martedì 17 gennaio 2012

IL TEOLOGO LEONARDO BOFF e La Teologia della Liberazione - XX Secoli di Papato e LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

Il Teologo Leonardo Boff

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Leonardo Boff presenta Masculino e Feminino a Brasilia il 27 marzo 2003
Leonardo Boff, al secolo Genésio Darci Boff (Concórdia, 14 dicembre 1938), ex frate francescano ed ex presbitero, teologo e filosofo brasiliano e scrittore di fama mondiale. È uno dei più importanti esponenti della Teologia della Liberazione.

Biografia [modifica]

Sacerdozio ed attività universitaria [modifica]

Nipote di immigrati italiani venuti dal Veneto alla fine del XVIII secolo per installarsi nel Rio Grande do Sul, membro di una famiglia non nuova alla vocazione religiosa[1], entrò nel 1959 nell'ordine dei frati francescani minori, presso cui emise la professione di fede nel 1964, diventando sacerdote della Chiesa cattolica. Nello stesso periodo studiò teologia e filosofia in Brasile, Germania, Belgio e negli Stati Uniti d'America, fino al conseguimento del dottorato di Filosofia e Teologia presso l'università di Monaco nel 1970 (uno dei due relatori era Joseph Ratzinger). In quell'anno Boff occupò la cattedra di teologia sistematica ed ecumenica all'Istituto teologico francescano di Petrópolis in Brasile. Nello stesso periodo fu direttore di varie riviste, quali la "Revista Eclesiástica Brasileira" (dal 1970 al 1984), la “Revista de Cultura Vozes” (dal 1984 al 1992) e la “Revista Internacional Concilium” (dal 1970 al 1995), e consulente della conferenza episcopale brasiliana. Fu anche docente visitatore presso le università di Lisbona, Salamanca, Harvard, Basilea ed Heidelberg.

Lo scontro con le gerarchie vaticane [modifica]

Il "processo" in Vaticano nel racconto di Boff
... Una vera conversazione però l'abbiamo avuta soltanto durante la pausa, quando abbiamo preso il caffè. Ad esempio Ratzinger ha detto: «La tonaca le sta molto bene, padre Boff. Anche così si può dare un segno al mondo». Io ho risposto: «Ma è molto difficile portare questa tonaca perché da noi fa caldo». E il cardinale: «Così la gente vedrà la sua devozione e la sua pazienza e dirà: sta scontando i peccati del mondo». E io: «Abbiamo bisogno, certo, di segni di trascendenza, ma quelli non passano per la tonaca; è il cuore che deve stare a posto». Al che Ratzinger ha replicato: «I cuori non si vedono; bisogna pur vedere qualcosa». Ho risposto: «Questa tonaca può anche essere un segno di potere. Quando la porto e salgo sull'autobus, la gente si alza e dice: 'Padre, si accomodi' . Ma noi dobbiamo essere servitori». ... [2]
L'attività pubblica di Boff è sempre stata caratterizzata da una strenua difesa dei diritti dei più poveri; egli va denunciando con fermezza e vigore le grandi lobby industriali brasiliane che, a suo dire, sfruttano il popolo delle favèlas. Boff contribuì in modo essenziale alla elaborazione della teologia della liberazione. I tratti marxisti del suo continuo impegno nella lotta contro l'oppressione dei popoli latinoamericani lo portarono a scontrarsi sempre più aspramente con le gerarchie vaticane, che, a partire dal 1971, lo ammonirono più volte.
Nel 1984 fu convocato in Vaticano e sottoposto ad un processo da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal prefetto Joseph Ratzinger (in seguito eletto papa col nome di Benedetto XVI), a causa delle tesi esposte nel suo libro Chiesa: Carisma e Potere[3]. Nonostante le giustificazioni fornite, l'anno successivo fu condannato al silenzio ossequioso[4]. A causa di pressioni internazionali la decisione fu parzialmente revocata nel 1986. Nel 1992, a seguito di ulteriori minacce di provvedimenti disciplinari da parte di Papa Giovanni Paolo II se avesse preso parte al Summit della Terra, Boff abbandonò[5] l'ordine dei francescani.

L'attività come teologo laico (1992-) [modifica]

L'attività di Boff continuò dopo il 1992 come teologo della liberazione, scrittore, docente e conferenziere. Egli rimase inoltre impegnato nelle comunità cristiane di base brasiliane. Si è sposato e vive a Petropolis nello Stato di Rio de Janeiro. Nel 1993 divenne docente di etica, filosofia della religione ed ecologia presso l'università statale di Rio de Janeiro (UERJ), dove è professore emerito dal 2001. Negli anni successivi si è occupato in maniera sempre più approfondita di politica, diventando un vero e proprio teorico marxista, ed è divenuto un esponente di spicco del cosiddetto movimento no-global (è stato sempre invitato in qualità di oratore alle riunioni di Porto Alegre). Boff è sempre stato vicino alle posizioni del movimento Sem Terra brasiliano. Nel 2001 gli fu conferito il premio “Right Livelihood Award”[6]. Divenne sostenitore di Lula al momento della sua elezione a presidente del Brasile, ma se ne è successivamente distanziato accusandolo di moderatismo[7]. Attualmente (2010) vive a Jardim Araras, una riserva ecologica a Petrópolis, assieme alla sua compagna Marcia Maria Monteiro de Miranda (attivista per i diritti umani ed ecologista) ed ha sei bambini adottati.

Pensiero e temi di ricerca [modifica]

Teologia della liberazione e centralità dei poveri [modifica]

Il pensiero di Boff, in linea con la teologia della liberazione, si è andato sviluppando come riflessione sul fatto che la povertà non è uno stato naturale, e che la presa di coscienza di ciò e la lotta contro questo stato dovrebbe essere parte integrante del ministero della Chiesa. La missione della Chiesa è dunque quella di aiutare i poveri a prendere il loro destino in mano; questa missione si concretizza nelle comunità di base cristiane, che tentano di coniugare il messaggio evangelico con un messaggio ed un'attività di liberazione sociale. Tale modello di "cristianesimo distribuito" era già presente nella sua dissertazione di dottorato.
Uno dei punti centrali del pensiero di Boff è che la pratica della teologia deve "avere due occhi", uno che si rivolge al passato, da dove viene la salvezza, ed uno che si rivolge al presente, "dove la salvezza diventa realtà, qui ed ora". Un esempio della costante ri-contestualizzazione boffiana è la via dolorosa commentata nel libretto Via-Sacra da Justiça, dove le sofferenze del Cristo vengono accostate alle sofferenze dei poveri. Boff concepisce la liberazione cristiana come "integrale", ovvero sia spirituale che materiale (mentre la Chiesa Cattolica tende a privilegiare la parte spirituale). La relazione fra povertà e capitalismo, ed in seguito fra povertà e globalizzazione economica hanno via via acquisito una posizione centrale in questa riflessione teologica, che ha spesso utilizzato categorie interpretative marxiste.

Critica alla gerarchia cattolica [modifica]

Secondo Boff, tuttavia, la Chiesa cattolica sta diventando, nell'ottica della liberazione materiale e spirituale dei poveri, sempre più irrilevante. Egli ritiene che l'approccio delle gerarchie vaticane al problema sia "feudale", che si concepisca la Chiesa come chiesa del ricco per il povero, ma non con il povero. La gerarchia cattolica si irrigidisce su posizioni dogmatiche, le quali, benché necessarie a combattere il pericolo dell'eresia, dovrebbero permettere un'interpretazione diversa in funzione dei in diversi momenti storici, per non tarpare il progresso spirituale (il carisma) della Chiesa stessa. L'eccesso di enfasi sulla struttura ecclesiale va a scapito della centralità dello Spirito Santo.
Boff è entrato spesso in polemica con la struttura gerarchica della Chiesa Cattolica romana, accusata di eccessiva centralizzazione del "potere" spirituale, utilizzando anche categorie interpretative pseudo-marxiste, come quella dell'"espropriazione dei mezzi religiosi di produzione" (i vari sacramenti, in particolare quello della riconciliazione). La comunità locale dei fedeli viene in questo modo emarginata, allorché dovrebbe costituire il nucleo della vita pastorale. Dopo il 1992, Boff ha identificato il problema principale della Chiesa Cattolica, e di Joseph Ratzinger in particolare, nel "fondamentalismo" religioso, poiché la Chiesa nega che possa esistere verità al di fuori ed in mancanza di sé stessa. Non ha risparmiato critiche a Giovanni Paolo II[8], che ha accusato di "controriforma" rispetto al Concilio Vaticano II e di contraddittorietà, ma è diventato particolarmente pessimista sul futuro della "Chiesa vaticana" dopo l'elezione di Benedetto XVI[9].

Evoluzione verso una teologia olistica [modifica]

Dopo il 1992 altri temi si sono inseriti nel pensiero di Boff, in primo luogo quello dell'ecologia e della sostenibilità, che egli giudica completamente incompatibile con il capitalismo e che tenta di integrare alla teologia della liberazione[10]. Altro filone importante è quello delle relazioni di genere e la critica alle strutture patriarcali insite nella società attuale, nonché all'interno della Chiesa. Boff si dice favorevole alla possibilità del sacerdozio ministeriale per le donne[11].
Riguardo alla cosiddetta "guerra al terrorismo" cominciata dopo gli attacchi dell'11 settembre sul suolo statunitense, Boff descrive la situazione come un'opposizione nichilista fra il "fondamentalismo neoliberale" ed il "fondamentalismo pre-tecnologico terrorista", e non vede altra via di uscita che attraverso un dialgo fra culture ed una eliminazione delle ingiustizie economiche mondiali[12]. Rigetta inoltre il concetto di "guerra giusta" del Catechismo della Chiesa cattolica del 1997.

Produzione scritta [modifica]

Boff è autore di oltre cento libri, molti dei quali tradotti in svariate lingue. L'opera considerata più importante è Jesus Cristos Libertador (1972), uno dei testi fondativi della teologia della liberazione, uscito appena un anno dopo Teología de la liberación di Gustavo Gutiérrez, nella quale elabora una solida cristologia; viene analizzato il messaggio di Gesù Cristo in relazione al problema della piena libertà della persona, sia individuale che sociale.
Altri testi teologici molto importanti sulla stessa linea sono Teologia do cativeiro e da libertação e A graça libertadora no mundo, entrambi del 1976. Con il volume Igreja carisma e poder del 1981 delinea una ecclesiologia militante: sostiene che la Chiesa si basa su due pilastri, uno di carattere spirituale (il carisma) ed uno di natura terrena (il potere), e che il secondo sta avendo il sopravvento sul primo; per le tesi contenute nel saggio, come noto, gli fu imposta la censura ed un anno di silenzio.
Dopo il 1992 Boff continua la sua ricerca teologica, come in Igreja : entre Norte e Sul (1995), ma i temi trattati divengono di respiro più ampio. In Grito da terra, grito dos pobres (1997) propone una sintesi del pensiero ecologista radicale sotto tutti gli aspetti (etico, teologico, spirituale e filosofico) con la critica sociale. In Feminino e Masculino (2002) indaga le questioni di genere e le sovrastrutture patriarcali della società attuale, proponendone un superamento conciliativo. Nello stesso anno, in Fundamentalismo. A globalizacao e o futuro da humanidade, affronta il tema del fondamentalismo nelle religioni e nel mercato.

Elenco delle principali opere [modifica]

  • Jesus Cristo libertador, Petrópolis, Vozes, 1972.
    In italiano: Gesù Cristo Liberatore, Assisi, Cittadella, 1973. ISBN 8830801178
  • Teologia do cativeiro e da libertação, Lisbona, Multinova, 1976.
    In italiano: Teologia della cattività e della liberazione, Brescia, Queriniana, 1977. ISBN 8839909303
  • A graça libertadora no mundo, Petrópolis, Vozes, 1976.
    In italiano: La grazia come liberazione, Roma, Edizioni Borla, 1978. ISBN 8826301638
  • Via-Sacra da Justiça, Petrópolis, Vozes, 1978.
    In italiano: Via della croce, via di salvezza, Elledici, 1990. ISBN 8801168861
  • Igreja: carisma e poder -- Ensaios de Eclesiologia Militante, Petrópolis, Vozes, 1981.
    In italiano: Chiesa: carisma e potere, Roma, Borla, 1984. ISBN 8826301624
  • Ecologia - Grito da terra, grito dos pobres, São Paulo, Ática, 1995.
    In italiano: Grido della Terra, grido dei poveri - Per una ecologia cosmica, Assisi, Cittadella, 1996. ISBN 8830805955
  • L. B.; Hans Küng, Norbert Greinacher, Igreja : entre Norte e Sul, São Paulo, Ática, 1995. ISBN 8508056028
    In italiano: Il grido degli ultimi. La Chiesa dei poveri tra il nord e il sud del mondo, Roma, Datanews, 1997. ISBN 8879810251
  • A Águia e a Galinha: uma metáfora da condição humana, Petrópolis, Vozes, 1997. ISBN 8532618456
    In italiano: L'aquila e la gallina. Come un uomo oppresso può trovare la libertà, Sperling & Kupfer, 1999. ISBN 8820028298
  • L. B.; Rose Marie Muraro, Feminino e Masculino. Uma nova consciencia para o encontro da diferencas, Rio de Janeiro, Sextante, 2002. ISBN 8575420186
  • Fundamentalismo. A globalizacao e o futuro da humanidade, Rio de Janeiro, Sextante, 2002. ISBN 8575420070
  • Una piccola raccolta in italiano di scritti e interviste di L. B. su Benedetto XVI e sui temi "caldi" della Chiesa di oggi;
    Un Papa difficile da amare, Roma, Datanews, 2005. ISBN 8879812750

Note [modifica]

  1. ^ Sono infatti teologi anche il fratello Clodovis (padre Clodovis Boff, dell'Ordine dei Serviti) e la sorella Lina (suor Irmã Maria Lina, al secolo Jenura Clotilde). Per dettagli biografici e riguardanti il loro rapporto con il più famoso fratello, vedere le seguenti interviste. [per Clodovis] Luigi Geninazzi (10 maggio 2007). Così è cambiata la teologia della liberazione. Avvenire. [per Lina] Cettina Militello (aprile 2002). Per noi donne solo sei sacramenti. Vita Pastorale.
  2. ^ Estratto da un'intervista al teologo apparsa sul settimanale tedesco Der Spiegel a firma di Birgit Kraatz e Manfred Mueller. L'intervista è riproposta in italiano sul quotidiano la Repubblica il 22 settembre 1984.
  3. ^ Si veda Joseph Ratzinger. Alberto Bovone. «Notificazione sul volume Chiesa: Carisma e Potere. Saggio di ecclesiologia militante del padre Leonard Boff, o.f.m.». L'Osservatore Romano, 20-21 marzo 1985..
  4. ^ Il silentium obsequiosum si riferisce all'obbligo per un credente cattolico di uniformarsi in pubblico ad una disposizione della Santa Sede anche se questa non possiede la proprietà dell'infallibilità. In pratica, per un teologo, consiste nel divieto di insegnamento e di pubblicazione. [senza fonte]
  5. ^ In seguito commentò la sua decisione affermando che: «In 1992, they wanted to silence me again. Finally, I said no. The first time was an act of humility and I accepted. The second time was humiliation, and I couldn't accept it.» (traduz: Nel 1992 volevano impormi nuovamente il silenzio. Alla fine ho detto no. La prima volta fu un atto di umiltà, ed accettai. La seconda volta era un atto di umiliazione, e non ho potuto accettare). Newsweek International, 28 giugno 1999.
  6. ^ La pagina (EN) relativa alla motivazione del premio, che riporta anche una biografia di Boff ed il suo discorso di accettazione.
  7. ^ Vedere l'intervista (FR) Lula n'était pas conscient de sa mission historique (Lula non era cosciente della sua missione storica) alla vigilia delle presidenziali brasiliane del 2006.
  8. ^ Per il giudizio di Boff su Karol Wojtyła, vedere il contributo ad una riflessione corale presente in Giovanni Paolo II, il grande restauratore. 6 aprile 2005.
  9. ^ Vedere la raccolta Un Papa difficile da amare in bibliografia.
  10. ^ Si legga l'intervento (ES) La contradicción capitalismo/ecología. 2005 (La contraddizione fra capitalismo ed ecologia).
  11. ^ Vedere il lungo intervento Il sacerdozio della donna all'orizzonte della sua liberazione tratto da Ecclesiogenesi.
  12. ^ Vedere la breve intervista (PT) Não existe guerra justa (Non esiste guerra giusta) su Comunità Italiana.

Bibliografia [modifica]

  • Il giudizio della Congregazione per la Dottrina della fede di Roma e della Commissione diocesana per la Dottrina della Fede di Rio de Janeiro su alcuni punti di Chiesa: carisma e potere e le misure disciplinari irrogate nei confronti di padre Boff nel 1985 sono reperibili in Il caso Boff, Editrice missionaria italiana (EMI/SUD), 1986. ISBN 8830700908
  • Un commento sui punti scottanti di Chiesa: carisma e potere si può trovare nel seguente articolo: (EN)McAfee Brown, Robert (2-9 luglio 1986). Leonardo Boff: Theologian for All Christians. the Christian Century 103: 615.
  • Sul contributo alla teologia della liberazione: Donald E. Waltermire, The Liberation Christologies of Leonardo Boff and Jon Sobrino: Latin American Contributions to Contemporary Christology (in (EN)), University Press of America, 1994. ISBN 0819190187
  • Studî sul pensiero e l'opera di Boff:
    • Christian Dutilleux; L.Boff, Leonardo Boff: Memórias de un Teólogo de la Liberación (in (ES)), Madrid, Espasa-Calpe, 1997. ISBN 8423999165.
    • Benjamín Forcano, Leonardo Boff, semblanza: teología de la liberación: textos básicos (in (ES)), Madrid, Nueva Utopía, 1997. ISBN 8487264476.
    • Juan José Tamayo Acosta, Leonardo Boff: Ecología, Mística y Liberación (in (ES)), Bilbao, Desclée de Brouwer, 1999. ISBN 8433013904.
    • Horst Goldstein, Leonardo Boff. Zwischen Poesie und Politik (in (DE)), Mainz, Matthias-Grünewald, 2001. ISBN 3786717540.

Voci correlate [modifica]

Teologia della liberazione

Teologia della liberazione
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: http://it.wikipedia.org/wiki/Teologia_della_liberazione

Il teologo Gustavo Gutierrez.
La Teologia della Liberazione (spesso abbreviata con TdL) è una riflessione teologica iniziata in America latina con la riunione del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) di Medellín (Colombia) del 1968, dopo il Concilio Vaticano II, che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano.
Tra i protagonisti che iniziarono questa corrente di pensiero vi furono i sacerdoti Gustavo Gutiérrez (peruviano), Hélder Câmara e Leonardo Boff (brasiliani). Il termine venne coniato dallo stesso Gutiérrez nel 1973 con la pubblicazione del libro Teologia della Liberazione (titolo originale spagnolo: Historia, Política y Salvación de una Teología de Liberación).
I contenuti della Teologia della liberazione si trovano in rapporto di contrasto con quelli della Santa Sede, la quale adottò misure disciplinari contro alcuni dei suoi esponenti.

Origini e princìpi ispiratori [modifica]

Il contesto storico in cui nacque e si affermò la Teologia della Liberazione è quello del diffondersi delle dittature militari e dei regimi repressivi, che determinarono lo sviluppo dell'impegno di alcuni teologi nell'elaborare proposte sempre più radicali per far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana. Durante la CELAM del 1968 i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica sudamericana presero posizione in favore delle popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa popolare e socialmente attiva.
Iniziarono ad avere notevole diffusione in tutti i paesi le comunità ecclesiali di base (CEB), nuclei ecumenici impegnati a vivere e diffondere una fede attivamente partecipativa dei problemi della società: in Brasile ne nacquero circa 100.000, grazie anche al cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns e al vescovo Camara; in Nicaragua numerosi cattolici, sacerdoti e laici, presero parte alla lotta armata contro la dittatura di Somoza e in seguito diversi sacerdoti, come Ernesto Cardenal e Miguel D'Escoto entrarono a far parte del governo sandinista.
Durante la terza riunione della CELAM del 1979 a Puebla (Messico), furono riaffermati e sviluppati i princìpi di Medellín, ma si evidenziò l'emergere di una forte opposizione da parte di settori conservatori della gerarchia ecclesiastica alle tesi della Teologia della Liberazione, che andò rafforzandosi negli anni ottanta con il papato di Giovanni Paolo II in cui gli ideologi ed i protagonisti della Teologia della Liberazione furono progressivamente allontanati dai vertici della gerarchia, come avvenne per Leonardo Boff che subì diversi processi ecclesiastici per poi abbandonare, nel 1992, l'ordine francescano.

Gli antecedenti [modifica]

Gli antecedenti di tale teologia sono molteplici. Si rintracciano in Brasile, dove dal 1957 iniziò nella Chiesa cattolica un movimento di Comunità Ecclesiali di Base (CEB), preso in considerazione poi nel 1964 con il "Primer Plan Pastoral Nacional 1965-1970". Sempre in Brasile, Paulo Freire, un insegnante di Recife, nel Nordeste, sviluppò un nuovo metodo di alfabetizzazione mediante il processo di coscientizzazione del problema. I movimenti studenteschi e dei lavoratori dell'Azione cattolica vi aderirono, insieme con importanti intellettuali cattolici. Alcuni cristiani cominciarono a utilizzare concetti marxisti nelle loro analisi sociali. Alcuni teologi, come Richard Shaull, missionario presbiteriano, pose la questione se la rivoluzione potesse avere un significato teologico cominciando, insieme con altri giovani protestanti, a discutere questi temi con sacerdoti domenicani e intellettuali cattolici.
Una ispirazione per il movimento latinoamericano proveniva dalla situazione europea. In Francia, nel 1950, la pubblicazione del libro dell'abate Godin: Francia: terra di missione? (France, pays de mission?), sconvolge i pastori che si accorgono all'improvviso di guidare una Nazione ormai lontana dalla fede. Il cardinale di Parigi Emmanuel Suhard fonda la Missione di Francia, permettendo ad alcuni preti di lavorare nelle fabbriche per avvicinarsi al mondo operaio. Erano gli anni in cui la laica Madeleine Delbrêl viveva una straordinaria esperienza fra gli operai di Ivry, raccontata nel suo libro Città marxista terra di missione. Provocazione a un'esistenza per Dio (originale francese del 1957: "Ville marxiste terre de mission. Provocation du marxisme à une existence pour Dieu") e nei testi riportati nell'antologia postuma Noi delle strade (originale francese: "Nous autres, gens des rues - textes missionnaires"). Nasce quindi il movimento dei preti operai, che si estende nei principali paesi dell'Europa occidentale. Tra i più noti, il domenicano Jacques Loew, che lavorò come scaricatore di porto a Marsiglia, e il sacerdote Michel Favreau, che è morto in un incidente sul lavoro. In Italia, il primo e più noto dei preti "con la tuta blu" è Sirio Politi, che pubblica il suo diario di vita in fabbrica, dal titolo "Uno di loro".
L'esperienza dei preti operai fu presto accusata di essere pericolosa per l'integrità della fede e della testimonianza cristiana, i preti furono considerati troppo vicini al comunismo e denunciati in Vaticano per attività sovversiva. Nel 1954 Pio XII ordinò a tutti i preti operai di tornare alla loro precedente opera pastorale o di entrare in comunità religiose che fossero presenti a fianco dei lavoratori, ma all'esterno delle fabbriche. Molti furono coloro che abbandonarono il ministero, in rottura con la decisioni del Vaticano; soltanto dopo il Concilio Vaticano II, nel 1965, i preti operai furono riabilitati, e sono presenti, seppure in maniera ridotta, fino ad oggi.
Un'altra ispirazione alla Teologia della Liberazione latinoamericana fu la lotta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, condotta da Martin Luther King; più tardi, tale esperienza sarà all'origine della teologia della liberazione nera (Black Theology), sviluppata, tra gli altri, da James Cone.
Anche in Sudafrica si sviluppò una vigorosa teologia della liberazione nera nella lotta contro l'apartheid, in cui protagonista sarà, negli anni più recenti, il vescovo anglicano Desmond Tutu. Nel resto del continente tale teologia ha messo in discussione la conquista coloniale e lo schiavismo dei popoli locali, "pagani", operato dai popoli europei, "cristiani", denunciando la conseguente miseria di cui soffre tuttora la grande maggioranza dei paesi africani.
In Asia, la teologia minjung (in coreano, popolare) e la teologia contadina, esposta dal filippino Charles Avila, sono state messe in relazione con la Teologia della Liberazione latinoamericana.

Le tappe principali dello sviluppo della Teologia della Liberazione [modifica]

La tematica della liberazione affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II, da molti riconosciuto come inizio della riscoperta di una Chiesa popolare. In esso, dall'esperienza dei vescovi e dei teologi che avevano promosso la redazione della Gaudium et Spes, il cosiddetto "Schema XIII", si dibatte sulla povertà della Chiesa e sulla sua solidarietà con le situazioni di oppressione; esperienza che era propria delle Chiese del cosiddetto "Terzo Mondo", allora in pieno fermento sociale e politico. Traccia di questo dibattito si trova nel libro "I poveri, Gesù e la Chiesa" (originale francese: Les Pauvres, Jésus et l'Église), che il prete Paul Gauthier pubblica nel 1963; in America Latina, il testo ha un grande impatto, e lo stesso Gustavo Gutièrrez ne trova ispirazione per il suo "Teologia della Liberazione".
Nell'agosto del 1975, si tiene il congresso teologico del Messico, cui partecipano più di settecento specialisti, attorno al tema "Liberazione e cattività". Nel 1976, il francescano brasiliano Leonardo Boff pubblica, dopo quell'incontro, il libro "Teologia della cattività e della liberazione" (originale portoghese: Teologia do Cativeiro e da Libertação).
Insieme alla discussione dei teologi, è l'intero episcopato ad assumersi il compito di essere al fianco delle lotte di liberazione del popolo. Dopo la conferenza di Medellín (1968), nel 1979, durante la III conferenza generale della CELAM, a Puebla, i vescovi definiscono il concetto di opzione preferenziale dei poveri.

La Santa Sede e la Teologia della Liberazione [modifica]

La reazione da parte della Santa Sede fu subito drastica: già in uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, papa Giovanni Paolo II dichiarò che la «concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa.».[1]
Lo stesso papa sollecitò dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger due studi sulla Teologia della Liberazione: Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986). In entrambi, si considerava, in sostanza, che nonostante la vicinanza della Chiesa cattolica ai poveri, la tendenza della Teologia della Liberazione ad accettare postulati marxisti e di altre ideologie politiche non era compatibile con la dottrina sociale della Chiesa cattolica, specialmente nell'assunto in cui quella teologia sosteneva che la redenzione fosse ottenibile attraverso un compromesso con le esigenze di riscatto sociale dei poveri.[2][3]
Tali giudizi fortemente critici e la forte pressione dei settori conservatori della Chiesa, come l'Opus Dei, spinsero verso la negazione di un appoggio della Santa Sede richiesto da monsignor Oscar Romero, anche se poi lo stesso papa Giovanni Paolo II, ha riconosciuto che la Teologia della Liberazione ha avuto un ruolo «buono, utile e necessario» per la difesa dei poveri, in una lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana. Egli stesso assume, nel suo magistero sociale, come nella Centesimus annus, la tematica della liberazione come compito della Chiesa del nostro tempo.[4]
Inoltre, nel documento L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel 1993, l'approccio ermeneutico della TdL nella lettura delle Sacre Scritture (e, con esso, ogni approccio "contestuale", come quello femminista, ad esempio), viene riconosciuto importante per una comprensione più adeguata del Vangelo.[5]

La Teologia della Liberazione oggi [modifica]

La Teologia della Liberazione ha subito ripreso, pur fuori dalla Chiesa, la centralità della beatitudine dei poveri, proclamata nel Vangelo e nella tradizione ecclesiale, coniugandola con il processo di liberazione dalla povertà tramite la trasformazione sociale e politica. In seguito, nella Teologia della Liberazione sono stati gli stessi poveri a divenire protagonisti del proprio affrancamento dall'oppressione, sia nella pratica (la "teologia prima"), sia nella riflessione teorica (definita "teologia seconda", cioè conseguente alla prassi). Alla riflessione, si aggiunge la denuncia dell'economia di mercato e l'alienazione che il capitalismo causa a milioni di persone nel mondo.
Oggi, grazie soprattutto al contributo di Leonardo Boff e dei suoi numerosi libri come: "Ecologia, mondialità, mistica", o l'ultimo: "Spiritualità per un altro mondo possibile" la Teologia della Liberazione ha sviluppato un filone nuovo, scoprendo lo stretto legame cosmico e mistico di necessaria interdipendenza tra solidarietà che gli esseri umani sono chiamati ad avere tra loro e quella che devono avere con la natura, nell'aut aut tra homo sapiens e homo demens. Ossia come riscoperta dell'ambiente e di una rinnovata cura ecologica, e ha sposato le tesi e l'azione del movimento altermondialista (detto anche "no-global"), in cui alla contestazione del neoliberismo si aggiunge la promozione della pace fondata sulla giustizia e la richiesta di una partecipazione democratica efficace da parte dei movimenti di base.
In ambito extraecclesiale - a seguito degli scontri più forti tra la gerarchia della Chiesa e il movimento della Teologia della Liberazione - si è giunti a sposare le tesi della teologia radicale e politica, europea e statunitense, unendosi quindi nella richiesta di una reale partecipazione dei laici e delle donne alla vita e alla guida della Chiesa, al decentramento del potere ecclesiale e all'inculturazione del Vangelo nelle Chiese e nelle tradizioni locali, al macroecumenismo (condivisione di riflessione e impegno allargata, cioè, alle grandi religioni mondiali), al pluralismo nelle questioni riguardanti la salvezza, in cui il ruolo di Gesù Cristo, pur non marginalizzato, non risulti più esclusivo delle altre esperienze religiose umane.
Il 13 ottobre 2006 Benedetto XVI ha promulgato una Notificazione (pubblicata il 14 marzo 2007), che condanna come "erronee e pericolose" alcune tesi espresse dal teologo della liberazione Jon Sobrino, gesuita basco emigrato ad El Salvador, nei suoi due libri Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, del 1991, e La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, del 1999, che hanno avuto grande diffusione in America Latina e non solo. Una delle accuse principali è di aver eletto i poveri a "luogo teologico fondamentale" – cioè a principale fonte di conoscenza –, al posto della "fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni".[6]

Elementi centrali della Teologia della Liberazione [modifica]

Fra le tesi di questa teologia vi sono:
  1. La liberazione è conseguenza della presa di coscienza della realtà socioeconomica latinoamericana.
  2. La situazione attuale della maggioranza dei latinoamericani contraddice il disegno divino e la povertà è un peccato sociale.
  3. La salvezza cristiana include una "liberazione integrale" dell'uomo e raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana.
  4. Non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono e vittime del peccato che richiedono giustizia.
Fra gli impegni teorici e operativi che conseguono dalle tesi vi sono:
  1. Costante riflessione dell'uomo su se stesso per renderlo creativo a suo vantaggio e a quello della società in cui vive.
  2. Prendere coscienza della forte disuguaglianza sociale tra società opulente e popoli votati alla miseria, ponendosi al fianco dei poveri, che sono le membra sofferenti del corpo crocifisso di Cristo, senza avallare perciò tesi che si avvicinino ad un cristianesimo classista e rivoluzionario. La rivoluzione del vangelo è l'amore, non la lotta. La giustizia sociale è sorella della carità.
  3. Rivendicare la democrazia approfondendo la presa di coscienza delle popolazioni riguardo ai loro veri nemici, per trasformare l'attuale sistema sociale ed economico.
  4. Eliminare la povertà, la mancanza di opportunità e le ingiustizie sociali, garantendo l'accesso all'istruzione, alla sanità, ecc.
  5. Creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle trasformazioni sociali. L'uomo solidale e creativo deve essere il motore dell'attività umana in contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto.
  6. Libera accettazione della dottrina evangelica, ossia procurare innanzi tutto condizioni di vita dignitose e poi, se la persona lo vuole, perseguire l'attività pastorale, diversamente da prima, in cui finché le missioni cristiane sfamavano le persone, allora queste si dichiaravano cristiane.

Principali rappresentanti della Teologia della Liberazione [modifica]

Teologi [modifica]

Vescovi [modifica]

Preti [modifica]

Note [modifica]

  1. ^ Cfr. Discorso di Giovanni Paolo II nella III Conferenza generale dell'episcopato Latinoamericano, del 28 gennaio 1979
  2. ^ Cfr. Libertatis Nuntius
  3. ^ Cfr. Libertatis Conscientia
  4. ^ Cfr. Centesimus Annus, n.57
  5. ^ Cfr. L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa parte I, § E.1-2
  6. ^ Vedi la Notificazione della Santa Sede

Bibliografia [modifica]

  • Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione. Prospettive, Queriniana, Brescia 1972, 19925.
  • Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia 1981.
  • Gustavo Gutiérrez, Bere al proprio pozzo. L'itinerario spirituale di un popolo, Queriniana, Brescia 1984, 19893.
  • Dussel, Enrique, Caminos de liberación Latinoamericana, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
  • Dussel, Enrique, Teoría de la liberación y ética. Caminos de liberación Latinoamericana II, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
  • Paolo Andreoli, Note per una teologia della liberazione, Movimento laici per l'America Latina, Roma 1975.
  • Mario Cuminetti, La teologia della liberazione in America Latina, Edizioni Borla, Bologna 1975.
  • Leonardo Boff, Teologia della cattività e della liberazione, Queriniana, Brescia 1977.
  • Pablo E. Bonavia Rodriguez, La prassi nella teologia della liberazione, ASAL, Roma 1977.
  • Stefano Fontana, Il problema metafisico nella teologia della liberazione, Tip. Antoniana, Padova 1977.
  • Segundo Galilea, La teologia della liberazione dopo Puebla, Queriniana, Brescia 1979.
  • Federico Mandillo, Wojtyla in America latina. In sette giorni un'enciclica. Diritti umani, ipoteca sociale sulla proprietà, teologia della liberazione, terra ai contadini, Apes, Roma 1979.
  • Jose Ramos Regidor, Gesù e il risveglio degli oppressi. La sfida della teologia della liberazione, A. Mondadori, Milano 1981.
  • Eugenio Bernardini, Comunicare la fede nell'America oppressa. Storia e metodo della Teologia della Liberazione, Claudiana, Torino 1982.
  • Congregazione per la dottrina della fede, Libertatis nuntius. Istruzione su alcuni aspetti della Teologia della liberazione, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano 1984 (Testo integrale).
  • Giuseppe Silvestre, Alle sorgenti della teologia della liberazione, Graficalabra, Vibo Valentia 1984.
  • Sandro Spinelli, La grande sete. Teologia della liberazione nella quotidianità, Bine, Cernusco sul Naviglio 1984.
  • Sacra Congregazione per la dottrina della fede, Teologia della liberazione, Istruzione Libertatis nuntius con i commenti di Pierre Bigo et alii, presentazione del card. Joseph Ratzinger, Logos, Roma 1985.
  • Associazione medici cattolici italiani, Umanizzazione della medicina e teologia della liberazione, A.M.C.I., Catania 1985.
  • Ubaldo Gervasoni, Mille voci e una lacrima. Diario di viaggio in Bolivia e Perù con documentazioni su: cocaina, guerriglia, teologia della liberazione, Qualevita, Torre dei Nolfi 1985.
  • Giuseppe Montalbano, Critica alla dialettica marxiana ed alla teologia della liberazione, Romano, Palermo 1985.
  • Leonardo Boff, Clodovis Boff, Come fare teologia della liberazione, Cittadella, Assisi 1986.
  • Rosino Gibellini, Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1986, 19902.
  • Convegno europeo delle comunità di base, Teologie della liberazione in dialogo. II Convegno europeo delle comunità di base. La riflessione delle CdB a confronto con la teologia della liberazione e la teologia europea, Tempi di fraternita, Torino 1986.
  • Leonardo Boff, Il sentiero dei semplici. Francesco d'Assisi e la teologia della liberazione, Editori riuniti, Roma 1987.
  • Phillip Berryman, Liberation Theology. The Essential Facts About the Revolutionary Movement in Latin America and Beyond, Pantheon Books, New York 1987 (testo completo trad. spagnola: Teología de la liberación, México, 1989).
  • Giulio Girardi, Jose Maria Vigil, Il popolo prende la parola. Il Nicaragua per la teologia della liberazione, Borla, Roma 1990.
  • Victor Codina, Cos'è la teologia della liberazione, La piccola editrice, Celleno 1990.
  • Alfredo Vitiello, Marxismo e teologia della liberazione. Sottosviluppo, sfruttamento, pauperismo e rivoluzione in America Latina, M. D'Auria, Napoli 1990.
  • Clodovis Boff, La via della comunione dei beni. La Regola di sant'Agostino commentata nella prospettiva della teologia della liberazione, Cittadella, Assisi 1991.
  • Rene Marle, Introduzione alla teologia della liberazione, Morcelliana, Brescia 1991.
  • Ignacio Ellacuria, Jon Sobrino, Mysterium liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione, Borla, Roma 1992.
  • Leonardo Boff, La teologia, la Chiesa. I poveri. Una proposta di liberazione, Einaudi, Torino 1992.
  • Giulio Girardi, Il tempio condanna il Vangelo. Il conflitto sulla teologia della liberazione fra il Vaticano e la CLAR, Cultura della pace, San Domenico, Fiesole 1993.
  • Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore. Letture storico-teologica di Gesù di Nazaret, Cittadella, Assisi 1995.
  • Ernesto Gringiani, Utopia o fallimento della dottrina sociale della Chiesa? Dalla "Rerum novarum" alla teologia della liberazione. Contributo critico al pensiero sociale della Chiesa, Gianluigi Arcari, Mantova 1996.
  • José Ramos Regidor, La teologia della liberazione, Datanews, Roma 1996, 2004.
  • Giuseppe Silvestre, La teologia della liberazione. Storia, problemi, conflitti prospettive e speranze, Progetto 2000, Cosenza 1996.
  • Lucia Ceci, Per una storia della teologia della liberazione in America Latina, in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 1997, 2, pp. 105–143.
  • Rosario Giue, Osare la speranza. La teologia della liberazione dell'America Latina al Sud d'Italia, La Zisa, Palermo 1997.
  • Leonardo Boff, Clodovis Boff, Jose Ramos Regidor, La Chiesa dei poveri. Teologia della liberazione e diritti dell'uomo, Datanews, Roma 1999.
  • Lucia Ceci, La teologia della liberazione in America Latina. L'opera di Gustavo Gutierrez, F. Angeli, Milano 1999.
  • Lucia Ceci, Liberazione e teologia (1973-1992), in Storia ed esperienza religiosa, a cura di A. Botti, QuattroVenti, Urbino 2005.
  • Lucia Ceci, Chiesa e liberazione in America Latina (1968-1972), in L'America Latina fra Pio XII e Paolo VI, a cura di A. Melloni e S. Scatena, Il Mulino, Bologna 2006;
  • Gabriele Tomei, Alla sinistra del Padre. Teologia e sociologia della liberazione in America Latina, F. Angeli, Milano 2004.
  • Vittorio Falsina, Un nuovo ordine mondiale. Insegnamento sociale della chiesa e teologia della liberazione, EMI, Bologna 2006.
  • Silvia Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008.

