti e infine i ‘figli degli uomini’ portarono su di loro le conseguenze di quel

peccato perché l’umanità, e in primo luogo Adamo, comprendesse che fuori dalla volontà

di Dio non ci può essere felicità.

Se Dio ha permesso tanta sofferenza per l’umanità ‘per colpa di un solo Uomo’ (Rm.

5,12), dobbiamo dedurre che a Dio in primo luogo stia a cuore il ritorno del Figliuol

prodigo Adamo.

2

Catechismo della Chiesa Cattolica N. 1867.

A Immagine e Somiglianza di Dio

Dice il versetto 6,3 della Genesi: “E il mio Spirito non rimarrà sempre nell’uomo

perché egli è carne...”. Questo versetto ci dice che l’Uomo creato da Dio ‘possedeva’ lo

Spirito di Dio e che successivamente, a causa dell’ibridazione, i suoi discendenti illegittimi

‘lo hanno perduto’.

Infatti i figli degli incroci ibridi, non voluti da Dio perché concepiti ‘nel male’ o ‘in

male’, non ricevettero più l’alito di Vita Divina, cioè lo Spirito, che Dio aveva soffiato

nelle creature concepite nel Bene, perché, avendo perduto i requisiti psicofisici di

perfezione dai quali dipende la capacità di intendere e di desiderare i Doni Soprannaturali,

persero anche lo Spirito, in quanto inidonei ad essere templi degni dello Spirito Santo.

Si è visto che, dall’incrocio delle due specie, quella dei Figli puri di Dio e quella degli

ancestri, nacquero ‘i giganti ibridi’, i figli degli uomini, quegli esseri mostruosi e possenti di

cui parla la Genesi (6,4). Questi uomini, figli naturali e illegittimi del primo Uomo, che

avevano assunto nel loro sangue gli istinti del regno animale, avevano perduto

‘l’Immagine di Dio’ non solo nel loro aspetto esteriore, ma, cosa assai più terrificante,

nel loro aspetto interiore: erano potenzialmente violenti, dalla psiche alterata e talvolta

dalla sessualità deviata. Ecco il motivo per cui Dio, non trovando più in loro la Sua

Immagine, ha ritirato il Suo Spirito. Non è stata una punizione di Dio, poiché il povero

individuo geneticamente tarato non è colpevole della sua condizione, bensì vittima.

Piuttosto si tratta di una inadeguatezza dell’uomo ibrido a ricevere e a trattenere lo Spirito

di Dio. Dice giustamente S.Paolo che dove prendono il sopravvento gli istinti bestiali, lì

non ci può essere Vita dello Spirito. E sebbene la non idoneità non sia una colpa è però

uno stato di fatto: è una conseguenza inevitabile del ‘peccato originale’. Questo è quanto è

accaduto ai discendenti illegittimi di Adamo.

Se per l’uomo ‘l’Immagine di Dio’ è la sua capacità di intendere e di volere con tutte le

sue naturali inclinazioni, la ‘Somiglianza di Dio’, è lo Spirito che Dio effonde su di lui. Se

il contenitore, ossia ‘l’Immagine di Dio’, perde, il contenuto, la ‘Somiglianza di Dio’, se

ne va.

La morte spirituale e la rigenerazione

Ma, che cos’è questo Spirito che Dio ha ritirato? Non certo l’alito di vita biologica

poiché, anche senza lo Spirito, gli ibridi rimasero fisicamente vivi. E nemmeno

l’intelligenza. Se lo Spirito fosse sinonimo d’intelligenza dovremmo pensare che l’uomo

rievolvendosi ha riconquistato spontaneamente e naturalmente lo Spirito di Dio.

Sappiamo invece che non è così perché l’uomo ha bisogno di un atto formale di adozione,

il Battesimo, per ricevere nuovamente lo Spirito e poter essere riammesso come figlio

nella famiglia di Dio e questo atto è il Battesimo. Lo Spirito dunque va al di là delle facoltà

intellettive. Lo si potrebbe definire l’anima dell’anima, dove l’anima, o psiche, è pur essa

immortale ma è lo Spirito che diviene la vera identità soprannaturale del figlio adottivo di

Dio. È vera e propria Vita Divina, un Germe di Vita della stessa Vita di Dio. Una cosa che

l’uomo fa fatica a comprendere pienamente nella sua grandiosità. Se Dio ha ritirato il Suo

Spirito, che non avrebbe potuto albergare in esseri più simili a bestie che a uomini (Genesi

6,3), l’uomo rimase privo della Vita dello Spirito: era, cioè, ‘spiritualmente’ morto. Perso

il titolo di Figlio di Dio, l’uomo ibrido si è trovato declassato a semplice ‘creatura’ di Dio.

Qui s’innesta la Nuova Alleanza ove l’uomo (uno dei due contraenti), diseredato e

spiritualmente morto, si dispone ad accogliere lo Spirito che Dio (l’altro Contraente) gli

dona in cambio della sua accoglienza. Con la Nuova Alleanza Dio risuscita l’uomo

ridandogli la Vita dello Spirito. Questa è una vera e propria Ri-generazione dello Spirito in

cui Dio dà la Sua stessa Vita spirituale al nuovo figlio adottivo. Se da un lato Dio ‘ri-crea’

la mente e il corpo dell’uomo compromesso dalle tare del peccato originale con infiniti

piccoli atti creativi di guarigione, dall’altro lo ‘ri-genera’ spiritualmente, facendolo

passare dalla sfera naturale a quella soprannaturale. Questo è uno dei compiti che Gesù ha

dato agli Apostoli: risuscitare i morti, spiritualmente s’intende.

Dice S. Paolo nella Lettera ai Romani (5,12-19): “Come a causa di un sol uomo il

peccato entrò in questo mondo e attraverso il peccato la morte si estese a tutti gli uomini,

così per l’obbedienza di un sol Uomo, Gesù Cristo, coloro che hanno ottenuto la Grazia

(cioè lo Spirito) saranno giustificati (ossia ri-generati, redenti) e costituiti giusti (ossia

nuovamente trinitari perché composti come inizialmente all’origine dell’Umanità di

corpo, anima e Spirito)”.

Quindi nell’individuo contaminato dal peccato originale la ‘morte’ precede e non segue

la ‘Vita’ dello Spirito. Ciò non toglie che colui che ha accolto la Vita dello Spirito non

possa nuovamente perderla, conoscendo così quella che è chiamata la morte seconda dello

Spirito. Questo è ciò che intende in molti casi la Bibbia quando parla genericamente di

‘morte’ o del ‘mondo delle tenebre’, perché, ripetiamolo, l’uomo ibrido nasce privo della

Luce dello Spirito. Nel linguaggio biblico, dunque, quando si parla di ‘morte’ assai spesso

non s’intende il distacco dell’anima dal corpo per il decesso fisico dell’uomo, ma la

separazione dell’anima dalla sua componente spirituale per cui ogni legame di parentela

con Dio viene interrotto.

I Figli di Dio

Scrive ancora S.Paolo nella Lettera ai Romani (8,19-21): “La creazione stessa

(l’umanità ibrida) attende con impazienza la rivelazione dei Figli di Dio; essa infatti è

stata sottomessa alla caducità non per volere di Dio, ma di colui (Adamo) che l’ha

sottomessa e nutre la speranza di essere pure lei liberata dalla schiavitù della corruzione

per entrare nella libertà della gloria dei Figli di Dio”.

È la rivelazione fatta a don Guido la rivelazione tanto attesa e preannunciata da

S.Paolo sui Figli di Dio! L’impazienza per questa conoscenza nasce dal desiderio dell’uomo

di essere liberato dalla schiavitù della corruzione (le tare ereditarie e la privazione dello

Spirito) per entrare nella libertà dei figli di Dio. È la conoscenza di questa rivelazione che

promuove la volontà di ottenere il riscatto.

Già la Genesi all’inizio del 6° capitolo distingue i Figli di Dio dai figli degli uomini, ma

non ne spiega la differenza. Con la lettura di questo testo, invece, abbiamo appreso che i

‘Figli di Dio’ erano i discendenti legittimi del ramo puro di Adamo e della Donna, iniziato

con Abele, Set, Enos…, mentre i ‘figli degli uomini’ erano i discendenti di Adamo e di Eva

attraverso Caino, il ramo geneticamente corrotto e spiritualmente morto. Abbiamo

saputo anche che con il passare delle generazioni il ramo puro dei Figli di Dio si è estinto,

perché assimilato dal ramo ibrido di Caino, e che ora siamo tutti sottomessi alla schiavitù

della corruzione.

Mettiamo ora a fuoco i Figli di Dio.

I Figli puri e legittimi di Dio, nella loro perfezione, erano composti di corpo, anima e

Spirito. L’Alfa, Dio Creatore, e l’Omega, l’Uomo puro e la Donna pura, posti nella

rivelazione alle due estremità opposte della Creazione (§ 68), insieme a tutti i discendenti

del ramo puro e legittimo di Adamo, sono intrinsecamente legati perché partecipi della

stessa Vita dello Spirito di Dio. Potremmo dire che il Padre ha trasferito nei Suoi Figli

legittimi il Suo ‘DNA Spirituale’, la Sua stessa Vita. E se lo Spirito che possedeva l’Uomo

perfetto, e che l’uomo ibrido ha perduto, era una ‘particella della Vita stessa di Dio’, ne

consegue che l’Uomo originario era più simile a Dio che a una qualsiasi creatura, uomo

attuale compreso.

Se con il peccato d’ibridazione l’uomo ha perduto la parentela con Dio, con la

Redenzione l’uomo redento, riacquistando lo Spirito di Dio, ridiventa trinitario. Ne erano

perfettamente consapevoli S. Giovanni e S. Paolo.

Ma nei primi secoli del cristianesimo la cultura greco-romana, che aveva una visione

dualistica dell’uomo, ha influenzato la dottrina della Chiesa che ha ridotto l’uomo redento

alla sintesi di anima e corpo, dando al termine ‘anima’ quel significato che più

correttamente dovremmo attribuire allo Spirito. Da qui la confusione tra anima e Spirito.

Tuttavia negli ultimi anni si è aperta una nuova consapevolezza su ciò che riguarda lo

Spirito nell’uomo e si tende, specie nella preghiera, a riacquistare la terminologia delle

origini del cristianesimo.

La Misericordia di Dio

Ora cheabbiamocapito in che cosa è consistito il ‘peccato originale’eche conosciamo

quali sono state le vere conseguenze di questo ‘peccato’, possiamo capire il lavoro di

ricostruzione compiuto da Dio sull’uomo in tutti i suoi aspetti, sia psicofisici che

spirituali. Perché “DIO NON HA ABBANDONATO L’UOMO IN POTERE DELLA

‘MORTE’, MA NELLA SUA MISERICORDIA A TUTTI È VENUTO INCONTRO PERCHÉ

CHI LO CERCA LO POSSA TROVARE” (§ 249). Quale grandezza ha la Misericordia di

Dio!

Quando si parla di Misericordia spesso si cade nell’incomprensione perché nel

linguaggio comune il termine ha assunto un significato di condiscendenza, di indulgenza

nei confronti delle debolezze umane.

Misericordia invece significa: ‘donare il proprio cuore al misero’. E poiché il Cuore di

Dio, che è Puro Spirito, è ‘lo Spirito’, la Misericordia di Dio è il dono che Dio fa

all’uomo, diseredato e misero, del Suo Spirito.

Dio ha sempre amato le Sue creature che senza alcuna colpa sono rinchiuse in un

baratro. Mentre da un lato ha guidato per millenni l’umanità attraverso la selezione

naturale ed artificiale con interventi eccezionali come ad esempio quello del diluvio, e con

‘infiniti atti creativi di un gamete’ di cui abbiamo qualche esempio nelle nascite

miracolose da madri anziane e sterili narrate nella Bibbia, atti creativi che hanno fatto

decrescere progressivamente il tasso d’inquinamento genetico complessivo dell’umanità,

dall’altro ha provveduto, con infinita Misericordia, a riaccendere nell’anima la Luce dello

Spirito attraverso Gesù.

Ricapitolando, si potrebbe dire, con più precisione, che nella Redenzione vi è

un’azione combinata di Dio:

1) sia nel guarire il corpo e la psiche dalle tare ereditarie dovute all’ibridazione (quella

che S.Paolo chiama ‘la risurrezione del nostro corpo’ o ‘la redenzione del nostro corpo’

– Rm 8,23 –), ricostruendo progressivamente nell’uomo l’Immagine di Dio, per rendere

l’umanità nuovamente idonea ad accogliere lo Spirito;

2) sia nel riaccendere la Luce, che si era perduta, con l’effusione di una Scintilla

Divina. Donandogli così il Suo Stesso Spirito attraverso un atto generativo per merito di

Gesù, Dio ridà all’uomo anche la ‘Sua Somiglianza’.

“Dio non castiga: Dio promuove o non promuove”

Dio sta ricostruendo in noi l’uomo nuovo, ma spesso trova un ostacolo nella nostra

poca disponibilità a compiere un cambiamento. Siamo ancora troppo condizionati e

dipendenti dalle leggi della natura che premiano il più forte o il più dotato. Sono leggi

giuste nel regno animale per tutelare l’equilibrio ecologico e per garantire la

sopravvivenza della specie, ma per coloro che aspirano a diventare figli adottivi di Dio

sono inadeguate: sono estranee al Regno soprannaturale dello Spirito perché

appartengono ad un regno inferiore. Le leggi del Regno soprannaturale sono esattamente

l’opposto. L’istinto di prevaricazione dovrà essere sostituito con la mitezza e il rispetto;

lo sfrenato possesso con l’altruismo e la generosità; le deviazioni sessuali con un’etica

sessuale sana; la vendetta col perdono; l’odio e l’egocentrismo con l’amore e l’umiltà,

ecc. È un salto di grande coraggio che richiede un autentico desiderio di dissociarci dalla

mentalità terrena che trova il suo sostenitore nel permissivo senso comune.

Cosa avviene dunque per l’uomo che per sua incapacità non sa o non vuole compiere

quel ‘salto di natura che gli consente di far parte del Regno di Dio? ‘Rimane’ nel regno

inferiore: ‘rimane’ cioè semplice creatura fra le creature inferiori e, come tale, escluso

dalla comunione di Spirito con Dio. Diceva don Guido riprendendo S.Giovanni: “Qui non

diligit [Deum] ‘manet’ in morte”, ossia “chi non opta per Dio ‘rimane’ nella morte

spirituale”. Perché “Dio non castiga: Dio promuove o non promuove – diceva don Guido.

– Ciò che dobbiamo temere è la ‘non promozione’ ”. Questo è già l’inferno: restare in

eterno ‘infero fra gli inferi’, creatura fra le creature.

La separazione

Il grande sogno di Dio e il Suo progetto su di noi è il raggiungimento, nella massima

libertà per l’uomo, di una perfetta intesa di sentimenti e di pensiero. È l’amore che tutti

sogniamo. Il primo Uomo che Dio volle partecipe di questo progetto fu Adamo. Ma

Adamo voleva la sua libertà. Temeva che la richiesta di Dio, di non usare impropriamente

del dono della vita, fosse un limite alla sua autonomia. Quanto assomigliamo in questo al

nostro predecessore! Così Adamo abusò usando malamente del suo libero arbitrio, con le

conseguenze che sappiamo.

Questo errore non sarebbe stato irrimediabile se egli avesse riconosciuto il suo sbaglio.

Certamente Dio vi avrebbe posto rimedio. Ma evidentemente l’orgoglio lo ha reso cieco

e, di fronte alle conseguenze, ha rigettato ogni responsabilità su Dio. E fece l’offeso!

Quanto ci è familiare anche questo atteggiamento! Se l’uomo che sbaglia avesse il

coraggio di riconoscere il proprio errore, sarebbe già guarito e perdonato. Invece siamo

tutti tesi a darci delle giustificazioni, come se queste potessero risolvere il problema.

Anzi, lo aggravano perché così c’è il rischio che l’errore si ripeta.

Sta di fatto che Dio ci lascia sbagliare e aspetta paziente che noi capiamo d’aver

sbagliato. Non ha fretta. È un ottimo maestro per farci crescere in maturità. Il constatare

le conseguenze dei nostri errori, che noi scambiamo per castighi, è il metodo

d’apprendimento più educativo, specialmente se queste sono tanto dolorose.

Di solito alla ribellione segue la rassegnazione, poi l’autocritica. E con l’autocritica

finiscono le conseguenze perché c’è un cambio di rotta.

Evidentemente, dato che la sofferenza sulla terra non è ancora passata, è intuibile che

questa auto revisione da parte di Adamo e da parte nostra non c’è ancora stata.

La redenzione

Ora guardiamo la nostra condizione. Il grande problema di oggi è d’aver messo

l’animale uomo al centro di un nuovo umanesimo senza Dio, ove l’autosufficienza

(dell’uomo) ne è la caratteristica principale. Secondo la cultura prevalente, l’uomo si

evolve da sè, si autodivinizza, rende se stesso albero della conoscenza del bene e del male.

Non riconoscendo la creazione perfetta dell’Uomo operata da Dio, non riconosce

nemmeno il peccato originale, quindi non si sente bisognoso di Redenzione. La sua

presunzione lo rende cieco: non riconosce la sua malattia. Perciò non può farsi né una

diagnosi e tanto meno darsi una cura. Per lui la Redenzione è un termine vuoto, privo di

significato. Più che mai si sente infelice, non realizzato, ma non sa perché. Se l’umanità

attuale vive in uno stato di sofferenza per le sue innumerevoli alterazioni psicofisiche, è

chiaro che ha bisogno di guarigione. Ma se vuole avere una terapia, è necessario che prima

prenda atto della sua malattia e faccia una profonda anamnesi. Se non prende coscienza

delle sue origini e del dramma che l’ha colpita, come potrà capire qual è la cura che può

ridarle la salute e una vita accettabile?

Molte malattie attuali, sia fisiche che psichiche, trovano la loro prima causa nella

distorsione genetica avvenuta per la sovrapposizione dei caratteri e per la combinazione

dei cromosomi delle due specie, quella dell’Uomo perfetto e quella degli ancestri che pure,

nella loro specie, erano perfetti. Senza tener presente questa realtà è impossibile trovarne

il rimedio.

E quanto prima l’uomo ricostruirà in sè l’Immagine di Dio, tanto prima si disporrà a

ricevere la Somiglianza con Dio.

Tale discorso è di una complessità e di una vastità immense ed interessa non solo la

teologia, ma molte discipline della Scienza.

Ma Dio, che ha creato l’uomo e che conosce la sua realtà, sa che c’è una soluzione alla

sua solitudine e a tutti i suoi mali. Da Buon Padre gli dice: “uomo, torna a Me ed Io ti

ricostruirò”.

Ora più che mai, con la seconda creazione, ossia con la Redenzione, questo appello

viene ripetuto da Dio Padre con amore insistente, mostrando all’umanità che solo

uniformandosi a Cristo, mite, promotore della giustizia, non vendicativo ed obbediente a

Dio, l’uomo attuale può trovare ‘la Via, la Verità e la Vita’(spirituale) e realizzare ciò che

nella prima creazione l’Uomo ha distrutto. È un’opportunità unica per ciascuno di noi.

Solo questa consapevolezza renderà attuabile l’avvento dell’èra messianica profetizzata da

Isaia.

La nostra redenzione individuale richiede sforzo e dolore perché questa strada in salita

presuppone il superamento del nostro ‘io’. Questa è la nostra partecipazione consapevole

all’opera di restauro divino della nostra natura, quella che S.Paolo ha definito “ciò che

manca alla Passione di Cristo”. Guai se non fosse così! Perché, se la Redenzione ci

venisse donata senza nostra fatica, così per incanto, rischieremmo di ripetere l’errore del

primo Uomo che si credette autosufficiente e non accettò la sottomissione a Dio.

Il Signore Iddio, nella Sua Misericordia, ha dato una possibilità a noi uomini ibridi di

risalire dal baratro nel quale siamo caduti. Tendendoci una mano, ci affida a Gesù, perché

Gesù, essendo puro e legittimo Figlio di Dio, è legittimato a compiere lo straordinario

miracolo di riportarci alle condizioni di figli di Dio inglobandoci nel Suo Corpo Mistico

attraverso un atto di adozione a figli. “Padre Santo, fa che loro siano in Me come Io

sono in Te affinché siamo una cosa sola...” dice Gesù nel Vangelo di Giovanni.

La Redenzione è un dono talmente grande che è difficile per noi umani comprenderla

appieno. Significa che grazie a Gesù possiamo aspirare all’eredità della vita eterna in Dio

come se non fossimo stati contaminati dal peccato d’origine. Naturalmente a delle

condizioni ben chiare:

a) saper lottare contro gli istinti che abbiamo ereditato dal regno animale andando in

controtendenza,

b) dimostrando fiducia in Dio.

Imparare a pensare come Dio, che è essenzialmente Amore, vuol dire assoggettarsi alle

Sue Leggi che non si fermano ai dieci Comandamenti. La Legge dell’Amore si riassume

piuttosto nelle Beatitudini. Se qualcuno ne resta affascinato e comincia ad incamminarsi

per questa strada, con suo stupore si accorgerà che ha trovato equilibrio e serenità già in

questa vita.

In tal modo Cristo, vero Figlio di Dio, viene innestato in noi e il fico sterile e selvatico

diventa fruttuoso. Il redento allora potrà dire che non è più lui che vive, ma che è Gesù

che vive in lui, come ha intuito S.Paolo. Gesù diventa allora il nostro carrello

trasportatore, Colui che mette a nostra disposizione i Suoi meriti perché i nostri, che sono

ad un livello terreno, sono insufficienti.

Come può l’uomo, allora, disporsi a questo innesto? Riconoscendo che Gesù è vero

Figlio di Dio e che ha la facoltà di donarci il Suo Spirito. Dice Giovanni: “Haec est vita

aeterna, ut noscant Te qui missisti Jesum Christum Filium Tuum”, questa è la Vita eterna,

che conoscano Te, o Dio, che inviasti Gesù Cristo, Figlio Tuo (Gv 1_,3) per salvarci.