Voci correlate [modifica]

Altri progetti [modifica]

TRATTO DALLA RICERCA DI GOOGLE:
http://www.google.it/#sclient=psy-ab&hl=it&source=hp&q=IL+TEOLOGO+LEONARDO+BOFF+&pbx=1&oq=IL+TEOLOGO+LEONARDO+BOFF+&aq=f&aqi=&aql=&gs_sm=s&gs_upl=0l0l8l94140l0l0l0l0l0l0l0l0ll0l0&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&fp=9c5d5186cbeeaf3c&biw=1280&bih=680


VENTI SECOLI DI PAPATO

Cosa sappiamo della nostra Chiesa?







(le immagini del testo sono in parte originali ed in







parte tratte dai testi citati in bibliografia)

Traendo spunto da quanto altri hanno scritto prima di me, generalmente appartenendo ad altre confessioni religiose (p.e. protestanti), mi sono chiesto quale corrispondenza vi fosse tra la catechesi sull'evoluzione della Chiesa e la realtà storica.

Indagando in questo specifico contesto ho scoperto di sapere troppo poco della religione nella quale sono stato educato e quel poco di saperlo male.

Sull'aspetto storico della Chiesa Gerosolimitana, sulla possibile realtà storica del Cristo e sulle originarie divergenze interpretative (primi due secoli) ero abbastanza ferrato, pur con tutti i dubbi possibili, ma dei residui diciotto secoli, per quanto riguarda specificatamente la storia della Chiesa, mi sono reso conto di non saperne abbastanza.

Così ho deciso di buttare in rete il materiale che ho potuto consultare e verificare, cosa che farò a puntate (almeno fino a quando mi sarà permesso).

Ecco, più o meno, quello che ho scoperto: La prima cosa che ho rilevato è quella che, sfruttanto il titolo di un bel romanzo di R.Vacca, può essere veramente definita la "suprema pokazuka", cioé la più curiosa e visibile operazione di "camuffaggio" che abbia avuto luogo dal II secolo d.C. sino ad oggi. E, sostanzialmente, è costituita soltanto da un brandello di stoffa. Sulla croce è inchiodato un Cristo, rappresentato così, a parte qualche eccezione (nella quale appariva completamente vestito o, addirittura, a fianco della croce o in disparte), solo dal VI° secolo d.C., e con uno straccio intorno alla vita, a coprire le pudenda.

Perchè?

Vista l'aria che tirava direi soltanto per nascondere la circoncisione che Gesù, ebreo osservante e probabilmente patriota nel senso più religioso del termine (v.: Gesù il Cristo - la figura storica ), sicuramente esibiva.

E la necessità di nascondere questa particolarità anatomica derivava dall'incongruenza tra la persecuzione degli ebrei deicidi, richiesta a tutti i buoni cattolici dalla Chiesa su preciso, ma falsificato, incarico dello stesso Gesù, un ebreo, e l'essere il Cristo un giudeo nel senso più proprio del termine.

Occorre ricordare che la persecuzione degli ebrei, che durante i primi tre secoli dopo Cristo erano cittadini dell'impero con piena capacità giuridica (fatto salvo il periodo delle guerre ebraiche), comincia esplicitamente dopo Costantino.

Essi vengono esclusi dalle cariche civili ed amministrative. Viene loro proibito di impiegare gentili e dare o ricevere da cristiani assistenza medica, mentre i matrimoni tra cristiani e giudei vengono considerati alla stregua di adulteri.(sempre tanto per rompere inserisco un link ad alcune pagine tratte da Summa Omnium Conciliorum et Pontificum del 1691, sempre sul trattamento dei giudei)

Innocenzo III diede loro un ulteriore stoccata
(da ricordare, a conferma, che nel Concilio IV di Laterano, tenutosi nel 1215 sotto di lui, oltre al resto, nel canone 68 si precisa: Statuimus ut Iudæi utriusque sexus in omni Christianorum provincia et in omni tempore qualitate habitus publice ab aliis populis distinguantur" ed al canone 69: Nec Iudæi...officiis publicis præficiantur", etc.etc. Ma già nel II di Nicea, 787, era proibito agli ebrei di avere servi cristiani e di partecipare alla vita della comunità)
e, forse, la botta finale, per così dire, arriva da Paolo IV, con la sua Bolla "Cum nimis absurdum" del 1555, nella quale vengono formalmente istituiti i "ghetti".

Gli ebrei vengono obbligati a cedere tutti i loro beni, viene loro vietato di esercitare attività commerciali e trattare granaglie, mentre possono vendere cibo in genere e abiti "di seconda mano" (alias stracci. Erano diventati stracciaroli). Viene loro permessa una sinagoga per città (dentro al ghetto). Tutti i loro libri vengono bruciati e vengono costretti ad indossare , in pubblico, un cappello giallo (non poi così diverso dalla stella nazista, anch'essa gialla). Possono parlare solo in latino o in italiano e non devono mai essere chiamati "signore".

Nel giro di pochi mesi ci furono ghetti dappertutto. Quello di Bologna era soprannominato "Inferno". Ed era obbligo di ogni buon cristiano, ove possibile, di portare via i figli agli ebrei per battezzarli e condurli sulla via del Signore.

La faccenda è andata avanti per un pezzo, se si pensa che nel 1823 Leone XII richiude di nuovo gli ebrei nei ghetti e nella 2A Guerra Mondiale il silenzio del Papato è stato più eloquente di una enciclica.





























INDICE (che, come il sito, è a costruzione progressiva (a puntate) PAGINA 1
-Cosa sappiamo della storia del Papato
-Le pudenda di Gesù e qualcosa sui ghetti
spiegazione del sito ed osservazioni generali. Innocenzo III°, Paolo IV°, Cum Nimis Absurdum, ghetti ebrei
PAGINA 2
-Il successore di Pietro
-Papi? Vescovi?..ma chi sono?
Gregorio VI, Pietro, Paolo, Ireneo, Lino
PAGINA 3
-Potere sulla Chiesa - infallibilità ed eretici
Bonifacio VIII, Unam Sanctam, Petrarca, Clemente XI, Syllabus di Pio IX
PAGINA 4
-Brama di potere...Ma che razza di gente!
martiri, Costantino, Silvestro, Milziade, Ursino, Damaso, Ammiano Marcellino
PAGINA 5
-La donazione di Costantino, le frottole papali, Pipino, etc.
Leone, Gregorio, Stefano III, Adriano IV, Valla
PAGINA 6
-Il Sacro Romano Impero - Carlomagno - il celibato
Leone III, Adriano I, Trento, Elvira, Gangra
PAGINA 7
-Qualche storia macabra e di sesso
-I Papi strani e la Papessa
Conti di Tuscolo, Stefano VIII, Benedetto V, Stefano VII, Formoso, Marozia, Adriano V, Sergio III, Giovanni X, Giovanni XI, Ottone di Sassonia, Giovanni XII
PAGINA 8
-Altri affari che seguirono
-altri papi pazzi e strani
Giovanni XII, Ottone, Leone VIII, Giovanni XIII, Benedetto VII, Gregorio V, Ottone III, Giovanni XIX, Benedetto IX, Silvestro III, Gregorio VI, Enrico IV, Urbano II
PAGINA 9
-La rivincita, Gregorio VII ed i suoi falsari
Enrico IV,Urbano II e i falsari di Gregorio
PAGINA 10
-L'estrema rivincita - Gregorio, Enrico IV e l'infallibilità
Enrico IV,la reggia di Canossa, potere temporale e Clemente III
PAGINA 10bis
-Due parole sulle crociate
Urbano II ed altri
PAGINA 10ter
-Ancora crociate
Sergio IV, Gregorio VII, Urbano II, Pasquale II, Eugenio III, Clemente III, Celestino III, Innocenzo III Onorio III, Gregorio IX, Giovanni XXI, Barbarossa, Cuor di Leone, Filippo IIi
PAGINA 11
-Il padrone del Mondo, Innocenzo II e il vicario di Cristo
Francesco, Innocenzo III, Gregorio IX,Ottone IV, Giovanni Senza Terra e la Magna Carta
PAGINA 12
-Sangue sparso - gli Albigesi - la violenza nella chiesa
Simone di Monfort, Albigesi, Catari, Ebrei, Arnaldo e la violenza
PAGINA 13
-Il dominio della Paura - Gregorio IX, gli eretici e l'Inquisizione
Gregorio IX, Inquisizione, Bolla Ad Extirpanda, Nicolò III
PAGINA 14
-La Romana Inquisizione - Paolo IV...e via così
Paolo III, Paolo IV, Decamerone, Pio VII, eresie
PAGINA 15
-Inquisizione e giudizi storici - le streghe
Giovanni XXII, Gregorio IX, Innocenzo VIII , Summis desiderantes Affectibus, Malleus Maleficarum
PAGINA 16
-La questione giudea
Paolo IV, Pio XII
PAGINA 17
-Le eresie dei papi
Vaticano I,Innocenzo III, Innocenzo IV, Pelagio, Siricio, Liberio, Gregorio Magno, Vigilio, Giustiniano, Onorio
PAGINA 18
-Ancora altre eresie dei papi
Costantino II, Simonia e nomine valide, Stefano VII, Sergio III, Leone IX, Gregorio VII, Urbano II, Paolo IV, Stefano II, Giovanni XXII, Gregorio XIII
PAGINA 19
-Il papa che riscrisse la Bibbia
La bibbia fasulla e Sisto V, Bellarmino, Clemente XIII
PAGINA 20
-La Bestia Nera - Bonifacio VIII
Bonifacio VIII, Celestino V, Clericos Laicos, Anagni
PAGINA 21
-L'esilio in babilonia (Avignone) e la discesa all'inferno
Filippo il Bello, Clemente V, Clemente VI, Urbano VI, Bonifacio IX, Giovanni XXIII
PAGINA 22
-Un concilio, un papa imbarazzante ed il problema del papato
Sigismondo, Costanza, Giovanni XXIII, Huss, Basilea, Eugenio IV
PAGINA 23
-L'approssimarsi della tempesta (il Borgia)
Sisto IV, Innocenzo VIII, Alessandro VI e i Borgia
PAGINA 24
-L'inevitabile Riforma
Giulio II, Michelangelo, Leone X, le indulgenze e Lutero, Paolo III, Paolo IV
PAGINA 25
-Il crepuscolo del potere
Paolo IV, Elisabetta, Pio V, Regnans in Excelsis
PAGINA 26
-Il papato: la fine o un nuovo inizio
Pio IX e Pastor Aeternus
PAGINA 27
-Il più grande scandalo della Cristianità (Galileo)
Urbano VIII e l'urto con scienza e progresso
PAGINA 28
-L'errore di Clemente XI
In coena Domini, Ex Illo Die, I cinesi con gesuiti e domenicani
PAGINA 29
-L'infallibile (Pio IX)
PAGINA 30
-La supremazia papale
PAGINA 31
-Un papa paesano (di fatto e di mente)
Leone XIII, Pio X, Pio XII
PAGINA 32
-Il Papa Che Amava Il Mondo (Giovanni XXIII)
PAGINA 33
-L'amletico Personaggio (Paolo VI)
PAGINA 34
-Il Superpapa e le questioni pressanti
PAGINA 35
-Gregorio e gli altri (peccato originale, etc.)
PAGINA 36
-Ancora il peccato originale ed il controllo delle nascite
PAGINA 37
-I pionieri del divorzio
PAGINA 38
-Il nuovo insegnamento della Chiesa
PAGINA 39
-Divorzio papale: nozze consumate e non consumate
PAGINA 40
-Alcuni moderni divorzi papali
PAGINA 41
-L'aborto e la contraccezione
PAGINA 42
-La criminosità dell'aborto
PAGINA 43
-Qualche cosa sul celibato
PAGINA 44
-L'incesto e le sue variazioni
PAGINA 45
-Qualcosa sulla donna
PAGINA 46
-Osservazioni varie











Links e collegamenti interessanti : *Numeri
Sito ateo ricco di notizie, collegamenti e riferimenti bibliografici
*Hall of Church History
bel sito di Phil Johnson, ricco di riferimenti
*Ancient and Medieval Church History Timeline
fino al XV° secolo, assai ben fatto ed interessante, anche se con descrizioni delle vite (brevi biografie) troppo rispettose della tradizione
*Ecclesiology
buon sito ed utile guida storica.
*Initiative
sito a carattere enciclopedico.
*Church History
molti links e varie curiosità, sito utile e con vari approfondimenti.
*Encyclopedia of Early Church History
utilità varie e siti utili.
*History of the Orthodox Church
storia della Chiesa ortodossa, con una buona documentazione sulle origini.
*Electronic Resources for Church History
molteplici risorse elettroniche (web, etc.), con vari database, giornali e links.
*American Society of Church History
associazione di studiosi di storia religiosa. Qualche dfficoltà di iscrizione.
*Antipapismo - l'Umanità e la ragione contro i fanatismi delle religioni dogmatiche"nel sito, oltre ad una storia in versi del cattolicesimo (papato) corredata da interessanti note a margine, una cruda e documentata ricerca su San Carlo e altro ancora. Pericolosamente duro e chiarificatore.*Bisanzio in Italia (e altro)sito di Francesco Quaranta, studioso e ricercatore. Merita la consultazione

WWW.CRISTIANESIMO.IT


VENTI SECOLI DI PAPATO

Il successore di Pietro?







(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)







Il Sommo Pontefice, Giovanni Paolo II°, è chiamato il 263° pontefice, almeno nelle liste Vaticane, ma il numero non sembra così certo.

Ci sono state molte occasioni nelle quali nessuno sapeva con certezza chi, dei diversi pretendenti al titolo, fosse il vero papa.

Soltanto nel 1073 Gregorio VI° proibì espressamente ai cattolici di chiamare "papa" una persona diversa dal vescovo di Roma. In precedenza molti vescovi erano affettuosamente chiamati ed invocati con il titolo di Papa o "pope".

Si sostiene che Pietro fosse il vescovo di Roma, ma non pare nemmeno certo che a Roma egli si sia fermato per un certo tempo (i più accreditati studiosi gli attribuiscono al massimo tre anni di permanenza nella città). E' invece sicuro che nella lettera di Paolo del 58 d.C., indirizzata ai Romani, egli menziona personalmente 29 individui, ma non saluta affatto Pietro. Omissione sconcertante se Pietro fosse stato formalmente il vescovo di Roma.

D'altra parte non c'era alcuna ragione per la quale Pietro dovesse essere vescovo a Roma. Non era nemmeno stato vescovo a Gerusalemme, dove , dopo la morte di Gesù, capo della Chiesa era diventato Giacomo, il fratello del Signore.

C'è poi anche il fatto stranissimo che il nome di Pietro non appare nei primi successivi (all'epoca di Pietro) elenchi dei vescovi di Roma. Ireneo, vescovo di Lione dal 178 al 200 d.C., che può citare con assoluta precisione la propria personale sequenza di "tradizione" vescovile sino a risalire direttamente all'apostolo Giovanni, elenca tutti i vescovi di Roma fino al dodicesimo, Eleuterio, ma, come primo vescovo, parte da tale "Lino".

Altrettanto si ritrova nella "Costituzione Apostolica" dell'anno 270, nella quale si precisa che Lino ottenne la sua nomina direttamente da Paolo.

Proprio nel tentativo di risolvere l'incongruenza in molti elenchi di pontefici seicenteschi i pontefici numero uno e due delle antiche liste, Lino e Cleto, vengono addirittura ridotti alla qualità vescovile, saltando a pié pari da Pietro a Clemente (e ricordiamo che, in realtà, la medesima idea "cattolica" di "papa" era in quel tempo senza significato alcuno).

Secondo alcuni la cosa si spiega soltanto con l'ipotesi che nella mente degli antichi commentatori gli apostoli costituissero una classe a parte, da non confondere con le normali gerarchie, e che essi, gli apostoli, non appartenessero a nessun luogo specifico ma a tutta la Chiesa in senso lato.

La Chiesa ha stabilito come essenziale elemento di "fede" (e di potere come vedremo) che i papi sono successori di S.Pietro come vescovo di Roma, ma egli non ha mai portato quel titolo, che gli fu attribuito solo molti secoli dopo.

Su questa esile ed inconsistente base il Papa è diventato l'ultimo sovrano assoluto sul pianeta, con poteri che hanno del fantastico.

Naturalmente, come tutti i regnanti di questo genere, la sua corte burocratica, la Curia, che alla fin fine ha sempre vinto tutte le sue battaglie, risulta in grado di condizionarne pesantemente le scelte sia direttamente sia indirettamente, filtrando opportunamente le informazioni destinate al Pontefice

Ancora più strano è che questo potere assoluto, costruito appunto sulla inesistente correlazione con Pietro con la straordinaria frase "Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam" (giustificata dagli studiosi con il fatto che in Aramaico "Pietro" e "rocca/pietra" sono entrambi "Cepha"), non abbia trovato fondamento teologico alcuno fino al XV° secolo.

A Cipriano, Origene, Cirillo, Ilario, Gerolamo, Ambrogio, Agostino, per citarne alcuni, non verrebbe mai in mente di applicarla al Papa, anzi proprio fino al XV° secolo era prassi costante riferirsi solo al Signore come unica "pietra portante" della Chiesa.

Inoltre Pietro non era nemmeno un grandissimo esempio in ordine alla "infallibilità" autoattribuitasi dai pontefici. Pietro fece terribili errori sia prima sia dopo la morte di Gesù (i vari tradimenti, il tentativo di impedirgli di andare a Gerusalemme,etc.) tanto che uno dei più grandi studiosi di diritto canonico, Graziano, nel 1150, dice:" Petrus cogebat Gentes Judaizare et a veritate evangeli recedere" , cioè "Pietro spingeva i Gentili a vivere come Ebrei allontanandosi dalla verità del Vangelo".

VENTI SECOLI DI PAPATO
Potere sulla Chiesa?
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
E, per quanto riguarda la giurisdizione sulla Chiesa, sarà mai passato per la mente a Pietro, mentre predicava al suo minuscolo gregge ad Antiochia o a Roma (se mai ci si è recato), che in un giorno futuro avrebbe avuto il potere sull'intera Chiesa?
Un'idea del genere richiese un mucchio di tempo per prendere forma compiuta nella mente (?) della Chiesa romana stessa. Persino per cominciare a pensarla dovettero attendere che la Cristianità cominciasse ad integrarsi con l'Impero, ed anche allora il vescovo di Roma non rappresentava niente di più di un normale vescovo, come quello di Costantinopoli o di Antiochia, e nessuno avrebbe mai ritenuto opportuno o doveroso andare a chiedergli di dirimere questioni relative al proprio "gregge", di fede o laiche che fossero.
Solo dopo il traferimento della corte imperiale a Costantinopoli (la nuova Roma) si cominciò a separare Pietro da Paolo e a considerare l'idea di una qualche trasmissione di incarico da parte di Pietro (peraltro inesistente e non sufficientemente documentata né documentabile).
Solo per toccare alcuni punti, che vorrei meglio approfondire in seguito, evidenzio altre tre o quattro questioni che mi vengono subito in mente
a) il problema dell'infallibilità del Papa, inesistente nel primo millennio, durante il quale solo i Concilii Generali esprimono le idee, gli indirizzi e le decisioni della Chiesa.
Il primo documento papale indirizzato alla chiesa universale sembra essere, per vera sfortuna, la Bolla di Bonifacio VIII "Unam Sanctam" del 1302, che sollevò più questioni di quante ne risolvesse.
b)quello della ricchezza della Chiesa, organizzazione che sarebbe irriconoscibile ed incomprensibile per Pietro e Gesù, il cui Vicario abita un palazzo con "undicimila" stanze, possiede Gastel Gandolfo e si veste come Goldrake (a dire la verità anche i normali parroci lo fanno durante la messa). Gesù è vissuto povero ed è morto nudo. Il papa da secoli si ammanta d'oro e tessuti preziosi. Contrasto più grande sarebbe difficilmente immaginabile. Petrarca stesso scrisse nel XIV secolo "Mi vengono in mente gli antichi predecessori del papa, osservando questi uomini (vescovi e cardinali) vestiti d'oro e purpureo. Sembra d'essere presso i re Persiani o Parti...".
Che relazione materiale o spirituale ci può essere tra quei poveri apostoli e gli attuali vertici della Chiesa cattolica?
c) l'enorme numero di papi sostanzialmente "eretici" che si è susseguito nel corso di questi ultimi diciotto secoli, che hanno comportato continui sconfessamenti sostanziali di predecessori "in errore" flagrante , malgrado formalmente infallibili, con conseguenze a volte tragicomiche per il futuro della cristianità.(magari anche utili. Pensate se Clemente XI, invischiato nella lotta tra Gesuiti e Domenicani, nel 1715 con un atto di incredibile cretineria politica e di spaventosa intolleranza, non avesse proibito in Cina i riti tradizionali (peraltro nemmeno equivalenti teologicamente alla nostra visita al cimitero). Oggi, con la politica familiare della Chiesa non saremmo 6 miliardi ca. ma quattordici, alla faccia del controllo delle nascite. Saremmo belli che rovinati!). L'atto condusse alla espulsione immediata dei missionari cattolici e dei gesuiti da parte dell'Imperatore della Cina e ad una cruda repressione dei cinesi convertiti.
d) il colpevole ritardo della Chiesa (da sempre) nell'accettare quanto di positivo e nuovo l'evoluzione della scienza e della società offrono all'umanità.
Mi permetto di citare solo alcune delle proposizioni PROIBITE (DA CONSIDERARE FALSE) da Pio IX nel suo Syllabus degli Errori, pubblicato insieme a "Quanta Cura" nel 1864. (trovate una versione integrale qui: Syllabus )
15.Ogni uomo è libero di abbracciare e professare la religione che, guidato dalla luce della ragione, considera vera.
24.La Chiesa non ha il potere di usare la forza, anzi non ha potere temporale diretto o indiretto.
30.L'immunità della Chiesa e del Clero deriva trae le sue origini dalla legge civile.
38.I Pontefici di Roma hanno, con la loro arbitraria condotta, contribuito alla divisione della chiesa in orientale ed occidentale.
76.L'abolizione del potere temporale in mano alla Sede Apostolica contribuirebbe in grande misura alla libertà ed alla prosperità della chiesa
77.Oggi non è più vantaggioso che la religione cattolica debba essere considerata come unica religione di stato, con esclusione di tutte le altre fedi.
79.Da oggi è stato saggiamente stabilito in alcuni stati cattolici che persone che vengano a risiedere nello stato possano continuare a esercitare la propria particolare fede.
80.Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a patti con progresso, liberalismo e moderna civilizzazione.
TUTTO QUANTO SOPRA DOVEVA CONSIDERARSI "FALSO".
Senza soffermarsi troppo si passa da Bruno a Galileo, da Newton a Darwin (tutti scomunicati ed eretici?), dalla democrazia al diritto di voto, concesso persino alle donne, che hanno l'anima solo da qualche secolo (malgrado quanto sostenuto pubblicamente da Propaganda Fidei).

VENTI SECOLI DI PAPATO
Brama di potere
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Oggi la maggior parte dei cattolici dà per scontato il fatto che i papi abbiano come loro ideale la Via di Gesù. Gli ultimi papi peraltro, con tutte le possibili critiche, si sono gestiti in maniera da non discostarsi eccessivamente da un comportamento formalmente "cristiano".
I credenti possono aver sentito parlare di Alessandro VI, lo scandaloso Borgia, ma sembra che egli rappresenti un "unicum" nella storia del papato e , comunque, i fedeli assumono come garantito quanto disse de Maistre (storico del XIX secolo) a proposito dei papi più criticabili "In ogni caso le encicliche e le bolle di questi mostri erano irreprensibili".
In verità anche encicliche e bolle, a volte persino di papi unanimamente considerati santi, sono spesso più che reprensibili, ma non sembra questo il punto.
Molti papi non sono stati affatto santi o brave persone ed anche prima del 1870 (data in cui Pi IX perse il potere temporale) raramente erano amati. Più spesso erano odiati o temuti.
Alcuni di loro (i papi) si spacciavano anche per maghi o stregoni, come Gregorio VII e Giovanni XX, che sembra sacrificassero ai demoni per ragioni di lussuria e di donne, o Silvestro II, che aveva addirittura studiato stregoneria a Saint-Benoit de Fleury ed a Siviglia (lo dichiarò pubblicamente).
Le distorsioni cominciano con l'elenco dei papi, nel quale i primi trenta sono descritti come "martiri". Non esiste alcuna evidenza che tutti loro morissero per Cristo. Molti erano regolarmente sposati, alcuni di costoro si liberarono di moglie e figli in cambio dell'incarico papale. Molti erano figli di preti, vescovi e papi. Qualcuno era bastardo.Uno era un vedovo, un'altro un ex schiavo, diversi erano assassini, qualcuno era non credente. Ce n'erano eremiti, eretici, sadici e sodomiti. Molti divennero papi "comprando" l'incarico (simonia) e proseguirono vendendo le cose "sante" per rifarsi della spesa. Diversi ebbero figli illegittimi (quelli legittimi non possono essere considerati "irregolari"), alcuni erano fornicatori ed adulteri su grande scala. Ce ne furono di strangolati, avvelenati (esiste da millenni l'incarico di "assaggiatore" del cibo del papa), uccisi in vario modo e, forse, anche qualche sant'uomo.
Ma sorvoliamo un attimo su queste prime informazioni e prendiamo in considerazione il momento di passaggio tra il conforto e la guida "religiosa " ed il potere temporale. Dovrebbe più o meno corrispondere a quello della fatale alleanza tra Costantino e Silvestro, successore di papa Milziade, che non ebbe difficoltà alcuna ad accettare come fedele (posto che lo sia mai stato) uno (Costantino) che sgozzava ed eliminava fisicamente coloro che considerava nemici.
Come già detto, storicamente Costantino non rinunciò mai al suo titolo di "Pontifex Maximus", capo supremo del culto pagano di stato, ed in nessuna occasione fece della religione cristiana la religione ufficiale di stato. La sua alleanza con i cristiani era di natura esclusivamente politica e l'Editto di Milano, nel quale , con Licinio, stabilisce la libertà di fede, sembra dimostrare la sua indifferenza alle diverse confessioni religiose e la sua tolleranza in questo settore.
Colpisce il fatto che nessun documento nella storia della Chiesa sia altrettanto tollerante e generoso e saggio dell'Editto di Milano, predisposto da due sanguinari guerrieri (Costantino e Licinio), che stabiliva quanto segue: "Noi abbiamo da lungo tempo stabilito che la libertà di fede non debba essere negata. Anzi le idee ed i desideri di ciascun uomo gli debbono essere garantiti, rendendogli possibile il dedicarsi alle cose spirituali come egli meglio decida. Per questo ordiniamo che a ciascuno sia permesso avere le proprie credenze e praticare la propria fede come meglio desidera".
Nell'anno 380 il cristianesimo divenne religione formale dell'Impero Romano. All'inizio lo stato prendeva anche decisioni in campo ecclesiastico, a fini di ordine pubblico e di sicurezza o politica, ma, con il passare del tempo cominciò a verificarsi l'inverso.
Il momento cruciale resta comunque il passaggio da religione secondaria a fazione di potere. E con il potere, cominciò l'avvento di candidati che privilegiavano Mammone alla semplicità dell'originaria fede in Cristo.
Per esempio quando nel 366 morì papa Liberio, due diverse fazioni nominarono due diversi papi , Ursino e Damaso. Dopo aspre lotte per le strade i seguaci di Ursino si asserragliarono in Santa Maria Maggiore (allora conosciuta come la "nostra signora della neve") dove vennero sterminati dai seguaci di Damaso.
Ursino vene spedito in esilio dall'Imperatore, mentre Damaso, quasi per cancellare l'orrore del massacro, per la prima volta espose la teoria di aver agito in qualità di successore di Pietro (382). Già allora il vescovo di Roma era un ricco possidente e proprietario terriero. Il papa divenne Papa quando unì al ruolo religioso le funzioni secolari. Damaso rappresenta un esempio classico. Quando domandò al prefetto di Roma, un pagano con molti titoli religiosi, di convertirsi, il gentiluomo gli rispose "Volentieri, se tu mi fai vescovo di Roma".
Ammiano Marcellino sostiene che quella del vescovo doveva essere una posizione invidiabile: "Una volta che hai raggiunto l'incarico, uno se la gode, in pace, con una fortuna assicurata dalla generosità dei fedeli e delle matrone. Gira in carrozza, vestito splendidamente. Offre banchetti assai più lussuosi di quelli imperiali". Mentre San Geromio (ascetico segretario di Damaso), descrivendo il tipo di preti di cui si circondava Damaso, ne parla come di tizi che sembravano più che altro le mogli del papa.
Lo stesso discorso può essere fatto per Gelasio (san) (492-496), al quale è erroneamente attribuito il "Decretum Gelasianum" (VI° secolo) nel quale venivano indicati i libri proibiti e quelli consigliati (un INDEX ante litteram), ma che comunque diede inizio all'escalation del lusso nei paramenti e nelle forme delle cerimonie religiose. Lo stesso Gelasio iniziò la selvaggia guerra con il Patriarca di Costantinopoli, Akakios, troppo liberale verso i presunti eretici monofisiti, e contro Thiudareichs (Teodorico) il re goto che governò saggiamente l'Italia per alcuni decenni (re dal 493 al 526), cercando di imporre, senza riuscirvi per la ferma opposizione del re, una ambigua forma di supremazia della Chiesa sul laicato.
Teodorico degli Ostrogoti, tranne gli ultimi anni in cui fu colpito probabilmente da qualche forma di arteriosclerosi che lo portò ad alcune (poche per la verità, visti i costumi dell'epoca) inutili uccisioni e condanne, rappresenta anch'esso, con il suo "Editto", la superiore tolleranza e comprensione dell'elemento laico su quello religioso. Normalmente è solo l'aspetto civilistico delle sue leggi che viene considerato ma non bisogna dimenticare che tra le sue emanazioni normative si trova scritto, in latino ed in goto:"Religionem imperare non possumus, quis nemo cogitur ut credat invitus - Galàubeins ni mag weìs anabudàima ; ni aìns hun galàubjàith withra is wilja." (non possiamo imporre la religione con la forza; nessuno può essere obbligato a credere contro la propria volontà).
Fino all'undicesimo secolo i papi venivano eletti direttamente dal popolo di Roma e questo, senza dubbio, contribuiva a fare della nomina papale più un ufficio politico che religioso. Ma persino il cambiamento apportato dal rendere i soli cardinali elettori ufficiali del Papa non contribuì a risolvere il problema. Spesso anche durante il medioevo ci furono diversi papi contemporaneamente ed ancora più spesso, al fine di rinviare le lotte per il potere all'interno della Chiesa, vennero nominati papi in punto di morte o presunti tali (ci fu anche chi si finse morente per essere eletto).