‘Conoscere’ in senso biblico non significa solo venire a conoscenza, ma vuol dire

soprattutto ‘condividere la stessa intimità’ o la stessa realtà. È ‘il riconoscere’ che Dio ci

ha inviato Gesù, Suo vero e legittimo Figlio, che ci rende idonei a diventare partecipi della

Sua stessa Vita soprannaturale e a godere attraverso di Lui della Vita eterna in Dio pur

mantenendo la nostra identità! È una Vita di relazione piena, appagante. Questa è la

Redenzione! È implicito che, se riconosciamo Gesù l’Autore della nostra dimensione

spirituale, dovremmo conformarci all’insegnamento del Vangelo.

Ricapitolando, è una sufficiente ‘capacità di intendere e di desiderare i Doni dello

Spirito’ che dà a noi, ibridi, una parziale, ma sufficiente, ‘Immagine di Dio’ per poter

ricevere, previe le determinate sopraccitate condizioni, lo Spirito che è la Vita Divina.

Questa Vita Divina è il Dono grande e meraviglioso che Dio fa all’uomo con il Battesimo:

gli dona il Suo Spirito, una Particella di Se stesso, purché rinunci a Satana, cioè a colui che

è il re del regno della morte spirituale e che per dominarci e manipolarci desidera tenerci

legati agli appetiti del regno animale.

Nella piene zza dei tempi

Solo Dio, essendo il Creatore dell’Uomo perfetto, conosce obbiettivamente la realtà

dell’uomo attuale e può compiere quest’opera di graduale recupero cominciata milioni di

anni fa e che attualmente è ancora in corso.

E quando l’umanità raggiunse mediamente un sufficiente grado di sviluppo intellettivo,

quello che S. Paolo chiama “la pienezza dei tempi”, mandò Suo Figlio Gesù affinché

ridonasse lo Spirito a coloro che erano pronti a riceverlo. Istituendo quindi la Chiesa, Gesù

ha delegato ad Essa tutti i Suoi poteri perché continuasse l’opera che aveva iniziato, al

fine di riportare gli uomini alla purezza delle origini. La Chiesa, dunque, è la depositaria del

mandato divino. Il suo compito non si limita a donare all’umanità lo Spirito di Dio

risuscitando gli uomini spiritualmente ‘morti’ a causa del peccato originale, o a

evangelizzare, o a liberare le anime oppresse dal demonio, o a rendere grazie a Dio. Oltre

a questi compiti, Essa ha anche quello, finora misconosciuto, di farsi strumento di

guarigione delle infermità fisiche e psichiche dei suoi figli. Come? Attraverso i Sacramenti

che operano una vera e propria dialisi spirituale e fisica immettendo nella nostra natura

umana, debole e tarata, il Corpo e il Sangue perfetti di Gesù, vero Figlio di Dio.

Senza questa rivelazione è quasi impossibile rendersi perfettamente conto della

grandezza della missione che ha la Chiesa, missione che travalica e trascende ogni logica

umana. Essa è chiamata a collaborare con Dio alla ricreazione di un’umanità, sempre più

orientata verso la perfezione iniziale e verso una completa armonia con Dio e con il

creato.

Questa rivelazione dà anche alla scienza medica la possibilità di approfondire la

conoscenza di noi stessi e dell’intimo dell’animo umano. Sapere che nel nostro ‘io’ più

profondo abbiamo scritte geneticamente le inclinazioni e le tendenze della ‘bestia’,

ereditate attraverso Eva e Caino, ci dà modo di analizzare gli istinti propulsivi inconsci

che condizionano il nostro comportamento.

È importantissimo che l’uomo abbia piena consapevolezza della sua realtà e al tempo

stesso, senza sfiduciarsi, che soltanto Dio può operare dove la medicina tradizionale non

può intervenire.

Ecco perciò l’importanza di conoscere le nostre origini, perché come aveva detto

mons. Masi nel lontano 1932, rivolgendosi ai seminaristi e fissando in particolare il

chierico Guido “Senza la conoscenza della vera essenza del ‘peccato originale’ (e delle

sue conseguenze) non è possibile comprendere appieno l’economia della Redenzione”.

La creazione mediata

Cercare di capire il processo creativo di ogni nuova specie e di dedurne la regola è stato

per don Guido uno dei problemi più pressanti delle sue meditazioni e dei suoi studi negli

anni successivi alle rivelazioni.

Ci arrivò progressivamente, dopo un lungo lavorio che traspare dai suoi appunti e che

continuò anche dopo la stesura del suo manoscritto.

Ritengo interessante e opportuno riportare qui lo stralcio di una nostra conversazione

avvenuta nei suoi ultimi mesi di vita da cui si può vedere come la promessa del Signore “ti

aiuterò a ricordare e a capire” si sia avverata.

Mi disse don Guido:

- Meditando questi fatti, mi resi conto che le regole da trarre sono due: una per la

creazione delle nuove specie animali e una per la creazione dell’Uomo. Ma prima di

entrare nelle riflessioni su come Dio operò per creare una nuova specie, vorrei fare una

premessa perché anche quelli che, come lei, sono digiuni di genetica, possano seguire il

mio pensiero.

La cellula di un qualsiasi tessuto umano ha 46 cromosomi visibili al microscopio.

Ogni cellula può avere 100.000 geni, visibili solo al microscopio elettronico, disposti

ciascuno nel suo ‘loco’ come le perle di una collana, su un filamento minutissimo a

forma di spirale avvolto su se stesso. Quindi una cellula umana con i suoi 46 cromosomi

può avere più di 4 milioni di geni.

Sembra una cosa da niente, ma un uomo è costituito da molti miliardi di cellule. Con

un microscopio elettronico che ingrandisca almeno 200.000 volte, una cellula è

paragonabile ad una città piena di grattacieli, dove ogni vano è pieno di macchine

elettroniche che ricevono e trasmettono segnali e sostanze necessarie all’organismo,

secondo il bisogno: un panorama grandioso e complesso, più interessante del

macrocosmo o del cielo stellato.

Nell’apparato riproduttivo di ogni essere vivente, ci sono delle cellule predisposte alla

fecondazione: i ‘gameti’. Negli animali superiori e nella specie umana i gameti sono

differenziati in femminili, gli ovuli, e maschili, gli spermatozoi.

Dall’unione di due gameti, uno maschile e uno femminile, della stessa specie, si

forma la cellula ‘zigote’ che, sviluppandosi, genera un individuo della stessa specie.

Quindi ‘la cellula germinativa’, o zigote, è composta da due serie di cromosomi

racchiusi in un sol nucleo.

Nella specie umana ogni gamete è composto da 23 cromosomi, sia che provenga dal

seme del padre, sia che provenga dalla madre, per cui lo zigote da essi formato ne

comprende 46. Quell’individuo avrà ereditato così i suoi caratteri fisici e psichici dai

genitori: metà dal padre e metà dalla madre.

A sua volta ne trasmetterà la metà per via di generazione ai suoi discendenti,

obbedendo alla legge del Creatore: “Moltiplicatevi secondo la vostra specie”.

Cercherò ora – dice sempre don Guido – di estrarre le regole dai fatti che il Signore mi

ha fatto conoscere.

1) Cerchiamo per prima cosa di capire la regola usata da Dio per la creazione di

ogni nuova specie animale.

Se le quattro femmine ancestri erano i “quattro rami dell’unico albero”, ciò significa

che la vecchia madre brizzolata era la capostipite della sua specie composta da quell’

“unica” famiglia. Perciò sua madre apparteneva ad un’altra specie, diversa e

sconosciuta. Questa, a sua volta, era stata ‘capo di ponte’ per la creazione della specie

degli ancestri.

Ora osserviamo in particolare la specie degli ancestri.

Se, come si è visto dai fatti, la vecchia ancestre era la capostipite, ovvero albero unico

della sua specie (paragonabile ad un tronco da cui si dipartono i rami), e suo figlio ne

era un ramo, il quale con la madre generò le tre femmine nere e pelose, è chiaro che per

creare la specie degli ancestri Dio era intervenuto due volte con la sua opera creatrice:

a) la prima per creare, nel seno di quella ignota femmina della specie

precedente e sconosciuta, un gamete maschile ed un gamete femmi

nile, ossia la cellula germinativa che sviluppandosi avrebbe fatto

nascere la capostipite degli ancestri;

b) la seconda per creare, nel seno di quest’ultima il gamete maschile

che avrebbe fecondato il suo ovulo per dare alla luce il figlio ma

schio. È lo stesso processo messo in atto due anni prima per creare

Eva.

Da quell’istante la prima coppia della specie degli ancestri era fatta. Questo maschio

infatti, raggiunta la maturità sessuale, verrà attratto da lei per quella legge che

accomuna i propri simili e con essa si accoppierà. Così la prima coppia della nuova

specie si è moltiplicata “secondo la sua specie”. Da qui la prole: “i rami (femminili) dell’unico

albero” (§42). Questo esempio ci permette di estrarre la regola generale valida per ogni

specie animale: ‘Dio prima crea la femmina capostipite della nuova specie, poi il

maschio e la coppia è fatta’.

Alle origini di ogni specie – prosegue don Guido – nella prima e nella seconda

generazione era dunque necessario l’incesto per mantenere isolati i caratteri della nuova

specie. Così anche per quella umana.

Riassumendo, per la creazione degli ‘ancestri’ (e questo esempio vale come regola

per la creazione di qualsiasi nuova specie animale), Dio usò come supporto, o ‘mezzo’,

l’utero di una femmina di una specie sconosciuta già esistente. Perciò ogni intervento

creatore di Dio lo ho chiamato ‘creazione mediata’: creazione, perché Dio non

trasforma ma ‘crea dal nulla’la cellula germinativa della capostipite della nuova specie;

mediata, perché usa come ‘mezzo’, o supporto, una femmina già esistente della specie

precedente.

Questo ‘strumento chiave’ per la creazione di qualsiasi nuova specie è

necessariamente sempre una femmina, quello che Dio chiama “CAPO DI PONTE”.

Percorrere a ritroso tutti i milioni di anni per riscoprire tutte le femmine per mezzo

delle quali sono avvenute le creazioni delle numerosissime specie di animali è impossibile

perché questo strumento, unico tra una specie e quella successiva, è introvabile.

È chiaro anche il motivo per il quale per far nascere la capostipite di una qualsiasi

nuova specie Dio abbia dovuto creare nella prima fase entrambi i gameti: la nuova nata

doveva essere geneticamente incompatibile con la specie da cui derivava. Infatti, per

definizione stessa di ‘specie’, la ‘specie è un gruppo geneticamente isolato’, e ciò

equivale a dire che eventuali rapporti fra individui della specie originaria con quelli

della specie derivata non sono fecondi o, al limite, il nuovo nato non è fecondo, come ad

esempio nella maggior parte dei muli.

E se la Bibbia dice che “ogni specie generi secondo la propria specie”, e questa

rivelazione lo comprova, è chiaro che vi è continuità ‘fra’le specie, ma ‘non evoluzione

dentro’ ciascuna specie. Al contrario, gli evoluzionisti pensano che le specie si

trasformino attraverso una lenta evoluzione, dando origine spontaneamente a specie

nuove. Qui invece si è visto che solo mediante nuovi e successivi atti creativi di Dio,

mirati a innestare di volta in volta la vita di una nuova specie nell’albero genealogico di

una specie già esistente, nascono i progenitori della specie nuova.