VENTI SECOLI DI PAPATO
La donazione di Costantino
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
La secolarizzazione della chiesa cominciò quindi con Costantino. Egli si era ben reso conto del potenziale della "gerarchia" come classe di governo. La Chiesa era discretamente organizzata ed aveva un suo proprio servizio "civile", che , con il tempo, venne rimpiazzato da corti e diplomazia debitamente "formalizzate".
Quando nel 330 l'imperatore spostò la sua Corte a Costantinopoli, l'antica Bisanzio, i vescovi di Roma (non ancora Papi) diventarono sempre maggiormente interessati negli affari civili. In questo periodo due papi emergono come particolarmente noti per la loro grandezza. Leone il Grande (440-461) , per il presunto salvataggio di Roma contro Attila l'Unno, e Gregorio il Grande (590-604), che occupò effettivamente sia la poltrona di capo materiale sia quella di Patriarca dell'Occidente.
Dopo che i Lombardi, una barbara tribù proveniente dal Baltico, si insediò definitivamente in Italia nel 568, il papato ebbe poca tranquillità.
Indifesi, con l'allontanamento della sede imperiale (trasferita a Costantinopoli), i papi dovettero cercare nuovi alleati militari, al fine primario di conservare gli enormi possedimenti terrieri di cui disponevano (occorre ricordare che, stranamente, nessuna delle varie invasioni barbariche succedutasi nel tempo, comportò particolari persecuzioni religiose o costrizioni sul terreno della fede per alcun cristiano. I Barbari erano cioè di gran lunga più tolleranti dei cristiani. Trattavasi quindi solo di interesse politico).
Dopo un anno di pontificato Stefano III, intraprese il viaggio per incontrare Pipino, re dei Franchi. In precedenza non era mai successo che un Papa chiedesse aiuto ad un sovrano Occidentale. Era la prima delle molte richieste di aiuto militare che si sarebbero verificate. Nell'abbazia di St.Denis, Stefano nominò Pipino e suo figlio Carlomagno "patrizi dei Romani".
Sembra che proprio in questa occasione Il Papa abbia mostrato al re un documento antichissimo, polveroso e spiegazzato, conservato per secoli negli archivi papali.
Datato 30 marzo 315, era chiamato la "donazione di Costantino". Si trattava di un legato o donazione da parte del primo cristiano(?) imperatore a papa Silvestro.
Il documento raccontava la storia commovente di come Costantino contraesse la lebbra e, mentre i preti pagani gli avevano suggerito di riempire una fontana appositamente costruita con il sangue di infanti, al fine di immergersi e guarire, cosa rifiutata dall'imperatore commosso dalle lacrime delle madri, gli fosse capitato di sognare Pietro e Paolo che gli imponevano di consultare papa Silvestro, allora rifugiato sul monte Soratte.
Il papa gli avrebbe mostrato la vera "fontana di pietà" ed una volta recuperata la salute, l'imperatore avrebbe dovuto costruire chiese in tutto l'impero e gettare via gli idoli pagani.
Insomma Costantino guarisce e, riconoscente, in nome del Senato e dell'intero popolo romano fa un dono al Vicario del figlio di Dio (notare la dizione "vicario del figlio di Dio") ed a tutti i suoi successori :
"In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare ed onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo....
Finalmente noi diamo a Silvestro, Papa universale, il nostro palazzo e tutte le provincie, palazzi e distretti della città di Roma e dell'Italia e delle regioni occidentali."
Costantino diede anche una spiegazione, fino ad allora assolutamente inedita, del perchè avesse tenuto per se l'Oriente. Lui desiderava che Roma, dove la religione cristiana era stata fondata dall'Imperatore del Cielo (Cristo), non avesse rivale alcuno sulla terra. La Roma pagana abdicava a favore della Roma cristiana.
Re Pipino rimase impressionato. Il documento provava che il Papa era successore di Pietro e di Costantino. L'imperatore aveva agito come fosse lo stalliere di Silvestro, ispirando in futuro molti imperatori e re ad imitare la sua umiltà nelle molteplici incoronazioni che avrebbero avuto luogo in seguito.
Quando Pipino entrò in campo con le sue forze e scacciò i Lombardi, rese al Papa tutte le terre che doverosamente gli spettavano sulla base della "donazione".
Si trattava di una straordinaria evoluzione dei vangeli: Gesù non possedeva nulla, mentre il suo capo discepolo non solo disponeva regalmente di enormi territori, ma aveva anche bisogno di alleanze militari per conservarli.
La "donazione" continuò ad essere importante anche in seguito. Per esempio l'unico papa inglese, Adriano IV°, si appellò ad essa quando regalò l'Irlanda ad Enrico II° d'Inghilterra. Adriano, tra l'altro, era Nicola Breakspear, figlio di un prete.
Tutto questo potrebbe anche passare..., ma la donazione è un falso palese e vergognoso.
Lorenzo Valla, studioso ed assistente papale, la esaminò accuratamente nel 1440, dimostrandone inconfutabilmente la falsità.
Valla lo dimostrò allo stesso pontefice, spiegandogli che il papa all'epoca della donazione non era Silvestro, ma Milziade. Costantinopoli non portava quel nome, ancora da venire, ma era chiamata ancora Bisanzio. La forma della scrittura non era latino classico (quello dell'epoca presunta) ma un latino bastardizzato utilizzato secoli dopo.
In cento diversi modi Valla fece letteralmente a pezzi il documento falso, risalendo anche ai probabili falsari, la curia Laterana poco prima del viaggio di Stefano III presso i Franchi.
Il libro di Valla venne pubblicato soltanto nel 1517, accettato e riconosciuto unanimamente dagli studiosi, mentre la Chiesa continuò ancora per secoli ad asserire l'autenticità di un documento assolutamente ridicolo.
La favola della lebbra di Costantino è una pietosa fiaba del V secolo. I fatti sono assai diversi. Costantino era "Vescovo dei Vescovi" (altro titolo di cui i papi si appropriarono), Capo assoluto del'Impero, era non cristiano e nemmeno catecumeno, tuttavia nessuno si elevava alla sua altezza e persino il vescovo di Roma (che sarebbe stato chiamato Papa diversi secoli dopo) costituiva una nullità, un niente per l'imperatore. Era infatti tecnicamente e praticamente un misero vassallo. All'epoca tutti i vari vescovi delle diverse sedi si riferivano a Costantino come al capo assoluto anche della Chiesa
E mentre egli costruiva splendide chiese in Oriente, edificava altrettanto magnifici templi pagani in Costantinopoli.
Allora non c'erano questioni di grado: l'Imperatore era "sacro", Pontifex Maximus. STOP. Capo supremo politico.STOP. Capo supremo religioso. STOP.
Ne conseguiva che solo l'imperatore poteva convocare assemblee religiose, come il Concilio di Arles nel 314. Come disse un vescovo contemporaneo:"La chiesa era parte dello Stato. Era nata all'interno dello Stato, e non lo Stato nella Chiesa."
Ultima curiosità di questa pagina è che fu Costantino ad inventare i concili generali, con il Concilio di Nicea (Bitinia) del 325, irritato dal fatto che dopo aver concesso ai cristiani libertà di fede, questi passassero il tempo litigando tra loro.
Il vescovo di Roma Silvestro, non solo non partecipò al Concilio, ma non ebbe alcuna voce in merito alle decisioni religiose, che furono prese integralmente e direttamente da Costantino, con una condanna formale dell'Arianesimo, probabilmente decisa solo per ragioni di prestigio, visto che non aveva alcun interesse religioso, o per dare una sberla morale ai vescovi ariani, che erano decisamente la maggioranza.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il Sacro Romano Impero
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
All'epoca in cui Stefano divenne papa, la Chiesa si era completamente convertita all'Impero Romano. Si può ben dire che con la "Donazione" il vescovo di Roma aveva l'apparenza di Costantino, viveva come lui, si vestiva come lui, abitava i suoi palazzi, regnava sulle sue terre ed aveva esattamente lo stesso seguito di cortigiani. Come l'imperatore anche il papa voleva dominare su Stato E Chiesa.
Carlomagno fu tutta un'altra faccenda.
Di robuste dimensioni per l'epoca, testa rotonda , lungo naso e grandi occhi intelligenti, era in grado di conversare agevolmente in latino.
Malgrado abbia fondato diverse università non sapeva leggere e non era in grado di scrivere agevolmente il proprio nome.
Era, questo Re dei Franchi, l'uomo in grado di mettere il piede ( anzi tutto il corpo) nel vuoto di potere che si era creato fra Roma e Costantinopoli, conseguente sia alla distanza sia alle differenze di opinione politico-religiosa.
Nell'anno 782, catturati 4.500 sassoni, li fece decapitare tutti sulla riva dell'Aller (ufficialmente per aver rifiutato il battesimo cattolico). Appariva perfettamente in grado di mettere i Longobardi (Lombardi) al loro posto.
Questo nuovo difensore della chiesa non era più santo di Costantino. Aveva divorziato dalla prima moglie e, dalla seconda, gli erano venuti sei figli. Mollata anche questa ebbe due figlie dalla terza moglie ed un altra figlia da una concubina. La quarta moglie non gli diede eredi, ma, quando essa morì, lui si tenne quattro concubine ed ebbe almeno un figlio da ciascuna. Einhard, suo biografo, ne parla come di un padre gentile ed attento.
Alcuino, monaco inglese considerato uno dei più colti dell'epoca, cercò di spingerlo ad accettare la corona dell'Occidente. C'erano tre grandi uomini al mondo, gli disse, il Papa, l'Imperatore, e Lui, al quale spettava il compito di governare il popolo cristiano.
Leone III, papa in carica, era disperato per la necessità di aiuto, e chiese diverse volte la venuta di Carlo a Roma, bisognoso di protezione dagli assalitori esterni. Tra l'altro, desiderava che la sua posizione morale personale fosse assolta dall'accusa di adulterio, su di lui pendente, al livello più alto.
Poco prima dell'arrivo di Carlo, Leone venne assalito da una folla ostile, che gli cavò via gli occhi e gli tagliò la lingua. Per questo l'incoronazione di Carlo non fu particolarmente lussuosa. Mentre si stava inginocchiando di fronte alla presunta tomba di Pietro, il papa, cieco e semi muto, brancolando per trovargli la testa dove poggiare la corona, balbettò che Carlomagno era "Imperatore ed Augusto" e si inginocchiò per adorarlo.
Carlomagno era incazzatissimo. Disse in seguito che se avesse conosciuto prima i piani del papa, non si sarebbe recato in chiesa quel giorno. Voleva l'onore della nomina , ma non riceverla da un suo vassallo (il papa), che Lui era solo venuto a discolpare da un accusa miserabile. Aveva ottime capacità predittive.
Con un solo colpo maestro Leone III si era appropriato di un potere, quello di creare sovrani, che i suoi successori avrebbero sfruttato pesantemente.
Comunque Carlomagno fu rapido ad agire come capo supremo della Chiesa, emanando leggi, scegliendo vescovi, arcivescovi ed abati tra i suoi nobili. Cercò di far cessare sodomia e fornicazione tra i monaci (allora diffusissima). Condannò a morte ogni Sassone che cercasse di evitare il battesimo finfendosi cristiano.
La cosa era d'altra parte perfettamente logica e normale, visto che il predecessore di Leone III, Adriano I, gli aveva già conferito il privilegio ed il diritto (a Carlomagno) di nominare i pontefici romani.
Con questo evento di straordinaria ambiguità si scrive il futuro destino dell'Europa, quando un papa, nominato direttamente da Carlomagno, si permette a tradimento di incoronarlo imperatore. Quale dei due era il più "grande"? All'epoca sicuramente Carlomagno, ma , per gli anni a venire, Leone aveva , con questo straordinario gioco di prestigio, fornito al Papato le carte con cui giocarsi la supremazia.
Avvenne così che S.Pietro vide l'inizio del Sacro Romano Impero, come sanno tutti gli scolari, che non era nè sacro, nè romano, e men che mai impero. Doveva durare più di mille anni, fino al 1806, quando Napoleone (che addirittura si autoincoronò) rovesciò un sovrano degli Asburgo e dissolse definitivamente l'impero.
Tanto per cambiare discorso (dal potere all'amore, per così dire), mi capita di ricordare che fino al 1139, con Innocenzo II, non si trovano impedimenti formali all'esistenza di preti sposati e con figli, e solo con il Concilio di Trento (1545/63) e con l'introduzione della celebrazione del matrimonio in forma "legale" viene ottenuto il risultato di controllare in maniera definitiva le nozze del clero.
Questi tentativi di imporre il celibato ai preti iniziano con il sinodo spagnolo di Elvira, che prescrive: " vescovi, preti e diaconi, come tutti i chierici che servono all'altare , devono astenersi dai rapporti coniugali con le loro mogli e non devono avere più figli" .
Nel Concilio ecumenico di Nicea (325) l'idea di proibire il matrimonio al clero viene cassata pesantemente, così come nel successivo sinodo di Gangra (340/41).
In considerazione del fatto che affronterò in seguito il problema in maniera più approfondita, dico soltanto che quest'andazzo, del vietare e lasciar perdere andò avanti per un pezzo, con il risultato di porre il clero nella straordinaria condizione di poter fare di tutto ed il contrario di tutto (nello specifico settore del sesso), con la certezza di trovare comunque qualche parere. giuridico e/o religioso, favorevole ma con scarsissimo rispetto per la (o il) partner e le conseguenze dei propri atti.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Qualche storia macabra e di sesso
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Senza eccezioni a tutti è ben nota la storia del Borgia, sia pure a grandi linee, che viene considerato come l'unica mela bacata del gruppo. Ma così non sembra essere.
I "Conti" (di Tuscolo), famiglia dei colli albani, discendenti di Alberico di Tuscolo, che diedero al papato ben sette papi (tra papi ed antipapi), contribuirono piacevolmente a trasformare la città eterna nella "Roma Deplorabilis" , contro la quale si scagliò Lutero.
Se si esamina la lista dei papi dopo l'880 si scopre quanto segue: nei seguenti centocinquant'anni si succedettero 35 papi, regnanti circa quattro anni ciascuno. Anche nelle epoche precedenti esiste, più o meno, lo stesso ritmo e viene spiegato con il fatto che i papi erano normalmente scelti perché vecchi e/o infermi. Ma nel nono e decimo secolo molti dei papi eletti erano sulla trentina, molti erano ventenni. Qualcuno di essi durò due settimane, qualcuno un mese o tre mesi. Sei di essi vennero detronizzati ed un buon numero assassinati. Risulta quasi impossibile stabilire con precisione il reale numero dei papi o degli antipapi, anche perché non erano ben chiari i meccanismi "legali" di nomina o di scelta.
Quando un papa spariva nessuno poteva essere certo di cosa gli era successo. Poteva essere dappertutto e poteva essergli capitata qualsiasi cosa: assassinato, in un bordello, percosso e menomato come Stefano VIII, cui nel 930 tagliarono orecchie e naso, e che non mostrò più in pubblico la sua faccia. Poteva essere scappato con l'intero tesoro di S.Pietro, come Benedetto V nel 964, fuggito a Costantinopoli dopo aver disonorato una ragazzina e riapparso, dopo aver sperperato tutto, alcuni anni dopo provocando ulteriori tumulti.
Lo storico Gerberto definì allora Benedetto "il più iniquo di tutti i mostri di empietà", ma il suo giudizio era quantomeno prematuro perché,subito dopo, il Pontefice venne sgozzato, probabilmente da un marito geloso. Il suo cadavere, accoltellato decine di volte, venne trascinato a lungo per le strade prima di essere sbattuto in una fogna.
Un papa, Stefano VI, era completamente matto. Esumò un suo predecessore corso, Papa Formoso (891-6) ben oltre nove mesi dopo la morte ed in quello che venne chiamato Il "Sinodo Cadaverico" vestì il putrefatto e puzzolente cadavere di Formoso in abiti papali, lo sistemò sul trono e lo interrogò personalmente. L'accusa era di essere diventato papa senza averne il diritto; per la precisione, dato che era vescovo di un altra località non avrebbe potuto essere eletto in Roma. Secondo Stefano la cosa aveva invalidato tutti i suoi atti da pontefice e quindi anche le ordinazioni canoniche.
Giudicato colpevole il cadavere venne condannato come "antipapa", venne spogliato, subì l'amputazione di due dita (quelle con le quali impartiva la sua falsa benedizione) e buttato nel Tevere. La carcassa venne in seguito recuperata da alcuni ammiratori e/o seguaci che gli diedero una quieta sepoltura. Molto dopo il cadavere fu riportato nella sua tomba in San Pietro. Il pazzo Stefano morì strangolato, ma non si bene da chi.
I Papi uccisero e vennero uccisi, storpiarono e furono storpiati. Condussero vite che non avevano nulla in comune, almeno per quello che ci viene insegnato adesso, con il vecchio ed il nuovo testamento. Sembrano essere stati più che altro una specie particolare di hooligans.
Proprio in quest'epoca vive ed opera Marozia dei Teofilatti, figlia di Teodora, l'amante di Papa Giovanni X (914-29), con il quale ebbe anche un'altra figlia. Queste due donne (Marozia e Teodora) in meno di dieci anni crearono e disttrussero a piacere almeno otto papi.
Gibbons suggerisce che da loro sia nata la leggenda della Papessa Giovanna, nella quale si credette per secoli, fino alla Riforma, e che racconta come essa sia morta in completo abito pontificale, dando alla luce un figlio, sulla strada che va dal Colosseo alla chiesa di San Clemente.
Voci popolari sostenevano che la sedia papale con un buco sul sedile servisse per permettere un esame ginecologico al fine di impedire che un'altra papessa salisse sul trono papale. I controlli erano accompagnati da preghiere latine. Di fatto questi rituali risultano integralmente descritti i diversi documenti medioevali.
D'altronde non era necessario essere cardinale o prete per diventare papa. Adriano V, un buon papa, non era mai stato ordinato vescovo o prete.
Ma torniamo a Marozia, origine probabile della leggenda della Papessa Giovanna. La sua entrata nella storia la fa unendosi con Sergio III (904-11), che aveva fatto fuori sia Leone V (papa per un mesetto) sia il suo usurpatore, il Cardinal Cristoforo.
Sergio III aveva cominciato la sua carriera pontificale riesumando anche lui papa Formoso, allora morto da appena dieci anni, e condannandolo per eresia , come il già citato Stefano VI.
La differenza era che Sergio era stato direttamente "ordinato" da papa Formoso ed , a sensi di logica, avrebbe dovuto considerare anche se stesso altamente irregolare. Anche lui asportò delle dita a Formoso ed anche lui lo gettò nel Tevere, dopo averlo per buona misura decapitato. Ma Formoso doveva avere delle particolari qualità anche da morto, perché il suo cadavere senza testa venne trovato nella rete da un pescatore ed una volta ancora (la prima di due) riportato in S.Pietro.
Quando Marozia divenne la donna di Sergio aveva 15 anni e lui ne aveva 45. Da lui ebbe un figlio alla cui carriera si dedicò con passione. Bellissima figlia di un senatore di Roma, venne sedotta dal Papa nel palazzo Laterano. Sua madre Teodora, aveva già messo mano ad alcune nomine papali, portando il suo amante, orginariamente vescovo di Bologna, all'Arcivescovado di Ravenna e poi al Papato con il nome di Giovanni X. Marozia aveva allora 22 anni e suo figlio , il figlio di Sergio, era troppo giovane per avere aspirazioni. Papa Giovanni convinse, prudentemente, Marozia a sposare il conte Alberico, che in seguito rimase ucciso nel tentativo di impadronirsi del potere. Il Papa costrinse allora Marozia a prendersi cura del cadavere mutilato del marito, ma Marozia (che sulla vendetta doveva sapere quasi tutto), al momento della morte della madre Teodora (928), fece strangolare o soffocare il pontefice, levandoselo dai piedi.
Dopo due papi pupazzi, che durarono giusto il tempo voluto da Marozia, essa elevò al pontificato suo figlio con il nome di Giovanni XI.
Disporre di un figlio papa costituì una vera fortuna per Marozia, perchè da lui ricevette la dispensa necessaria per sposare il suo fratellastro, Ugo di Provenza, dopo averne fatto uccidere la moglie legale. ll matrimonio fu celebrato personalmente e con grande sfarzo dal Papa (e figlio) nella primavera del 932.
Poi tutto andò a puttane. Il secondogenito di Marozia, Alberico II° il giovane, con un colpo di mano si impadronì del potere in Roma, depose ed imprigionò il fratellastro, papa Giovanni XI, fino alla sua morte, e , cosa ancora più spiacevole, imprigionò per sicurezza anche la sua pericolosa madre nel terribile Mausoleo di Adriano (che sarebbe poi diventato il famoso Castel Sant'Angelo) .
Sessantenne e prigioniera, nel 955, Marozia venne a sapere che il suo pronipote Ottaviano, figlio di suo figlio Alberico (morto nel 954/5), era diventato papa con il nome di Giovanni XII nell'inverno del 955, inaugurando anche la moda di cambiare nome al momento dell'elezione a papa.
Giovanni XII , diventato papa a circa sedici anni, fu un papa così terrificante che si raccontava in giro lui avesse inventato peccati sino ad allora sconosciuti, compreso l'andare a letto con la propria madre e le proprie sorelle.
Nel palazzo Laterano manteneva un harem perenne. Si giocava le offerte dei pellegrini ed aveva una scuderia di duemila cavalli che nutriva a mandorle e fichi conditi nel vino.
Il turismo (allora fonte di grandi guadagni e formato essenzialmente da pellegrini) subì un crollo verticale e persino le donne venivano prudentemente avvisate di non avvicinarsi al papa, che era sempre in tiro ed in cerca di carne fresca. Insomma fece scoppiare un tale casino che , temendo per la sua vita fu costretto a rifugiarsi a Tivoli.
Avvisato della faccenda Otto di Sassonia (incoronato imperatore nel 961), preoccupato per gli affari dell'impero, impose al giovanotto di ritornare subito a Roma a fare il suo dovere.
Il vescovo di Cremona, in un sinodo appositamente convocato, ci lasciò un preciso elenco delle accuse portate al papa: il papa diceva messa senza comunione; ordinava i diaconi nelle stalle; faceva pagare le nomine religiose (simonia); faceva sesso con un lungo elenco di signore, compresa l'amante di suo padre e sua nipote; aveva accecato il suo consigliere spirituale e castrato un cardinale , provocandone la morte.
Otto scrisse al papa una lettera che rappresenta, per l'epoca, una vera curiosità: Tutti quanti, religiosi e laici, accusano Voi, Santità, di omicidio, spergiuro, sacrilegio, incesto con le vostre parenti, comprese due vostre sorelle, e di aver invocato, come un pagano, Giove, Venere ed altri demoni.
Giovanni rispose dettando una lettera (non aveva grande familiarità con le lettere) nella quale avvisava i vescovi che, se loro lo spodestavano, li avrebbe scomunicati tutti, impedendo Loro di impartire sacramenti, etc.etc., poi saltò a cavallo e se ne andò a caccia.
Ritornato Otto in Sassonia (si era stufato di attendere i comodi del pontefice, peraltro sino ad allora stabilmente richiuso a Tivoli), Papa Giovanni rientrò, con un armata fornitagli dai parenti, in Roma e si riprese il pontificato. A Roma procedette subito a far storpiare o uccidere tutti coloro che avevano contribuito al suo breve esilio.
Morì ad appena 24 anni, ucciso da un marito geloso che lo aveva colto sul fatto con sua moglie ("in flagrante delicto"). I Romani, sempre spiritosi, dissero che almeno era stato fortunato a morire in un letto, anche se si trattava del letto di qualcun altro.
Bellarmino (il cardinale) disse di lui "Fuerit fieri omnium deterrimus" (il peggiore di tutti (i papi)).

VENTI SECOLI DI PAPATO
altri affari che seguirono
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Con il mostruoso Giovanni XII fuori gioco i Romani scelsero come successore Benedetto V (a quell'epoca erano popolo e clero a fare la scelta del papa).
Otto (Ottone di Germania) però s'incazzò moltissimo. "Nessuno può essere papa senza il consenso dell'imperatore" disse "questo è come è sempre stato."
La sua scelta cadde su tale Leone VIII.
Il cardinal Baronio, nella sua storia della Chiesa, sostiene che il vero papa era Benedetto e che Leone non era altro che un antipapa, ma quello che è certo è che Benedetto si prostrò alle ginocchia di Leone, strappandosi di dosso le insegne del papato e spergiurando che Leone era il vero successore di Pietro.
Non è ben chiaro se una genuina asserzione di un papa che dichiara che lui non è il papa costituisca un'esercizio di infallibilità, ma le cose erano di certo assai confuse dal punto di vista della verità religiosa.
Morti sia Benedetto sia Leone, Otto (Ottone) mise sul trono papale Giovanni XIII. La scelta non sembrò essere buonissima, perché i Romani gli fecero fare le valigie in quattro e quattr'otto. Ottone, di nuovo incazzato, lo riportò, accompagnato dall'esercito, a Roma, però solo per rendersi conto che i Romani non avevano tutti i torti.
Il nuovo papa era di mostruosa crudeltà. Secondo quanto raccontato da Liutprando faceva strappare via gli occhi ai suoi avversari e passare a fil di spada chiunque lo guardasse storto (da ricordare la condanna a morte nel 965 di 24 "ribelli" romani che gli si erano opposti).
A Giovanni XIII seguì Benedetto VII, morto anche lui poco dopo per mano di un marito geloso.
Nelle cronache sincere del Cardinal Baronio si notano frequenti tracce di imbarazzo relative a questo periodo. Riferendosi a questi papi li chiama "non apostolicos sed apostaticos" e ancora "sullo scanno di Pietro siedono non uomini ma mostri con l'aspetto di uomini.....vanagloriose Messaline piene di brame carnali ed esperte in ogni forma di orrore governano Roma e prostituiscono lo Scanno di San Pietro per i loro favoriti o le loro puttane" .
Tenendo conto di quanto stabilirà in futuro il Concilio Vaticano I, le sue conclusioni sono stupefacenti: "La principale lezione di questi tempi è che la Chiesa può andare avanti benissimo senza i papi. Ciò che è vitale per la Chiesa non è il papa ma Gesù Cristo. Gesù è il capo della Chiesa e non il papa." Se l'avesse sostenuto pochi secoli dopo, Baronio sarebbe stato condannato per eresia.
Ai nostri giorni il papa è il capo della Chiesa sulla terra, vicario di Cristo e su di lui si fonda tutto l'apparato, ma a quell'epoca sia Baronio sia i Romani avrebbero riso di questa interpretazione. La sola questione che li poteva incuriosire non era "Come può il papa salvare la Chiesa?" ma "Come può il papa salvare la sua anima?"
In tutto questo tempo Marozia era rimasta chiusa in prigione così, nel 986 papa Gregorio V, venticinquenne, e suo cugino l'imperatore Ottone III, quindicenne, decisero che la povera donna ne aveva avuto abbastanza. Mandarono un vescovo ad esorcizzarla e le tolsero la scomunica. Venne assolta di tutti i suoi peccati e quindi regolarmente giustiziata.

Cinquant'anni dopo, nel 1032, morì Giovanni XIX, della casa di Tuscolo. Il Conte Alberico III pagò una fortuna per conservare il posto in famiglia e chi meglio di suo figlio Teofillatto poteva occuparlo. Sua Santità Benedetto IX aveva undici anni quando, secondo Raoul Glaber, monaco di Cluny, divenne papa nel 1032.
Ancora prima di aver compiuto quattordici anni questo pontefice aveva superato tutti i predecessori in stranezze e follie.
I commenti degli osservatori dell'epoca ne parlano come di un demone o di un mostro di immoralità.
Spesso fu costretto a lasciare Roma in fretta per tema di essere ammazzato. Nel 1033 un eclisse di sole sembrò ragione sufficiente per scacciarlo, ma l'imperatore Corrado lo rimise sul seggio. Durante una sua successiva assenza, nel 1036, i romani nominarono papa Silvestro III, ma dopo cinquanta giorni il papa-bambino venne rimesso sul trono dalla sua famiglia, persuadendo Silvestro a levarsi dalle scatole.
Per amore di una donna Benedetto decise di abdicare, lasciando il papato al suo padrino Giovanni Graziano,arciprete di San Giovanni alle Porte completamente illetterato, in cambio di 700 chili d'oro, nel 1045.
Giovanni Graziano era ormai Gregorio VI quando Benedetto, ora chiamato solo Teofilatto di Tuscolo, mollato dall'amata, decise di riprendersi il papato. Così , con Silvestro ancora in giro, in quel momento c'erano tre pretendenti alla carica di papa: Silvestro in San Pietro, Benedetto sui colli Albani e Gregorio in Laterano.
Intervenne allora Enrico di Germania, convocando un sinodo a Sutria. Dietro sue istruzioni Silvestro venne giudicato un impostore, condannato allo stato laico ed a trascorrere il resto della vita in un eremo. Benedetto aveva rinunciato al suo incarico e doveva essere considerato fuori gioco, mentre a Gregorio VI° andarono molti ringraziamenti per aver liberato tutti da Silvestro e da Benedetto, ma , avendo peccato di simonia per acquistare il papato, doveva dare le dimissioni.
Così, saggiamente, nel 1046 Gregorio si adeguò al desiderio di Enrico (altrimenti ci avrebbe lasciato la pelle) e, con una pubblica confessione dei propri peccati, abdicò all'incarico papale.
Enrico nominò subito papa un certo Clemente II, dal quale si fece subito incoronare imperatore e se ne tornò in Germanio con Gregorio VI, per impedirgli di rompere ulteriormente le balle in futuro.
Quando poco dopo Clemente II morì, con anche Gregorio deceduto in Germania, Benedetto cercò di occupare di nuovo l'"incarico", ma Enrico ordinò al Conte Bonifacio di Tuscolo di farlo restare al suo posto.
Damaso II, altro successore nominato da Enrico, spirò in breve tempo, forse avvelenato da Benedetto, che però rinunciò definitivamente ad ulteriori pretese, ritirandosi nel Monastero di Grotta Ferrata, dove spirò "nella grazia di Dio".
Insomma, nel complesso, Benedetto IX diventò papa tre volte: dal 1032 al 1034 la prima, nel 1045 la seconda e dal 1047 al 1048 la terza.
Non male per un papa bambino.

VENTI SECOLI DI PAPATO
La rivincita
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
E' stato l'unico papa a canonizzare se stesso, ma sarebbe meglio ricordarlo come un uomo disperatamente perseguitato da un ricordo. Ildebrando era presente, giovane monaco, quando Gregorio VI venne deposto ed umiliato da Enrico III nel 1046. Enrico che pose sul trono papale un altro burattino pronto ai suoi comandi.
Ildebrando accompagnò Gregorio VI nell'esilio in Germania ed il ricordo del papa deposto non lo lasciò mai più.
Ritornato in Italia fu consigliere e poi Cancelliere di quattro pontefici ed alla morte di Alessandro II (1073), fu eletto pontefice a furor di popolo con il nome di Gregorio VII.
Non gli deve essere piaciuta questo genere di elezione, visto che proprio lui aveva sostenuto che la scelta del pontefice doveva ricadere soltanto sui cardinali, ma l'accettò comunque di buon grado e, immediatamente, richiese al giovane Enrico IV, l'imperatore, il consenso formale.
Neanche questo gli deve essere piaciuto visto che riteneva che fosse indegno chiedere il permesso ad un inferiore (l'imperatore) da parte di colui che era il "superiore" a tutti in quanto vicario di Cristo.
Giustificò in seguito la cosa, sostenendo di non voler creare eventuali presupposti giuridici di una possibile futura deposizione. Avrebbe avuto presto la sua rivalsa, con una svolta epocale nei rapporti tra potere religioso e potere temporale.
Enrico IV, benché saggiamente prevenuto ed avvisato dai suoi consiglieri, ritenne che come suo padre aveva fatto e disfatto quattro papi altrettanto poteva fare lui e, malgrado le caratteristiche di ascetismo e di durezza del nuovo papa, gli concesse il suo assenso.
Sin da ragazzo Ildebrando, figlio di un carpentiere, aveva avuto un adorazione per San Pietro. Pietro "Il Capo Pastore", colui che poteva fare e disfare in cielo e sulla terra con pieni poteri. Quando divenne papa dettò ventisette tesi, il suo "dictatus" , che specificavano capacità e poteri del vicario di Pietro. Vediamone alcune:
-Il papa non può essere giudicato da alcuno sulla terra.
-La Chiesa di Roma non ha mai errato e non errerà mai sino alla fine dei tempi.
-Solo il papa può deporre i vescovi.
-Solo il papa può portare le insegne imperiali.
-Il Papa può detronizzare imperatori e re e liberare i loro sudditi dagli obblighi di obbedienza verso i sovrani.
-Tutti i sovrani (principi) gli devono baciare i piedi.
-I suoi ambasciatori, anche non preti, hanno la precedenza su tutti i vescovi.
-Un papa eletto regolarmente è senza alcun dubbio un santo, in ragione dei meriti di Pietro.
Della propria santità ebbe sicurezza e certezza assoluta al momento della sua elezione, anche se l'idea venne prontamente lasciata cadere da tutti i suoi successori, probabilmente meno maniaci o meno mitomani.
Non è chiaro se sapesse che tutte queste sue affermazioni erano basate su documenti falsi, anche se non ci sono veri dubbi in proposito. Per sette secoli i Greci avevano chiamato Roma "la casa dei falsi". (si veda in proposito l'ironia del patriarca Pietro di Antiochia nel 1054: quando in occidente venne imposto il celibato ai preti:"I latini hanno di certo perduto i documenti originali del concilio di Nicea durante l'occupazione dei Vandali". In Oriente i sacerdoti possono ancor oggi sposarsi, secondo quanto prescritto a Nicea) e sotto Gregorio VII si forma una vera e propria scuola di "falso", diretta da Anselmo da Lucca, che forniva e fornirà documenti falsificati appropriati per ogni futura azione intrapresa dai pontefici.
Molti antichi ed originali documenti vennero ritoccati per far loro dire l'esatto opposto di quanto sostenuto dall'originale. Ed un gran numero di documenti antichi sono integralmente falsi. La "scuola dei falsari" falsificava imparzialmente tutto, storia e documenti, e questo metodo di reinventare la storia costituì un successo istantaneo, permettendo anche immediate modifiche dei "canoni religiosi".
Si esaminino per esempio i Decreti dello Pseudo-Isidoro, complessivamente 240 documenti, dei quali sicuramente almeno 125 sono falsi palesi, e che servirono a Gregorio per estendere la proibizione del commercio normalmente irrogata agli scomunicati, anche ai re, agli Imperatori ed ai principi. Scomuniche di questo genere emesse contro l'imperatore Greco e contro Boleslao, re polacco, provocarono ribellioni , repressioni e morti senza nessuna seria giustificazione religiosa.
Dell'opera di riordino del monaco benedettino Graziano (1150 ca.), utilizzata in seguito da Tommaso d'Aquino (che non sapeva un cazzo di greco, aramaico, o altre lingue) per la sua Summa Teologica , sappiamo per certo che su 324 citazioni di affermazioni di papi dei primi quattro secoli soltanto 11 sono autentiche.
La conseguente equiparazione tra scomunicati ed eretici (decretata da Urbano II°, 1088-99, che, tra l'altro fu anche il papa che diede inizio alla prima crociata nel 1095 e stiamo parlando di un affare che in quattro anni[1095-1098] produsse un milione di morti certi, anche cristiani [vedasi le stragi di Wieselburg e Semlin, in Ungheria], che meriterebbero un discorso a parte) condusse alla tortura ed alla morte degli scomunicati, che in precedenza sarebbero state viste come inutili atti di crudeltà, non rispondenti all'insegnamento di Cristo

Scusandomi della digressione, che non centra affatto, Vi ricordo l'esistenza dei libri "penitenziali" (Capitula Martini; Cesario; Reginone di Prüm; Burcardo di Worms; Hubertense;Teodoro, etc.etc.), prodotti dal 200 al 1500 ca. nei quali, quasi senza eccezioni (strana curiosità) ai rapporti sessuali anali od orali venivano imposte penitenze assai più pesanti di quelle previste per aborto, stupro, omicidio premeditato ed assassinio. Se volete chiarimenti ulteriori posso precisare che venivano sanzionati e puniti anche i rapporti tra marito e moglie quando l'uomo stava sotto o quando faceva l'amore "come fanno i cani (citazione)", e non erano penitenze da nulla.
Venivano proibiti i rapporti con le mogli incinte, tra coniugi sterili o anziani, con la moglie mestruata, etc. etc. Insomma una vera serie di stupidaggini, delle quali resta pesante traccia anche nella "Evangelium Vitae" di Giovanni Paolo II, non certo il più umano e pregressista dei papi, anche se, certamente, uno dei politici più abili e sensibili al girare del vento.
D'altra parte, anche se la Chiesa è sempre in ritardo sui progressi della scienza e della politica sociale, ora si tratta di sopravvivere o di rinchiudere se stessa ed i propri fedeli in un ghetto di meschina repressione. Solo l'idea di una politica della famiglia "cattolica" in India o in Cina costituirebbe un pericolo mortale per l'umana "civile" sopravvivenza, e civile in questo caso vuol solo dire senza sanguinosi scontri per il cibo.

Ma torniamo a Gregorio.
La sua scatenata legislazione cominciò trasformando in prostitute migliaia di stupefatte ed innocenti mogli di meravigliati uomini di chiesa, che fino ad allora avevano contratto e contraevano regolarmente matrimonio ed avevano figli. Un buon numero di queste giovani donne, sole ed abbandonate da tutti, si suicidarono eliminando ulteriori seccature al pontefice
In quest'occasione la Chiesa tedesca, con certa ironia, chiese al papa se avrebbe provveduto lui personalmente a far sostituire le moglie abbandonate da appositi angeli. Un gruppo di vescovi italiani, riunitisi a Pavia nel 1076, scomunicò il papa, senza grande successo.
Il celibato, normativamente regolato, garantì comunque la futura perpetua separazione tra clero (cui spettavano tutti i diritti) e laici.
Il prossimo bersaglio fu la simonia, che perseguitò selvaggiamente e con ragione, ritenendo che lui fosse il solo soggetto al quale si dovesse eventualmente pagare qualcosa.


Ora non restava che sferrare il colpo che aveva aspettato per trent'anni. Accusò l'imperatore Enrico IV di interferire negli affari della Chiesa e di essere simoniaco. Enrico ne fu stupefatto. Stava solo facendo quello che tutti gli altri imperatori avevano già fatto. Aveva consentito lui all'elezione di Gregorio, come faceva il papa a credere di potergli imporre cosa fare. Enrico convocò un concilio a Worms e decretò nulla la nomina papale.
Gregorio rispose con un anatema:
Su ordine dell'Onnipotente, io proibisco ad Enrico di governare i regni d'Italia e di Germania. Assolvo tutti i suoi sudditi da ogni promessa e/o giuramento che essi gli abbiano fatto o ricevuto; e scomunico chiunque gli presti servigi in qualità di re.