Fin qui abbiamo visto come è avvenuta la creazione di ogni nuova specie animale.

2) Ma nel caso della creazione della specie umana, Dio ha compiuto due passaggi

successivi, uno intermedio e uno finale.

a) Quello intermedio è stato la creazione di una ‘femmina sui generis’: un essere a

metà strada fra le due specie per dare ai primi due esemplari della specie umana una

madre non pelosa, Eva,molto più simile all’Uomo di quanto non lo fosse una comune

femmina ancestre. Un’amorevole premura di Dio.

Ma forse questo passaggio transitorio era anche una necessità dovuta al salto di due

cromosomi fra le due specie, poiché le scimmie, e presumo anche gli ancestri, ne hanno

48, mentre la specie umana ne ha 46.

Ho intuito che questa femmina intermedia, bianca e senza pelo, Eva, aveva

eccezionalmente 47 cromosomi perché ha potuto generare sia dal maschio della sua

specie, sia dall’Uomo.

Da qui il perentorio divieto del Creatore al giovane Uomo di unirsi a questa femmina

perché da essa sarebbe venuta la morte, cioè l’estinzione della specie umana pura,

dando origine ad una discendenza ibrida.

Passato questo pericolo transitorio durante la vita di Eva, un incrocio fruttuoso fra le

due specie non sarebbe più stato possibile per la differenza fra esse di due cromosomi.

b) Quello finale.

Per la creazione dell’Uomo, Dio creò nel seno di questa ‘femmina sui generis’ Eva,

nuovo “capo di ponte” entrambi i gameti: l’Uomo doveva essere a tutti gli effetti ‘Figlio di

Dio’, quindi dotato fin dal suo concepimento dello Spirito di Dio, e non solo fisicamente

nuova creazione. Infine, nella seconda fase di questo passaggio finale, Dio, per creare la

prima Donna, si limitò (oltre a generare il suo Spirito) a creare nel seno della stessa

femmina ‘sui generis’, Eva (che aveva avuto già una volta il ruolo di ‘capo di ponte’

generando l’Uomo), il solo gamete femminile, cioè un ovulo della specie umana. Non

era necessario infatti creare questa volta entrambi i gameti nel seno di Eva. Bastava

infatti creare il gamete femminile potendo usare il gamete maschile, cioè lo spermatozoo,

del giovane Uomo. Vale sempre il principio che ‘Deus non facit per Se quod facere potest

per creaturas’ , Dio non compie un nuovo atto creatore quando può servirsi allo scopo

di ciò che ha già creato. Se ne servì durante il sonno di Adamo, appunto come dice la

Bibbia, perché il fatto non doveva ripetersi. Economia? Diciamo piuttosto ‘volontà di

Dio’ di creare una gerarchia naturale: l’Uomo doveva essere ‘il Capostipite’ del genere

umano.

Da questo concepimento, all’insaputa e nell’incoscienza di Adamo, nacque una

Femmina, la prima Femmina della specie umana: la Donna.

E così anche per il genere umano la prima Coppia veniva creata. E come per

qualsiasi altra specie, anche per la specie umana era necessario il fenomeno dell’incesto

nelle due prime generazioni per mantenere intatti i caratteri originari.

Riassumendo – prosegue sempre don Guido – nelle specie animali capostipite è sempre

una femmina; nella specie umana, invece, Capostipite è un maschio.

Cerco ora – dice sempre don Guido – di approfondire la figura di Eva osservando i

fatti. Eva è la figlia ‘primogenita’ della capostipite degli ancestri: è nata prima

dell’unico maschio, il secondogenito della vecchia madre ancestre.

Eva, pur appartenendo alla specie degli ancestri, è bianca e non pelosa. È diversa da

sua madre ed è diversa anche dalle sue tre sorelle che sono in tutto simili alla loro madre

e al loro padre. Quindi non può essere figlia di quell’unico maschio. È invece probabile

che sia solo per metà ancestre e, per l’altra metà, frutto di una nuova creazione

intermedia fra la specie degli ancestri e l’uomo. In altre parole nel suo concepimento

Dio creò, nel seno della sua vecchia madre, un gamete maschile perché fecondasse il suo

ovulo naturale dando come frutto questa creatura di una specie transitoria e ristretta a

quest’unico caso. Questo spiegherebbe perché questa ‘femmina sui generis’, Eva, fosse

più simile ad una donna di quanto non lo fossero le sue sorelle, in previsione del suo

futuro compito di dare alla luce i primi due ‘Figli di Dio’.

Così Eva diventa il nuovo ‘capo di ponte’, quello predisposto da Dio per la creazione

della specie umana poiché il Signore disse: “la via all’uomo è cominciata di lì” (§ 96).

Eva dunque è il “capo di ponte” più importante, il terzo nell’arco di tre generazioni

dopo quello di sua nonna, femmina di una qualche specie sconosciuta, e di sua madre,

la vecchia ancestre.

Ma se il Signore disse di Eva che “doveva rimanere ‘capo di ponte’, ma l’uomo

presuntuoso e disobbediente l’ha resa ‘ponte’ ” (§ 97) e se Caino, come appresi nella

prima rivelazione e in altre che seguirono, ha l’aspetto di un ancestre pur avendo

l’Uomo per padre, ora è chiaro anche il significato di ‘ponte’:

“ponte” è la femmina di una specie che si unisce ad un individuo di una specie

diversa e, eccezionalmente, dà origine ad una discendenza ibrida. In natura

generalmente questo non accade.

Ma alle origini della specie umana – conclude don Guido – questo è stato possibile

solo a causa di quell’unica ‘femmina’ interfertile che ha potuto generare da entrambe le

specie e che perciò doveva avere necessariamente 47 cromosomi. –

Don Guido aveva desiderato fare per sua curiosità un approssimato calcolo, attraverso i

dati disponibili, sull’età e il numero presunto degli ancestri al momento della nascita della

Donna. È partito dal presupposto che gli ancestri avessero alcune caratteristiche comuni

alle scimmie antropomorfe, le quali diventano fertili intorno agli 8 anni ed hanno una vita

media che va dai 27 ai 30. Inoltre don Guido, basandosi sempre sull’osservazione, ha

supposto che ogni femmina generasse ad intervalli di due anni.

Prendendo come anno zero l’anno della nascita della vecchia madre brizzolata,

presuppose che al suo ottavo anno avesse partorito, per opera di Dio, Eva, la sua

primogenita e, due anni più tardi il maschio.

Eva all’età di 8 anni avrebbe generato il primo Uomo.

Quando l’Uomo divenne padre della prima Donna, intorno ai 15-16 anni, Eva poteva

avere circa 24 anni (8+16) e la vecchia ancestre intorno ai 32 (8+8+16), età massima per

la sua specie.

Vediamo ora la specie ancestre.

Il maschio nasce quando sua madre ha all’incirca 10 anni ed Eva 2. A 8 anni egli

genera con sua madre, che a quel momento ne ha 18 (10+8) la prima figlia nera e pelosa,

poi a 10 anni la seconda figlia e a 12 la terza.

A quel momento la vecchia madre ne ha 22.

Quando la prima figlia del maschio ha il suo primo cucciolo, il maschio ha circa 16

anni (8+8), Eva 18, la nonna 26, e l’Uomo ne ha 10.

Quando la seconda figlia ha il primo cucciolo, sono passati altri due anni dalla data

precedente.

Similmente, quando la terza figlia diventa madre, sono passati altri due anni. Al

momento in cui Eva partorisce la prima Donna, le altre tre femmine erano tutte e tre

gravide e prossime al parto. Quando nasce la Donna, la prima femmina pelosa è al suo

probabile quarto parto, la seconda al terzo e la terza al secondo.

Quindi la comunità complessiva a quel momento comprende: i due Figli di Dio

(l’Uomo e la Donna neonata), i due progenitori ancestri, le tre figlie pelose, i loro relativi

nove figli, Eva e i figli avuto dal maschio ancestre, nati fra la nascita dell’Uomo e quella

della Donna.

Perché solo con la nascita di Enos si iniziò ad invocare il nome de l

Signore?

Negli anni successivi alla rivelazione sull’origine dell’Uomo don Guido cercò di

collegare le nuove conoscenze con i primi capitoli della Bibbia. Alcune di queste

considerazioni, che mi esternò nelle nostre numerose conversazioni, le reputo importanti.

Mi sembra perciò di fare cosa gradita al lettore riportarle nel testo.

Mi spiegava don Guido:

– Avevo osservato, come dissi nella premessa della rivelazione de ‘L’ultimo pasto di

Abele’, che nella Genesi mosaica (4,26) è scritto che “solo con la nascita di Enos si

incipiò ad invocare il Nome del Signore”. Questo versetto ermetico non dice nemmeno,

come dato certo, che Adamo dopo la nascita del nipote si sia effettivamente riconciliato

con Dio. Anzi, il verbo impersonale (si incipiò) fa pensare che fra coloro che invocarono

il nome del Signore-Iddio non ci fosse Adamo perché in tal caso il Signore-Iddio

avrebbe avuto la premura, o la misericordia, di farcelo sapere.

Che cosa era accaduto perché i familiari solo dopo così tanto tempo, cioè dopo tanti

anni dalla morte di Abele che coincise con la nascita di Set e con il giorno in cui Adamo

commise quell’atto di spregio e di sfida verso Dio, si decidessero a pregare Dio? Perché

dunque cominciarono ad invocare il nome del Signore solo con la nascita di Enos e non

con quella di Set

o già con la nascita di Abele o, prima ancora, con quella della Donna?

Compresi, - dice sempre don Guido - , che questo versetto nascondeva un altro segreto,

ma che con le conoscenze acquisite, e con qualche calcolo, il mistero sarebbe venuto alla

luce.

La Genesi dice che Adamo generò Set a 130 anni e Set generò Enos a 105 (Genesi

5,6). È mia opinione che l’età dei Patriarchi dell’epoca prediluviana indichi ‘le stagioni’

in luogo degli anni, ma non così nell’epoca postdiluviana. Perciò, riducendo gli anni in

stagioni, Adamo avrebbe generato, secondo le indicazioni della Bibbia, il Figlio Set a 32

anni e mezzo e Set il Figlio Enos a circa 26 anni, mentre tutti gli altri ‘Figli di Dio’

generarono in età più giovane.

Le figlie femmine e i figli morti in tenera età nella Bibbia generalmente

non venivano nominati.

Dai miei calcoli, - dice ancora don Guido -, Adamo, quando nacque Set, aveva

appunto circa 33 anni, poco più o poco meno. Infatti, sommando approssimativamente

l’età sua (16 anni) di quando nacque la Donna, l’età della Donna (14 anni) quando

nacque Abele e l’età di Abele quando morì (3 anni), fanno circa 33 anni.

Dunque l’ipotesi che la Genesi chiami ‘anni’ le stagioni farebbe coincidere in modo

sorprendente la presunta età di Adamo di questa rivelazione al momento della nascita di

Set, con quella indicata nella Bibbia. È troppo singolare per essere una mera

coincidenza!

Ed è ancor più singolare – continua don Guido – che l’atto di ribellione di Adamo sia

avvenuto pressappoco alla stessa età in cui fu crocifisso Gesù. Salta agli occhi

un’immagine di Gesù che pare la controfigura, al positivo, del Capostipite Adamo: Gesù

compì un atto di obbedienza estrema in contrapposizione, e suppongo anche in

riparazione, all’atto di ribellione di Adamo.

Molte sono anche le similitudini fra Gesù e Adamo:

a) Gesù è concepito per intervento divino come Adamo;

b) nasce in estrema povertà, alla presenza di animali miti e docili, come il primo

Uomo;

c) Gesù al tempo della pubertà fa la Sua professione pubblica di sottomissione e di

obbedienza a Dio, in contrapposizione all’atto di autosufficienza e disobbedienza di

Adamo quando, ancora ragazzino, commise il ‘peccato originale’:

d) Adamo si considera un ‘dio in Terra’ e vuole dei figli solo suoi per esercitare su di

essi la sua autorità negandoli a Dio, mentre Gesù venuto non per giudicare ma per

servire, dà la Sua stessa vita per ridare i figli a Dio, se non più legittimi, almeno

‘adottivi’;

e) Dio dirà di Gesù al tempo del Suo Battesimo: “Questo è il Mio Figlio diletto.

Ascoltatelo!”. Non così potè dire di Adamo.

f) Gesù muore per testimoniare l’Amore di Dio verso gli uomini a 33 anni, come

vuole la tradizione, mentre Adamo proprio a quell’età…

g) La causa della tentazione e della ribellione di Adamo è stata la mancanza

di fiducia in Dio, mentre Gesù è totalmente fiducioso e abbandonato in Dio. Infine

Adamo, dopo aver estromesso Dio dalla sua vita, sostituendosi a Dio stesso, Gli

attribuisce, con grande presunzione, colpe che invece erano solo sue. Non ha voluto

riconoscere le proprie responsabilità.

Né la Bibbia, né questa rivelazione, ci dicono nulla sul suo ipotetico pentimento,

tranne che “si incipiò ad invocare il Nome di Dio solo dopo la nascita di Enos” . –

Sentiamo cosa risponde ancora don Guido ad un altro quesito: come fecero i ‘Figli di

Dio’ a moltiplicarsi se Adamo non volle altri Figli e aveva solo un maschio, neonato,

senza una sorella che potesse crescere con lui?

– Sappiamo dalla Bibbia – dice ancora don Guido – che i ‘Figli di Dio’ non si

estinsero con Set perché in Genesi 6,2 si parla di loro al plurale.

Riguardo al ‘come’ l’umanità si riprese, troviamo la soluzione ancora nella Bibbia.

Sono le età dei Patriarchi che ci svelano il mistero. Se Set nacque quando Adamo aveva

32 o 33 anni (e Abele nacque quando ne aveva 2930) ed Enos nacque quando Set aveva

26 anni, mentre tutti i loro discendenti generarono in età più giovane, è perché Adamo e

Set dovettero aspettare che le loro rispettive Figlie fossero in grado di poter generare da

loro.

Il problema sta allora nel capire come Set abbia potuto generare la Figlia che

sarebbe diventata sua moglie, visto che era rimasto Figlio unico e Adamo non voleva

altri Figli.

Una cosa è certa: la Volontà di Dio non può essere fermata dalla volontà umana. Se

Adamo credeva con la sua ritorsione di colpire al cuore il Signore, dovette accorgersi

ben presto che nulla è impossibile a Dio.

Dio, pur essendo rimasto deluso di Adamo, – prosegue don Guido – indubbiamente si

compiacque della santità, dell’umiltà, della fedeltà e dell’accettazione del dolore della

Donna e, in Lei, volle rifare nuove tutte le cose. Come? “ab uno disce” (§ 126) aveva

detto il Signore, da un esempio impara, ossia applicando la regola generale già

considerata per la creazione di una qualsiasi nuova specie: quando la capostipite ha

generato il maschio, con lui si accoppia.

Così, – dice sempre don Guido – non appena Set raggiunse l’età feconda,

probabilmente Dio lo fece cadere in un profondo sonno e, assieme a lui, la Donna che al

momento aveva circa una trentina d’anni.

Nel caso della Donna e di Set questo evento fu unico: un passaggio obbligato e

finalizzato solo alla nascita della seconda Donna e, per analogia, nel sonno per

entrambi come era accaduto già ad Adamo nella sua giovane età, perché non se ne

accorgessero e perché la cosa non dovesse ripetersi.

Dio avrebbe potuto creare un nuovo gamete maschile nel seno della Donna per farle

generare una Figlia, ma non usò questa strada: ce lo dice ancora la Bibbia

nell’informarci che Set generò a 26 anni, a differenza, dei suoi discendenti che

generarono in età più giovane. Infatti, se Dio fosse intervenuto con un nuovo atto

creatore, Set avrebbe generato a 15 o a 16 anni come Adamo quando generò la Donna

e non a 26.

Dio invece applicò la regola generale secondo il principio che “Deus non facit per se

quod facere potest per creaturas”, ossia che Dio non compie direttamente un atto

creativo quando può servirsi per quello scopo di ciò che ha già creato: in questo caso si

servì del seme di Set.

Da quell’unione, inconsapevole per entrambi, è nata la seconda Donna, quella che

sarebbe divenuta la legittima sposa di Set. Così anche la nuova e definitiva Coppia fu

fatta. Poi Set, con sua figlia-sorella e moglie, generò Enos e i fratelli e sorelle di lui.

Qui potremmo chiederci che atteggiamento abbia avuto Adamo di fronte a questo

imprevisto. Con molta probabilità Adamo alla nascita di Enos era già uscito di scena,

tant’è vero che la Bibbia dice che solo quando Enos nacque “si incipiò ad invocare il

nome del Signore”. Ma forse scomparve dalla scena ancor prima di quella data, cioè al

raggiungimento della pubertà di Set, per lasciargli campo libero nel crescere sua Figlia

nella pace.

Poiché normalmente nelle genealogie le femmine non vengono nominate, dovremmo

dire più propriamente che “si incipiò a invocare il nome del Signore” alla nascita della

Figlia di Set o, meglio ancora, già prima del suo concepimento. In quella data

sicuramente Adamo con loro non c’era già più. E, a voler essere ancora più precisi,

nemmeno tanto tempo prima che Set raggiungesse la pubertà, per garantire alla Donna

e a Set, che stava crescendo, protezione e sostentamento.

Pare chiaro che fino a quel momento Adamo non si sia pentito, altrimenti si sarebbe

iniziato ‘ad invocare il nome del Signore’ già prima della nascita di Enos e Enos non

sarebbe nato quando Set aveva 26 anni. Quindi è evidente che Adamo o morì

prematuramente prima dei cinquant’anni (33+15=48), forse per una disgrazia, oppure

lasciò la famiglia e se ne andò lontano.

La Bibbia invece dice che Adamo morì a 930 anni, cioè, tradotto in stagioni, a 233

anni. Ma, visto che la notizia ci è riportata dallo scritto sacerdotale, può darsi che questa

ragguardevole età sia stata modificata a posteriori, probabilmente dagli Autori stessi

degli scritti sacerdotali che, non sapendosi spiegare il motivo di una morte prematura,

allungarono la sua vita per analogia con tutti gli altri Patriarchi antidiluviani.

Enos generò Cainan, primo maschio, a 22 anni e mezzo, forse perché prima gli erano

nate alcune femmine che ovviamente non sono state menzionate. Infatti i suoi discendenti

generarono in età più precoce.

I tempi delle successive generazioni vennero così abbreviati e la specie umana potè

avere un più rapido avvio. La prima Donna, – conclude don Giudo – per analogia con la

longevità dei Patriarchi, sarà morta probabilmente ultrabicentenaria dopo aver assistito

alla nascita di almeno una decina di generazioni, insegnando loro l’amore e il rispetto

verso Dio. –

Come valutare un maggior o minor grado di purezza

Purtroppo, riguardo alla non purezza dei caratteri, è sufficiente avere una percentuale

infinitesimamente piccola di sangue animale perché manchi ‘la perfezione assoluta’,

necessaria per essere Figli ‘legittimi’ di Dio. L’uomo ibrido non nasce già figlio di Dio, ma

creatura di Dio. E Tertulliano dirà che figli adottivi di Dio non si nasce, ma si diventa.

Perciò l’uomo necessitava di un vero e proprio nuovo atto creativo e generativo di Dio,

la Redenzione, che rigenerasse le sue facoltà e riaccendesse nell’anima la Luce divina dello

Spirito.

Il recupero psicofisico dell’umanità non ha annullato i caratteri che differenziano le

varie etnie, ma, al contrario, il prolungato isolamento ha accentuato le diversità. Una

lettura frettolosa dell’Opera potrebbe far credere che essa ispiri sentimenti razzisti poiché

mette in risalto alcune caratteristiche dell’uomo ibrido che sono diverse da quelle

dell’Uomo puro. Infatti, ci viene spontaneo osservare il colore della pelle, degli occhi, dei

capelli, la statura, la lunghezza delle gambe, la conformazione del tronco o l’intensità

della peluria, ecc. e confrontarli con i parametri dell’Uomo originario, creato perfetto.

Ma queste caratteristiche esteriori non sono elementi rilevanti per il Signore.

L’esperienza insegna che la bellezza o l’altezza non necessariamente sono accompagnate

dal dono di una vivace intelligenza o da un cuore generoso.

Tuttavia possiamo fare qualche raffronto fra le due specie per capire a quale livello di

ricostruzione si trovano gli uomini d’oggi.

Una delle caratteristiche più appariscenti derivate dall’ibridazione è il notevole

abbassamento della statura dell’uomo ibrido rispetto all’Uomo puro. La statura media

attuale si aggira intorno alla media dei valori della statura degli Uomini puri, che

misuravano circa due metri e mezzo, e quella degli ancestri maschi, che si aggiravano sul

metro e dieci. Se noi facciamo un semplice calcolo vediamo che il valore medio si

avvicina al metro e ottanta, valore che negli ultimi tempi è raggiunto da sempre più

individui maschi. Ciò conferma la tendenza verso l’originaria perfezione, segno evidente

che siamo nella fase di recupero. È sotto gli occhi di tutti che la statura media va

innalzandosi in molti paesi del pianeta. Indubbiamente influiscono molti fattori fra i quali

la miglior alimentazione ed una più sana qualità di vita, ma potrebbero esserci anche delle

cause non naturali dovute all’opera del Creatore che alla Scienza sfuggono.

Invece la longevità media della popolazione attuale, a differenza dei valori relativi alla

statura, non si è stabilizzata su valori intermedi fra quelli medi della popolazione dei Figli

di Dio (227 anni circa) e quella presunta degli ancestri che si suppone fosse simile a quella

delle scimmie antropomorfe che si aggira intorno ai 27/32 anni. L’età media dell’uomo

attuale è nettamente al di sotto della media aritmetica (227+29):2=128, segno che gli

stenti e le malattie l’hanno ridotta ulteriormente. Tuttavia anche in questa particolarità

siamo in una fase ascendente di recupero.