VENTI SECOLI DI PAPATO
L'estrema rivincita
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
La notizia della scomunica di Enrico IV esplose come una bomba nell'Europa dell'epoca. Gli imperatori avevano fatto e disfatto papi a loro piacimento ed ora uno di questi scalzacani si rivoltava contro di loro. Come diavolo sarebbe finito il mondo?
Gregorio aveva tutto a suo favore. La madre di Enrico, Agnese, era dalla sua parte così come la formidabile Matilde, contessa di Toscana. I Feudatari e Principi tedeschi colsero la palla al balzo e Gregorio , mettendosi al vento, spalleggiò Rodolfo, Duca di Svevia, come legittimo successore/sostituto all'imperatore.
Insomma aveva messo Enrico, allora ventunenne, con le spalle al muro.
Nell'inverno del 1077 Enrico passò le Alpi, perdendo anche cavalli e muli nel corso della traversata, e si recò nel rifugio superfortificato di Gregorio, la fortezza di Canossa (di proprietà della sunnominata Matilde), cinta da una triplice cerchia di mura.
Qui, adeguandosi alle condizioni dettate dal papa, l'imperatore attese nella neve fino alla vita per tre giorni, spogliato delle insegne imperiali e vestito con una tunica di lana, i porci comodi del pontefice. Alla fine persino Matilde, mossa a commozione per le disgraziate condizioni del cugino, pregò il papa di dare licenza e perdono ad Enrico, cosa che finalmente il papa si decise a fare.
In una lettera ai principi tedeschi lo stesso Gregorio, con una notevole dose di autocompiacimento, così afferma:
Le persone che hanno interceduto per Enrico mormoravano per la durezza di cuore del papa. Qualcuna ha persino detto che un tale comportamento era più degno di una crudeltà barbara o di un tiranno che la giusta severità di un giudice ecclesiastico.
Per la precisione ne riporto le parole precise: Per triduum, ante portam Castri, deposito omni regio cultu, miserabiliter, ut pote discalceatus, et laneis indutus, persistens, non prius cum multo fletu apostolicae miserationis auxilium et consolationem implorari destitit, quam omnes, qui ibi aderant, et ad quos rumor ille pervenit, ad tantam pietatem, et compassionis, misericordiam movit, ut pro eo multis precibus et lacrymis intercedentes, omnes quidem insolitam nostrae mentis duritiem mirarentur; nonnulli vero in nobis non Apostolicae sedis gravitatem, sed quasi tyrannicae feritatis crudelitatem esse clamarent. (Ep.Greg.ap.Memorie della Contessa Matilda,da Fr.Mar.Fiorentini Lucca, 1756. vol.1 pag.174)
Enrico si limitò a domandare al papa solamente di levargli la scomunica e se ne tornò a casa, dopo aver imparato la lezione, che, anche lui, non dimenticò per il futuro.
Egli fu comunque il primo (recordman) a sentire materialmente il morso degli "spirituali" strali papali.
Nel giro di pochi mesi era di nuovo scomunicato per aver sistemato per le feste Rodolfo di Svevia, ma questa volta si era preparato meglio.
Convocato un concilio fece deporre il papa e nominò quale sostituto Guilberto di Ravenna, con il nome di Clemente III.
Gregorio, furente, profetizzò che Enrico sarebbe morto entro un anno, cosa che , regolarmente, non successe. Anzi Enrico vinse tutte le sue battaglie, marciò con il suo esercito su Roma e mise sul trono papale Clemente, mentre Gregorio , abbandonato dai cardinali, scappava a Salerno, dove impartì una solenne benedizione alla razza umana "escluso Enrico, il cosiddetto Re". Persino un pontefice con poteri divini non poteva redimerlo.
Poco prima di morire, nel regno di Napoli il 24 maggio 1085, sembra dicesse:"Ho amato la giustizia ed odiato l'iniquità, eppure muoio in esilio". Allla sua mancanza di logica rispose il suo aiuto episcopale:" Come in esilio , Santità, quanto il mondo intero è tuo".
Gregorio è tenuto in grande considerazione presso i cattolici, malgrado le falsificazioni e la legislazione repressiva di cui è responsabile, ma anche i più praticanti devono ammettere che le sue responsabilità sono enormi. Prima di lui Altare e Trono erano alleati e se si fosse limitato a mettere a posto un imperatore, le cose potevano finire lì senza gran danno. Al contrario Gregorio introdusse la falsa ed ambigua dottrina che poneva lui, il papa, al posto sino ad allora occupato dall'imperatore. In nome di Gesù Cristo, pover'uomo di Nazareth, che rinunciò , tentato dal Demonio, a tutti i regni della Terra, il Papa divenne il Diavolo stesso non limitandosi ad essere il Vescovo dei vescovi ma pretendendo di essere il Re dei re.
Molti cardinali di elevata statura morale lo ritennero responsabile non solo di avere distorto storia e realtà religiosa, ma di avere distrutto l'unità della chiesa, di avere sparso i semi da cui sarebbe esplosa la Riforma e di aver impedito ogni futura possibilità di riunione delle varie confessioni, imponendo un prevaricante "romanesimo" nella normativa ecclesiastica.
Questo maniaco del potere stabilì un precedente che permise ai successori di scomunicare almeno altri otto imperatori, deponendone diversi e provocando ogni volta terribili guasti e dolori in tutta la Cristianità.
L'ultimo paradosso di Gregorio è di aver preparato la strada a papi come il Borgia ed altri, contro i quali non esisteva quasi più protezione alcuna (in precedenza Imperatore e Concilio, rappresentavano armi legali plausibili, ora rese dubbie dalle azioni e dalle statuizioni di Gregorio). Anche se sulla sedia papale si fosse insediato Satana, chi avrebbe osato avanzare dei dubbi sul Vicario di Cristo?
Gregorio VII° dovette attendere altri cinque secoli prima di essere santificato da un pontefice che non fosse lui medesimo e questi era Pio V°, anche lui con la tendenza a deporre Reali e con gli stessi pessimi risultati.
Il più grande complimento glielo fece Napoleone quando disse:" se io non fossi io, mi sarebbe piaciuto essere Gregorio VII",e la scelta tra Gregorio ed Innocenzo III fu dettata probabilmente dal lancio di una monetina.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Due parole sulle crociate
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Senza perderci troppo tempo (ci vorrebbero molti volumi) credo sia opportuno un breve intermezzo sulle crociate.
Precisato che sulle "ragioni" di questa tragica farsa gli storici e gli studiosi hanno sprecato e speso motivazioni spirituali come bruscolini, risulta utile chiarire che dette cause ideali hanno senso solo se riferite ad una ridotta quota dei disgraziati che vi presero parte e che per la maggior parte dei "nobili", dei "profeti"e dei "pontefici" le ragioni avevano caratteri assai più pragmatici di conquista materiale, arricchimento e/o politica raligiosa o laica che fosse.
Indicativo è già di per se il fatto che i cosiddetti luoghi santi si trovassero nelle mani degli "infedeli" dal 610 d.C., e che il trattamento riservato ai cristiani sotto i persiani e poi i selgiucidi (le popolazioni nomadi della steppa russo-kirghisa che, preso il nome dal loro capo Selgiuk e convertitesi all'islam, noi oggi conosciamo come turchi) era di gran lunga migliore di quello riservato loro in tutte le altre località (compreso lo stato pontificio).
Dice Hans Eberhard Mayer nella sua "Storia delle crociate", 1965, "non è dimostrabile che i turchi opprimessero i cristiani orientali, come hanno sostenuto fonti occidentali e, a quanto pare, Urbano II a Clermont. Nei territori occupati i cristiani locali venivano trattati semplicemente secondo il tradizionale costume islamico, erano cioè una minoranza soggetta, ma protetta dalle leggi islamiche,.....E' altrsì significativo che in Occidente non giungesse nemmeno un'invocazione d'aiuto da parte dei Cristiani d'Oriente. Quando perciò Urbano II e la propaganda crociata mettono l'accento sulla persecuzione da essi subita, lo fanno o per ignoranza della situazione reale o per suscitare in Europa determinati risentimenti."

E' assai probabile che i grandi movimenti di masse ( come quello già citato dei "turchi", o quello dei nor(d)manni , che combatterono con tutti e per tutti e sotto nomi diversi [normanni sono i "variaghi" che, giunti in russia le diedero il loro nome "rus"-land = terra dei rus, nel passaggio verso sud-est, così come normanni sono gli scandinavi che sconvolsero l'assetto politico europeo conquistando inghilterra, normandia e italia meridionale]), abbiano contribuito a destabilizzare un'europa che trovò poi nelle crociate una sorta di equilibrio folle.
Qui è bene io faccia una precisazione: ho ricevuto una gentile, ma severa, reprimenda da Aldo C. Marturano, grande medievalista, specialista del medioevo russo, che mi ha fatto rilevare una mia certa superficialità. Nella sostanza, vista la genericità e la sostanziale correttezza del mio cenno ai variaghi, non intendo cambiare il mio scritto, ma gli devo dare atto di avermi fatto scoprire una notevole serie di idee preconcette che contribuiscono a confondere gli studiosi occidentali del mondo medievale. Questioni come la distruzione delle foreste, la provenienza ed il commercio di merci pregiate, l'influenza di importanti personaggi di origine russa non possono essere sottovalutate e permettono una visione assai più chiara degli eventi. Mi sento quindi obbligato a suggerire, a coloro che volessero approndire l'influenza dei popoli del nord, una visita al sito http://www.mondimedievali.net/medioevorusso/indice.htm
Grazie Aldo.

Certo è che le cause addotte da Urbano II nel suo discorso a Clermont il 27 novembre del 1095 hanno connotazioni ufficiali quasi ridicole e certamente irreali (tiramento di barba di religioso, violenza a badessa, maltrattamento di cristiani vari, episodi peraltro di trent'anni antecedenti), che nascondono maluccio l'intendimento reale di ripristinare un'ipotetico controllo pontificale sugli scismatici ortodossi di Michele Cerulario (ed anche quì va detto che solo una povera testa di cazzo presuntuosa come Leone IX poteva pensare di scomunicare un pari grado in casa sua e sul suo altare [sto parlando del patriarca costantinopoliano Michele Cerulario, scomunicato il 16 luglio del 1054 per futili motivi nella sua chiesa di Santa Sofia, a Costantinopoli, una volta Bisanzio , dal suo leggendario fondatore Byzas, poi Costantinopoli, la città di Costantino, e poi addirittura "La Città", Istambul, dal greco "eis thn polin"] anche se all'epoca tutti scomunicavano tutti) e la motivazione politica (la richiesta di aiuto per l'Anatolia dell'imperatore Alessio, che venne dai suoi legati presenti al concilio di Piacenza del marzo 1095 abilmente mascherata con il riferimento alla salvezza di Gerusalemme [se avesse avuto idea delle conseguenza si sarebbe tagliato la lingua]).
Naturalmente la prima crociata non è la prima. La crociata del popolo la precedette di un annetto e comportò una tale caterva di morti, quasi tutti cristiani, da fare rabbrividire persino i cronisti dell'epoca, che pure dovevano esserci abituati. Tra Pietro l'Eremita e Gualtiero Sans-Avoir (la doppia crociata del popolo) , Volkmar , Gottschalk ed Emich di Leinigen (la tripla crociata tedesca, mirata essenzialmente alla strage degli innocentissimi ebrei) quest'aborto di "crociata" multipla produsse oltre centomila morti tra crociati, innocenti cristiani, innocenti infedeli ed innocenti ebrei (gli unici non innocenti erano i crociati).
La prima crociata dunque, istigata da un papetto ambizioso e guidata da una manica di arrivisti deficienti, condottieri da burletta e pagliacci vari inizia nel'ottobre del 1095 (cinque armate di diversa provenienza, che seguirono percorsi diversi e produssero molteplici danni) e termina "ufficialmente" nel luglio del 1099, con la conquista di Gerusalemme ed un buon mezzo milione di cadaveri, anche questi quasi tutti innocenti con esclusione dei crociati. Tanto per fornire qualche relazione dell'epoca mi permetto alcune citazioni:
Guibert de Nogent, cronista, con riferimento a Semlin (cristiana, Ungheria, crociata del popolo)"In preda a nefando furore appiccarono [i crociati] il fuoco ai granai pubblici, rapirono le fanciulle per usare loro violenza, profanarono il matrimonio col sottrarre ai mariti le mogli, strapparono o bruciacchiarono la barba all'ospite. Nessuno pensò più a comprare le cose di cui abbisognava: ciascuno viveva alla bell'e meglio di omicidio e rapina..."
Anna, figlia dell'imperatore Alessio, con riferimento alla strage di Civetot-Drakon (20.000 morti per idiozia):"Le ossa formavano un mucchio immane, anzi un'altura, una collina, un rilievo di considerevole superficie. Esseri umani della stessa razza dei barbari massacrati (franchi) costruirono mura simili a quelle di una città riempiendo gli spazi intermedi, anziché con malta, con le ossa dei morti e fecero di tale città, in un certo senso, la loro tomba..."
Pietro di Cluny (crociata dei tedeschi):"Che vale cercare e combattere i nemici della religione cristiana in remoti paesi, quando i dissoluti ed empi ebrei, ben più malvagi dei saraceni, non in terre lontane, bensì [qui] in mezzo a noi, altrettanto sfrenatamente e sfacciatamente profanano, calpestano, dileggiano impuniti il cristianesimo ed ogni sacramento cristiano?...". Stessa crociata, Eliezer ben Nathan, ebreo di Magonza (migliaia di morti), nel suo "ragguaglio delle sciagure dell'anno 4856 [1096]": "...molte e gravi sofferenze ci colpirono, quali dalla sua fondazione mai s'erano avute in questo regno...Poiché uomini insolenti, un popolo straniero, una schiera feroce ed orrenda di franchi e alemanni di ogni risma, si mossero nell'intento di recarsi alla città santa [Jerusalem]...per cacciarne gli ismaeliti...E quando durante il viaggio attraversarono città abitate da ebrei così dicevano '...qui ci sono gli ebrei che l'hanno ucciso e crocifisso[gesù]...lasciateci prima prendere vendetta su di loro fino allo sterminio totale...'.
Testimonianza oculare nell'assedio di Gerusalemme:"I nostri li inseguirono dappresso, uccidendoli a forza di fendenti, sino al tempio di Salomone, dove fecero un tal massacro da sguazzare ne sangue sino alle caviglie...E dopo che ebbero abbattuto tutti i misceredenti, assalirono nel Tempio una folla di uomini e donne, uccidendo o risprmiando la vita a piacimento".
Raimond d'Agiles (stesso assedio, da 60 a 100.000 morti):"E furono cose mirabili a vedersi, innumerevoli saraceni finirono decapitati...,altri uccisi con le frecce, altri scaraventati dai merli delle torri, altri ancora torturati per giorni e quindi consegnati alle fiamme. Le strade erano coperte di mucchi di teste, mani e piedi mozzati, e ovunque bisognava aprirsi un varco tra cavalli morti e cadaveri umani."
L'arcivescovo Guglielmo di Tiro (stesso massacro): "La città offriva lo spettacolo di un tale eccidio, d'un tale bagno di sangue nemico, che i vincitori stessi se ne ritirarono inorriditi e nauseati."
Altro cronista, stesso episodio: "Nessuno ha mai veduto né udito di un tale massacro tra la gente pagana....Quindi, felici e piangendo di gioia, i nostri si recarono a venerare la tomba del Salvatore, assolvendovi il loro debito di riconoscenza. Il giorno seguente, salirono poi sul tetto del Tempio, acciuffarono i saraceni, uomini e donne, e , estratta la spada, mozzarono loro il capo".
A parte il compiacimento un po' morboso dei cronisti, è da osservare che Urbano II morì il 29 luglio 1099, due settimane dopo la conquista di Gerusalemme ma prima che la notizia avesse il tempo di giungere a Roma.
Buffo ,no?

VENTI SECOLI DI PAPATO
ancora crociate
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Ad essere sinceri per le crociate ci vorrebbe veramente troppo tempo, così mi limiterò ad elencarle, ufficiali e non, inserendo qualche commento e le eventuali citazioni che mi sembrano opportune (e facendo presente come esse vengano liquidate in quasi tutte le storiografie cattoliche con poche pagine o poche righe, quasi tutte incentrate su "L'espressione grandiosa dello spirito cristiano nel medioevo", "il carattere religioso e non bassamente temporale della guerra crociata", "il simbolo quasi dell'unità concreta della Respublica Christiana" (bello quel "quasi!). Insomma "quasi" l'esatto contrario di una realtà economica, politica, culturale e fanatico-religiosa assai più inconcludente di qualsiasi rivoluzione successiva o precedente:
L'idea originaria sembra sia venuta a Sergio IV (creatura di Crescenzio) tra il 1009 ed il 1012, ma non produsse effetti apprezzabili, come pure il tentativo di mezzo secolo dopo da parte di Gregorio VII.
1095/1096 Crociata del popolo (Pietro l'eremita)e dei tedeschi
1096/1099 prima crociata, Urbano II e molti deficienti (ma ne ho già un po' parlato)
1101 crociata dei lombardi (secondo Alberto di Aquisgrana in numero di 200.000) che morirono tutti o quasi per la strada senza arrivare da nessuna parte. Papa era Pasquale II ed antipapa Teodorico.
In questo periodo appaiono gli Ordini Cavallereschi, come i Templari o i Giovanniti (Ospitalieri, che però hanno origine addirittura prima delle crociate), tra le cui regole, dettate da san Bernardo di Chiaravalle (altresì chiamato "doctor mellifluus") si legge: "il cristiano che uccida il miscredente nella guerra santa, sia certo della sua mercede...il cristiano gioirà della morte del pagano, poiché essa torna a gloria di Cristo medesimo (povero Cristo!)"
1147/1149 seconda crociata, guidata dall'imperatore Corrado III e da Luigi VII di Francia, bandita da papa Eugenio III, e con una buffa crociata collaterale tedesca contro gli slavi della Pomerania e del Brandeburgo, che si concluse in un fiasco. Nel corso di questa idiozia si riuscì nell'impresa storica, oltre agli altri danni, di inimicarsi l'unica città "infedele" alleata dei cristiani, Damasco, che lasciò sul terreno, nel corso della successiva fuga cristiana, una tal massa di cadaveri crociati da impestare l'aria per mesi. E tanto per non stare colle mani in mano, quattro gatti di fiamminghi e frisoni avevano nel contempo provveduto a "liberare" la pacifica Lisbona, unica città araba ancora in mano ai mori, e, violando i termini della resa, fare strage dei suoi abitanti .Nel 1087 Gerusalemme cade nelle mani del famoso Saladino.
1189/1191 terza crociata, guidata dal Barbarossa, da Cuor di Leone, da Filippo Augusto, e bandita originariamente da Gregorio VIII (anche se iniziata sotto il pontificato di Clemente III), che non conquistò Gerusalemme e portò stragi, tradimenti squallidi, sconquassi inconcludenti ed il mito del Saladino (peraltro assai più rispondente alla realtà del mito di Riccardo Cuor di leone)
1197 crociata interrotta di Enrico VI, guidata da un re ambizioso ed un po' deficiente che coglie l'occasione per morire di malaria a Messina, a 32 anni, senza aver fatto un passo verso la Terrasanta e scatenando inutili guerre intestine nella sua stessa Germania. Papa era Celestino III
1202/1204 quarta crociata, guidata da Baldovino di Fiandra e dai veneziani (doge Enrico Dandolo), bandita da Innocenzo III, che non toccò nemmeno Gerusalemme, conquistando sanguinosamente, tra stragi e violenze ingiustificate, Costantinopoli (cristiana ortodossa) e creando l'impero latino e mettendovi scioccamente a capo dei veneziani. In questa folle impresa vennero distrutti più tesori d'arte, documenti e cimeli di quanti ne abbiano mai distrutti i turchi nella conquista del 1453. La ricchezza di Bisanzio finì sparsa ai quattro venti. Troverete reliquiari costantinopolitani a Limburg an der Lahn e calici bizantini a Venezia.
Niceta Choniate, storiografo, scrisse: "...gli stessi saraceni erano stati più misericordiosi all'atto della conquista di Gerusalemme"
1209/1210 crociata degli albigesi, Ve ne parlo più diffusamente altrove.
1212 crociate dei fanciulli (due e più), una follia di cui poco si parla, che costarono 50.000 morti (ragazzi e ragazze) ed un numero imprecisato di schiavi senza raggiungere alcunché. (per chi fosse interessato raccomando "La crociata dei bambini", di Corrado Pallenberg, 1983 , A.M.E.)
1217 crociata di Andrea d'Ungheria, che più che una crociata sembra essere stata una gita turistica con supplemento di ricordini. Papa era Onorio III
Tra i quali vengono annoverati dai cronisti dell'epoca :anfora delle nozze di Cana, teste di S.Stefano e di S.Margherita, mani di S.Tommaso, mani di S.Bartolomeo e pezzo della verga di Aronne
1217 crociata di Leopoldo V d'Austria, nel corso della quale S.Francesco incontra il sultano Elkamil, che a causa di quel coglione del legato pontificio, Pelagio di Santa Lucia, costò 70.000 morti, una possibile pace con l'Islam (dall'Islam proposta per ben due volte a distanza di due anni ed a condizioni straordinarie) che comprendeva la restituzione di Gerusalemme e dell'intera Palestina alla Cristianità, rifiutata dall'idiota delinquente fanatico (Pelagio) per motivi religiosi. Il papa era sempre Onorio
Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme gli disse (a Pelagio):" Ah, signor legato, se solo ve ne foste rimasto in Spagna! Siete stato Voi a precipitare la cristianità in rovina!" ed il cronista Oliviero di Colonia, parlando della generosità degli arabi dopo la firma del trattato tra Giovanni di Brienne ed il sultano Elkamil, "...Quegli stessi egizi di cui noi avevamo appena ucciso le famiglie, che avevamo rapinato e cacciato da casa e beni, vennero ora a curarci e salvarci, noi che eravamo in loro balia, dalla morte per fame..."
1228/1229 quinta crociata, guidata da Federico II, più volte scomunicato e praticamente costretto da Gregorio IX, che recupera Gerusalemme pagandola in denaro al suo amico, il sultano Elkamil, e senza un colpo di spada.
1248/1254 sesta crociata , guidata da Luigi IX il Santo, re di Francia, che sbarca in Egitto , viene fatto prigioniero e rilasciato contro riscatto (straordinaria operazione politico-militare). Fautore e Papa, Innocenzo IV.
1270 settima crociata , Luigi IX il Santo (perseverante!) che sbarca a Tunisi e vi muore di peste (altra mossa da maestro).Papa Giovanni XXI.
Il 18 maggio 1291 cade l'ultima fortezza in mano cristiana, San Giovanni d'Acri (anche se la rocca dei Templari resiste ancora dieci giorni). Ma la caduta definitiva non è autonoma nè incolpevole. La causa è l'arrivo di un'altra crociata popolare, originata dall'appello di papa Nicola IV e diretta dal vescovo di Tripoli, che, giunta a San Giovanni d'Acri, coglie l'occasione per massacrare tutti i disgraziati (arabi e cristiani) che portano la barba, costringendo addirittura i cittadini a nascondere e proteggere i musulmani e facendo incazzare ammorte il sultano Qalawun, il cui figlio Al-Ashraf Kalil raderà al suolo tutte le residue città crociate. Il papa è Nicola IV.
Si calcola che nel corso delle crociate (un paio di secoli) abbiano perso la vita qualcosa come dai due ai quattro milioni di esseri umani, in un epoca nella quale l'Europa contava 15/18 milioni di abitanti.
E' anche vero che, forse, le crociate hanno provveduto a farci conoscere il ratto nero (e la peste epidemica), l'uso dei piccioni viaggiatori, l'albicocca (o susina damascena), l'aglio scalogno (da cui il nome di Ascalonia), i cetrioli da sbucciare (le banane), la bussola, il nome della "giacca" (da Giaffa), la parola arsenale, ammiraglio (da amir ar-rahl = emiro della flotta), algebra (da algabr w'almukabalah = raccolta di formule per la trasfomazione delle equazioni), ma è quasi certo che la maggior parte del lavoro di intermediazione culturale venne eseguito dall'imperatore scomunicato Federico II, che , oltre a non ammazzare quasi nessuno (almeno nel corso della sua "crociata"), costituì il tramite principale tra due culture, e dal mondo mercantile la cui attività era sempre continuata senza grosse interruzioni.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il padrone del mondo
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
L'incontro doveva certamente essere uno dei più straordinari da quando Gesù si era trovato di fronte a Pilato nel Pretorio. Il più potente uomo dell'epoca, sul trono in vesti d'oro e porpora ed un ventisettenne, in ginocchio di fronte a lui, vestito di stracci e che affermava di essere il più povero.
Nell'estate del 1209 papa Innocenzo III aveva finalmente accettato di ricevere questo disgraziato in odore di santità.
Uno strano personaggio, di certo completamente fuori di testa secondo i normali criteri di giudizio dell'epoca: magro, capelli neri e pesanti palpebre, denti bianchi, piccole orecchie a sventola, barba rada e sparsa ed una voce straordinaria, piena di calore e di dolvezza. Parlava con Sole e Luna e chiamava la Povertà il "suo più grande amore" e la Signora più ricca e generosa del mondo.
Francesco venne ricevuto dal papa, per un breve momento e solo per ricevere l'approvazione per la costituzione del proprio ordine religioso (i Francescani), soltanto dietro insistenze da parte del cardinale di Ostia, Ugolino, futuro Gregorio IX, che non lo capiva , come non lo capiva il papa, ma pensava che avesse qualcosa da offrire alla Chiesa.
Innocenzo III, senza saperlo, l'aveva già incontrato anni prima nei corridoi del Laterano e l'aveva fatto scacciare per il puzzo tremendo che emanava (Francesco poco prima aveva incontrato un povero al quale aveva regalato i suoi abiti, facendo uno scambio con quelli del disgraziato).
Lotario, cardinale della famiglia dei Conti di Tuscolo (i famosi Conti di Segni), era diventato papa l'8 gennaio 1198.
La sua famiglia aveva contribuito e contribuirà al papato, complessivamente e considerando tutti i diversi rami, con tredici papi, tre antipapi e quaranta cardinali (quando si parla di nepotismo!).
Quando, nel corso dell'elezione, gli fu imposta la tiara e l'Arcidiacono disse:" ...e sappi che tu sei il padre dei principi e dei re, signore del mondo, Vicario sulla terra del nostro salvatore Gesù Cristo, la cui gloria durerà tutta l'eternità." sicuramente Innocenzo non dubitò che quella bestemmia gli fosse dovuta.
La sua esistenza giustifica in pieno la famosa affermazione di Hobbes:" il Papato non è altro che il fantasma del defunto impero romano e siede incoronato sulla sua tomba" .
Nel corso della processione lungo la Via del Papa, Innocenzo incontrò il rabbi Stefano Petri, con le spalle fasciate nel Pentateuco, che si prostrò in obbedienza ed il Papa dichiarò formalmente:" Noi riconosciamo la Legge (vecchio testamento) ma condanniamo i principi del Giudaismo, poiché la Legge si è già realizzata in Cristo, che il cieco popolo di Giuda ancora aspetta come suo Messia. ". Il vecchio rabbi ringraziò il pontefice per le sue gentili parole e si allontanò in fretta prima di prendere anche una bastonatura.
Nel Laterano ricevette onori, leccate di piedi da principi e prelati e diede un banchetto nel quale sedette separatamente, in alto, a dominare gli ospiti.
Stava già studiando come dominare il mondo.
Nel giro di due anni aveva riacquistato il potere assoluto a Roma ed in Italia, quasi nullo alla sua nomina.
Per una rivolta popolare, nel maggio del 1203, fu costretto a fuggire in Palestina, dove era in corso la quarta Crociata e dove non si interessò in alcun modo dei terribili massacri compiuti non tra i musulmani, ma tra gli stessi cristiani da quella banda di delinquenti.
Costantinopoli venne saccheggiata, le tombe degli imperatori dissacrate, reliquie preziose rubate, suore e bambine stuprate ed uccise sotto l'ala paterna del pontefice.
La più prestigiosa città del mondo, cristiana anche se scismatica, venne rasa al suolo da soldati cattolici.
Dopo due anni, fatta la pace con i romani, ritornò a Roma, dove rifiutò il titolo di Vicario di San Pietro. Anzi lo ripudiò dicendo: "Noi siamo il successore di Pietro ma non il vicario suo o di altri apostoli. Noi siamo il Vicario di Gesù Cristo, di fronte al quale tutti devono inginocchiarsi, Persino - no anzi - specialmente Re ed Imperatori".
Questa teoria manichea ( della Chiesa, spirituale e buona, e dello stato, materiale e cattivo) era quanto di più retrivo si potesse immaginare ed avrebbe potuto condurre a serie espressioni di anarchia (come in effetti fece), ma Innocenzo si sentiva capace di gestire Chiesa e Stato e giocando la carta del "peccato" (dove c'era peccato il suo giudizio era sovrano) giustificò ogni suo intervento nella sfera "temporale".
Scelse come suo strumento Ottone IV, che, ribellatosi dopo un paio d'anni, venne regolarmente scomunicato e sostituito. Incoronò Pietro d'Aragona e pretese di fare lo stesso con Guglielmo il Conquistatore, re d'inghilterra, che lo mandò al diavolo. Nemmeno Gregorio era riuscito ad ottenere obbedienza dai re inglesi, ma, alla morte di Riccardo Cuor di leone (1199), Giovanni Senza Terra era uomo di differente pasta ed il papa ne fece una specie di esempio, con ulteriori successive drammatiche conseguenze.
Giovanni era ometto irrequieto e volatile, con scarso rispetto per la Chiesa. Dapprima sposò sua cugina Isabella di Gloucester senza chiedere dispensa, poi, innamoratosi di Isabella d'Angoulême, la sposò autodandosi dispensa. Quando Innocenzo si mostrò irritato lo quietò mandando un migliaio di armati alle Crociate e costruendo un'abbazia Cistercense.
Quando però Giovanni nominò il suo candidato al vescovado di Canterbuty, il papa ne ebbe abbastanza.
Nominato Stefano Langton alla carica in discussione Innocenzo diede tre mesi di tempo a Giovanni per riconoscerlo.
Giovanni non si arrese e scacciò i monaci da Canterbury. Innocenzo pose allora, con una durissima prova di forza, l'interdetto sull'intera Inghilterra.
Ci furono sanguinose minacce ed atti di forza da entrambe le parti (non ultima la tassa sulle mogli dei preti imposta da Giovanni)
Giovanni era un vero stronzo, si scopava le mogli di tutti, strappava i denti a chi non gli portava soldi, impiccava gli ostaggi, ma sotto la minaccia di Filippo di Francia (che il papa aveva nominato suo sostituto naturale come re d'Inghilterra) nel 1213 si arrese praticamente senza condizioni, assogettandosi anche al pagamento annuale di un migliaio di marchi al papa.
Questo stupido "affitto" diede il via, nel 1333, alla secessione Inglese dalla fede cattolica (quando Edoardo III si rifiutò di pagare ulteriori soldi a Urbano V, giudicando nulle le promesse di Giovanni), che si concluse sotto il regno di Elisabetta Ia.
Comunque intanto Giovanni era diventato un "buon cattolico" e, quando i Baroni lo costrinsero ad accettare la Magna Carta, lo comunicò immediatamente al Papa, che condannò la prima costituzione come "contraria alla legge morale". Con una Bolla Inmnocenzo III annullò il documento, assolse il Re dall'obbligo di osservarlo e scomunicò chiunque ne pretendesse l'osservanza.
In sostanza tutta l'Inghilterra.
Stephan Langton, arcivescovo di Canterbury, si rifiutò di pubblicare la Bolla, sostenendola non aderente al diritto naturale ed al di fuori dei poteri papali. Fu regolarmente sospeso dall'incarico.
Innocenzo promulgò più norme da solo che tutti i cinquanta papi che lo precedettero messi insieme. E le sue norme ebbero drammatici effetti sulla Cristianità.
Fu geniale uomo di governo e regnò per vent'anni con il terrore. Incoronò e depose sovrani, creò lo Stato Pontificio, sparse più sangue di qualunque altro papa ed è suo il detto:" Ogni prete deve obbedire al papa, anche se il suo ordine è diabolico, perché nessuno può giudicare il papa" o l'altro, indirizzato a Filippo di Francia prima dell'attacco all'Inghilterra," Spada, spada esci dal tuo fodero. Spada, spada, affilati e poi sterminali".
Ma se una qualche fama gli si deve è per la spaventosa tragedia dei catari e degli albigesi, forse la carneficina più orribile ed infingarda dell'epoca, alla quale dedicherò la prossima puntata.
Quello che è sicuro e che oggi tutti si ricordano (con affetto ed umana tenerezza) di San Francesco, mentre nessuno, salvo qualche studioso, conosce il Re dei Re, il Signore del Mondo, Innocenzo III.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Sangue sparso
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Innocenzo III sedeva sul trono, con un miscuglio di eccitazione e collera. Di fronte a lui stava un segretario con un bianco abito cistercense in mano, perforato da parte a parte e inzuppato di sangue secco. "Ecco, Santità, questo è l'abito di Fratel Pietro di Castelnau." Il Papa corresse con gravità:"San Pietro di Castelnau".
Il 10 marzo 1208 , canonizzando fratel Pietro, Innocenzo emanò anche la sua Bolla di Anatema contro gli eretici della Linguadoca. Alzandosi dal suo trono egli intonò:"Morte agli eretici".
Naturalmente le cose non erano così semplici. La morte di fratel Pietro era solo un pretesto. L'eresia era fiorita per oltre un secolo nella bellissima Linguadoca, tra il Rodano e le montagne, e Innocenzo sapeva benissimo che l'eresia dei Catari e degli Albigesi aveva come unica origine la spaventosa corruzione del clero. Egli scrisse persino di sua propria mano :" In tutta questa regione i prelati sono fonte di irrisione e riso per i laici. Ma l'origine del Male risiede nell'arcivescovo di Narbonne. L'uomo non conosce altro dio che il denaro ed ha un portafogli (borsa) al posto del cuore. Nei dieci anni in cui ha retto la carica (di arcivescovo) non ha visitato una sola volta la sua diocesi...dove tutti possono osservare preti e monaci che hanno gettato alle ortiche i loro abiti, hanno preso mogli ed amanti e vivono di usura".
Fonti dell'epoca confermano che in Linguadoca, come in molti altri luoghi, preti e vescovi vivevano come puttanieri. Giocavano d'azzardo, andavano a donne, scomunicavano a piacimento chi li guardava storto, non dicevano messa, chiedevano un prezzo per tutto, dalle ordinazioni sacerdotali alle dispense matrimoniali e cancellavano a piacere le disposizioni testamentarie, appropriandosi dei beni del defunto.
I perfecti Albigesi erano invece uomini e donne casti e morigerati che evitavano i piaceri terreni ed ai quali era attribuita una grande autorità morale. Essi negavano i dogmi ed i sacramenti della Santa Chiesa, disprezzavano il clero e chiamavano Roma "La Puttana di Babilonia" ed i suoi vescovi "Gli Anticristi" . Sembra che predicassero una forma di dualismo nel quale il Dio del Vecchio Testamento era responsabile del male e della terrena corruzione mentre Gesù era il Dio del mondo dello spirito. Questa era una delle ragioni per cui disprezzavano icone ed immagini sacre, reliquie e la stessa croce, immagine della morte terrena. Corpo e sesso erano fonte di male e persino l'avere figli non era giusto in quanto avrebbe prodotto altri "terreni" esseri viventi. Non sembra però che vi fossero atteggiamenti costrittivi nei confronti di chi non riusciva ad adeguarsi ai loro standard morali ed erano ospitali e comprensivi verso i presunti "peccatori". Non risulta facilissimo interpretare correttamente le loro dottrine in quanto non è rimasta documentazione se non in misura ridotta e casuale.
Innocenzo ordinò di esibire l'abito di fratel Pietro in ogni chiesa della Linguadoca al fine di promuovere una nuova crociata. E questa volta non contro i Turchi ma contro altri cristiani che si limitavano a negare la Sua autorità.
Sino dal 1096, guidate dalla follia di Pietro L'Eremita (d'Amiens) e Walter il Penniless, le crociate avevano scatenato enormi entusiasmi. La prima , originariamente formata da contadini, donne, bambini e scalzacani, era terminata (nella sua fase prodromica) , dopo un assurdo viaggio attraverso Ungheria ed Iugoslavia, in uno spaventoso massacro sul Bosforo. Lì, il 21 ottobre, questa banda di fanatici derelitti era stata fatta a pezzi dai Turchi. Quando, nell'estate successiva, arrivarono i cavalieri cristiani, tedeschi e francesi (che partecipavano alla crociata "regolare"), trovarono soltanto enormi montagne di cadaveri disseccati, che i Francesi usarono, mischiandoli con il fango, per costruire le prime mura delle proprie fortezze in Terrasanta.
Naturalmente quel maniaco bastardo di Pietro l'Eremita fu uno dei pochi a sopravvivere.
Era un epoca di assoluta follia, almeno secondo i nostri criteri. In questo periodo si succedettero, oltre alle crociate, per così dire, "storiche" o regolari, le diverse crociate dette dei "bambini", che produssero, 30.000 morti e/o schiavi, tra bambini e donne e disgraziati, ma nessuna pazzia poteva comunque eguagliare o superare quella del papa.
Vero è che Innocenzo aveva già provato a liberarsi degli Albigesi con sistemi meno cruenti. Aveva spedito in Linguadoca Domenico, che avrebbe poi fondato l'ordine domenicano (fantastico serial killer nel corso di tutto il periodo dell'Inquisizione), ma il frate era tornato dicendo:"Li ho pregati piangendo, Santità, ma dove la preghiera ha fallito un grosso bastone potrebbe ottenere risultati".
Innocenzo aveva poi inviato Pietro e fratel Raoul. Pietro aveva accusato Raimondo, Conte di Tolosa, di nascondere e proteggere gli eretici, ed, dopo averlo scomunicato, era stato ammazzato da un suo cavaliere.
La crociata di Innocenzo costituisce una terribile macchia per la Chiesa. Il Pontefice diresse od organizzò scientificamente una guerra contro cristiani in una terra cristiana, dove era virtualmente impossibile separare gli ortodossi dagli eretici. Per questo, in assoluto contrasto con le parabole di Gesù, si decise di bruciare insieme il grano e le erbacce.