Fra i caratteri ancestrali esteriori che si sono attenuati troviamo la scomparsa delle

lunghe orecchie lanceolate sporgenti dalla testa per i maschi o quelle a mo’ di pecora per

le femmine. Il motivo della scomparsa totale di questi caratteri potrebbe essere stata la

selezione artificiale: quando il nuovo nato presentava questa caratteristica, che

evidentemente non piaceva, il padre lo sopprimeva come una maledizione, sì che questo

carattere col passar del tempo scomparve. Rimane invece un po’ di peluria, più accentuata

nel maschio, distribuita sugli arti, sul petto e più raramente sulle spalle e la schiena, ma

sempre e solo nell’adulto. Perciò si può supporre che anche i nati pelosi venissero

eliminati perché dall’aspetto troppo ancestrale.

Ma ciò che colpisce maggiormente con un po’ di osservazione sono le proporzioni fra

le varie parti del corpo che hanno mantenuto in alcuni casi un notevole grado di

ancestralità. La lunghezza delle gambe richiamano in particolare la nostra maggior

attenzione. Per gli Uomini geneticamente puri, esse rappresentavano la metà della

statura. Se osserviamo la Sindone, oltre a considerare i segni penosi della Passione di Gesù,

restiamo colpiti dalla lunghezza delle gambe rispetto al busto. Se Gesù, pur essendo Figlio

di Dio ha abbassato la Sua naturale altezza per non umiliare l’umanità, tuttavia ha

mantenuto le caratteristiche e le proporzioni dell’Uomo originario: la peluria assente, la

barba assai ridotta e naturalmente composta, le braccia proporzionate al tronco e non

lunghe più del necessario come per noi uomini che talvolta tendiamo ad assomigliare un

po’ troppo agli ancestri che le avevano assai lunghe in proporzione agli arti inferiori, le

spalle non molto più larghe del bacino.

Un’altra curiosità che colpisce è la presenza in noi delle famose categorie platoniche

del bello e dell’armonioso. Eccettuati pochi casi anomali, esse sono una reale

caratteristica dell’animo umano e sembrano avere la loro origine nel ricordo primordiale

dei requisiti dell’Uomo perfetto. Non si spiegherebbe altrimenti come anche un lattante

sia attratto dal bello oggettivo e rifugga il brutto. Il suo giudizio non è influenzato né

dall’esperienza né della cultura: è istintivo. La vista di un ancestre lo spaventerebbe.

Eppure, e questo è un mistero, per tutti il senso del bello è orientato verso un’unica

direzione: l’Uomo e la Donna originari. Come può il concetto del bello essere stampato

nel profondo della nostra coscienza? Si trasmette anch’esso per via genetica? Unico

requisito dell’aspetto umano che fa eccezione a questo criterio in riferimento al Campione

originario è il bacino stretto che i giovani d’oggi considerano una qualità positiva e non

sanno che anch’esso è un retaggio ancestrale. Evidentemente il condizionamento della

moda può soffocare i ricordi inconsci. Ma generalmente le preferenze estetiche cadono

sempre su gusti concordi, come ad esempio vediamo nei concorsi di bellezza dove

vengono apprezzate le gambe lunghe, le fronti alte, gli occhi non sporgenti e così via:

tutti requisiti che avevano gli Uomini puri.

* Stature di Adamo e Eva a confronto

* Proporzioni e caratteristiche a confronto con l’uomo attuale

Chiesi a don Guido se questa rivelazione rischiasse di alimentare il razzismo,

constatando che vi sono popolazioni di pelle bianca, rossa, nera e gialla.

Mi spiegò pacatamente che il razzismo è un sentimento e un atteggiamento umano e

non di Dio che invece guarda il cuore, non l’aspetto. Dio ama indistintamente tutti gli

uomini. Egli vede in ognuno ciò che avrebbe dovuto essere se non ci fosse stato il

‘peccato originale’ e soffre per ciò che l’uomo è. Il colore chiaro della pelle, che ai

bianchi può sembrare un privilegio, può diventare un ostacolo alla loro salvezza perché

può ispirare sentimenti di autocompiacimento e di orgoglio. Ciò su cui saremo giudicati

sarà solo l’apertura del cuore, verso Dio e verso gli uomini, e quello che a noi può

sembrare un pregiudizio può rivelarsi un dono.

Qual è dunque il criterio per determinare nell’uomo ibrido una minor o maggior

purezza, quella che piace a Dio? Ce lo dice Gesù nel Discorso della Montagna quando

elenca le più importanti Beatitudini. Beato, cioè privilegiato perché maggiormente fruisce

dei doni della Redenzione, è colui che è mite, che agisce con giustizia e lotta con mezzi

non violenti perché questa si affermi, e che accetta perfino di essere perseguitato per

questo ideale.

Non è quindi questione di pelle, d’intelligenza, di cultura o di civiltà intesa come

progresso tecnologico, ma è questione di essere più o meno conformi alle doti morali e al

modo di pensare di Gesù (cfr Mt 11,29).

Queste caratteristiche, frutto di una mente sana e di un’etica corretta, determinano

quella purezza che è alla base della nostra capacità di accogliere il dono della salvezza.

Diceva ancora don Guido che queste doti sono distribuite equamente in tutte le etnie,

segno che tutti i popoli hanno pari opportunità e che sono amati equamente dal Signore.

Apparenti contrasti con rivelazioni più recenti

Il fatto che esistano discordanze fra la Parola di Dio della Genesi mosaica e quella della

rivelazione data a don Guido può creare contrarietà nel credente, ma non un pericolo per

la sua fede. Se Dio ha permesso che più di un versetto di ciò che fu rivelato a Mosè

perdesse la sua autenticità lungo i secoli, è evidente che il Signore, che veglia sempre sulla

Sua Parola, prima o poi avrebbe dovuto intervenire per fare chiarezza e togliere tutti gli

equivoci che sono entrati nel Testo biblico.

Ma il problema cresce in modo esponenziale quando questa rivelazione entra in

apparente contraddizione con rivelazioni più recenti o quasi contemporanee. Per il lettore

attento che sia a conoscenza delle rivelazioni che il Signore ha fatto a veggenti del XX

secolo come a Maria Valtorta, la cui veridicità sta venendo finalmente apprezzata,

potremmo dire che le novità rivelate a don Guido a proposito di Eva potrebbero metterlo

momentaneamente in crisi. Infatti, nei libri della Valtorta, Adamo ed Eva sono sempre

associati ed Eva è considerata una figura umana e responsabile, quindi colpevole, oltre che

della caduta, anche di istigazione. Al contrario, nella Genesi rivelata a don Guido si

afferma che la prima Donna fu assolutamente innocente e che quella che invece fu

l’involontaria tentatrice di Adamo era una femmina appartenente ad una specie

immediatamente inferiore a quella umana. Questa novità ‘sembra’ perciò contrastare i

passi della Valtorta che trattano del peccato originale, ma non è così. Cercherò di

spiegarne il perché. Gesù non avrebbe potuto anticipare alla Valtorta la notizia che nei

secoli lontani era avvenuta una sovrapposizione fra le due identità femminili della Genesi

senza dare anche delle spiegazioni esaurienti. Questo avrebbe rischiato di compromettere

tutta l’opera di evangelizzazione affidata a quella carismatica. Non era infatti la

spiegazione della Genesi il compito della Valtora. Ogni carismatico ha una sua missione e

un suo campo di rivelazione. La Genesi, per la mole stessa di notizie, di spiegazioni,

implicazioni, richiedeva una rivelazione a parte, esauriente. Quindi Gesù si è

semplicemente astenuto dall’accennare a questa realtà, conformandosi alla tradizione e

alla cultura vigente in quel momento storico. Inoltre era necessario attendere che le

conoscenze in campo genetico e scientifico fossero in grado di recepire una verità di così

grande portata. È stata una scelta di estrema saggezza che solo con la visione

onnicomprensiva di Dio poteva essere presa evitando che entrambi le rivelazioni, quella

data alla Valtorta e quella data a don Guido, andassero bruciate. Perché Dio ci dà sempre

‘solo’ quello che possiamo digerire giorno per giorno, come la manna nel deserto, anche

in campo spirituale. Non ha forse detto Gesù agli Apostoli: “Avrei ancora molte cose da

dirvi, ma ‘per ora’ non siete in grado di portarne il peso”? Ciò vuol dire che al momento

delle rivelazioni date alla Valtorta l’umanità non era ancora in grado di portare un peso

maggiore, mentre ora, a distanza di sole poche decine di anni, siamo in grado di

apprezzarne il valore grazie alle nuove conoscenze scientifiche.

Però Gesù ha fatto molto di più: ha preparato il terreno alla rivelazione ricevuta da

don Guido proprio attraverso la Valtorta perché tutto ciò che è scritto nei suoi libri

riguardo alle conseguenze del peccato originale conferma questa rivelazione. In quelle

pagine descrive ampiamente gli effetti devastanti sull’umanità, anche in senso psicofisico,

della disobbedienza di Adamo, in piena sintonia con quanto rivelato a don Guido. Questo

lo constatiamo meglio se, ‘dopo’ aver letto l’opera di don Guido, riprendiamo in mano il

‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ o meglio ancora ‘I Quaderni’ del 1943, 1944 e

1945-50. Vi troviamo le conferme sulla natura del peccato originale e sulle sue

conseguenze sui discendenti ‘illegittimi’ di Adamo, come l’apparire di mostri animaleschi

e scimmieschi incapaci di intendere e di volere i doni dello Spirito. Infatti, se da quel

famigerato rapporto nacquero figli degeneri, è chiaro che il rapporto avvenne con una

femmina che non apparteneva alla specie umana. E poiché quella femmina non aveva né

l’uso della parola, né l’uso della ragione paragonabile a quello della specie umana, quella va

sollevata da ogni responsabilità. Inoltre, se le conseguenze furono così devastanti, è ovvio

che la partner di Adamo non poteva essere la Donna perfetta e appartenente alla sua

stessa specie, ma una femmina di una specie inferiore che, con il suo DNA animale, ha

inquinato il sangue puro della specie dei Figli di Dio.

Quindi la Donna, la legittima sposa di Adamo, accusata per secoli come la causa della

caduta dell’Uomo, viene sollevata da questa accusa e riabilitata nella sua dignità.

È opportuno leggere insieme un brano, fra tanti simili sullo stesso argomento, quello

del 30.12.1946 tratto da ‘I Quaderni dal 1945 al 1950’ a pag. 339:

Scrive Maria Valtorta: “Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri

di uomo-scimmia”. Resto pensierosa dicendo: “Come possono asserire ciò? Saranno

stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i

primitivi erano diversi da noi nello scheletro”. Mi venne un altro pensiero: “Ma diversi in

bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini

all’esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che

fortissimo”. Penso a come la bellezza dell’opera creativa più perfetta si sia potuta

avvilire tanto da permettere agli scienziati di negare che l’uomo sia stato creato ‘uomo’

da Dio e non sia l’evoluzione della scimmia.

Gesù mi parla e dice: “Cerca la chiave nel capo 6° della Genesi. Leggilo”. Lo leggo.