Scusate la digressione:
La violenza nella nostra tradizione non ha caratteristiche di costanza. All'inizio la Chiesa favoriva un profondo sentimento di santificazione della vita umana. Spargere sangue era sempre un gravissimo peccato e questo produsse sia i martiri dei primi due secoli sia il rifiuto assoluto di partecipare ad operazioni militari da parte dei primi cristiani (ciò che li rendeva cattivi cittadini per gli Imperatori romani). Le cose cambiarono decisamente con Costantino. Dopo di lui Leone il Grande (440-61) ebbe parole di grande stima verso l'imperatore per aver torturato ed ucciso eretici e persino Augustino (teologo sulla cui opera si fonda gran parte della costruzione teorica ecclesiastica) , pur non approvando tortura ed omicidio, sostiene che con gli eretici tre o quattro buone bastonate possono essere utili a mostrare la strada giusta. Mentre nel 177 non c'era un solo soldato cristiano, nel 416 (editto di Teodosio) soltanto i cristiani potevano arruolarsi. Malgrado questo non sembra che in quelle che vengono chiamate "epoche oscure" ci siano mai stati episodi clamorosi, almeno sino ai primi contatti con l'Islam, che invase antiche contrade cristiane come Africa, Asia e Spagna, proclamando un paradiso straordinario ed un inferno orribile.. Maometto era stato capo di stato, comandante militare, giudice e , nella sua fede, il paradiso era destinato a coloro che morivano per Allah. Una goccia di sangue sparsa in guerra era meglio di mille preghiere ed il paradiso era pieno di magnifiche ragazze che si dovevano occupare di te. L'urto con questa tradizione modificò profondamente gli ideali cristiani. Ora l'insegna da seguire non era più il monaco ascetico e pacifico ma il guerriero con la spada grondante sangue. La garanzia di paradiso per il guerriero morente era passata dall'Islam alla Cristianità così come il concetto di Jihad, la cosiddetta Guerra Santa. Quando avversari diciamo così "tradizionali" come gli infedeli non erano disponibili, si cominciò a cercarli nelle zone più prossime e lungo la strada verso la Terra Santa e chi meglio dei giudei (dei quali Giovanni Crisostomo scrisse nel quarto secolo "Odio gli ebrei. Nessun perdono è possibile per gli odiosi assassini di nostro signore ed anche Dio odia gli ebrei e li ha sempre odiati" ) poteva rappresentare un buon obiettivo, fonte di gloria e di indulgenze. Nel 1096 (prima crociata) i soldati Crociati sterminarono prima la metà degli ebrei di Worms ed uccisero poi l'altra metà che si era rifugiata nella residenza del vecovo (che li lasciò in balia dei santi crociati). La stessa cosa si ripetè in tutta la Germania ed in seguito anche in Francia. Ormai la carneficina era diventata la religione ufficiale della Chiesa ed il fine (di eradicare col sangue l'eresia) giustificava l'utilizzo di qualsiasi mezzo.

Ma riprendiamo la nostra storia di strage.
Filippo di Francia si rifiutò di guidare la Crociata degli Albigesi (l'azione contro Raimondo IV di Tolosa avrebbe potuto creargli difficoltà con i nobili) e così Innocenzo III nominò suo comandante in capo il suo legato, Arnaldo-Amalric, generale cistercense di Citeaux.
Alla chiamata alle armi rispose gente di tutte le risme, dai cavalieri, ai contadini ed ai mercenari Fu decretata una speciale "indulgenza" per il periodo di ferma previsto (quaranta giorni) e terra a disposizione in Linguadoca (il che fa pensare che la carneficina era stata deliberatamente programmata e preordinata dal pontefice).
La truppa era composta da 200.000 fanti ed almeno 20.000 cavalieri, tra cui c'erano nobili, duchi e conti. Era presente anche Raimondo di Tolosa che, saggiamente, aveva fatto pace con la Chiesa una settimana prima, presentandosi seminudo come un penitente alle porte della cattedrale di Saint-Gilles e giurando la sua fedeltà sulle sacre reliquie.
I cristiani marciarono su Béziers , il cui assedio cominciò il 22 di luglio (giorno propizio in quanto festa di Maria Maddalena ?).
Amalric chiese ai cittadini di consegnare i due o trecento eretici che abitavano in città, così da essere risparmiati, ma gli abitanti decisero di non consegnare alcuno e di resistere.
Per una stupida azione di disturbo compiuta da giovani del posto, la roccaforte che avrebbe potuto resistere per mesi, cedette all'attacco dei mercenari.
Questo è il momento della famosa frase di Arnaldo-Amalric : "Uccideteli tutti; Il Signore riconoscerà i suoi!"
La strage fu spaventosa. Vennero uccisi tutti, donne e bambini, per strada e nelle chiese (cattoliche), cristiani ed albigesi. Nella chiesa di Maria Maddalena, nel corso della carneficina cadde a terra il calice contenente ostie e vino, così il sangue di Cristo si mischiò con quello del popolo di Béziers. Della città non restarono che rovine.
Nella relazione di Arnaldo al Pontefice sta scritto:"Oggi, Vostra Santità, sono stati passati a fil di spada ventimila cittadini, senza riguardo all'età o al sesso.". In quella che è stata storicamente la più terribile persecuzione contro i cristiani, sotto l'Imperatore Diocleziano, si calcola siano morti circa duemila cristiani. Nella sua prima operazione di "pulizia", Innocenzo III° ne aveva ammazzati dieci volte tanti.
A Carcassonne, conquistata con l'inganno mentre i capi della città trattavano una tregua, i cittadini vennero lasciati liberi, nudi, con l'obbligo di non farsi mai più rivedere, pena la morte. Il loro salvacondotto era per un solo giorno e recitava che erano liberi ma dovevano andarsene:"...completamente nudi, fatti salvi i peccati che si portavano addosso".
Sempre a Carcassonne il legato pontificio nominò Simone de Montfort (in seguito citato sia in relazione ai Templari, sia in relazione al Priorato di Sion) come incaricato di risolvere la faccenda. Questi, nel 1210 a Bram, non uccise nessuno con la scusa che i morti sono pessimi messaggeri. Strappò però naso e occhi a tutti gli abitanti. Ad un solo cittadino venne lasciato un occhio perché facesse da guida agli altri fino a Cabaret per spaventare gli altri albigesi.
Di cittadina in cittadina vennero bruciati tutti i "perfecti" e, secondo quanto scritto al Pontefice da Vaux de Cernay, "cum ingenti gaudio combusserunt" (li bruciarono con immensa gioia).
De Monfort ed Innocenzo III morirono entrambi nel 1216, un anno dopo il 4° concilio Laterano, ma la crociata ebbe materialmente termine solo nel 1226, dopo diciotto anni di stragi nelle quali morirono in centinaia di migliaia e solamente per "disobbedienza al pontefice" (anche se l'Inquisizione continuò l'opera facendo bruciare vivi 250 catari e valdesi nel 1244, nel sud della Francia, altri 200 nell'arena di Verona nel 1278, altri 100 a Graz [Austria] nel 1397 [dopo averli prima impiccati], 2470 in Provenza nel 1545, 2000 in Calabria [Guardia Piemontese, San Sisto e Montaldo] nel 1561 ed altri 2.000 nelle Alpi nel 1686). La Linguadoca venne ridotta terra rasata e tutte le antiche tradizioni locali andarono irrimediabilmente perdute, ma in realtà Innocenzo, che non riusciva a comprendere l'incongruenza tra la piccola eresia prodotta dalla disobbedienza e dal disprezzo verso un uomo, fosse pure il papa, e la rinuncia pratica al Discorso della Montagna portata a compimento definitivo con "terapia" dell'eradicazione sanguinosa e la creazione dell'Inquisizione.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il dominio della paura
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Il Terrore iniziò presto, con Gregorio IX, che divenne papa nel 1227. Conte di Segni e membro della famiglia di Innocenzo III, egli aveva più di 80 anni e durò altri quattordici.
Al Concilio di Tolosa, in Linguadoca, un paio di anni dopo, Gregorio decretò che gli eretici dovessero essere consegnati al braccio secolare ai fini dell'esecuzione della pena. "E' dovere di ogni cattolico - disse - perseguitare gli eretici."
Persino l'imperatore Federico, non credente e non osservante, divenne un feroce avvocato dell'ortodossia al solo fine di evitare preoccupanti rotture di scatole.
Nell'anno 1232 Gregorio pubblicò la Bolla che formalizzava l'Inquisizione. Il normale clero era troppo tollerante ed inetto. Occorreva una struttura che prendesse in mano la situazione con decisione. Gli eretici dovevano essere bruciati e, se si pentivano, dovevano essere imprigionati a vita.
Nell'aprile del 1233 Gregorio limitò gli inquisitori agli ordini mendicanti, ma presto l'onore andò ai Domenicani (mi risulta comunque che ci furono anche inquisitori francescani (?)). Il 27 luglio 1233 nominò i primi due inquisitori a tempo pieno - Pietro Seila e Guglielmo Arnald. Furono i primi di una lunga sequenza di persecutori della razza umana.
Nel 1239, due anni prima della morte di Gregorio, il Domenicano Robert le Bougre investigò nello Champagne sul vescovo Moranis, finendo per mandare 180 persone, vescovo compreso, sul rogo.
Non si può nemmeno parlare di ritorno della barbarie ,perché nel 384 un Sinodo in Roma aveva condannato con decisione l'uso della tortura e Gregorio Magno, nel sesto secolo, aveva ordinato ai giudici di ignorare qualsiasi testimonianza prestata sotto "pressioni" o torture.
La cosa era però iniziata con Gregorio VII e la sua infallibilità. I papi che seguirono legiferarono in maniera da colpire e punire ogni possibile distorsione nella fede e nella disciplina ed ogni differenza interpretativa.
Innocenzo IV contribuì con la sua Bolla "Ad extirpanda", che legalizzava l'uso indiscriminato della tortura. Da quel momento ogni disobbedienza , anche nel pensiero, diventava punibile.
La favola che oggi ci viene raccontata di una Chiesa che difende i diritti dell'uomo viene smentita in maniera assoluta dalla storia. Nei documenti sta scritto: Gli eretici non hanno diritti, possono essere torturati senza scrupoli o limiti. Essi devono essere messi a morte.
E per tre secoli non un solo papa si oppose a questo insegnamento/ordine impartito e valevole dovunque si trovassero cristiani.
All'inquisizione medioevale ogni cosa era permessa. Gli inquisitori domenicani erano soggetti solo al papa, non sottostavano nè ai vescovi, nè alla legge civile e, negli stati pontifici, erano accusatori, torturatori, polizia e giudici. Il loro principio guida era: meglio che muoiano un centinaio di innocenti piuttosto che sfugga un solo eretico.
Per espresso ordine dei papi era loro proibito avere "pietà". Erano stati avvisati che qualsiasi errore avessero commesso la responsabilità sarebbe stata del pontefice. Quindi operavano con animo sereno e senza preoccupazione alcuna. Solo un secolo addietro è stato possibile visionare il libro guida "ufficiale" degli Inquisitori, il "LIBRO NERO", volgarmente detto "IL LIBRO DEI MORTI".
Esso recita così:"Se una persona confessa essa è colpevole per la sua confessione, se non confessa sarà egualmente colpevole sulla base di testimonianze. Se uno confessa tutto ciò di cui è accusato, è senza dubbio colpevole di tutto, ma se confessa solo una parte, dovrà comunque essere colpevole di tutto, dato che, comunque, con la sua confessione, ha dimostrato di essere colpevole anche del resto delle accuse...La tortura fisica si è dimostrata il mezzo più efficiente e salutare per condurre al pentimento spirituale. La scelta del metodo di tortura viene lasciata al Giudice Inquisitore, che la stabilirà sulla base dell'età, del sesso, e della costituzione della parte. Se, nonostante tutti i mezzi impiegati, lo sfortunato accusato continua a negare la sua colpa, egli deve essere considerato vittima del diavolo, e, quindi, non merita compassione dai servi di Dio, né pietà o indulgenza dalla Santa Madre Chiesa; egli è un figlio della perdizione. Lasciamolo morire tra i dannati."
Secondo il "Libro Nero" un figlio deve tradire i genitori, una madre deve tradire i figli. Non adeguarsi a ciò costituisce un "peccato" contro il Sant'Uffizio e merita la scomunica e l'inferno.
E' curioso il fatto che , nel corso delle torture, fosse formalmente vietato uccidere o mutilare gli imputati (naturalmente gli incidenti capitano).
Un aspetto rimarcabile di quest'orrore è che anche i testimoni potevano tranquillamente essere torturati, qualunque fosse la loro età.
Nel sesto Concilio Generale si era deciso che la chiesa poteva "anatemizzare" vivi e morti. Così gli inquisitori non si limitavano ad imputati vivi, ma istruivano processi e condanne anche per imputati morti (qualcuno da addirittura settant'anni), che venivano regolarmente condannati e bruciati.
Stimolo non indifferente a queste procedure era il fatto che i beni degli accusati venivano acquisiti e requisiti dagli inquisitori. Anche gli eredi perdevano tutto. Tutto quanto veniva sequestrato veniva diviso, pagate le spese agli scrivani ed ai boia, tra tesoro papale ed inquisitori stessi (metà e metà).
Qualche papa, come Nicola III (1277-80), ammassò una fortuna.
Gli inquisitori non persero un solo caso. Quando non si riusciva a provare la "colpa" non si dichiarava comunque "innocente" l'imputato. In ogni caso era e doveva essere colpevole.
Voglio tralasciare le procedure utilizzate per prelevare le povere vittime e la descrizione delle pratiche processuali.
Ricordo solo ancora quanto segue:
-Pasquale II (1073-85), citando una falsa lettera di Sant'Ambrogio, decise:"chiunque non sia d'accordo con il papato è senza dubbio un eretico.
-Lucio III (1181-5) stabilì che ogni differenza tra i cattolici era peccato mortale, minando l'autorità della Chiesa.
-Innocenzo III stabilì che chiunque prende alla lettera la parola di Gesù e limita le sue risposte a Si o No è un eretico e merita la morte.
-Innocenzo IV, autodefinendosi "praesentia corporalis Christi", stabilì che chiunque mancasse di rispetto a Lui o ai suoi decreti era, per forza di cose, un eretico.
-Bonifacio VIII stabilì che "ogni essere umano deve fare quello che gli dice il papa".
Ricordo ancora che morirono in migliaia, cristiani ed ebrei, che costituivano una ancor più facile preda, vittime senza problemi, poveri e ricchi, in tutta Europa e, come tutti sanno, non solo in Europa. Insieme all'accusa di eresia venivano portate accuse di sacrilegio, blasfemia, stregoneria, sodomia, mancato pagamento delle tasse al papa ed al clero (naturalmente non si trattava di usura in questo caso). L'ultima ingiustizia era costituita dall'accusa di "pensare" in maniera eretica. Per l'Inquisizione anche il dubbio o la tentazione interiore meritavano la morte.
Quasi come separate inquisizioni vanno considerate quella Spagnola, che fece molte migliaia di vittime innocenti, tra eretici, strghe ed ebrei, e quella Romana, a cui dedicherò il mio prossimo "commento".

VENTI SECOLI DI PAPATO
La Romana Inquisizione
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Prima di accennare all'inquisizione romana, ricordo ancora che quando Napoleone invase la Spagna, nel 1808, un suo ufficiale polacco, il colonnello Lemanouski, lasciò una relazione nella quale si dice che i Domenicani , a Madrid, si asserragliarono nel loro monastero. Attaccato e preso il monastero, i frati negarono l'esistenza di camere di tortura, ma i soldati francesi le ritrovarono invece nei sotterranei. Le camere erano piene di prigionieri, completamente nudi ed in parte impazziti per le indicibili sofferenze patite. Persino le truppe di Napoleone, abituate alla crudeltà ed al sangue, non poterono tollerarne la vista. Svuotate le stanze, minarono l'intero monastero e lo fecero saltare in aria.
Racconto questo perché non si dimentichi che non è da molto che la Chiesa ha ripiegato su atteggiamenti meno crudeli e cruenti, anche se altrettanto illogici.

L'Inquisizione Romana venne istituita da Paolo III (Alessandro Farnese) il 21 luglio 1542. Fu la prima delle Sacre Congregazioni e composta da cardinali, uno dei quali Gian Pietro Carafa, futuro Paolo IV, nella sua qualità di "inquisitore generale", ebbe la malsana idea di equipaggiare ,a sue spese, un'apposito edificio con tutti gli strumenti di tortura che all'epoca costituivano il massimo dell'evoluzione nel settore. "Nessun uomo" egli disse "può permettersi di tollerare gli eretici.".
Eletto papa nel 1555, il Carafa potè dare libero sfogo al suo personale fanatismo: odiava gli ebrei e li rinchiuse nei ghetti; odiava i sodomiti e li bruciò, odiava le donne e proibì loro di varcare le soglie del Vaticano. Ranke dice di lui:"Occupò la sua vita nell'inquisizione, in "autos-da-fé", in scomuniche, imprigionamenti, etc."
Già da cardinale aveva bruciato tutti i libri che non gli andavano e da papa istituì l'Indice dei libri proibiti. Sulla lista finirono opere di Erasmo, Rabelais, Boccaccio, persino Enrico VIII, i cui "Sette sacramenti" erano piaciuti moltissimo a Leone X, che in pieno Concistoro aveva sostenuto fossero un dono caduto dal Cielo.
L'ordine di Paolo III "i colpevoli ed i sospetti (di reati contro l'ortodossia e la morale) devono essere imprigionati e giudicati fino alla sentenza finale (morte)", passò a Carafa senza problema alcuno. Il papa (Paolo III) era tranquillissimo, sebbene, con le sue diverse partners (non sapevo che parola usare, visto che una l'aveva sposata prima di accedere agli ordini), i suoi figli legittimi ed illegittimi ed i regali di cariche cardinalizie ai suoi nipoti e nipotini, forse avrebbe dovuto essere uno degli oggetti dell'indagine.
I protestanti lessero con divertimento il "Consilium" finale di papa Paolo III°, che praticava materialmente proprio quanto proibiva ai fedeli.
La cosa incredibile è che Carafa, Paolo IV, si trovò nella situazione di dover mettere all'"Indice" proprio il "Consilium" del suo predecessore (che materialmente aveva compilato lui stesso). Da non dimenticare anche il fatto che al medesimo Paolo IV (quando era ancora cardinale) viene attribuita la frase "populus vult décipi, et decipiatur!", cioé "il popolo vuole essere ingannato, ed allora inganniamolo!", la qual cosa, detta da un futuro pontefice, sembra emblematica di una dose notevole di spregevole disprezzo (anche se per alcuni rappresenta un arguta valutazione pratica).
Un altro particolare umoristico riguarda il Decamerone di Giovanni Boccaccio, messo all'indice "fino a che non fosse stato ripulito".
Cosimo de'Medici, ritenendo che si trattasse di una delle più belle opere in prosa italiana, domandò al pontefice se non si potesse fare qualcosa per permetterne la diffusione e la lettura. E l'impossibile avvenne. Nel 1573 una versione censurata venne posta in commercio. Questa versione può ben essere considerata come uno dei più straordinari e raccomandabili libri "sporchi" della storia. Il censore, Vincenzo Borghini, ebbe un idea geniale: invece di tagliare qua e là, usò il semplice trucco di sostituire ogni prete o vescovo o frate che appariva nel Decamerone, con un laico. Il semplice trucco funzionò a meraviglia, ma, naturalmente, tolse poco o nulla dell'erotismo del libro.
Per il Concilio di Trento (1564, ne parlerò in seguito per altre ragioni) venne preparato un nuovo Indice e così si andò avanti per un bel pezzo.
Gli effetti della Congregazione dell'Indice, istituita nel 1571, furono devastanti per la cultura cattolica. Autori ed editori temevano per la propria vita ed il loro apporto alla scienza ed alla conoscenza non è certo stato quello che poteva essere. Persino nel campo della teologia e della ricerca religiosa, dove i censori imperversarono sulla produzione e sui documenti dei teologi che li avevano preceduti.
All'indice sono stati posti tutti i più grandi scienziati e scrittori della nostra epoca e chiunque ponesse in discussione "immutabilità" della Chiesa ed "infallibilità" del pontefice.
Solo nel 1966 Paolo VI ha ufficialmente (ufficiosamente esiste tutt'oggi) "dismesso" l'"Index".
L'inquisizione romana continuò le sue operazioni senza problemi. Nel 1814 Pio VII° riintrodusse la Sacra Inquisizione per "blasfemia, immoralità, atteggiamento irrispettoso verso la Chiesa, mancata partecipazione alle festività, abbandono della vera fede". Nel 1829 chiunque, negli Stati Pontifici, detenesse un libro scritto da un eretico doveva essere trattato come tale (imprigionato, privato dei propri beni ed ucciso).
Pio VII ha comunque il merito di aver ufficialmente proibito, nel 1816, l'uso della tortura nei tribunali dell'inquisizione (venne però utilizzata ancora per circa vent'anni) e di aver vietato i roghi.
Tuttavia, ancora nel 1856, Pio IX permetteva e favoriva "scomuniche,confische, bandi, prigione a vita e, nei casi più gravi, condanne a morte inflitte segretamente". E fino a tutto il 1870 i processi continuarono di fronte alla "Santa Consulta" con le stesse modalità: solo preti tra i giudici, mai confronti con i testimoni ( o controinterrogatori), mai avvocati difensori.
Il record dell'Inquisizione sarebbe imbarazzante per qualsiasi organizzazione, ma per la Chiesa cattolica lo è in maniera drammatica. Oggi, malgrado l'oggettiva posizione di estrema inciviltà e di assoluta intolleranza che fa parte del suo bagaglio, la Chiesa si pubblicizza come difensore della legge "naturale" e dei diritti dell'uomo. In particolare il papato vede se stesso come campione di morale (è di oggi, marzo 2000, la pubblicazione di una bozza di documento nel quale la Chiesa dovrebbe chiedere scusa (solo a Dio e senza assunzioni di altre responsabilità) per gli orrendi crimini commessi (da qualche mela marcia) nei secoli passati. Un documento di straordinaria e vergognosa ambiguità).
Quello che la storia irrefutabilmente dimostra è invece che per più di sei secoli, senza interruzioni, il papato è stato il campione dell'ingiustizia. Di circa ottanta papi, dal 13° secolo in poi, nessuno ha disapprovato impostazione teologica o inquisizione. Al contrario ognuno di loro ha aggiunto alla faccenda personali tocchi di crudeltà.
L'unica giustificazione all'"eresia" (questa sì, veramente eresia) dei papi sembra poter essere soltanto l'aver preferito di contraddire il Vangelo piuttosto che un predecessore "infallibile".
E la scusa e l'assoluzione dei papi da parte di molti storici cattolici, basata sul fatto che l'eresia costituiva un reato "civile", non sembra ragionevolmente sostenibile sia per le drastiche modifiche apportate dalla Chiesa alle procedure di giudizio e di condanna "civili" sia perché, negli Stati pontifici, la responsabilità era diretta ed assoluta. L'estensione del concetto di "eresia" a tutte le difformità nella pratica religiosa e civile, la reintroduzione della tortura nelle corti di giustizia sono di completa ed assoluta responsabilità papale ed è molto difficile levarsi questo peso di dosso.
Il cattolico De Maistre ha sostenuto , aggiungendo ipocrisia all'orrore, che la Chiesa "non ha direttamente ucciso nessuno", in quanto era pratica corrente affidare i condannati al braccio secolare per l'esecuzione. Salta subito agli occhi la vacuità del ragionamento, quando si provi ad applicarlo agli ebrei, che non uccisero alcuno (men che mai Gesù) ma lo affidarono anche loro al braccio secolare (i romani). Per questo fatto, peraltro assolutamente falso (vedasi : Cristo - la figura storica ) i Giudei hanno pagato per secoli un prezzo che pochi altri popoli sono stati in grado sopportare senza scomparire in un genocidio legalizzato.
Altrettanto ridicole sono le giustificazioni e le scuse attinenti al "sitz im leben", per così dire ambientali e temporali. Persino all'epoca di Diocleziano nessuno veniva torturato ed ucciso "in nome di Gesù crocifisso".
In alcune località, come l'Inghilterra, l'inquisizione fu notevolmente più blanda, ma solo in funzione della salutare mancanza di rispetto per la Chiesa e per il saldo principio che "una persona è innocente sino a che non sia dichiarata colpevole". In sette secoli non un solo vescovo o prelato ha alzato la sua voce di protesta contro l'inquisizione. Mi vengono in mente soltanto Stefano Langton, arcivescovo di Canterbury, che si oppose ad Innocenzo III, sostenendo "La legge naturale obbliga principi e vescovi nello stesso modo; non c'è scappatoia da lei. E' persino fuori del raggio d'azione del Papa", e qualche eretico come Marsilio da Padova o Lutero o Hubmaier.
Il richiamo (per giustificarsi) agli standard dei tempi, è ancora più stridente oggi, con l'atteggiamento retrivo del Papa verso contraccezione, aborto, matrimonio dei preti, donne preti, etc.. Come ha correttamente detto un mio amico teologo: "Invece di proteggere la vita, la salute e la dignità dell'uomo, proteggiamo il suo santo sperma, che non vada perso".

VENTI SECOLI DI PAPATO
Qualche giudizio storico sull'Inquisizione e la questione delle streghe
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
In generale gli storici non sono stati benevoli verso l'Inquisizione. Lea, un Quacchero che occupò molti anni della vita a studiare l'inquisizione, parla di un "infinita serie di atrocità". Lord Acton, cattolico, asserisce che l'Inquisizione non è mai stata a corto di "uccisioni religiose....Il principio alla base dell'inquisizione era micidiale". E, per quanto riguarda i papi, "Essi erano non solo omicidi in grande stile, ma avevano fatto dell'assassinio una base legale della Chiesa Cristiana e una condizione per la "salvezza"".
Persino dopo la Seconda Guerra Mondiale, G.G. Coulton era in grado di dire che l'Inquisizione era responsabile per "le più elaborate, diffuse e continue barbarie legali che si possano ricordare nel corso di tutta la storia civilizzata". Nulla che gli Imperatori Romani abbiano fatto ai cristiani può essere paragonato per quantità, qualità e durata temporale con la sistematica malvagità dell'Inquisizione.
L'occultista egiziano, Rollo Ahmed, nel suo "The Black Art" (1971) descrive l'Inquisizione come la "più impietosa e feroce istituzione che il mondo abbia mai conosciuto...Le atrocità che l'Inquisizione commise costituiscono la più blasfema ironia nella storia religiosa, disonorando la Chiesa Cattolica con la morte di vittime innocenti che venivano bruciate al fine di eludere la massima "Ecclesia non novit sanguinem" (la Chiesa non sparge sangue).
R.R.Madden fornisce una testimonianza diretta della sua visita ad Avignone nel suo libro "Galileo e l'Inquisizione", con la orribile descrizione delle camere di tortura, di giudizio, delle celle e della struttura generale delle operazioni. La sua opinione sulla possibilità da parte di un accusato di sopportare la procedura inquisitoria è netta ed assolutamente negativa. La sua descrizione del "forno", all'interno del quale venivano incatenati ad appositi anelli i condannati al fine di essere "bruciati vivi", è pianamente drammatica, completa dell'orribile particolare delle camice inzuppate di zolfo che venivano fatte indossare alle vittime affinché bruciassero meglio.
Ai piani superiori (del palazzo dei papi ad Avignone) pontefici come Giovanni XXII, ammassavano una fortuna sfruttando poveri disgraziati, vendendo beni della chiesa, commerciando in indulgenze e dispense papali. Altri papi, come Clemente VI, si stravaccavano nudi, tra lenzuola di lino bordate di ermellino, insieme alle loro molte amanti. Nei piani sottostanti (i fondi) innumerevoli vittime, anch'esse nude, urlavano in agonia mentre venivano torturate e bruciate, qualche volta solo per aver mangiato carne durante la quaresima.
Madden, che era accompagnato nella visita da un amico, un pastore Battista, si sentì chiedere all'uscita:"Bene, Madden, cosa pensi della tua religione, ora?". Madden dice di averci pensato molto prima di rispondere." Sono convinto, Wire, che essa deve essere la vera religione, perché se non avesse avuto dentro di se un vitale e divino principio non avrebbe mai potuto sopravvivere ai crimini che sono stati commessi in suo nome".
Uno storico cattolico disse "sarebbe meglio essere ateo piuttosto che credere al Dio dell'Inquisizione". Un'altro precisò che lo stesso Gesù avrebbe sofferto e sarebbe stato giustiziato per mano degli inquisitori dei papi. Egli (Gesù) parlava con gli eretici (la donna Samaritana) pranzava con Pubblicani e prostitute, attaccava ministri del tempio, scribi e Farisei, e violò anche il sabato cogliendo e mangiando grano quando era affamato.
Non appare quindi sorprendente che la "Casa sull'Angolo" del papa sia tutt'ora funzionante. Il cardinal Ratzinger, o chi per esso, telefona ad un prete in California, in Canada o in Australia, ordinandogli di eliminare le sue ricerche sull'opinione dei vescovi in relazione al celibato del clero o sulle percentuali di fedeli favorevoli alla contraccezione. Teologi vengono scacciati e licenziati dai loro posti di lavoro, preti vengono sospesi dalla loro attività ecclesiatica, solo per aver manifestato il loro dissenso in relazione ad insegnamenti "non infallibili".
All'assurdo massacro degli eretici si devono poi aggiungere altre due categorie di soggetti, duramente perseguitate dalla Chiesa: le streghe e gli Ebrei.
Nel caso delle streghe non desidero discettare sulle improbabili accuse, impossibili responsabilità e ridicoli malefici che venivano addebitati agli imputati, mi limiterò a dire che Gregorio IX diede il via ad un inondazione di follia collettiva che sembrò quasi travolgere la realtà oggettiva.
La descrizione delle operazioni messe in atto dal sadico prete Conrad, uno dei capi informatori/inquisitori di papa Gregorio, supera ogni possibile immaginazione.
Centinaia di morti torturati e bruciati testimoniano la pazzia della Chiesa. Morti che a volte, come i Templari, educati al coraggio ed alla fede, non erano tuttavia in grado di resistere alle spaventose sofferenze. (uno di essi disse:"ammetterei con gioia di aver ucciso Dio, se tutto questo mi venisse risparmiato").
Le confessioni si moltiplicarono e divennero sempre più estrose e complesse (avrei voluto vedere il contrario!). Pur di evitare ulteriori sofferenze gli accusati cercavano di compiacere gli inquisitori con sempre più elaborate fantasie (sesso con il Diavolo, figli con lui, voli notturni, malefici, l'Anticristo sta per giungere, trasformazioni in lupi, civette, gufi, gatti, etc. etc.). E le confessioni diedero la stura a nuove escalations dell'orrore.
La Bolla di Innocenzo VIII del dicembre 1484 "Summis desiderantes affectibus" sembra stimolare ulteriormente questa progressione, con il rendere parte integrante della fede cristiana i blateramenti di vecchie malandate urlati sotto tortura. Essa recita: Uomini e donne allontanandosi dalla fede Cattolica si sono abbandonati ai diavoli, incubi e succubi, e per mezzo di incantesimi, sortilegi, congiure ed altre maledetti peccati, hanno sgozzato infanti ancora nel grembo della madre, vitellini, bestiame, hanno fatto appassire i raccolti, reso uomini impotenti e donne sterili, hanno fatto sì che i mariti non potessero andare con le mogli e le mogli non potessero ricevere i loro mariti" . Dal 1484 chiunque dubitasse o negasse la stregoneria , fosse vescovo o teologo, doveva essere classificato come un eretico e pagare il relativo scotto.
Innocenzo conferì la suprema autorità sulla supervisione di questo massacro ai domenicani Kramer e Sprenger (conosciuti come gli Apostoli del Rosario) , che scrissero congiuntamente il "Malleus Maleficarum" nel 1486. Il libro che, secondo alcuni storici, produsse più morte e miseria di qualsiasi altro.
Il libro è noto e, se non si trattasse di un opera che ha avuto un impatto micidiale, la lettura di alcune sue parti costiturebbe una fonte di sarcasmo per le complicate operazioni che il Diavolo è costretto a compiere per raggiungere i suoi fini.
Questo testo, basilare per gli investigatori, ebbe il suo seguito in molti altri volumi, scritti da molteplici mitomani imbecilli come Boguet (Discorsi sulla stregoneria), ma in nessun caso i cacciatori di streghe sembrano essersi resi conto che erano loro medesimi a creare le streghe.
Alle presunte, ipotetiche, cerimonie stregonesche la Chiesa oppose sue personali forme di magia, quali acqua santa, candele benedette, campane, medaglie, rosari, reliquie, esorcismi e sacramenti, ma nonostante tutte queste armi "divine", essa sembrava perdere la guerra. Più torturava, bruciava ed uccideva, più c'erano streghe e fattucchiere. In letteratura vengono riportati casi di località nelle quali il numero delle streghe superava del doppio quello delle persone "normali". Interi paesi vennero spopolati, bruciandone gli abitanti.
Naturalmente la stregoneria c'è sempre stata, anche prima del cristianesimo. A volte identificata con le religioni naturali, a volte con pratiche di erboristeria o sciamaniche. Ma il papato ha contribuito con una serie di Bolle e di encicliche che non trovavano alcuna rispondenza nei dieci secoli precedenti e la giustificazione teologica fornita dagli inquisitori era che la "vecchia" razza di streghe (non pericolosa e quasi innocua) si era estinta ed era stata sostituita da una nuova razza più forte e più potente, la lotta alla quale giustificava procedure che, prima di Innocenzo VIII, sarebbero state considerate contrarie alla natura stessa della Fede.
Papi come Alessandro VI, Leone X, Giulio II, Adriano VI contribuirono con il loro succoso apporto, stabilendo "infallibilmente" l'esistenza delle streghe. Ancora nel 1623 Gregorio XVI decretava che chiunque avesse fatto un patto con il diavolo doveva subire la prigione a vita.
Improvvisamente, nel 1657, senza preavviso o spiegazione, la Romana Inquisizione stabilì che i processi fatti sino ad allora non erano stati gestiti correttamente. Gli inquisitori avevano sbagliato applicando continuamente la tortura e ponendo in essere altre irregolarità. Non ci fu una parola di scusa o una precisazione sul ruolo papale in questa orrenda buffonata. E non una parola di rimorso sulle migliaia che morirono in questo periodo d'incubo ( tanto per citare qualche cifra limitata alla "stregoneria":1278 vengono impiccati a Londra 267 ebrei accusati di omicidi rituali contro i cattolici;1416, arse 300 donne nel Comasco per ordine dell'Inquisizione; 1485, giustiziate 49 persone a Guadalupe per ordine Inquisizione; 1485, bruciate a Bormio 41 donne per ordine dell'inquisizione; 1505, uccise 14 donne a Cavalese su ordine del vicario del vescovo di Trento; 1507, bruciate 30 persone a Logrono [Spagna] per ordine dell'Inquisizione; 1514, altre 30 donne vengono bruciate a Bormio per ordine dell'Inquisizione; 1518, bruciate 80 donne in Valcamonica per ordine Inquisizione; 1562, bruciate 300 persone a Oppenau [Germania]; 1562, bruciate 63 donne a Wiesemberg [Germania] e 54 persone a Obermachtal [Germania] su ordine Inquisizione; 1680 bruciati 20 ebrei a Madrid su ordine Inquisizione, e sono solo alcuni episodi "sporadici").
Prima di parlare della persecuzione degli Ebrei, mi permetto ancora di ricordare lo strano e doloroso collegamento tra Sabba delle streghe (che iniziava il venerdì sera) ed il sabato ebreo, collegamento rilevato o operato abilmente dagli inquisitori fin dall'inizio della loro caccia. E questo fa pensare ancora di più.