Gesù mi chiede: “Capisci?”.

“No Signore. Capisco che gli uomini divennero subito corrotti e nulla più. Non so che

attinenza abbia quel capitolo con l’uomo-scimmia”.

Gesù sorride e risponde: “Non sei la sola a non capire. Non capiscono i sapienti e

non capiscono gli scienziati, non i credenti e non gli atei. Stammi attenta. – E comincia

a recitare – : ‘E avendo cominciato gli uomini a moltiplicarsi sulla terra e avendo avuto

delle figliole, i figli di Dio (i discendenti di Set) videro che le figliole degli uomini (figlie

dei discendenti di Caino) erano belle e sposarono quelle che fra tutte a loro

piacquero…’. Ora dunque, dopo che ‘i figli di Dio’ si congiunsero con ‘le figlie degli

uomini’ e queste partorirono, ne vennero fuori ‘quelli uomini potenti, famosi nei secoli’.

(Questi sono) gli uomini che per potenza del loro scheletro colpiscono i vostri scienziati

che ne deducono che al principio dei tempi l’uomo era molto più alto e forte di quanto è

attualmente, e dalla struttura del loro cranio deducono che l’uomo derivi dalla scimmia.

I soliti errori degli uomini davanti ai misteri del creato. Non hai ancora capito? Ti spiego

meglio. Se la disubbidienza all’ordine di Dio e le conseguenze della stessa avevano

potuto inoculare negli innocenti il male con tutte le sue diverse manifestazioni di lussuria,

gola, invidia, superbia e avarizia, e presto l’inoculazione fiorì in fratricidio provocato da

superbia, ira e invidia, quale più profonda decadenza… avrà provocato questo peccato

secondo?...”. (Il secondo peccato è il fratricidio di Caino, rispetto alla disobbedienza di

Adamo, il primo peccato. Nota della curatrice.). E più avanti, a pag. 341, prosegue:

“....e Caino non si pentì. Perciò egli e i propri figli non furono che figli dell’animale

detto uomo. ... Ed ebbero mostri per figli e figlie, quei mostri che ora colpiscono i vostri

scienziati e li traggono in errore. Quei mostri che per la potenza delle forme e per una

selvaggia bellezza e un’ardenza belluina, frutti del connubio fra Caino e i bruti, fra i

bruttissimi figli di Caino e le fiere, sedussero i figli di Dio, ossia discendenti di Set per

Enos, Cainan, Malaleel, Jared, Enoc di Jared - da non confondersi coll’Enoc di Caino -

Matusala, Lamec e Noè, padre di Sem, Cam e Jafet. Fu allora che Dio, ad impedire che

il ramo dei Figli di Dio si corrompesse tutto con il ramo dei figli degli uomini, mandò il

generale diluvio a spegnere sotto il peso delle acque la libidine degli uomini e a

distruggere i mostri generati dalla libidine dei senza Dio, insaziabili nel senso, perché

arsi dai fuochi di Satana.

E l’uomo, l’uomo attuale, farnetica sulle linee somatiche e sugli angoli zigomatici, e

non volendo ammettere un Creatore, perché troppo superbo per poter riconoscere di

essere stato fatto, ammette la discendenza dai bruti! Per potersi dire: “Noi, da soli, ci

siamo evoluti da animali a uomini”. Si degrada, si autodegrada , per non volersi

umiliare davanti a Dio. E discende. Oh! Se discende! Al tempo della prima corruzione

ebbe di animale l’aspetto. Ora ne ha il pensiero ed il cuore e l’anima, per sempre più

profondo connubio col male, ha preso il volto di Satana in troppi. Scrivilo questo ... a

controbattere le teorie colpevoli di troppi pseudo-sapienti.... Avrei svelato grandi misteri.

Perché l’uomo sapesse ora che i tempi sono maturi. Non è più il tempo di contentare le

folle con le favolette. Sotto la metafora delle antiche storie sono le verità chiave di tutto

l’universo ... perché l’uomo dal sapere traesse la forza a risalire l’abisso...”.

Gesù rivela dunque che il peccato delle origini fu un peccato che compromise non solo

il rapporto dell’uomo con Dio, ma che coinvolse anche la natura psicosomatica dei suoi

discendenti, portando come conseguenza la corruzione della persona umana in tutti e tre

gli ordini: corpo, mente e Spirito. E, se questo peccato è tale, è chiaro che le sue

conseguenze vengono trasmesse per via genetica.

Se con la Valtorta il Signore ha aperto le porte a questa rivelazione, non avrebbe

potuto inoltrarsi con lei in un tema che richiedeva la spiegazione del ‘perché’ Abele e Set

erano perfetti mentre Caino, il figlio illegittimo, era portatore di corruzione, senza

addentrarsi nella distinzione fra la prima Donna, legittima moglie di Adamo, e la femmina

subumana del peccato originale. Quindi l’assenza di una spiegazione di questa distinzione

negli scritti valtortani è stata una necessità poiché l’argomento dato a don Guido era così

vasto e delicato che richiedeva una rivelazione a parte per spiegare nei dettagli questa

realtà. Quella di Gesù è stata dunque a quell’epoca una omissione necessaria e voluta per la

complessità di questo tema. Ed è stata anche una omissione di prudenza per non

compromettere l’accettazione di quelle rivelazioni, già per se stesse imponenti, che hanno

avuto degli acerrimi oppositori per motivi ben meno rilevanti. Necessitava inoltre che la

veggente avesse qualche conoscenza di genetica, cosa che probabilmente non aveva.

Quindi, come in tutte le rivelazioni avvenute nei tempi passati, sia pur abbastanza recenti,

Gesù si è adeguato con la Valtorta alla cultura del momento. Così, parlando di Eva in

maniera tradizionale, attribuì ad essa sentimenti e pensieri che erano di Adamo, senza

svelare il mistero della sua vera identità. Ecco il perché di questo

‘apparente’contraddizione: apparente perché i prodromi e le conclusioni sono le stesse. E

perché la rivelazione del peccato originale avesse il giusto effetto, ha aspettato che

l’umanità fosse in grado di comprenderne e apprezzarne anche il valore scientifico oltre

che morale. È chiaro ora perché il Signore, nel Suo progetto di Misericordia, è intervenuto

solo ora a chiarire l’equivoco della Genesi. Questa rivelazione è una cosa molto seria che

interessa non solo tutte e tre le religioni monoteistiche ma l’umanità intera e va presa

altrettanto seriamente.

Ripensiamo a quello che il Signore aveva detto alla Valtorta: “Sotto le metafore delle

antiche storie (della Genesi mosaica) sono le verità chiave di tutto l’universo perché

l’uomo dal sapere (cioè dalla conoscenza della verità) trovasse la forza di risalire

l’abisso”.

Conclusioni

È il caso di accennare anche ad un altro aspetto di questa rivelazione. Don Guido

diceva che la Bibbia si apre e si chiude con due Libri ermetici: la Genesi e l’Apocalisse. Essi

stanno lì come due porte opposte, ma in stretta relazione fra loro. Entrambi sono stati

scritti in modo ermetico per volontà del Signore perché potessero essere aperti e svelati al

momento che Lui avesse ritenuto opportuno. E questo pare essere il momento ritenuto

maturo dal Signore dato che anche la chiave d’interpretazione e di spiegazione

dell’Apocalisse è stata consegnata intorno al 1989 ad un Sacerdote carismatico. L’uno e

l’altro, e non a caso, sono Sacerdoti della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Il Signore non si limitò a dare a don Guido le rivelazioni sulla Genesi, ma si preoccupò

di dargli anche delle referenze ineccepibili affinché potessero da sole dargli credito. Nomi

come san Giovanni Calabria, ora canonizzato, padre Matteo Crawley, beatificato, Teresa

Neumann, in via di beatificazione, e non ultimo Papa Luciani parlano da soli a qualunque

uomo di buona volontà.

Questo messaggio è urgente perché in questi ultimi tempi si sta mettendo in atto un

secondo peccato originale perché l’uomo presuntuoso di oggi si sente autorizzato a

manipolare la vita.

Dio diede il creato intero al primo Uomo Adamo perché lo governasse e ne godesse i

frutti. Non gli diede la facoltà di disporre a sua piacimento della vita. Concepimento,

nascita, morte sono rimasti patrimonio di Dio il Quale si riservò, e si riserva tuttora, di

disporne secondo il Suo Pensiero. Ma l’Uomo presuntuoso e disobbediente volle

impossessarsi già allora della gestione della vita e ne fu travolto e noi con lui.

L’uomo di oggi deve capire, e al più presto, che se il Signore mette un veto non lo fa

per creare un ostacolo alla fervida inventiva dell’umanità, ma lo mette per la sua

salvaguardia. Se noi non afferriamo in tempo questo semplice concetto, ne saremo

nuovamente travolti. E oggi siamo a un passo dalla clonazione dell’uomo, dalla scelta del

sesso e dei caratteri di un figlio, dall’ibridazione con specie inferiori per usi terapeutici, e

via dicendo.

Se dovessimo fare una scelta fra ciò che la Scienza insegna e la Parola di Dio espressa

in questa rivelazione, sia pur non ancora di dominio pubblico e non ancora riconosciuta

dalla Chiesa, è chiaro che il vero dato certo su cui possiamo contare è la Parola di Dio,

perché essendo Dio l’Artefice di ogni cosa, solo Lui sa come è stata fatta.

Mi auguro che chi leggerà il libro di don Guido si faccia parte attiva verso coloro che

ancora non lo conoscono perché si formi una coscienza comune di rispetto della vita in

tutti i suoi aspetti, spirituali, etici, sociali, medici perché il futuro dell’umanità non sia

irrimediabilmente compromesso.

SEZIONE III

Testimonianze

Il mio ricordo di Don Guido

di Renza Giacobbi

Conobbi don Guido nel 1986, quando frequentavo la cappella della Casa del Clero di

Belluno. Un giorno arrivò questo anziano Sacerdote di _9 anni, che mi stupì per il

particolare trasporto e convincimento con il quale celebrava la S. Messa. Il suo sguardo e

tutto il suo essere si concentravano con tanta immedesimazione in ciò che pronunciava e

faceva, che ne rimasi colpita. Le sue omelie brevi, ispirate e mai lette, erano

profondissime e nuove e quasi sempre terminavano con parole di ammirazione e di

affettuosa devozione alla Vergine Maria.

Dopo qualche tempo don Guido mi avvicinò per chiedermi se avessi potuto aiutarlo a

riordinare e a ricopiare un manoscritto che desiderava pubblicare, perché si trovava

nell’impossibilità di farlo da se stesso poiché faticava a scrivere a causa di uno strappo ai

legamenti della spalla destra avuto qualche mese prima. Fu così che cominciò a parlarmi

del suo libro e ad accennarmi che il ‘peccato originale’ fu un peccato di ibridazione della

specie pura dei ‘Figli di Dio’ creati perfetti, come dice la Bibbia, ma subito dopo corrotti

dall’unione con la specie preumana dalla quale erano derivati.