VENTI SECOLI DI PAPATO
La "QUESTIONE" giudea
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Papa Paolo IV, che odiava visceralmente gli ebrei, aveva lavorato incessantemente per ore, sorbendo il vino scuro e denso come melassa della sua amata Napoli. Presto ebbe terminato la sua opera. Il 17 luglio 1555, appena due mesi dopo la sua elezione, egli pubblicò "CUM NIMIS ABSURDUM" , una bolla che normalmente non appare in alcuna delle antologie dei documenti papali, in quanto marchio cruciale e crudele nella storia dell'antisemitismo.
In ragione di questa Bolla, Paolo riteneva di meritare un abbraccio "accademico" che ricevette dal suo nipote favorito, il Cardinale Carlo Carafa, con il commento:"Il suo braccio era immerso nel sangue fino al gomito". Non è una cosa sorprendente che durante il suo breve pontificato la popolazione di Roma quasi si riducesse a metà. Gli ebrei, che non avevano dove fuggire, pagarono lo scotto della sua bigotteria.
Ho già raccontato della relativa tolleranza che accompagnò i primi secoli dopo Cristo, anche se uno dei papi più ricchi di gentilezza, Gregorio Magno, inventò la riduzione di un terzo del fitto per cercare di convertirli. "Anche se loro verranno a noi con poca fede, certamente ci sarà maggior fede nei loro figli, che saranno battezzati, così che se non conquisteremo i genitori, avremo almeno i bambini. Peraltro qualsiasi riduzione degli affitti in nome di Cristo non deve essere considerata una perdita":
CUM NIMIS ABSURDUM stabilisce che gli assassini di Cristo, gli Ebrei, sono schiavi per natura e devono essere trattati come tali. Per la prima volta negli Stati Pontifici gli ebrei vennero confinati in un area particolare, chiamata ghetto, ad imitazione della Fonderia Veneziana. Vennero obbligati a vendere le loro proprietà ai cristiani a prezzi stracciati; nei casi più favorevoli realizzarono il 20% del valore, nei peggiori una casa veniva scambiata per un mulo e un vigneto per un vestito. Venne loro proibita ogni attività commerciale , compreso il commercio del grano, mentre era loro permessa la vendita di cibo e di vestiti di seconda mano.
Era loro permessa una sola sinagoga per città. A Roma ne vennero distrutte sette su otto, in Campagna diciotto su diciannove. I loro libri, compreso il Talmud, erano già stati requisiti e distrutti. In pubblico vennero obbligati ad indossare un cappello giallo. Furono obbligati a parlare solo in Italiano o Latino e ad usare unicamente queste lingue nei documenti scritti. Era loro vietato dare impiego a cristiani, anche solo per accendere il fuoco durante il sabato. Era loro vietato dare o ricevere trattamento medico a e da cristiani e non dovevano MAI essere chiamati con l'appellativo di "signore".
Pur mostrando una istintiva predilezione a vivere tra loro, l'essere costretti in una zona ristretta come bestiame, il dover rientrare al coprifuoco, il non poter possedere ne terra ne casa, doveva apparire agli Ebrei dell'epoca minacciosamente differente.
Gli ebrei romani vennero costretti in una zona malarica e soggetta ad inondazioni accanto alla riva del Tevere. Rinchiusi in un cerchio di cinquecento metri, vi sopravvivevano in cinquemila. L'impatto della Bolla fu terrificante. Nel giro di poco tempo ci furono ghetti a Venezia, Bologna, Ancona, etc.etc.. Nel 1556, proprio ad Ancona, furono bruciati 26 marranos, ebrei convertiti provenienti dal Portogallo ai quali i precedenti pontefici avevano assicurato libertà di fede.
Paolo morì nel 1559, ma la sua Bolla diede la stura ad un atteggiamento che continuò per secoli. Nel 1566 Pio V° battezzò personalmente due ebrei adulti ed i loro tre figli con cinque cardinali come padrini. Nel 1581 Gregorio XIII raggiunse la sorprendente conclusione che:" la colpa degli ebrei nel rifiutare ed uccidere Cristo aumenta ad ogni generazione, giustificando la loro perpetua schiavitù".
Tralascio la descrizione dei singoli casi di persecuzione e maltrattamento di cui esiste documentazione, ma ricordo che la superstizione cristiana che "chiunque fosse responsabile del battesimo di un infedele si guadagnerà il Paradiso" produsse rapimenti di bambini e bambine ebrei, che , una volta battezzati, non "potevano" più, per legge, essere riportati nel ghetto e nel loro naturale ambito familiare.
Lo spazio limitato dei ghetti costringeva a sopraelevare le costruzioni, con conseguenti frequenti crolli ed incendi. L'igiene era , obbligatoriamente, scarsissima confermando il mito che la puzza degli ebrei spariva solo con il battesimo.
Nel suo "De Morbis Artificum" (1700), Ramazzini descrive accuratamente i disturbi che affliggevano la popolazione ebrea dei ghetti. Dalla sua opera si trae l'inevitabile conclusione che i papi furono responsabili di generazioni di sofferenze delle quali non si trova traccia nei libri di storia.
La faccenda andò avanti, tra alti e bassi e continue sofferenze, fino alla presa di Roma del 1870 da parte delle truppe italiane. Undici giorni dopo la caduta di Roma, il 2 ottobre 1870, un decreto Reale conferì agli ebrei la completa libertà che era stata loro negata dal Papato per millecinquecento anni.
Con questa azione l'ultimo ghetto ufficiale in Europa era stato smantellato. Gli ebrei devono aver pensato che le loro sofferenze erano al termine, ma come avrebbero potuto immaginare che la loro ora più buia doveva ancora venire?
Il cristianesimo aveva fatto l'opera di preparazione perseguitandoli per la loro religione, il fascismo li avrebbe perseguitati per la loro razza. Malgrado le grandi differenze, le somiglianze tra i decreti di Innocenzo III e Paolo IV da una parte e le Leggi Nuremberg del 1935 dall'altra, sono indiscutibili.
Mentre Pio XI era ben cosciente del fatto che Gesù, Maria e Giuseppe erano ebrei e si oppose al nazismo ed al fascismo, scrivendo anche una forte enciclica, che rimase impubblicata dopo la sua morte, il suo successore era più prudente.
Eugenio Pacelli, Pio XII, esperto di diritto canonico come il padre ed il nonno, era stato nunzio papale a Monaco e poi a Berlino (dove era stato testimone dell'avvento delle camicie brune). Il 2 marzo 1939 fu eletto papa e, quando nel 1941 i tre quarti degli ebrei italiani avevano ormai perso tutti i loro beni, la scena era pronta per la più vergognosa di tutte le encicliche papali: quella che non è mai stata scritta.
Malgrado le persecuzioni e gli assassini di ebrei fossero ormai sistematici non una parola inequivoca di condanna venne mai pronunciata dal Vaticano. Le labbra Romane, usualmente così pronte a condannare ogni minima deviazione dalla fede, ogni errore, magari per quanto attiene al sesso o all'interpretazione dei testi, erano fermamente e permanentemente serrate.
Mi scuso di tralasciare la ricca documentazione che dimostra la perfetta conoscenza da parte del papa di quasi tutti gli episodi meritevoli di condanna, ma sono disponibile a citarli a chi lo desiderasse. Quello che è certo è che il Pontefice si astenne dal qualsiasi intervento persino quando i Nazisti perseguitarono ed indirizzarono ai forni gli ebrei sotto il suo stesso naso. (vedi anche: Nazismo e Male )
Nell'ottobre/novembre del 1943 oltre 8.000 ebrei italiani vennero estradati ad Auschwitz, senza commenti ufficiali della Santa Sede (che pure ne nascose alcuni nei giorni successivi). Gli italiani ne nascosero quanti fu possibile (cosa pericolosa , ma facile visto che erano praticamente indistinguibili).
Persino il massacro delle fosse Ardeatine del marzo del 1944, non provocò reazione alcuna da parte del Papa, l'unico che, forse, avrebbe potuto intervenire per salvare i disgraziati ostaggi. Dell'orribile massacro la Radio vaticana non diede notizia.
Non ci sono spiegazioni per tutti i molteplici interventi che il papa avrebbe potuto fare, in modo vario e molteplice, sui cristiani osservanti e sugli stessi fanatici nazisti, al fine di rallentare o ridurre l'olocausto, e che invece non vennero posti in essere. Forse la coscienza di essere una nullità di fronte ad un Pio XI; ma persino un omuncolo , di fronte ad episodi di quella portata, avrebbe dovuto trovare la forza di opporsi.
Giovanni XXIII venne eletto dopo l'imbelle Pio, e, rappresentando la quintessenza di un essere umano, sembrò inondare di luce per tutto il corso del suo pontificato sia la Chiesa sia l'umanità, amata in blocco.
Il documento pacificatore che aveva preparato sugli ebrei (morì prima di farlo pubblicare) venne modificato ed alterato irrimediabilmente dal suo successore, Paolo VI°, che persistette pubblicamente (sermone della domenica di Passione del 1965) nell'accusa di deicidio per il popolo giudeo.
Malgrado i modesti passi operati da Giovanni Paolo II, persino oggi, nel marzo del 2000, nel documento "Memoria e Riconciliazione . La Chiesa e gli errori del passato", non si trovano tracce di scuse, giustificazioni o riconoscimenti di responsabilità da parte della Chiesa, anzi, apparentemente, l'unico soggetto meritevole di ricevere una domanda di "perdono" risulta essere Dio, mentre per quanto attiene alle "lacerazioni" tra cristiani e le "relazioni tra cristiani ed ebrei" si parla di "relazioni tormentate" , si parla "a giusto titolo" di "solidarietà nel peccato di divisione"e, relativamente agli ebrei, di "bilancio piuttosto negativo".
Se non ci fosse da nascondersi per la vergogna, verrebbe da ridere!

VENTI SECOLI DI PAPATO
L'eresia papale
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
"Un gran numero di papi erano (sono) eretici."
Per un cattolico questa frase avrebbe il sapore di una frase ingiuriosa detta da un Protestante. Un papa eretico sembra una "contraddizione in termini", come la quadratura del cerchio.
Il Concilio Vaticano I ha affermato che il papa, senza necessità di consenso della Chiesa, è il giudice infallibile dell'ortodossia. Sembra quindi impensabile che un papa come Giovanni Paolo II possa separarsi dalla verità, e quindi dalla Chiesa, agendo in modo "eretico".
La citazione iniziale non è di un Protestante ma di papa Adriano VI, nel 1523, "Se per Chiesa Romana voi intendete la sua Testa o Pontefice, è fuori di dubbio il fatto che egli possa errare, persino in materia di fede. Egli erra quando insegna l'eresia a proprio giudizio o per decreto. In verità molti pontefici romani erano eretici. L'ultimo di essi fu papa Giovanni XXII° (1316-1334)".
Il tema delle eresie papali e dei papi scomunicati dalla chiesa è assai frequente in teologia, ma scarsamente conosciuto, almeno dal 1870 in poi.
Persino l'imperioso Innocenzo III ammise: "Anche io posso essere giudicato dalla Chiesa per un peccato riguardante argomenti di fede" . Innocenzo IV, sebbene affermasse che ogni creatura gli era soggetta in quanto Vicario del Creatore, nondimeno concedeva che ogni pronunciamento papale che fosse eretico o tendesse a dividere la chiesa non doveva ricevere obbedienza da parte dei fedeli. "Naturalmente" egli sostenne "un papa può errare in materie di fede. E nessuno deve dire:- io credo in questo perchè il papa ci crede-, ma perché la Chiesa ci crede. Se egli seguirà la Chiesa, non commetterà errore."
Nessuno sa per quale ragione queste parole, che apparivano nel testo originale di Innocenzo IV°, "COMMENTARIO SUL DECALOGO", furono soppresse nelle edizioni successive. E' quasi impossibile conoscerne i motivi, visto che un grandissimo numero di papi ha , più o meno, sostenuto le medesime tesi.
Oggi sembra impossibile discutere sull'infallibilità del pontefice. Così grande è l'aura di questi personaggi che i fedeli , almeno pubblicamente, sembrano essersi bevuti il cervello.
In realtà molti pontefici hanno sbagliato sia in materia di fede, sia privatamente, condizionando il destino dell'intera chiesa. All'origine (e stiamo parlando già del V secolo, perché in precedenza l'uniformità di interpretazione era fuor di logica) la fede era di competenza della Chiesa ed era regolata dai successori degli apostoli, e precisamente dai vescovi. Loro decidevano in materia di fede, soprattutto se riuniti in conclave generale. Un papa che uscisse dalle righe su argomenti di fede, veniva condannato come eretico. San Pietro fece molti errori e così il vescovo di Roma (o papa che dir si voglia). Quando il papa sbagliava la Chiesa aveva tutto il diritto di deporlo. Dopotutto non era mica un oracolo divino.
La preminenza Romana, quando ci fu (e stiamo sempre parlando di V° secolo, e non prima) era di carattere dottrinale (vedi quanto precisato da Ireneo) ed in nessuno caso da collegarsi alla persona del vescovo di Roma/papa. In tutti gli scritti dei Padri greci non esiste una parola relativa alle prorogative del vescovo di Roma e mai nessuno, greco o latino, si sarebbe appellato al vescovo di Roma per ricevere una parola decisiva in una disputa su questioni di fede. Peraltro nessun vescovo di Roma ha mai osato offrire alla Chiesa una parola decisiva in materie teologiche. La frase di Sant'Agostino "Roma locuta est, causa finita est", continuamente citata dagli apologisti cattolici, è l'unica che si ritrova, in dieci ponderosi "in folio", che si riferisca alla primazia romana, ed è citata a sproposito in quanto si riferisce ad un periodo di continue e contrastate riunioni conciliari alle quali Agostino, con quella frase, sperava di dare una temporanea tregua. In molteplici altre occasioni invece non obietta affatto al rigetto dell'opinione papale in merito a controversie battesimali da parte della Chiesa Africana. Anzi sostiene che fosse loro diritto agire così. E malgrado le sue ripetute e continue dispute con i "Donatisti", in nessun caso egli afferma di avere premineza in quanto parte della chiesa romana. Non esisteva un "centro" della Chiesa, in quanto tale.
Nel 434 Vincenzo di Lerins stabilisce i criteri generali della dottrina cattolica, non menzionando MAI il ruolo di Roma o del suo vescovo.
Papa Pelagio (556-60) parla di eretici che si sono separati dalle DIOCESI apostoliche, cioè Roma, gerusalemme, Alessandria e Costantinopoli. Negli scritti dell'epoca non esiste menzione di un ruolo speciale di Roma o del suo vescovo, così come non esiste menzione di un personaggio chiamato "papa" con particolari attribuzioni diverse dagli altri vescovi.
In relazione alle ottanta o novanta eresie verificatesi nei primi sei secoli, nessuno fa mai riferimento all'autorità del vescovo di Roma per dirimere la controversia o decidere sulla questione. Capita che l'episcopato venga attaccato e offeso, ma non l'autorità del vescovo di Roma, "perché NON NE AVEVA.
In occasione di un comportamento eretico da parte del vescovo Bonosius, papa Siricio (384-98) si rifiutò di intervenire sostenendo di non averne il diritto; ed il primo papa che, in qualche modo contorto, sembra per primo appellarsi all'autorità papale è Agato nel 680. E lo fa per una ragione estremamente imbarazzante: il suo predecessore, papa Onorio, era sul punto di essere condannato per eresia dal Concilio Generale (cosa che poi si verificò, come vedremo in seguito).
Papa Liberio (352-66) cercando di risolvere la questione Ariana (Ario riteneva che il Figlio fosse meno importante del Padre) venne spedito in esilio. La condizione per un suo ritorno fu che condannasse pubblicamente Attanasio, campione dell'ortodossia cristiana (che sosteneva che padre e figlio erano sullo stesso piano, come noi oggi), cosa che egli fece immediatamente meritandosi le parole di un grande Padre della Chiesa come Ilario di Poitiers "Anatema su di te, Liberio".
Gregorio Magno affermò che i bambini non battezzati vanno dritti all'inferno e soffrono per l'eternità. Sia Innocenzo I (401-17) sia Gelasio I (492-6) intervennero per iscritto in due Concili (la loro presenza non era né richiesta né necessaria a quanto pare) sostenendo che i bambini , oltre al battesimo, dovevano ricevere anche la comunione, altrimenti sarebbero andati dritti all'inferno.
Vigilius (537-55) , scelto indebitamente come successore da Bonifacio II° (allora i papi venivano scelti dal popolo di Roma, che si incazzava come una bestia quando qualcuno voleva togliergli delle sue prerogative), venne cacciato via prima di essere eletto. Riuscì successivamente ad ottenene la nomina (nell'intervallo c'erano stati Giovanni II, Sant'Agapito e San Silverio), ma venne costretto a raggiungere Giustiniano a Costantinopoli, dove cercarono di convincerlo dell'autorità del Concilio di Calcedonia e ad accettare le interpretazioni religiose dell'imperatore.
Virgilio cambiò la sua opinione tutte le volte che l'imperatore lo decise. Nel 553 Giustiniano convocò il V Concilio Generale, che si riunì a Santa Sofia di Costantinopoli. Di circa 165 vescovi orientali se ne riunirono solo 25. Vigilio mandò le sue scuse, accusando una malattia, ma la sua assenza non fu considerata in alcun modo. Tra le molte altre cose il Concilio decise che Viglio era un eretico e lo scomunicò. Quando il papa venne a conoscenza della propria scomunica, condannò tutti coloro che avevano preso parte alla decisione. Giustiniano si incazzò a morte e, senza indugi o dubbi, lo proscrisse in esilio a Proconneso, un'insenatura rocciosa del Mar della Marmora (allora doveva sembrare una sorte terribile:lontano dalla civiltà, dalle feste, dai conviti, etc.etc.; adesso ci andremmo tutti in vacanza). Solo e derelitto, Vigilio, quando gli giunse notizia di una prossima possibile elezione di un nuovo papa a Roma, chiese umilmente perdono (con lettera dell'8 dicembre 553, indirizzata al Patriarca di Costantinopoli), dichiarando di essere stato diabolicamente "influenzato" e di accettare quindi tutte le decisioni del V Concilio, con la loro impostazione teologica ed interpretazione della divinità. Ricevuto dall'imperatore il permesso di tornare a casa, soltanto la morte che lo colpì sulla strada del ritorno, a Siracusa il 7 giugno 555, lo salvò (si fa per dire) dal linciaggio che lo aspettava a Roma , da parte dei suoi fedeli elettori furibondi per le sue calate di braghe ed i continui voltafaccia.
I fedeli dello Stivale erano così irritati dalle indecisioni e dalla vigliaccheria di Vigilio in ordine alla questione (cretina) della doppia persona/natura di Cristo, che occorse l'elezione di un nuovo papa ed il lungo lavoro diplomatico di Pelagio I (che si servì anche di operazioni militari per convincere i vescovi) per rappacificare le diverse diocesi italiane.
Tutto questo lungo discorso solo per dimostrare che, nel periodo del Basso/Medio Medioevo, il Concilio era superiore al pontefice in maniera inequivoca. Solo successive falsificazioni ed alterazioni della documentazione disponibile (parte della quale venne distrutta dalla Chiesa) portarono ad una diversa valutazione del valore delle due entità (papa e concilio) in discussione.
Un'altro caso di papa condannato per eresia è quello di Onorio (625-638), che ridicolizzò la teoria delle "due volontà" di Cristo (problema connesso con le "due nature",teoria stabilita nel corso del Concilio di Calcedonia) ,senza tuttavia avere il tempo necessario per spiegare la ragione del suo dissenso (morì prima) , Circa quarant'anni dopo la morte venne stigmatizzato come Monotelita e condannato per eresia dal VI° Concilio Generale (680-681). Leone II, eletto papa nel 682, confermò la condanna di Onorio dicendo:"Onorio cercò, con profano inganno, di sovvertire la fede immacolata".
Insomma, non si può proprio dire che i papi avessero le idee chiare.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Altre varie eresie
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
La più continua e persistente mancanza di ortodossia in Roma si verificava nell'ambito sacramentale. In parte questo può essere spiegato con il collasso verificatosi nell'apprendimento con le invasioni barbare. I Greci, infatti, tendevano a considerare Roma come "piena di zotici".
Dall'ottavo secolo in poi alcuni papi annullarono le ordinazioni ecclesiastiche e ri-ordinarono i preti. Tutto ebbe inizio con un antipapa, Costantino II, nell'anno 769, ma , come abbiamo già visto anche tutte le ordinazioni di papa Formoso, il cadavere processato quale eretico, vennero dichiarate invalide.
La domanda che sorge spontanea è : esistono validi sacramenti in una nazione nella quale il clero è stato ordinato da un papa eretico? Sia Stefano VII, sia Sergio III, l'amante di Marozia, stabilirono che le ordinazioni di un papa eretico erano "invalide". La conseguenza , se logicamente seguita, porta a far considerare nulli tutti i sacramenti impartiti da sacerdoti la cui ordinazione era invalida (matrimoni, battesimi, etc.), questione sulla quale però in genere si è sempre glissato.
Alcuni papi stabilirono che quando la simonia entrava in un ordinazione vescovile, la nomina era invalida. Così decise Leone IX (1049-54), che riordinò molti preti. Gregorio VII rinforzò questa convinzione, affermando che quando in una nomina entrava il denaro, la nomina era SEMPRE nulla. Urbano II andò ancora oltre stabilendo che anche se un vescovo non pagava per la sua ordinazione (simonia), se riceveva l'ordinazione (veniva fatto vescovo) da un vescovo che invece aveva pagato, anche la sua ordinazione era nulla. Questa strana, logica, ma eretica interpretazione venne estrinsecata nei decreti di Graziano , non trovando però nessuna rispondenza nella Chiesa d'Oriente, che se ne tenne saggiamente distante.
Nel 1557 Paolo IV , nella sua Bolla Cum ex Apostolatus officio , confermò questa stramba tesi che, se presa sul serio, avrebbe fatto scoppiare la Chiesa ed il suo sistema sacramentale come una bolla di sapone. Per fortuna nessuno pensò seriamente di portare la faccenda alle sue estreme conseguenze.
Decisioni non ortodosse sono quelle assunte da papa Pelagio , che dichiarò che per un valido battesimo è indispensabile l'invocazione della Trinità, (papa Nicola (858-67) per fortuna riaffermò poco dopo che bastava invocare Gesù) , e che la cresima impartita da un semplice sacerdote era nulla (spazzando via d'un colpo tutte le cresime della Chiesa Greca) e mettendo in dubbio anche, a cascata, le comunioni e nomine di preti e vescovi greci.
Stefano II (752) stabilì , contro le tradizioni, che il matrimonio tra un uomo libero ed una schiava, anche se entrambi cristiani, poteva tranquillamente essere sciolto per permettere all'uuomo di risposarsi (una specie di divorzio maschilista ante litteram).
Urbano III dichiarò che un matrimonio tra cristiani, anche se consumato, può essere sciolto. Celestino III (1191-8) , dandoci ancora più dentro, decise che un matrimonio "consumato" e tra cristiani può essere sciolto senza tema se uno dei due coniugi diventa eretico. Questa cazzata venne ripresa anche da Innocenzo III, che a conferma, citò l'assoluta necessità di attenersi al Libro del Deuteronomio alla lettera, dimenticando che il Deuteronomio permette tranquillamente al marito di divorziare.

Anche la comunione ebbe la sua dose di eresie, con papa Nicola II (1059-61) che affermò che nell'eucarestia è "materialmente" possibile toccare con le mani e mordere con i denti il "reale" corpo di Cristo. Quasi come dire che Cristo continuava ad essere torturato dai fedeli anche dopo morto.
Quando Clemente V morì, nel 1314, il conclave ci mise due anni a trovare un successore. Finalmente , disperati, scelsero Giacomo Duèse di Cahors che a Lione, il 7 agosto, divenne pontefice prendendo il nome di Giovanni XXII.
Sembrava la persona più adatta, settantaduenne, piccolo, delicato, di apparenza malaticcia questo figlio di un ciabattino non avrebbe dovuto durare a lungo.
Le cose andarono diversamente.
Giovanni XXII dimostrò di essere duro e resistente, ambizioso, avarissimo, più mondano di un magnaccia e con una risata che scoppiettava con indubitabile malizia. Questo fragile e piccolo mostro avrebbe tenuto duro diciotto tempestosi anni.
Quando assunse la carica il tesoro era completamente vuoto. Clemente V aveva dato via tutto ai suoi parenti. Giovanni rimediò in fretta commerciando in tutto quello che era commerciabile. Vendette tutto ciò che un francese pieno di fantasia può immaginare: il perdono aveva un prezzo qualsiasi fosse stato il crimine. Un tanto per l'assassinio, un tanto per l'incesto o per la sodomia. Peggio i fedeli si comportavano, più ricco diventava il papato. Quando una lista "pirata" dei prezzi venne fatta circolare, si credette che fossero stati i nemici della chiesa a produrla. Era vero, ma i nemici della Chiesa erano il papa e la Curia. Concedevano ai peccatori il diritto di peccare e di evitare le conseguenze dei loro peccati.
La passione del papa per le guerre (italiane) gli faceva spendere grandi somme in armamenti ed eserciti, tanto che un suo contemporaneo disse di lui:" il sangue che il papa ha sparso avrebbe reso rosse anche le acque del Lago di Costanza, e con i corpi di coloro che ha squartato avrebbe potuto costruire un ponte da una sponda all'altra.
Nella sua Bolla Cum inter nonnullos" del 12 novembre 1323, sconfessando quasi tutti i suoi predessori, stabilì che: "sostenere che Cristo e gli Apostoli non avevano proprietà rappresenta una perversione delle Scritture". La povertà gli stava proprio sulle balle, tanto da convincerlo ad assumere anche procedure punitive verso i francescani per farli dichiarare eretici. Ma quest'ultima operazione diede il destro al'imperatore Luigi (Ludovico il Bavaro) di Bavaria di accusarlo di eresia (Ludovico era già incazzato per le pretese del papa di assumere il potere imperiale nel corso degli "interregni"). Lo chiamò "anticristo", lo depose e ne nominò un altro. La scelta dell'imperatore cadde su Piero di Corbario, decrepito francescano che assunse il nome di Nicola V.
Sfortunatamente Nicola risultò essere sposato, con figli e nemmeno prete. Ludovico comunque, pagata la moglie del papa affinché non rompesse, lo tenne sul trono papale fino al 1329, quando si stancò e lo affidò alle mani di Givanni XXII (ritornato papa), purchè promettesse di non trattarlo male. Cosa che , stranamente, nel complesso Giovanni fece, pur tenendolo prigioniero nel palazzo papale di Avignone per tutto il resto della vita.
Alla fin fine Giovanni XXII aveva trionfato: Cristo e gli Apostoli non avevano condotto una vita di povertà, anzi!.
Nel 1331 Giovanni nella chiesa di Notre-Dame des Dome (Avignone) sostenne , dopo aver fatto morire di fame un domenicano che affermava che le anime dei giusti vedono Dio immediatamente, che le anime dei giusti non possono vedere Dio prima della "risurrezione dei corpi" (il giorno del Giudizio Universale).
Sono infatti ancora "sub altare Dei" (sotto l'altare di Dio) e soltanto dopo il Giudizio Universale essi saranno "super" (sopra l'altare di Dio) e potranno vederlo. Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che stava commettendo eresia.
Il 5 gennaio 1332 allargò la faccenda all'inferno. Nessuno, egli disse, era ancora all'inferno. Solo alla fine del mondo i dannati sarebbero andati ai loro tormenti.
Per la seconda volta Giovanni venne dichiarato eretico, basandosi sul semplice assunto che se la beata Vergine ed i santi non erano in paradiso a contemplare Dio, come avrebbero potuto intercedere per i viventi. E perché i cristiani avrebbero dovuto pagare il papa per il perdono e le indulgenze quando, alla loro morte, non sarebbero nemmeno andati subito in paradiso?
Giovanni, malgrado tutte le forze in campo contro di lui, continuò a tergiversare fino alla propria morte, il 4 dicembre 1234. Qualche tempo dopo venne pubblicata una Bolla a suo nome, nella quale egli revocava tutte le sue precedenti affermazioni. Nessuno può dire se fosse veramente opera sua, ma quello che è certo è il fatto che il suo successore, Benedetto XII, affermò immediatamente che i santi godono della visione beata subito dopo la morte.
Nel 1572, quando Gregorio XIII divenne papa, il cardinal Montaldo si ritirò a vita privata. Per tutto il periodo successivo fece spargere voci che lo davano in punto di morte. Nelle rare occasioni di riunione con i cardinali egli tossiva continuamente e dava segni di estrema debolezza. Si aggiunse otto anni di età per sembrare più vecchio e decrepito e affettava in pubblico continue dimostrazioni di umile fragilità.
Alla morte di Gregorio, nel 1585, Felice Peretti da Montaldo (il cardinale di cui sopra) si presentò al Conclave, truccato da vecchio, barcollante su un paio di grucce e piegato in due dal peso dell'età. Sembrava un candidato perfetto per il papato ed infatti fu eletto. Dal racconto di Leti, suo biografo, risulta che dopo l'elezione gettò via le grucce e si raddrizzò gridando : "Ora IO sono Cesare".
Ma ne parleremo nella prossima pagina.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il papa che riscrisse la Bibbia
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Sisto V (Felice Peretti, il cardinal Montaldo) fece in cinque anni un lavoro che ne avrebbe richiesto cinquanta. Costrinse squadre di uomini a lavorare giorno e notte per sistemare la cupola di San Pietro. Fece spostare l'obelisco, palmo a palmo, da centinaia di uomini e muli fino all'attuale posizione nella piazza. Costruì la Libreria Vaticana. Fece erigere un acquedotto che portasse l'acqua fino al centro di Roma. Si meritò ampiamente il soprannome "Il Turbine Consacrato".
Insieme ad una titanica energia c'era però uno straordinario egotismo.
Egli affermò il suo potere temporale su principi e re. Quando Roberto Bellarmino, uno dei più strenui difensori del papato dall'epoca di Tommaso d'Aquino, suggerì nel suo libro "Controversie" che il papa aveva solo una giurisdizione indiretta sui reggenti del mondo temporale, Sisto lo censurò spietatamente.
Egli, dichiarò, poteva per qualsiasi motivo e comunque gli piacesse nominare o licenziare chiunque, compresi gli imperatori.
Censurò anche il teologo Vittorio per aver osato dire che era giusto disobbedire ad ingiusti ordini di un papa. Lui, Sisto V, mise all'indice entrambi i libri di questi due "rinnegati".
I cardinali della Congregazione dell'indice erano terrificati dal dover dire a sua Santità che entrambi gli autori citati (Bellarmino e Vittorio) basavano i loro scritti su innumerevoli documenti dottrinali di santi e studiosi cattolici. Il Conte Olivares, ambasciatore spagnolo a Roma, scrisse al re Filippo II° che i cardinali tenevano la bocca chiusa "per paura che Sisto potesse fargli sentire il duro sapore del suo temperamento e, forse, costringerli a mettere all'indice persino i santi stessi".
Sisto si comportò molto male soprattutto con il gesuita Bellarmino, che aveva cooperato con lui nell'edizione dell'opera completa di Sant'Ambrogio, nel corso della quale il papa aveva ogni volta stravolto il giudizio del suo collaboratore.
Lo stesso atteggiamento il papa lo tenne verso la Bibbia ed i risultati furono drammatici.
La versione latina della Bibbia, la Vulgata, era opera di San Gerolamo nel quarto secolo ed aveva avuto un posto significativo nel corso del Medioevo.
Il Concilio di trento (1546) aveva stabilito che la "Vulgata" era la versione autentica della Bibbia ed essa sola doveva essere usata nei sermoni, discussioni o letture.
Purtroppo il lavoro di riporto dei copisti aveva prodotto molti errori e la stampa moltiplicò il numero degli sbagli. Con la Riforma i Protestanti produssero la loro personale versione della Bibbia e diventava imperativo che anche i cattolici potessero fruire di un testo affidabile della Vulgata in tutte le discussioni.
Dopo tre anni di pontificato, nel 1588, gli venne presentato (a Sisto) il testo finale predisposto dalla commissione di studiosi a cui aveva dato l'incarico. Secondo il pontefice c'era troppo lavoro di ricerca, troppe variabili interpretative. Il papa scacciò il capo della Commissione, il cardinal Carafa, fuori dalla stanza urlando che avrebbe provveduto lui personalmente.
In una Bolla di 300 parole dichiarò che lui, il papa, era l'unico soggetto in grado di produrre una "autentica Bibbia" per la Chiesa.
E lo fece.
Lavorando giorno e notte (soffriva d'insonnia), operando su di un testo popolare e provvedendo ad aggiunte personali dove gli sembrava fosse opportuno, completò l'opera in circa diciotto mesi. Cambiò radicalmente il sistema di riferimenti. Cambiò i capitoli, che erano stati strutturati abilmente da Roberto Stefano nel 1555 ed erano universalmente adottati. Dimenticò addirittura interi versi e cambiò i titoli dei Salmi.
Tutte le vecchie bibbie e tutti i testi scolastici divennero di colpo obsoleti.
Nel 1590 gli furono presentate le prime copie "in folio". "Splendido" disse il papa, finché non si accorse delle centinaia di errori di stampa. Per non perdere tempo provvide personalmente alla correzione delle bozze (ci mise sei mesi) passandole poi alla stampa, mentre la sua Bolla "Aeternus ille" era già pronta da tempo e recitava autoritativamente: "Nella pienezza del potere Apostolico, Noi dichiariamo e decretiamo che questa edizione....approvata per l'autorità conferitaCi da Dio, deve essere ricevuta e tenuta come vera, legittima, autentica, ed inquestionabile in tutte le discussioni, letture, preghiere e spiegazioni pubbliche e private". A nessuno era permesso, editore o libraio, di deviare di una virgola da questa finale ed autentica versione della Bibbia latina. Chiunque contravvenisse alla Bolla papale doveva ritenersi automaticamente scomunicato e solo il papa poteva assolverlo. Erano previste anche punizioni materiali e temporali.
Verso la metà di aprile furono distribuite copie a cardinali ed ambasciatori. Quattro mesi dopo il papa era morto.
Il papa successivo morì dopo dodici giorni di pontificato (Urbano VII). Toccò quindi a Gregorio XIV cercare di porre rimedio alla questione della Bibbia. Ma come fare? Una Bibbia era stata imposta al mondo cattolico con l'intero peso del potere papale, ma era piena di errori. Il mondo accademico era in subbuglio ed i Protestanti si divertivano un sacco per l'intera faccenda. Il cardinal Bellarmino , rientrato a Roma dall'estero e personalmente sollevato per la morte di Sisto V, che l'aveva messo all'indice, suggerì a Gregorio XIV, invece di proibire la Bibbia, di farla correggere, ove fosse possibile, cercando di recuperare tutte le copie messe in circolazione e sostenendo che tutti gli errori derivavano "da sbagli degli stampatori e di altre persone (il riferimento a Sisto è inequivocabile). Un'intera truppa di studiosi si sistemò in un'apposito edificio sulle colline Sabine, a 30 km da Roma, e lavorò bestialmente per cercare di identificare e rettificare tutti gli errori commessi da Sisto.
Alla fine del 1592, sotto il papato di Clemente VIII, il "nuovo testo" venne stampato e distribuito immediatamente con una lunga prefazione che spiegava come Sisto, accortosi degli errori, avesse deciso di dare corso ad una nuova riedizione, la quale, in seguito alla sua morte, era stata portata a termine dai suoi successori. Giocando sull'equivoco Bellarmino suggerì anche che la nuova versione (passibile anch'essa di molti errori, che infatti ci sono) non dovesse obbligatoriamente essere l'unica permessa e/o accettata.
I commenti degli studiosi su questa serie di menzogne e falsificazioni miranti a nascondere gli errori e la supponenza del papato, furono e sono pesanti.
Thomas James, studioso e libraio londinese, che potè esaminare e verificare il contenuto di entrambe le versioni, scrisse nel 1611:"Ci troviamo ad avere due papi uno contro l'altro. Sisto contro Clemente , Clemente contro Sisto, litigando, scrivendo e discutendo sulla bibbia di Gerolamo...per quanto concerne i cattolici la Bibbia è come un naso di cera che i papi modellano a seconda di quello che conviene loro...se un papa dicesse che quello che è bianco è nero e quello che è nero bianco nessun cattolico oserebbe contraddirlo."
L'affare del papa che riscrisse la Bibbia dimostra una volta ancora che la dottrina che il papa non può sbagliare è di per se erronea, conduce a creare proprie personali versioni della Storia e costringe anche uomini moralmente corretti, come Bellarmino, a mentire in favore della Chiesa.
Ma Bellarmino invece di essere ricordato per aver messo in atto una discreta "cover up" a favore di Sisto V, è noto soprattutto per aver distrutto vita e carriera di uno straordinario laico, Galileo.