Al sentir queste parole lo guardai trasecolata. Aveva uno sguardo d’innocenza e di

sincerità per cui gli chiesi:

– Come fa a dire queste cose? –

Mi rispose lanciando uno sguardo al cielo:

– Chi me le ha dette non può sbagliare! –

A quel punto, scossa ma incuriosita da una risposta così sconvolgente, realizzai in

pochi attimi che sarebbe stato sciocco un mio atteggiamento di chiusura ancor prima di

conoscere i fatti. Potevo sempre riservarmi la libertà di vagliare e di ritirarmi in seguito.

Così accondiscesi.

Nei cinque anni che seguirono, prima della sua morte, ebbi modo di trascorrere molte

ore ad ascoltare e riascoltare il racconto delle sue straordinarie esperienze soprannaturali.

Parlava in modo semplice e senza retorica. Anche i concetti più profondi attraverso di

lui diventavano facilmente comprensibili. Critico intelligente, sapeva cogliere l’essenziale

di ogni questione e al tempo stesso mostrava una capacità analitica sorprendente. Provava

interesse per tutto ciò che lo circondava, fosse la natura o l’animo umano. Aveva un

acutissimo spirito d’osservazione: nella vita lo colpivano anche i dettagli più piccoli che

ad altri passavano inosservati. Questo spiega le descrizioni così minuziose delle sue visioni.

Vedevo nei suoi occhi un’immensa pace, un perfetto equilibrio e molta umiltà di fronte

alla grandezza del messaggio ricevuto. Diceva sempre:

– Ma pensi, proprio a me... così meschino! –

Nelle sue parole mai ho colto un pizzico di autocompiacimento per esser stato scelto

dal Signore per questo compito; provava piuttosto una grande meraviglia che Dio si fosse

adeguato alla sua pochezza.

Allo stesso tempo avvertivo la sua sofferenza di non essere creduto e la dignitosa

consapevolezza che la sua croce era già stata portata molto tempo prima da Gesù quando

fu respinto, schernito e crocifisso dagli uomini del suo tempo.

Si sentiva solo, incompreso, ma mai infelice: la preghiera era per lui un rifugio

autentico che lo rigenerava costantemente. Rimasi colpita dal suo modo convinto di

pregare, dalla sua completa fiducia nella Misericordia di Dio. E quanta espressività,

compostezza e confidenza in Dio in quelle preghiere! Molte di queste erano preghiere

spontanee.

Aveva piena fiducia che il Signore, prima o poi, avrebbe provveduto Egli Stesso ad

abbattere le barriere di diffidenza che sembravano insormontabili. Occorreva dare a tutti,

con questa rivelazione, un’ulteriore prova dell’infinita Sua Misericordia spiegando

all’uomo quali furono i veri pregiudizi che portarono tanta sofferenza sulla terra e a quale

prezzo fu riscattato ciò che era andato irrimediabilmente perduto. Diceva don Guido che

questa consapevolezza avrebbe stimolato molti a non sprecare la loro vita e a cercare la

Parola di salvezza nella Sacra Scrittura.

Don Guido aveva conservato una spontaneità vivace negli atteggiamenti e uno spirito

giovane dentro un corpo che ormai mostrava tutti i suoi anni.

Trattava con affabilità e gentilezza chiunque: benevolo verso le debolezze umane,

stimolava le qualità migliori. Nella Confessione era esplicito e obiettivo nell’evidenziare

le responsabilità. Allo stesso tempo, dimostrando la sua stima e la sua fiducia, comunicava

la voglia di ricominciare. Non adulava ma rincuorava. Ripeteva senza stancarsi: “Pro

posse, petere ut possis”, se ti senti incapace e vuoi riuscire a cambiare, chiedi aiuto a Dio.

Mi resta il ricordo del suo buon carattere e della sua rettitudine di uomo e di Sacerdote.

La sua dote più evidente era proprio l’umiltà, quella vera, di sentirsi piccolo strumento

nelle mani di Dio. Aveva l’innocenza di un bambino. Mai la più piccola bugia, mai,

nemmeno per compiacenza, il più piccolo compromesso, mai il più piccolo orgoglio.

Ho tracciato qualche tratto della sua personalità affinché non sorga il dubbio in chi

legge queste pagine che la sua penna sia stata presa dalla fantasia.

Forse perché sono stata una testimone costante dei suoi ultimi cinque anni, don Guido

mi affidò tutti i suoi scritti perché li proteggessi e li pubblicassi. E poiché da don Guido ho

ricevuto non solo molte spiegazioni ma anche tante parole di bontà, sento il desiderio di

manifestargli la mia gratitudine adempiendo al mio impegno.

Alcune considerazioni

di Roberto Gava

Ho conosciuto personalmente don Guido e mi è rimasta impressa la sua serenità: una

pace e una tranquillità interiore di chi si sente amato da Dio.

Ho parlato a lungo con lui della sua esperienza ed egli ha risposto alle mie domande

mantenendo il sorriso e la serenità interiore. Non c’era spirito di critica o di condanna in

lui verso coloro che non gli credevano, né orgoglio o superbia o senso di superiorità per le

esperienze che aveva fatto. Era sereno, come un bimbo in braccio a sua madre ... sì,

perché Dio è veramente Padre e Madre e don Guido si sentiva in tutto e per tutto suo

figlio. Non scorderò don Guido. Come potrei?

Ho riflettuto per più di dieci anni sulle visioni che lui mi ha riferito di aver ricevuto da

Dio Padre e mi pare di vedere ancora la luce che sprizzava dai suoi occhi quando me ne

parlava. Era una gioia interiore traboccante che non riusciva a contenere, ma che lasciava

intravedere anche un po’ di nostalgia.

Quando me ne parlò, erano già passati circa 15 anni dalle ultime visioni. Intuii che

avrebbe pagato qualsiasi prezzo per ritornare a quei colloqui con l’Onnipotente. Credo che

questo sia il desiderio nascosto di ogni ‘veggente’. Quando si fa una vera esperienza di Dio,

non si può non sentirne anche una profonda nostalgia.

In questi anni di studio e di riflessione ho confrontato innumerevoli volte il suo

racconto con la Parola di Dio rivelataci attraverso la Sacra Bibbia inerente questi

argomenti e non ho mai trovato una dissonanza incolmabile.

Sappiamo che le conoscenze umane, sia dello scienziato che del credente, sono in

continua evoluzione (cfr Lc 2,52). È quindi normale che lungo questo cammino si creino

delle divergenze. Mi pare che l’esperienza di don Guido si inserisca in questo processo e

non entri in vero contrasto con quella che oggi riteniamo Verità assoluta, sia religiosa che

scientifica.

Le obiezioni principali potrebbero essere di natura teologica, ma i teologi da me

consultati hanno sollevato argomentazioni e dubbi divergenti. Molti ostacoli che per

alcuni erano insuperabili venivano sminuiti o quasi non considerati da altri.

Ho concluso pertanto che l’argomento dell’origine dell’uomo, in base alla Rivelazione

Biblica, si presta ancora a troppe opinioni e interpretazioni.

E se in teologia molti sono i punti certi e solo alcuni da chiarire, nella scienza

antropologica è esattamente l’opposto: i dati assolutamente certi sono pochissimi. Oserei

dire che tutta la dialettica si è basata e continua a procedere sulla base di opinioni o

presunzioni o ipotesi di alcuni che poi altri confutano e criticano apparentemente senza

possibilità d’appello.

Sappiamo che il progresso avviene proprio così e quindi la cosa non ci deve stupire.

Comunque, allo stato attuale, nonostante molti recenti progressi, mi pare che questa

branca della Scienza navighi ancora in mare aperto. Infatti gli antropologi consultati sugli

argomenti trattati da don Guido hanno sollevato le obiezioni più disparate e sempre

diverse tra loro avvalorando così la mia ipotesi che ogni scienziato ha la sua personale

opinione e che pertanto si è ancora lontanissimi dalla verità oggettiva sul fatto reale di

come ha avuto origine l’uomo.

Perciò anche scientificamente, la narrazione di don Guido non trova serie obiezioni.

Quindi, l’approccio a quest’opera dovrebbe avvenire senza pregiudizi teologici e scientifici

e dovrebbe farci ragionare come uomini razionali, spinti unicamente da un sincero

desiderio di verità.

Ringrazio l’Onnipotente Padre che mi ha fatto fare questa conoscenza perché, grazie

ad essa, ho approfondito molti aspetti del mio lavoro professionale di medico e ancor più

l’infinita Misericordia di Dio e l’infinito Suo Amore per l’uomo.

Dr. Roberto Gava

Padova, 15 agosto 2003

Riflessione

di padre Serafino Dal Pont

La rivelazione sulle lontanissime origini dell’Universo e su quella paterna e materna

dell’Uomo, concessa alla provata vita di don Guido Bortoluzzi e contenuta in questo libro,

è un esempio confortante della vicinanza del ‘Dio Vivo’ alla Sua creatura, all’uomo del

nostro tempo, particolarmente bisognoso di chiarezze e di aiuto dopo l’abbandono in cui

l’hanno lasciato una scienza contraddittoria e una fede debole e divisa.

Tante sono le pagine della Sacra Scrittura rimaste oscure e le imprecisioni introdotte

nella loro interpretazione. Ecco perché il Signore è venuto incontro all’ansia pastorale di

un vero e umile Sacerdote del nostro tempo che voleva comprendere a fondo il messaggio

della Parola Divina.

I veri teologi sono i mistici e i Santi perché comunicano con il ‘Dio Vivo’ ed entrano

in comunione con il soprannaturale, riponendo la loro fiducia non tanto in se stessi bensì

in Dio.

Chi avrà il dono e la libertà di spirito di aprirsi a questo nuovo favore divino,

comprenderà finalmente la tragedia avvenuta all’inizio dell’umanità, tragedia che ci ha

allontanati fin da subito sia dall’immagine che dalla somiglianza con Dio. E tutto questo,

come la Scrittura ha sempre insegnato, per libera scelta, per diffidenza e ribellione del

padre di tutti gli uomini verso Dio.

Il Lettore, dunque, comprenderà meglio la necessità dell’umanità intera di essere

risanata alla radice dal Sangue puro versato dal Nuovo Adamo, il Cristo, per gli uomini di

tutte le etnie e di tutte le fedi, sia sul piano fisicoemozionale-intellettivo che spirituale.

Pochi sanno che l’augurio fatto dagli Angeli a Betlemme alla nascita di Gesù è stata la

“buona somiglianza all’Altissimo dentro gli uomini” affinché, attraverso quel Bambino,

diventino nuovamente ‘perfetti’ come all’inizio fu creata l’umanità. Solo allora Dio potrà

essere veramente glorificato e la Terra troverà la propria pace. Quanto sono felice che il

Signore, Sovrano dei Cieli e della Terra, abbia scelto tra le nostre montagne natie un umile

Sacerdote in un oscuro angolo di questo grande pianeta, per portare tanta luce e tanta

gioia al mondo intero!

P. Serafino Dal Pont

missionario della Consolata

Londra, 12 settembre 2002, festa ristabilita del ‘Nome di Maria’, ultima e suprema

Signora e ‘Madre di tutti i redenti’

Indice presente nella edizione cartacea

Maggio 2007 © grafica5 edizioni info@grafica5.it - www.grafica5.it

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