VENTI SECOLI DI PAPATO
La Bestia Nera
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Mi scuso di essermi perso dietro alla questione delle odierne scuse ecclesiastiche, fino ad arrivare a streghe, eretici e Galileo, di cui però parlerò presto.
Per il momento torno indietro al 1294, anno in cui Benedetto Gaetani venne incoronato papa Bonifacio VIII.
Iacopone da Todi, il poeta che scrisse il famoso "Stabat Mater", bellissimo inno ecclesiastico, commentò che nessun nome era più inadatto di quello: Benedetto non esibiva affatto una "buona faccia" (Bona Facies/Bonifacio).
Molto alto e duro, egli aveva, a ottant'anni, gli occhi più freddi che si siano mai visti in un uomo. Il cardinal Llanduff disse di lui:"E' tutto lingua ed occhi, il resto di lui è completamente corrotto". Rifiutava udienze per personali antipatie e ridicolizzava disgraziati con difetti fisici o intellettuali. Aveva improvvisi attacchi di furore che scaricava su chiunque avesse vicino. F.M.Powicke lo definì così:"Era ammirato da molti, temuto da tutti, amato da nessuno".
Era calvo, con le orecchie a ventola su di volto incendiato dall'arroganza di colui che sa di non avere eguali. "Il seno del Romano pontefice - egli disse - è la fonte ed lo scrigno di ogni legge. Questa è la ragione per la quale la cieca obbedienza alla sua autorità è essenziale per la salvezza".
Nel Giubileo del 1300 dicono di averlo sorpreso seduto sul trono di Costantino mentre ripeteva incessantemente:"Io sono il pontefice, io sono l'imperatore."
I suoi abiti erano i più costosi, ornati di gemme e pellicce. Quando parlava, sputacchiava attraverso il largo spazio interdentario lasciato da due denti mancanti nella mascella superiore. Il suo predecessore, Celestino V aveva detto di lui:" Tu ti sei insinuato sul trono come una volpe, regnerai come un leone e morirai come un cane".
Pochi papi sono riusciti ad arricchire la propria famiglia come Bonifacio. Un diplomatico Spagnolo affermò:"Questo papa si preoccupa solo di tre cose:una lunga vita, una ricca vita, una ben arricchita famiglia intorno a lui." Conosciuto come "Magnanimus Peccator" , non perse tempo a nominare cardinali tre suoi nipoti ed a farli ricchissimi con terreni e proprietà. Secondo Dante questa "bestia" mutò la tomba di San Pietro in una fogna.
Un libertino se ce n'è mai stato uno, tenne una volta come amanti, contemporaneamente, una donna sposata e la figlia di questa. Una delle sue battute sembra essere stata:"Fare del sesso è come sfregarsi le mani". Invecchiando diede sempre più spazio al suo secondo hobby, quello di fare soldi. Il Medico spagnolo che gli salvò la vita divenne il "secondo" uomo più odiato di tutta Roma.
L'unica preoccupazione che lo tormentava era il pensiero che tutti credevano che avesse convinto con l'inganno il suo predecessore a dare le dimissioni. Si tratta di una delle storie più strane e curiose di tutta la storia della Chiesa e cominciò alla morte di Niccolò IV, nel 1292. Nel Conclave tenutosi subito dopo a Perugia gli undici elettori non riuscirono ad accordarsi, divisi tra il Colonna e l'Orsini.
Benedetto Gaetani se ne stette in disparte, senza partecipare alla disputa. Dopo due anni di temporeggiamenti egli dichiarò di aver ricevuto una lettera da un santo eremita , Pietro da Morrone, che abitava in una caverna in Abruzzo. Chiese quindi di offrire finalmente alla Chiesa un papa santo e propose di fare papa Pietro. Una comitiva di cardinali si recò in Abruzzo, guidata da Pietro Colonna, e, tra la puzza di santità del luogo (doveva essere un bel fetore, quello di uno che non si lavava e non si cambiava mai d'abito), conferì il papato al sant'uomo. Pietro di Morrore accettò prendendo il nome di Celestino V. Non volendo risiedere a Roma che giudicava licenziosissima, stabilì la sua Sede Santa a Napoli.
Gaetani, con la scusa di metterlo più a suo agio, gli costruì all'interno del Castello Nuovo una celletta di legno nella quale, come disse un suo contemporaneo, il papa si nascondeva come "un fagiano nel sottobosco".Non capiva un tubo di politica, non parlava il latino e ,quando doveva spostarsi, o andava a piedi o a dorso di mulo.

I cardinali si resero conto subito del loro errore: Celestino oltretutto donava ai poveri e non aveva nessuna sensibilità verso la simonia. In poco tempo avrebbe mandato la Chiesa in fallimento.
Non sapendo che cosa fare si rivolsero al Cardinal Gaetani che provvide subito a fare un buco nel muro della cella del papa e ad infilarci una sorta di megafono.
Notte dopo notte tormentò il papa:"Celestino...., Celestino...,lascia il tuo incarico....è un peso troppo grande per te".
Dopo diverse notti di questa sorta di ipnosi subliminale posta in essere, secondo Celestino, dallo Spirito Santo, l'ingenuo monaco decise di abdicare, dopo appena quindici settimane di papato.
("ab hoc ferunt deceptum Cælestinum voce tamquam cœlitus missa per cannam ad eum factam, ut defereret pontificatum et Bonifacium institueret" da Summa omnium conciliorum et pontificum, 1691, Lugduni)
Naturalmente Gaetani , a questo punto, pretese il papato... e lo ottenne.
Nominato nel dicembre 1294 rinchiuse, per sicurezza e tranquillità personale, Celestino nel Castello di Fumone, dove il vecchio eremita morì pochi mesi dopo.
Purtroppo per Bonifacio la famiglia Colonna venne a sapere come Bonifacio aveva ingannato Celestino e, per tutto il periodo del suo papato, Bonifacio visse nell'incubo che venisse messa in discussione la sua nomina.
Con i cardinali Colonna ci furono anche scontri militari e, ad un certo punto, Bonifacio riuscì anche ad estrometterli dal collegio cardinalizio.
Vinta questa battaglia Bonifacio decise di distruggere anche l'ultimo rifugio dei Colonna, suoi nemici mortali, e fece radere al suolo la bellissima cittadina di Palestrina ed uccidere tutti gli abitanti che non erano riusciti a fuggire (nei rapporti si parla di seimila morti).Venne distrutto tutto. Il palazzo di Giulio Cesare, i mosaici antichi e preziosi, il tempio della Vergine Maria in marmi preziosi. Solo la cattedrale venne risparmiata.
Per quest'atto mostruoso, compiuto nella primavera del 1299, Dante lo seppellì nell'ottavo cerchio dell'inferno.
Circa tre anni dopo, in seguito alla disputa con Filippo di Francia (il Bello) , già colpito da interdetti e anatemi vari (conseguenti alla Bolla "Clericis Laicos", nella quale si scomunicava qualunque religioso che pagasse alcunché ad un laico, fosse pure re o imperatore), Bonifacio decise di emettere un'altra Bolla, che in seguito molti avrebbero preferito non avesse mai scritto:"Unam Sanctam" che, tra le altre cose, affermava "Esiste soltanto una santa, cattolica e apostolica chiesa, fuori della quale non esiste salvezza o remissione dei peccati...Colui che nega che la spada temporale è nel potere di Pietro interpreta erroneamente le parole del Signore:"rimetti la tua spada nel fodero".Entrambe le spade, la spirituale e la temporale, sono nella potestà della Chiesa. Quella spirituale è brandita dalla Chiesa, quella temporale per la Chiesa. La prima per mano dei preti; la seconda per mano dei re e dei principi secondo il volere e la tolleranza del prete. Una spada deve sottostare all'altra; la materiale sotto la spirituale, così come l'autorità temporale è in generale sotto quella spirituale.....Il potere spirituale deve decidere sul potere terreno e giudicare se sia buono o meno. Come disse Geremia: Guarda, io ti ho messo sopra tutte le nazioni e i regni." Come ultima pennellata aggiunse:"Noi dichiariamo, annunciamo e stabiliamo che è senza dubbio necessario per la salvezza di ogni creatura assoggettarsi al Romano Pontefice".
Uno dei consiglieri del re di Francia commentò:"La spada del papa è fatta di parole, quella del mio padrone è d'acciaio."
Il re diede incarico a Nogaret di fare tutto il necessario per deporre il papa, cosa che Nogaret fece con abilità ed astuzia. Un anno dopo, riunite le sue forze con quelle di Sciarra Colonna e corrotti alcuni guardiani , conquistava d'un colpo e all'improvviso Anagni, roccaforte del papa, che tutto si aspettava meno questo. Pestato e denudato, mentre ripeteva attendendo la morte da Sciarra "ec le col, ec le cape (ecco il mio collo, ecco la mia testa), fu salvato dall'intervento di Nogaret che aveva incarico di portarlo a Lione.
Dopo alcuni giorni di tormento i cittadini di Anagni si ribellarono, temendo di essere colpiti dall'anatema papale e di poter fare la fine di Palestrina, e cacciarono Sciarra e Nogaret, rilasciando il pontefice dalla sua prigionia. Purtroppo (o meglio, per fortuna!) l'uomo era completamente sconvolto e trascorreva il suo tempo sbattendo la testa contro il muro. Secondo quanto riportato morì poco dopo (trentacinque giorni) asserragliato nella sua stanza nel Laterano e solo come un cane ("morieris ut canis" era stata la profezia di Celestino).
(Dalla profezia derivò la breve frase con cui Bonifacio veniva definito: intravit ut volpes, regnavit ut lupus, mortuus est ut canis, ibid.)
La curiosità finale della storia della "Bestia Nera" di Dante, papa eretico, mondano, assassino, etc, etc., è che quando nel 1605 la sua tomba fu spostata ( per completare la nuova Basilica di San Pietro), il sarcofago si ruppe aprendosi ed il suo corpo apparve, dopo tre secoli, perfettamente intatto.
Solo le labbra ed il naso mostravano segni di danneggiamento.
Se fosse stato ammazzato da Sciarra e Nogaret avrebbe persino rischiato di essere fatto santo.

VENTI SECOLI DI PAPATO
L'esilio in Babilonia (Avignone) e la discesa del papato all'inferno
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
I problemi del papato non finirono con Bonifacio VIII. Filippo IV di Francia (il Bello, come già detto, ma non so bene perché), non soddisfatto di vedere il suo mortale nemico andare al Creatore, era determinato a dissacrarne la memoria. Benedetto XI (che succedette a Bonifacio) cercando di rabbonire il re, lo assolse da ogni accusa o colpa per quanto era successo al suo predecessore (le beffa di Anagni). Quando un anno dopo anche Benedetto XI° mori, uno scandaloso intrigo condusse all'elezione di Bertrand de Grot, Arcivescovo di Bordeaux, come Clemente V.
Finalmente Filippo poteva disporre di un papa francese, malleabile alla sua volontà.
Clemente immediatamente annunciò ai suoi attoniti aiutanti che lo avrebbero accompagnato oltre le Alpi. La giustificazione era che di Anagni ne aveva abbastanza e che desiderava "non addolorare il nostro caro figliolo, il Re di Francia". In Francia si sistemò ad Avignone, sotto l'attento occhio di Filippo. Si trattava di una piccola città provenzale sulla riva orientale del Rodano.
Per evitare che Filippo accusasse (post mortem) Bonifacio di frode e di eresia il papa cedette ad ogni sua volontà. Il Re ricevette lodi per il suo comportamento contro Bonifacio e Celestino V° venne canonizzato come San Pietro da Morrone. Il papato subì da questo esilio un colpo quasi mortale e sul trono pontificale si succedettero una serie di soggetti che, semplicemente, senza essere cattivi o buoni, non erano veri papi. (oddio! se pensiamo a qualche precedente erano ottime persone).
Un esempio classico fu Clemente VI (Pierre Roger de Beaufort, monaco benedettino ed arcivescovo di Rouen), eletto nel 1342. Come i suoi predecessori Giovanni XXII e Benedetto XII, anche lui non aveva mai visto l'Italia, ma , a differenza da Benedetto XII che era un vero rompiballe, Clemente sapeva esattamente come vivere e spendere:"Prima di me - disse - nessuno ha mai saputo fare il papa....Se il Re d'Inghilterra volesse far nominare vescovo il suo culo non dovrebbe far altro che chiederlo.".
In una occasione un'asino si fece strada in pieno concistoro portando un cartello appeso al collo che diceva:"Per favore fai anche me vescovo". Il Papa la prese in ridere come fece quando ricevette una lettera, sempre durante un udienza concistoriale, che diceva:"Dal Diavolo a Suo Fratello Clemente".Lui ed i suoi "diavoletti" (i Cardinali) scoppiarono tutti a ridere. Il suo sistema era di concedere sempre più di quello che gli chiedevano ed il suo unico e principale obiettivo era di far tutti contenti. In Avignone tutti stavano bene:musicisti, orefici, artigiani, banchieri, astrologi, ladruncoli, magnaccia e soprattutto le splendide puttane (ed i bellissimi puttani). Alcuni si lamentavano sostenenendo che in Avignone gli dei più adorati erano Bacco e Venere.
Uno dei pochi critici severi era il Petrarca, avvelenato dal fatto che Benedetto XII a suo tempo aveva voluto sua sorella e se l'era presa corrompendo suo fratello Gerardo. Descrivendo , anonimamente per non essere bruciato, la corte di Avignone come "la vergogna dell'umanità, un covo di vizi, una fogna dove è raccolta tutta la sporcizia del mondo. Lì Dio viene disprezzato, solo il denaro viene adorato e le leggi di Dio vengono calpestate. Tutto quanto in quel luogo respira menzogna: l'aria, la terra. le abitazioni e, soprattutto, i letti. "
Papa Clemente soffriva di una indisposizione, ufficialmente diagnosticata come un disturbo renale, ma che in realtà si era beccato in camera da letto. Non era molto discreto nei suoi amori, ma questo faceva parte del suo atteggiamento verso la vita. Era uno che dava tutto quello che poteva, anche a letto. I suoi incontri privati venivano chiamati "Sessioni di indulgenza plenaria". Però, va detto a suo merito, legittimò tutti i suoi bambini.
Gran parte del suo palazzo era a disposizione dell'Inquisizione, con larghe prigioni e camere di tortura, nelle quali Clemente scendeva ogni tanto per incoraggiare gli inquisitori. Il palazzo papale viene definito da Froissart, diarista francese, "il palazzo più bello e più solido che ci sia al mondo". Il Papa amava le cose belle in tutto. Tapezzerie spagnole e fiamminghe, vestiti dorati di Damasco, seta toscana, abiti di lana da Carcassonne, piatti d'oro e d'argento. Sospettava che Petrarca avesse scritto quelle cattiverie sui finimenti d'oro dei suoi cavalli, ma non si arrabbiava più di tanto perché solo i morsi erano d'oro. D'altra parte anche se aveva trasformato la Curia in una sorprendente macchina da soldi, Clemente era sempre a corto di denaro. Comprare l'intera città, nel 1348, gli era costato 80.000 fiorini. Egli aveva ridotto anche l'intervallo dei Giubilei a 50 anni così da poterne usufruire durante il suo papato (Bonifacio VIII ne aveva deciso uno ogni 100 anni), guadagnando cifre enormi sui pellegrini che passavano da Avignone nel loro viaggio a Roma. Sia la regina Brigitta di Svezia sia Caterina da Siena (poi fatte sante) scrissero molte lettera al papa pregandolo di tornare a Roma, ma senza alcuna risposta. Il 3 dicembre 1352 un fulmine colpì la basilica di San Pietro, colpendola e fondendo le campane. Tutti pensarono che il papa fosse morto e cominciarono a festeggiare:"E' morto, il papa è morto e seppellito all'inferno". I pietosi dissero: beh! ora è finita. I cinici invece: non ce n'è mai abbastanza.
Ci sono state un mucchio di occasioni in cui cattolici hanno detto: il papato ha raggiunto il suo punto più basso, oltre non può scendere. Dante lo disse di Bonifacio VIII, Petrarca del periodo avignonese. Entrambi sbagliavano.
Le pressioni di Caterina da Siena, pallida ed asciutta suora toscana, su Gregorio XI riuscirono a far breccia costringendolo (insieme alle minacce dei romani di eleggere un nuovo papa) a ritornare a Roma , cosa che fece nel 1377. Dei 278 anni trascorsi dal 1100 solo 82 i papi li avevano trascorsi a Roma. E la città eterna ci mise solo pochi mesi a farlo secco.
Alla morte del papa gli elettori si divisero in due fazioni, francese e italiana. I francesi erano determinati ad eleggere uno di loro e dato che il Laterano era bruciato il conclave si tenne in aprile al Vaticano. Fuori, 30.000 romani urlavano come matti:"romano lo volemo". E, se non romano, doveva almeno essere italiano. I cardinali presenti, non sapendo bene cosa fare votarono per un outsider, Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari (quindi non u romano), ma , per paura della torma di gente, vestirono l'ottantenne cardinal Teobaldeschi in abito papale e lo esibirono alla folla. Un corriere corse a Pisa per comunicare l'elezione di Teobaldeschi (era cardinale a Pisa), dove festeggiarono con fuochi d'artificio. Solo tre giorni dopo venne comunicato a Prignano che il papa era lui, che si insediò sulla sedia papale con il nome di Urbano VI. Napoletano di basso ceto Urbano veniva ritenuto persona facile da manovrare da parte degli astuti francesi. Ma avevano fatto male i conti. Lievemente alcolizzato e soggetto ad attacchi d'ira, il papa odiava le smancerie e voleva riformare i "drogati", come li chiamava a tutti i costi. In alcune occasioni cercò materialmente di picchiare i cardinali che lo irritavano, trattenuto da Roberto di Ginevra, mentre sbraitava:"Io faccio tutto, assolutamente tutto quello che mi pare".
Mentre un manipolo di cardinali cercava di trovare un sistema legale di interdirlo, senza riuscirci, scomunicò Re Carlo di Napoli, un vecchio nemico. Poi , imprigionato da Carlo nella fortezza di Nocera, scomunicò, tutti i giorni quattro volte al giorno, tutto l'esercito di Carlo. Liberato dai Genovesi venne visto ubbriaco a Genova, in un giardino, mentre cinque cardinali ribelli venivano torturati in un stanza vicina.
Un gruppo di cardinali francesi, fuggiti ad Anagni, stabilirono che Urbano "non era il papa" e nominaro pontefice Roberto di Ginevra, cugino del Re di Francia, che si fece chiamare Clemente VII. Urbano contrattaccò nominando 26 nuovi cardinali a lui fedeli. Dato che entrambi i papi erano stati nominati più o meno dallo stesso gruppo di cardinali, la situazione era critica. In Inghilterra Wyclif disse:"ho sempre saputo che il papa aveva i piedi biforcuti (allusione al demonio), ora ha anche la testa biforcuta (due papi).". La confusione era al massimo ed ognuno prese posizione: l'Inghilterra per Urbano, la Francia per Clemente, mentre la cristianità era nel casino e pensava: se nessuno sa chi sia il vero papa, a che cosa ci serve il papato?
Clemente, ad Avignone, si comportava peggio di un puttaniere, dimostrando di essere un vero papa avignonese, dopo aver già dimostrato le sue capacità di bugiardo da cardinale.
Nel 1389 Urbano, il papa che nessuno voleva, finalmente morì. I quattrodici cardinali rimasti a Roma scelsero come successore Bonifacio IX, un assassino e probabilmente il più grande simoniaco della storia. Era in grado di vendere tutto e vendeva tutto. Si diceva che nessuno era in grado di spremere soldi da una santificazione o una canonizzazione meglio di lui. Non capitò mai che mettesse la firma su di un documento senza farsi pagare lautamente. Forse l'unica cosa che non fece pagare fu la scomunica di Clemente, che Clemente ricambiò immediatamente. La situazione era incasinatissima. Brigitta di Svezia venne canonizzata tre volte per essere assolutamente sicuri di averla fatta santa. La cosa andò avanti fino al 1409 , quando in un Concilio, convocato a Pisa, vennero deposti entrambi, Gregorio XII (succeduto a Innocenzo VII, che era succeduto a Bonifacio) a Roma e Benedetto XIII (succeduto a Clemente), come eretici e scismatici. Venne nominato il cardinal Filargi di Milano, con il nome di Alessandro V°. Naturalmente ne Gregorio ne Benedetto furono d'accordo e così, invece di due papi, adesso ce n'erano tre.

Qualcuno suggerì di dividere la triplice tiara in tre parti, qualcun altro di cambiare il "credo" come segue: "CREDO IN TRE SANTE CHIESE CATTOLICHE" . L'unica certezza che uscì dal Concilio di Pisa era che il papa nominato non era il vero papa. Comunque ora c'erano TRE infallibiki papi, tutti invocanti la suprema autorità sulla Chiesa, tutti scomunicanti solennemente gli altri due e tutti minacciando di convocare un Concilio in tre posti diversi.
A questo punto (1410 ca.) i personaggi del dramma erano:
Angelo Corrario, Gregorio XII, veneziano di circa novant'anni, scelto dai romani perché "troppo vecchio per essere corrotto": Il papa provvide a smentirli immediatamente impegnando la sua tiara per pagare i debiti di gioco e vendendo tutto quello che poteva. Sia quello che c'era sia quello che non c'era, arrivando a vendere Roma al Re di Napoli.
Pietro di Luna, isterico spagnolo nominato dagli avignonesi. Era quello che contava meno, in quanto abbandonato anche dal Re di Francia. Prestò se ne tornò in Spagna, dove scomunicò tutti, l'intera Chiesa ed i fedeli, sostenendo fino all'ultimo di essere il vero papa.
Baldassarre Cossa, Giovanni XXIII, un soave cardinale che era succeduto ad Alessandro V e rappresentava l' obbedienza pisana .Si riteneva che non si fosse mai confessato e comunicato, che non credesse nell'immortalità dell'anima e nella risurrezione della carne e qualcuno riteneva che non credesse in Dio. Era conosciuto per essere un ex-pirata, un avvelenatore (il povero Filargi), uccisore di massa, fornicatore assoluto con una predilezione per le suore, adultero su scala fino ad allora sconosciuta, simoniaco per eccellenza, ricattatore, magnaccia e maestro di trucchi sporchi.
All'epoca della sua elezione era un diacono. Venne ordinato prete un giorno e fatto papa il giorno dopo.
Quando fu eletto un altro Giovanni XXIII, nel 1958, molte cattedrali cattoliche dovettero rimuovere il Giovanni XXIII del XV secolo dalle loro liste di papi.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Un concilio, un papa imbarazzante ed il problema del papato
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Il vento favorevole della buona sorte di Cossa girò con Sigismondo, l'imperatore di fatto in quel momento (venne nominato solo nel 1433), che lo anticipò convocando un Concilio con il precipuo scopo di ridurre il numero dei papi in circolazione. Il posto era la città fortificata di Costanza, sul lago omonimo, situata in Germania più o meno al confine con la Svizzara e la data era il 1414 (durò fino al 1418). Nel giro di pochi mesi il numero degli abitanti della ridente cittadina salì da seimila a sessantamila e poi a centoventimila.
Quando il clero si riuniva era cosa saggia scegliere un posto vicino all'acqua, fosse fiume, lago o mare, anche al fine di potersi liberare facilmente dei cadaveri. Il Lago di Costanza ne ricevette oltre cinquecento mentre il Concilio era in sessione; anche il Reno conserva molti segreti. Un'altra necessaria caratteristica era che il luogo della riunione fosse ampio abbastanza da sistemare il grande numero di prostitute che scoprivano subito come il clero avesse bisogno dei loro servizi assai più dei militari e pagasse molto meglio. All'epoca del Concilio si calcola che in Costanza ce ne fossero 1200 che lavoravano a tempo pieno.
Il giorno di Tutti i Santi del 1414 Giovanni XXIII, quarantottenne pirata rivestito d'abiti dorati, celebrò messa e pregò aprendo ufficialmente il Concilio. Erano presenti trecento vescovi, circa trecento teologi ed un gran numero di cardinali.
Il rettore dell'università di Praga, Huss, a cui Sigismondo aveva garantito un salvacondotto, venne immediatamente arrestato su ordine di Cossa e regolarmente imprigionato. Era una lezione per tutti, specialmente per Papa Benedetto (soprannominato "benefictus", ossia falso) e Papa Gregorio (chiamato "errorius", cioè sbaglio).
Giovanni XXIII aveva preso un rischio nel traversare le Alpi ed entrare nel territorio controllato dall'imperatore, ma aveva in tasca abbastanza voti da sentirsi sicuro. C'erano più vescovi italiani che tutti gli stranieri messi insieme. Quello che lo rovinò fu il fatto che il Concilio decise di votare per nazione invece che per "testa". La sua maggioranza venne immediatamente spazzata via e Sigismondo, arrivato a Costanza il giorno di Natale, gli ordinò di dare le dimissioni.
Cossa prese visione dell'atto di accusa rivoltogli che conteneva un ricco campionario delle sue "colpe" (dovevano aver raccolto la testimonianza di tutte le Maitresses d'Europa) e, sentite le richieste inglesi di bruciarlo per eresia, decise di mollare, a patto che gli altri due papi facessero lo stesso. Travestito da sposa lasciò Costanza di notte, pensando che senza papa non si potesse tenere il Concilio. Nel gruppetto di cardinali che lo seguirono e raggiunsero nel suo nascondiglio a Schaffausen c'era anche Oddo Colonna, che poi sarebbe diventato papa, a cui fecero subito seguito le guardie imperiali che lo catturarono e ricondussero indietro a far fronte alle accuse.
Il Concilio assunse piena autorità e fece quell'unanime dichiarazione che condizionò la Chiesa sin d'allora:"Il Santo Concilio di Costanza...dichiara, primo, che è riunito nel nome dello Spirito Santo, che costituisce un Concilio Generale rappresentante la Chiesa cattolica e che, di conseguenza, trae la sua autorità direttamente da Cristo; che tutti gli uomini di ogni rango e condizione, compreso il papa stesso, sono tenuti ad obbedirgli in materia di fede, di conclusione di uno scisma e di riforma della chiesa di Dio sia nel suo capo, sia nei suoi membri."
Enea Silvio Piccolomini , Pio II, scrisse:"Nessuno può in alcun modo dubitare del fatto che un Concilio sia superiore ad un papa". Perché qualcuno dovrebbe dubitarne? L'insegnamento più antico della Chiesa afferma che un Concilio Generale è supremo in fede e disciplina. Sulla base di questo più di un papa è stato condannato per eresia.
Il Concilio cominciò con il deporre Benedetto, che era già scappato a Peñiscola. Giovanni XXIII fu il prossimo. Egli si rifiutò di cedere, ma i Padri Conciliari, pur ammettendo che lui era il vero papa stabilirono che la chiesa era più importante del papa, e, riducendo le accuse da 54 a cinque, lo condannarono.
Gibbon in The Decline and Fall rileva:"Le accuse più scandalose furono soppresse; il Vicario di Cristo venne accusato solo di PIRATERIA, ASSASSINIO, VIOLENZA CARNALE, SODOMIA ED INCESTO". Era ben noto che l'unica forma di esercizio fisico che il papa faceva era quella a letto. L'assoluzione dal crimine di eresia deriva probabilmente dal fatto che Cossa non aveva mai mostrato abbastanza interesse per la religione da poter essere classificato come eterodosso.
Il 29 marzo 1415 i sigilli del papa vennero frantumati con un martello ed a lui, in considerazione del rispetto dovuto ad un ex-papa, vennero comminati solo tre anni di prigionia.
Il povero Huss, innocente, serio, casto, incorruttibile venne invece ingiustamente bruciato sul rogo da stupidi domenicani che non avevano nemmeno mai letto le sue opere.
Infine il novantenne Gregorio XII, dopo aver ufficialmente convocato un Concilio che era già riunito da molti mesi, diede le dimissioni.
Ora tutti i tre papi erano stati sistemati per le feste.
Non essendoci accordo tra Sigismondo, che voleva riformare la Chiesa prima di nominare un papa (pensava che nussun papa poteva farlo), Enrico V d'Inghilterra ed il re di Francia, venne nominato papa Oddo Colonna, che assunse il nome di Martino V. Il Colonna , che aveva la carica di diacono, ricevette i voti sacerdotali due giorni dopo essere diventato papa.
Martino, che non aveva nessuna voglia di riformare qualcosa, fece di tutto per andarsene prima possibile da Costanza e tornare a Roma. Di fatto , non appena Cossa venne rilasciato dalla sua confortevole prigione ad Heidelberg e ritornò a Firenze, Martino provvide subito a farlo vescovo di Frascati e ardinale di Tuscolo, riinsediando nel clero questo assassino e violentatore confesso.
Il desiderio di Martino di ritornare a Roma, sciogliendo il Concilio, era anche determinato dal cercare a tutti i costi di evitare che il Concilio assumesse decisioni che in qualche maniera sminuissero la sua autorità.
La questione sarebbe rimasta irrisolta e sospesa, almeno per quanto attiene ai papi, fino al Primo Concilio Vaticano, quattrocentocinquanta anni dopo, che sostenne che credere nella supremazia e nell'infallibilità papali è indispensabile per la salvezza dell'anima.
C'è da chiedersi cosa sarebbe successo se questo dogma dell'infallibilità e della supremazia papale fosse esistito prima del Concilio di Costanza. Probabilmente l'assenza di questo "principio", attualmente centrale per il cattolicesimo romano, salvò la Chiesa dal papato in quel momento cruciale.
In realtà Costanza non salvò la Chiesa. Si concluse senza una singola seria riforma e nel giro di poche settimane dal ritorno a Roma, Martino aveva già rimesso in moto il normale andazzo curiale.
L'intera cristianità era preoccupata. Nel decimo secolo, malgrado tutti quei papi adolescenti, adulteri, traditori ed assassini, il papato era un fenomeno locale. Il capo di una potente famiglia romana metteva sul trono papale il suo amato figliolo, che durava giorni, mesi o anni, per essere poi eliminato da una famiglia rivale.
Ma dall'undicesimo secolo, con Gregorio VII, il papato aveva imposto il suo marchio sulla cristianità e predisposto un controllo quasi completo sull'intera chiesa. La corruzione raggiunse livelli mai visti. Lo storico T.A.Trollope, nel suo libro "I Conclavi Papali", afferma: "Poche elezioni papali, se pure ce n'è qualcuna, sono state men che simoniache...L'invenzione del Sacro Collegio è stata, assolutamente, forse la più feconda sorgente di corruzione della Chiesa." Molti cardinali si recavano ai conclavi in Roma con i loro banchieri e portando i loro oggetti di maggior valore. Se venivano eletti papa la torma romana invariabilmente saccheggiava le loro abitazioni portandosi via tutto.
Rarissimamente erano scelti per le loro opere religiose e, quasi tutti, dovevano l'elezione ad intrighi e scambi di favori. In epoca rinascimentale tutti quanti avevano le loro "compagne" e amanti. Una volta eletti papi cercavano solo di arricchire se stessi e la propria famiglia. Uno di loro, Clemente IV, un vedovo, nel 13° secolo vendette migliaia di italiani del sud a Carlo d'Angiò in cambio di un tributo di 800 oncie d'oro.
La Curia era composta da uomini che avevano pagato per avere il posto e assolutamente dovevano recuperare i loro soldi, cosa che facevano con tutti i mezzi possibili, scomunica compresa. Era la Curia che stabiliva le tariffe della simonia e c'era un prezzo per tutto, parrocchia, abbazia, indulgenza, etc. Nel sedicesimo secolo intere diocesi erano vendute dai vescovi per recuperare soldi e di alcune si conoscono persino gli acquirenti (in genere banchieri, come i Fuggers in Germania). Le dispense papali erano un'altra fonte di denaro: dispense per la quaresima, dispense per sposarsi tra consanguinei,dispense per non andare a messa. Nel periodo rinascimentale il clero era incredibilmente corrotto, ignorante e puttaniere. Sembra che il peggior insulto per un erudito laico fosse di essere chiamato "prete".
Nel 1432, malgrado gli sforzi disperati della Curia per evitarlo, un Concilio di vescovi si tenne a Basilea che decise quanto segue:
Da ora in avanti tutte le nomine ecclesiastiche devono essere eseguite secondo i canoni della Chiesa; tutte le simonie devono cessare. Da ora in avanti tutti i preti, di qualsiasi rango, devono liberarsi delle loro concubine e chiunque non lo faccia entro due mesi, fosse pure il vescovo di Roma (il papa), verrà privato del suo ufficio....l'amministrazione ecclesiastica dovrà cessare di dipendere dal capriccio palale...gli abusi di bandi e scomuniche da parte dei papi dovranno cessare...la curia romana, e cioè i papi, dovranno cessare di chiedere compensi per gli incarichi religiosi...il papa non dovrà pensare alle ricchezze mondane a solo a quelle del mondo che verrà.
Si trattava di roba forte...troppo forte. Il papa regnante, Eugenio IV, convocò un proprio Concilio a Firenze, che stabilì che :"Basilea era un covo di mendicanti,....apostati, ribelli blasfemi, uomini colpevoli di sacrilegio e che, senza eccezione, meritavano di essere cacciati indietro all'inferno al quale appartenevano."
Occorre ricordare che questo è anche il secolo di Sisto IV e di Rodrigo Borgia (Alessandro VI).

VENTI SECOLI DI PAPATO
L'approssimarsi della tempesta
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Nel quindicesimo secolo non una voce si levava in difesa del papato e, con uomini come Francesco della Rovere sul trono, non è difficile immaginare perché.
Francesco divenne Sisto IV nel 1471. Aveva diversi figli, chiamati, secondo il costume dell'epoca, "i nipoti del papa". Sisto concesse a tre nipoti ed ad altri sei parenti il cappello cardinalizio. Tra i vari beneficiari c'era anche Giuliano della Rovere, futuro Giulio II.

Il favorito di Sisto era Pietro Riario, che lo storico Theodor Griesinger ritiene fosse figlio suo e della sorella. Di sicuro il neo papa dimostrava un'allarmante affetto per il ragazzo. Tanto da nominarlo vescovo di Treviso, cardinale arcivescovo di Siviglia, patriarca di Costantinopoli, arcivescovo di Valencia e, da ultimo, arcivescovo di Firenze (dove risiedevano i suoi mortali nemici: I de Medici)
Fino a quel momento Pietro, che era stato un semplice francescano, ogni anno cuoceva il proprio unico saio per eliminare i parassiti.
Diventato cardinale cambiò radicalmente. Si trasformò in uno spendaccione su larga scala, in un donnaiolo, che manteneva amanti nella ricchezza più sfrenata, tanto da far preoccupare persino i diaristi dell'epoca. Morì giovane completamente scoppiato dai vizi.
Opera di Sisto fu la cappella che porta il suo nome (Cappella Sistina), nella quale attualmente avvengono tutte le elezioni papali. Da ricordare il fatto che la predetta Cappella Sistina ne ha viste di tutti i colori: dai cardinali che bivaccavano, si pestavano e si intrattenevano sino ai cavalli di Napoleone, che la utilizzò come stalla.
Sisto fu anche il primo papa a concedere una licenza "legale" ai bordelli di Roma, che gli portavano trentamila ducati all'anno in imposte, ed a concedere ai preti di tenersi una compagna contro pagamento di un'apposita tassa. Un'altra fonte di guadagno era quella rinveniente dai permessi concessi ai ricchi di consolare certe signore in assenza dei mariti. Ma era nel campo delle indulgenze che Sisto mostrò tutto il suo genio: egli fu infatti il primo che pensò di poterle liberamente applicare ai morti. Questo costituì una illimitata fonte di guadagno alla quale nessuno dei suoi predecessori, neanche i più avidi, aveva mai pensato.
La cosa aveva implicazioni teologiche straordinarie perché il papa, creatura di carne e sangue, affermava di avere potere nella regione della morte. Anime tormentate per il loro peccaminoso comportamento da viventi, potevano ora essere liberate dai tormenti del Purgatorio sulla sola parola del papa, posto che i loro affezionati e religiosi familiari pagassero la giusta mercede. Chi si sarebbe rifiutato di compiere un atto di carità cristiana verso le persone amate? Padri, mariti, amanti, parenti, tutti cercavano di tirare fuori dal purgatorio i loro cari spendendo quanto necessario.
Con la minaccia e la descrizione di luoghi orribili (il purgatorio era rappresentato come luogo di sofferenza) tutti erano indotti a credere che il perdono papale avrebbe condotto i loro cari in paradiso. Il potenziale di corruzione era enorme. In precedenza buona parte del reddito della Curia e del papato proveniva dal commercio di reliquie, che, peraltro, non erano inesauribili anche se facilmente falsificabili. La grandezza di Sisto risiede nel suo essere riuscito a scovare un bene assolutamente illimitato e non consumabile, il cui prezzo poteva essere adattato a tutte le borse e che non costava assolutamente nulla. Ai fedeli non era richiesto pentimento, preghiera o altro, solo il pagamento del controvalore (adattabile alle possibilità di ciascuno).
L'invenzione del Purgatorio, del quale non esiste citazione alcuna nelle scritture sacre, era elemento sostanziale di questo fruttuosissimo commercio papale. La semplice riflessione che se il papa può liberare un anima per denaro, la può ben liberare anche senza denaro, se ne può liberare una , le può anche liberare tutte e , se non lo fa, è un mostro tiranno - come giustamente rilevò Simon Fish (A Supplicacyion for the Beggars- 1529) , pareva non venire eseguita da alcuno.
Tanto per peggiorare le cose,come già detto, nel 1478 Sisto pubblicò anche la Bolla che istituiva l'Inquisizione nella Castiglia. Nel 1482 duemila eretici furono bruciati nella sola Andalusia.
Sisto morì nel 1484 e qualcuno disse, dato il temperamento guerrafondaio dimostrato dal papa, che era stato ucciso dalla pace.
Il suo successore, Innocenzo VIII, provvide ad emettere la Bolla Spagnola contro gli ebrei, che , secondo quanto detto da "Il Dizionario Cattolico" provvide a fornire lavoro all'Inquisizione per secoli. Malgrado le richieste crescenti decise di non fare nulla contro il concubinaggio del clero, tanto che qualcuno, ironizzando, scrisse:"Sua Santità si alza la mattina dal suo letto di puttane per aprire e chiudere i cancelli del Purgatorio e del Paradiso". In punto di morte sembra abbia fatto sperimentare su di sè (dal suo medico ebreo, che lui credeva avesse magici poteri) la trasfusione del sangue di tre giovani (tutti morti inutilmente, anche se lautamente pagati "da vivi", perchè appena morti Burchard, suo segretario, si riprese i denari). Ma non eravamo ancora arrivati in fondo all'abisso.
Si ritiene che il catalano Rogrigo Borgia abbia commesso il suo primo omicidio quando aveva dodici anni, uccidendo a pugnalate un coetaneo. Non sembra avesse alcuna riservatezza nemmeno per quanto riguarda le faccende amorose, ma, sfortunatissimo, suo zio era il pontefice Callisto III, che provvide, nel 1456, a nominarlo arcivescovo di Valencia, la più importante diocesi spagnola.
Rodrigo era già famoso per fare sesso indifferentemente con una signora e le sue due bellissime figlie (una delle quali era la sua amata Vanozza Cattanei)
Richiamato a Roma per diventare cardinale, a ventisei anni, e vice cancelliere della Chiesa un anno dopo, non potendo sostenere il dispiacere dalla lontananza dalle sue amanti le sistemò a Venezia.
Alla morte dello zio il nuovo papa, Pio II, gli ruppe un poco le balle ironizzando sul fatto che "gli si addiceva non aver altro in testa che piaceri voluttuosi", ma , nel complesso, Rodrigo superò il regno di ben quattro papi, riuscendo a farsi eleggere nel 1492 con il nome di Alessandro VI, dimenticandosi tra l'altro che Alessandro V era stato inserito tra gli antipapi e quindi ufficialmente "non esisteva".
Nella lotta per l'elezione venne spesa una vera fortuna. Sul della Rovere erano stati impegnati 200.000 ducati dalla Francia e 100.000 da Genova, ma il Borgia , pur spendendo fino all'ultimo quattrino riuscì a prevalere.
Si dice che dopo l'elezione, Giovanni de Medici abbia detto al Cardinal Cibo:"Ora siamo nelle grinfie del lupo più selvaggio che il mondo abbia mai visto. O scappiamo o lui, senza dubbio alcuno, ci divorerà.". Il cardinal della Rovere fuggì immediatamente, per ritornare solo dieci anni dopo, quando il Borgia era già morto.
Del Borgia si sa quasi tutto, delle sue amanti, dei suoi molti figli (quasi tutti regolarmente riconosciuti, bisogna dirlo), della sospettata relazione con sua figlia Lucrezia e del feroce e crudelissimo Cesare, modello del Machiavelli per "il Principe"
Sembra che Alessandro avesse intenzione di condurre Cesare fino al papato, con le varie nomine a vescovo, a cardinale e con le ripetute Bolle emanate al fine di regolarizzarne la posizione pubblica.
Ma Cesare doveva essere troppo anche per il padre, tanto che sembra che anche la morte di Alessandro conseguisse ad un erroneo tentativo di avvelenamento (erroneo perché non diretto al padre) che Cesare sbagliò.
Gli anni del papato del Borgia, a rileggerne la sequenza e gli eventi che si verificarono nel loro corso, hanno un qualcosa di estremo, di "off limits" , del genere di quell'orologio che pubblicizzano in tv. Tutto era portato all'eccesso: gli omicidi, gli avvelenamenti, le orgie, i rapporti incestuosi, la sifilide e le malattie veneree, i mariti ammazzati perché inutili o fastidiosi. Insomma un mondo di viziosi violenti dei quali Rodrigo non era certamente il peggiore.
Le questioni politiche di potere condizionavano poi anche la pubblica verità, come quando per poter far risposare Lucrezia (per ragioni politiche) Alessandro cercò di far annullare il precedente matrimonio con Giovanni Sforza per "matrimonio non consumato per impotenza del marito". Tutta Roma ne rise per mesi dato che lo Sforza rifiutò di cooperare, affermando la consumazione abbondante, la sua virilità ed offrendo anche pubbliche dimostrazioni, mentre Lucrezia era conosciuta come "la più gran puttana che Roma abbia mai conosciuto". La morte di Alessandro per avvelenamento fu orrenda ed il cadavere fu descritto dall'ambasciatore Giustiniani, veneziano, "come il più orribile, mostruoso e brutto corpo morto che si sia mai visto, senza ogni forma o apparenza di umanità". Qualche ora dopo la morte il corpo esplose vapori sulfurei da tutti gli orifizi ed era tanto puzzolente che fu difficile trovare qualcuno che lo mettesse nella bara e lo trasportasse in San Pietro, da dove, peraltro, fu espulso nel 1610 (ora è deposto nella Chiesa Spagnola di Via di Monserrato).

VENTI SECOLI DI PAPATO
L'inevitabile Riforma
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Poco dopo il Borgia (nell'intervallo ci fu Pio III) salì sul trono papale Giulio II, uno degli uomini più rimarcabili della storia. Era un francescano genovese, alto, di bella presenza e sifilitico. Pagò per essere eletto centinaia di migliaia di ducati e, subito dopo, decretò che chiunque corrompesse nel corso di un Conclave doveva essere deposto.
Uomo atletico, egli portava sempre con se un bastone con il quale colpiva chiunque gli rompesse le scatole. La religione per lui non era neanche un hobby e la sua quaresima consisteva in pranzi con trote, lamprede, tonno ed il miglior caviale.
Viene ricordato anche come un patrono delle arti e l'essere riuscito a convincere Michelangelo a produrre le decorazioni della Cappella Sistina va sicuramente a suo merito (Michelangelo rifiutò il primo incarico e, dopo essere fuggito a Firenze, accettò solo nel 1508, due anni dopo e soltanto perché Giulio II lo costrinse).
Probabilmente Michelangelo non amava particolarmente dipingere e , ritenendosi uno scultore, pensava che in un opera del genere non avrebbe potuto esprimersi al meglio. Persino dalle "ricevute" da lui redatte traspare questa sua opinione: "Io, Michelangelo Buonarroti, scultore , ho ricevuto 500 ducati in acconto....per dipingere la volta della Cappella Sistina" In quattro anni l'artista riempì quasi 500 metri quadri di volta con oltre 300 figure.Lo stare sempre disteso gli fece venire il gozzo, gli irrigidì la spina dorsale e la sua barba si fuse con i peli del torace.
La sua opera creò un nuovo Vaticano.
Giulio però amava la guerra ancora più dell'arte e gli piaceva condurla personalmente. Era un ottimo stratega e, malgrado fosse così consumato dalla sifilide da non poter offrire il piede da baciare "quia totus erat ex morbo gallico ulcerosus", andava a cavallo in armatura guidando il suo esercito una volta tanto non per la famiglia ma per il papato. Sembra fosse sua l'espressione, nel corso dell'assedio di Morandola, allora in mani francesi, "Vediamo chi ha le balle più grosse, se il re di Francia o il papa". E non si riferiva alle palle di cannone.
Era, peraltro, anche un donnaiolo impenitente (ancora da cardinale aveva già avuto tre figlie)
La sua irritazione per non ricevere il richiesto supporto nelle campagne militari lo condusse a preparare una Bolla contro Luigi XII di Francia, nella quale lo privava del regno sostituendolo con il pio Enrico VIII (allora soprannominato "defensor fidei", ma cambiò completamente parere quando gli proibirono di divorziare) d'Inghilterra, che fortunatamente la morte gli impedì di pubblicare.
Probabilmente la sua Bolla avrebbe reso protestante anche la Francia, come poi avvenne con l'inghilterra.
Giulio II, alias Giuliano della Rovere, morì nel 1513.

Alla nuova elezione il cardinal Farnese corse fuori dal conclave urlando a squarciagola:"Palle! Palle!". Era il riferimento ai "palli" dello stemma de'Medici. Sembra che fossero tutti stupefatti, perché era una scelta imprevista.
Giovanni de Medici aveva solo 38 anni ed essere figlio di Lorenzo il magnifico e di una Orsini doveva essere stato un vantaggio non da poco.
A sette anni, epoca della sua prima comunione, venne fatto abate. A otto il Re di Francia lo volle arcivescovo di Aix en Provence; fortunatamente qualcuno controllò e riscontrò che c'era già un arcivescovo ad Aix. Per compensazione il Re lo fece priore di Chartres. A undici diventò abate di Monte Cassino. A tredici anni divenne il più giovane cardinale di ogni epoca, pur non eguagliando il primato di Benedetto IX, che diventò papa ad undici anni.
Persino Innocenzo VIII, che non era di mentalità ristretta, ebbe degli scrupoli a portarlo nel Sacro Collegio prima dei vent'anni e pretese che trascorresse tre anni di prova apprendendo teologia e canone ecclesiastico.
All'epoca della sua elezione Giovanni "faccia di pasta" era grasso, miope con gli occhi a palla e, per ragioni all'inizio non ben chiare, casto. Non aveva ne amanti ne "nipoti" ( o bastardi). La ragione era probabilmente la sua omosessualità. Guicciardini afferma che il papa era eccessivamente dedito ai piaceri della carne, specialmente a quelli che, per decenza, non possono essere menzionati.
Quando il Concilio iniziò Giovanni era malato e dovette esserVi trasportato in barella, cosa che portò alle stelle le sue possibilità di nomina. Gli elettori avevano anche altre ragioni per votarlo: egli soffriva di ulcere croniche sulla schiena ed i frequenti interventi chirurgici (per la loro capacità infettiva) avrebbero dovuto mandarlo all'altro mondo quanto prima. Malgrado tutto ciò, Leone era davvero un carattere brillante e vivace. Le sue prime parole come papa furono dirette a Giulio de Medici, suo cugino illegittimo:"Ora posso veramente divertirmi."Toltosi il cappello cardinalizio lo passò al cugino con le parole:"Per te, cugino mio" e si mise la tiara papale (Tra l'altro Giulio ne fece buon uso diventando papa con il nome di Clemente VII, uno dei papi più disastrosi).
Invece di dar via tutto per seguire Cristo, Leone prese per se tutto ciò che poteva in nome di Cristo. Giocatore incallito e spendaccione si diceva obbedisse a Gesù in una cosa sola: nel non darsi pensiero del domani. Era l'unico tipo di papa con cui i romani si sentivano a proprio agio. Spendeva tutto con loro, invece di spremerli come limoni per fare stupide guerre, come quel maniaco di Giulio II.
Era un epoca di sfarzo senza paragone. Il Cardinal Cornero dava pranzi di 65 portate , ciascuna delle quali era composta da tre differenti piatti. Durante il Carnevale si trascorrevano giornate intere gozzovigliando, assistendo a spettacoli e facendo balli mascherati.
Leone stipendiava direttamente 683 cortigiani, molti giullari, un orchestra, un teatro permanente (specializzato in Rabelais) e pagava il mantenimento di un gran numero di animali selvaggi, dei quali il suo preferito era un elefante bianco, donatogli da Re Emanuele del Portogallo.
Leone manteneva alla Magliana una residenza di caccia che non aveva nulla da invidiare a Castel Gandolfo e spendeva cifre tali (prendendole spesso in prestito da banchieri ad interessi usurari del 40%) che tutti i bordelli di Roma (c'erano 7.000 prostitute registrate su di una popolazione di 50.000 persone) non riuscivano a rendergli abbastanza da andare in pari. La sifilide , come disse appunto il sifilitico Benvenuto Cellini, "era frequentissima tra i preti".
Per fare più soldi Leone si inventò nuove cariche da vendere, quadruplicandole rispetto a quelle esistenti con Sisto IV. Era sua consuetudine metterle all'asta per ricavarne di più. Ci furono anche tentativi di assassinio da parte di alcuni cardinali che lo volevano morto (v. Cardinal Petrucci di Siena, attraverso l'opera del medico Battista de Vercelli), andati regolarmente a monte. Nel 1517 arrivò al punto di formalizzare la vendita delle indulgenze, divulgando addirittura un apposito tariffario, la TAXA CAMARAE , che sembrano concedere indulto e perdono per quasi ogni immaginabile crimine.
Nel corso del suo papato, e sempre per ragioni di soldi, scoppiò il "casino tedesco". La vendita al Principe Alberto di Hohenzollern, già vescovo di Magdeburgo e Halbertstadt, delle diocesi di Mainz e della Primazia Tedesca, contro un fortissimo prestito da parte dei banchieri Fuggers, portò Leone ad elaborare un piano di rientro per il debito contratto da Alberto con lui, mediante un'ulteriore vendita di indulgenze. L'incarico venne materialmente affidato al domenicano Tetzel (che ne traeva il suo personale guadagno) che , venditore abilissimo, riusciva a smerciare indulgenze per tutto (pare che qualcuno abbia venduto anche un'indulgenza così potente da rimettere i peccati persino a chi avesse violentato la Vergine Maria).
L'eccesso vergognoso portò Lutero a reagire inchiodando le sue "Novantacinque Tesi sulle Indulgenze" sulle grandi porte del castello di Alberto a Wittenberg.
Martin Lutero, d'altra parte, non era certo il primo a criticare il papato. A parte tutti gli episodi precedenti è da ricordare il rifiuto inglese di ospitare Innocenzo IV (1243-54, allora in fuga da Federico II), giustificato dagli Inglesi "perché la dolce inghilterra non avrebbe potuto sopportare il tanfo della Corte papale." e l'icredibile lettera di ringraziamento di Innocenzo (materialmente scritta dal cardinal Hugo) al popolo di Lione (che lo aveva invece ospitato) : Durante il nostro soggiorno nella vostra città, noi (la Curia Romana), siamo stati di caritevole assistenza per voi. Al nostro arrivo c'erano soltanto tre o quattro sorelle dell'amore, mentre alla nostra partenza vi abbiamo lasciato , per così dire, un bordello che si estende da una parte all'altra della città (dalla porta occidentale alla porta orientale)."
Nello stesso secolo (milleduecento) San Bonaventura, cardinale e generale dei francescani, paragonò Roma alla meretrice dell'Apocalisse, anticipando Lutero di trecento anni. Questa Puttana, egli disse, rende i Re e le nazioni ubbriache con la sua puttanaggine. Dichiarò anche di non aver trovato in Roma altro che lussuria e simonia, persino nei gradi più alti della Chiesa. Roma corrompe i prelati, che corrompono i preti, che corrompono il popolo.
Dante spedì all'inferno papa dopo papa e torme di prelati.
Il vescovo Alvaro Pelayo, aiuto papale ad Avignone, suggerì che la Santa Sede avesse infettato con il veleno dell'avarizia l'intera chiesa:"Se il papa si comporta così, dice il popolo, perché noi dobbiamo fare diversamente?"
In un giorno normale Giovanni XXII, capo di Pelayo, scomunicò un patriarca,cinque arcivescovi, trenta vescovi e quarantacinque abati. Il loro crimine era di essere in ritardo sulle tasse da pagare al papa. Il Machiavelli scrisse (più o meno, è una citazione a memoria) :"Gli Italiani hanno un gran debito verso la Chiesa Romana ed il suo Clero. Attraverso il loro esempio, noi abbiamo perso la vera religione e siamo diventati completi atei. Prendetela come una regola, più vicina una nazione è a Roma, meno religione c'è."
Caterina da Siena disse a Gregorio XI che non aveva bisogno di visitare la Corte papale per sentirne l'odore: "La puzza della Curia, Santità, ha da lungo tempo raggiunto la mia città."
Una delle probabili ragioni dell'enorme numero di prostitute in Roma era che in nessun altra città c'era un maggior numero di celibi. I conventi erano spesso anche bordelli e le donne portavano con se un coltello, quando andavano a confessarsi, per proteggersi dal confessore. Erasmo (sedicesimo secolo) scrisse una storiella nella quale Giulio II cerca di entrare in paradiso ed incontra San Pietro, che non lo riconosce. Giulio si leva l'elmetto e mostra la tiara, ma San Pietro è sempre più sospettoso. Finalmente Giulio alza le chiavi papali sotto il naso di San Pietro. L'apostolo le esamina e scuote la testa dicendo:"mi spiace , ma qui in paradiso non vanno bene per nessuna porta."
Nel 1520 Lutero viene scomunicato da papa Leone. Lutero si appella al Concilio Generale che per venticinque critici anni sia il papa sia la Curia si rifiutano di convocare.
Solo nel 1545 Paolo III (soprannominato "il cardinal sottana"), su pressione del Contarini e di altri uomini di fede, convocherà il Concilio di Trento, che pur salvando la Chiesa , facendo emergere individualità di spicco nella fede e trasformandone i criteri etici, concretizzò lo scisma in atto.
Trento confermò l'enorme potere papale, a scapito dell'indipendenza dei vescovi, e divise definitivamente cattolici e protestanti. Una delle conseguenze fu che per trecento anni non si tennero altri Concili.
La cosa curiosa è che Lutero non aveva inizialmente l'intenzione di uscire dalla Chiesa, ma quando un papa cretino come Leone X lo scomunicò anche per aver detto:"bruciare gli eretici è contro la volontà dello Spirito Santo", non aveva altre alternative ragionevoli, essendo quello che era. Calvino seguì poco dopo, introducendo la riforma in Ginevra nel 1541. Il protestantesimo si difuse a macchia d'olio senza che la Curia Romana si rendesse chiaramente conto delle conseguenze del proprio atteggiamento.
Nel 1555 apparve un nuovo pontefice, in un Cristianesimo che stava virtualmente esplodendo, più cieco e più sordo dei precedenti e con l'idiota convinzione di essere Gregorio VII redivivo.
VENTI SECOLI DI PAPATO
Il crepuscolo del potere
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Di lui i romani dicevano che se sua madre avesse previsto il suo futuro lo avrebbe strangolato nella culla. L'uomo era Gian Pietro Carafa, la collera di Dio incarnata, che diventò Paolo IV (1555-9). L'ambasciatore fiorentino lo descrisse come un uomo d'acciaio che sprizzava scintille anche dalla dura pietra su cui camminava. L'obbedienza che richiedeva a tutti era assoluta ed immediata e persino gli storici cattolici trovano difficile dire qualcosa di caritatevole su di lui.
Tormentato dai reumatismi, ma elastico nei gesti, Paolo era alto, dalla testa grossa e conica, dall'aspetto selvaggio e con la voce crepitante e catarrosa che induceva rispetto e paura.
Spesso, nella foga che lo invadeva, gli capitava di colpire involontariamente quelli che gli stavano accanto.
Nella sua Bolla "Cum apostolato officio" stabilì inequivocabilmente di essere il "Pontifex Maximus" depositario dell'assoluto potere di deporre qualsiasi monarca, di disporre di ogni nazione e di privare chiunque dei suoi possessi senza processo. Chiunque avesse offerto aiuto a persona da lui "deposta" sarebbe stato scomunicato.
Nel 1559 l'ambasciatore inglese Edward Carne si presentò davanti al papa per informarlo che Elisabetta Tudor, figlia di Enrico VIII (il pio) e di Anna Bolena, aveva seguito Maria sul trono d'Inghilterra.
Paolo odiava per principio tutte le donne, seguendo le orme dell'Aquinate (Tommaso), che riteneva che le donne fossero uomini "abortiti", ma aveva avuto un debole per Maria, visto come aveva trattato i resti del padre Enrico (li aveva disinterrati e bruciati come eretici), proseguendo quindi con il far bruciare oltre duecento protestanti.
Elisabetta era un affare differente. Il pontefice chiese a Carne se Elisabetta si rendeva conto che l'Inghilterra era una proprietà della Santa Sede fino dall'epoca di Re Giovanni? Sapeva che un illegittima non può ereditare? Non aveva letto la sua ultima Bolla? Capiva che era pura audacia la sua di pretendere di governare l'Inghilterra, che apparteneva di diritto al papa? No, non poteva permetterle di continuare. Forse se la bastarda, l'usurpatrice, l'eretica avesse rinunciato alle sue ridicole pretese e si fosse presentata immediatamente a lui per chiedere perdono.... La logica conseguenza fu che in un paio di mesi Elisabetta ruppe le relazioni diplomatiche con Roma.
Lo sciovinista ed arrogante inquilino del Vaticano non poteva capire con chi stava trattando.
Le esperienze di vita di Elisabetta avevano forgiato uno speciale tipo di donna, per la quale gli aspetti politici e pratici del (suo) potere sull'Inghilterra erano più importanti persino dei fatti personali (o magari era tutto un fatto personale).
Persino la scelta del protestantesimo non era probabilmente rinveniente da una reale convinzione interiore (quando Maria, la sua sorellastra era diventata Regina, Elisabetta aveva fatto subito dire messa, giustificandosi con il dire:"la vita val bene una messa"), ma l'atteggiamento papale suggellò per sempre il destino dell'Inghilterra.
Inoltre Paolo IV era veramente quello che era e, a parte la "questione inglese", la fissazione dell'Inquisizione e i roghi degli eretici erano l'unica cosa che sembrava veramente stargli a cuore. Persino nei periodi di malattia non rinunciava agli incontri settimanali con gli inquisitori. Un monomaniaco omicida. Quando morì, nel 1559, i romani bruciarono la prigione dell'Inquisizione in Via Ripetta, una folla abbattè la sua statua sul Campidoglio e gli ebrei, che lui perseguitò selvaggiamente, gli misero sul capo un cappello giallo.
Chi lo seguì non sarebbe stato amato di più ed avrebbe peggiorato i suoi errori.
Infatti Paolo IV sapeva quello che faceva quando nominò il domenicano Michele Ghisleri suo Grande Inquisitore e questi, nel 1566, lo sostituì sul trono con il nome di Pio V.
Pio era monastico in tutto, minacciava scomuniche persino per le spezie nel cibo. Si diceva parlasse solo con Dio ed ascoltasse solo Dio. Il suo primo atto come pontefice fu quello di cercare di espellere da Roma tutte le prostitute, decisione a cui la Curia resistette tenacemente con la giustificazione del probabile crollo degli affitti e dell'aumentato rischio per le donne oneste in una città di celibi. Pio allora proibì ai residenti di entrare nelle taverne ed arrivò ad un pelo dal trasformare l'adulterio in un peccato capitale (che non vuol solo dire "un peccato grave" ma anche un peccato che ti fa perdere la testa). Nella sua frenesia di reprimere promulgò anche quella che la Chiesa inglese chiamò "The last Bull" (gioco di parole tra bolla (Bull) e toro(bull)), che proibiva il combattimento dei tori (la corrida) in tutta la Cristianità. La Chiesa spagnola se ne fregò allegramente e non pubblicò mai la bolla papale, con la scusa di voler evitare pericolosi tumulti.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, Pio continuò a fomentare ribellioni nei confronti di Elisabetta, promulgando nel 1570 la sua "Regnans in Excelsis", nella quale stabiliva:"...La stessa donna, acquistato ed usurpato in proprio favore il posto di supremo capo della Chiesa in Inghilterra, deve essere punita...Noi dichiariamo che la predetta Elisabetta è un eretica e produttrice e sostenitrice di eretici...che lei ed i suoi sostenitori sono incorsi nella sentenza di scomunica...la dichiariamo privata di ogni diritto e potere, dignità e privilegio. Dichiariamo tutti i Nobili, soggetti e popolo e tutti gli altri che le obbediscono, sciolti da ogni vincolo di fedeltà ed obbedienza verso di lei....proibiamo a chiunque di obbedirle...e scomunichiamo chiunque farà il contrario."
Il papa fissato con gli eretici/ebrei morì un paio d'anni dopo, ma gli effetti della sua Bolla no.
Per oltre dodici anni, prima della Regnans in Excelsis , i cattolici inglesi avevano vissuto sotto Elisabetta tollerando solo qualche multa per non partecipare alle cerimonie della chiesa anglicana. Nessuno di loro era stato giustiziato. Gli effetti della Bolla papale furono di trasformare i cattolici inglesi in traditori. Tra il 1577 ed il 1603 furono messi a morte 120 preti e 60 laici. Questi coraggiosi fedeli dovettero attendere 250 anni più di Pio V per essere canonizzati. Cercare di minare il patriottismo inglese fu una azione crudele e pericolosa, che ridusse i cattolici a cittadini di second'ordine. Come scrisse Trevelyan:"Until the Roman Church throughout the world ceased to use the methods of the Inquisition, the Massacre of St. Bartholomew, the deposition and assassination of Princes, the States which she placed under her formidable ban did not dare to grant toleration to her missionaries."
Nel sedicesimo secolo il protestantesimo era ormai un fatto accertato e consolidato in diverse nazioni e, per riuscire a sopravvivere, Papato e Chiesa cattolica scelsero di diventare settari come sembravano essere luteranesimo e calvinismo (a dire il vero la Contro Riforma cattolica rappresentò un record di estremismo nel settore della limitazione del pensiero che poteva essere difficilmente migliorato da qualcuno).
Lo spirito della rivoluzione francese del 1789 danneggiò ulteriormente la tranquillità della Chiesa, che vide solo l'opera del Diavolo nella distruzione degli anciens régimes e nel nuovo spirito di libertà, reiteratamente condannando l'eguaglianza fra gli uomini, la libertà e la stessa fraternità. Gli Stati Pontifici furono in questo periodo tra i più retrivi d'Europa, non eguagliati nemmeno dalla Russia Zarista.
Napoleone sembrò finire l'opera umiliando in rapida successione due papi, Pio VI (1775-1799) , morto in esilio in Valence (il suo epitaffio sul registro comunale fu:"Nome:cittadino Giovanni Braschi. professione:pontefice"), e Pio VII (1800-1823), costretto da Napoleone anche ad assistere alla sua autoincoronazione (insieme a Giuseppina) in Notre-Dame, prima di annettersi gli Stati Pontifici (poi restituiti al papa dal Congresso di Vienna del 1814-15.
Di Pio IX (1846-1878) e dell'ultimo colpo al potere temporale del papato (veramente esiste ancora adesso uno Stato del Vaticano, anche se non è ben chiaro il come mai) dedicherò tutta la prossima puntata.


VENTI SECOLI DI PAPATO

Il Papato: la fine o un nuovo inizio






(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)






Il piccolo vecchio con i capelli bianchi e la faccia rotonda venne svegliato da un colpo di cannone. Cercò di alzarsi da letto e la porta della sua camera venne aperta. Il cardinal Antonelli, segretario di Stato, si inchinò prima di entrare e rispose alla domanda inespressa del Papa:"E' cominciato Santità. Kanzler opporrà una certa resistenza, come avete ordinato, ma....".
Pio non nutriva dubbi, il Signore avrebbe comunque preservato la Città Eterna da quei vandali piemontesi alleati di Satana.
Ordinò subito di predisporre un incontro del corpo diplomatico, che avvenne a metà della mattinata seguente. Era il 1870 e l'evento in discorso era diventato inevitabile, sebbene Pio IX continuasse a credere che il futuro sarebbe stato identico al passato.

Pio IX, Giovanni Mastai Ferretti, era stato un papa che aveva dato molte speranze alla cristianità, ma aveva saputo anche abilmente deluderle.
Aveva iniziato nel 1846, con la reputazione di un liberale. Si diceva che nella sua casa di famiglia persino i gatti fossero nazionalisti (allora , in tempi di ideali di unità d'Italia, la cosa era modernissima). Poco dopo la sua elezione fece passare una legge di amnistia per i prigionieri politici e gli italiani pensarono per qualche tempo che veramente Dio avesse cominciato a prendere a cuore le loro faccende.
Aspre montagne a nord, due vulcani a sud, continui terremoti ed un papa nel bel mezzo della penisola erano state dure prove per tutti. Ma l'illusione che il papa, per non dispiacere ai suoi gatti, si facesse guida dell'unità di una nazione e di un popolo sbandato durò molto poco.

Dopo solo due anni dalla sua nomina una rivolta repubblicana lo costrinse a fuggire a Gaeta, nel Regno di Napoli, e, nei due anni d'esilio, modificò definitivamente le sue simpatie indirizzandole verso una destra estremamente reazionaria.
Il suo unico e principale consigliere, il cardinal Antonelli, figlio di un bandito napoletano, era noto soprattutto per i suoi amorazzi e sembra essere stato il tipo di uomo per cui era più facile uccidere che perdonare.

Malgrado qualche anno dopo gli venisse anche offerto di capitanare una federazione degli stati italiani, cosa che lui rifiutò piattamente, Pio IX° si oppose invece con estrema decisione ad ogni forma di libertà e ad ogni mutamento costituzionale. Tesaurizzò invece disperatamente quegli Stati Vaticani che avevano portato alla Chiesa soltanto corruzione e guerre immotivate.

All'epoca di Pio lo Stato Vaticano era il retrivo baluardo della repressione. Non c'era libertà di pensiero o di espressione. I libri erano sotto censura. Gli ebrei erano chiusi nei ghetti e la giustizia veniva amministrata a piacimento del clero, con spie, inquisitori, polizia segreta ed esecuzioni anche per reati minori. Era governato da una piccola oligarchia ecclesiastica, corrotta e viziosa e sempre in nome di Sua Santità.

Secondo Lord Macaulay, che li (stati pontifici) visitò nel 1838 : "...la corruzione infetta tutti i pubblici uffici...Gli Stati del papa sono, credo, quelli governati peggio in tutto il mondo civilizzato; e l'imbecillità della polizia, la venalità dei pubblici impiegati, la desolazione e l'abbandono della campagna, saltano agli occhi persino dei viaggiatori più distratti." .
Trent'anni dopo la popolazione era pronta per la rivolta.

Molte volte Pio era stato pregato di salvare l'Italia ed il papato, ma aveva sempre fatto orecchie da mercante, considerando diabolica la civiltà "moderna". E lui con il Diavolo non voleva avere rapporti.

Persino la petizione di 12.000 preti presentatagli nel 1862, che gli chiedeva di leggere i segni dei tempi, portò solo ad una severa repressione/punizione per ciascuno di loro.
Persino dopo la conquista della città da parte di Cadorna, oltre a rifiutare la richiesta di un incontro fattagli da Vittorio Emanuele la sua unica risposta fu di scomunicarlo, usando ancora una volta quest'arma in maniera indebita ed ingiusta.

Nei suoi otto anni residui di papato continuò persistentemente a dichiararsi "Il Prigioniero del Vaticano" facendo squallidamente circolare santini nei quali appariva in una sudicia cella su di un duro pagliericcio. A parte il fatto che le offerte al pontefice salirono alle stelle (sembrò quasi essere un'astuta operazione di marketing), naturalmente la verità era molto diversa: la sua autoprigione (nessuno lo costringeva a restare all'interno del Vaticano) era lussuosa e ricca di amplissimi e splendidi giardini. Aveva di sicuro più spazio lui da solo che tutti gli ebrei romani messi insieme. Un poeta dell'epoca scrisse prosaicamente:"Il papa è prigioniero di se stesso."

Le "leggi delle Guarentigie" del 1870, offrirono al papa una ricca e generosa sistemazione, alla quale Pio continuò indefessamente a rispondere con il famoso: NON POSSUMUS (non possiamo), come se fosse stato invitato a mangiare carne il venerdì santo. E, malgrado fosse ormai nota e dichiarata la falsità della documentazione relativa alla donazione di Costantino ed al potere di San Pietro, ad essi continuò a riferirsi senza tregua.

Un paio di mesi prima dell'invasione di Roma Pio aveva presieduto il Concilio Vaticano , senza dare spazio o voce ai pochi dissidenti (quasi tutti i 532 vescovi ed i cardinali vivevano a spese del Vaticano e non disponevano di altre fonti di sostentamento), deliberando, con un colpo che riportò la Chiesa indietro di oltre cinquecento anni, la statuizione dell'infallibilità papale.

Esaminando la storia del papato salta agli occhi che i maggiori danni "reali" alla cristianità nel suo intero non li hanno fatti i papi cattivi, come Benedetto IX o Alessandro VI, ma quelli santi, come Gregorio VII, Pio V e PIO IX.

Il vescovo Strossmayer disse in una delle sessioni conciliari: "Il Concilio manca di verità e di libertà...Un concilio che non si cura dell'antica regola della necessità di una unanimità morale e comincia a decidere su proposizioni di fede in base a criteri di maggioranza, secondo la mia interna convinzione, perde il diritto di limitare la coscienza del mondo cattolico come condizione della vita o della morte eterna."
La Bolla PASTOR AETERNUS condusse, come logica conseguenza, a scomunicare illustri professori di teologia, uomini come Döllinger di Monaco, solo perchè continuavano a dire quanto era già stato detto nel corso del Concilio, e gli studiosi cattolici che promuovevano la ricerca scientifica, la libertà religiosa o la democrazia dovettero pagare un duro scotto per le loro scelte ideali. Portò a condannare le costituzioni degli stati moderni, l'eguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge, i progressi scientifici, il suffragio universale, il voto delle donne, la libertà di religione, etc.etc.

La crudele decisione conciliare (contraria a tutte quelle precedentemente assunte) che stabilisce che il papa, quando esercita la pienezza del suo ufficio e definisce la dottrina per l'intera Chiesa, è infallibile di per se stesso e non per il consenso della Chiesa, provocò più danni che altro. Sembrava quasi che la fede provenisse dalla fonte inesauribile rappresentata dal papa e non derivasse invece dalla comunità cristiana.
La Curia ne fu deliziata.
I burocrati del Vaticano avevano temuto (evitandone la convocazione) un Concilio per oltre trecento anni ed ora vescovi e cardinali avevano regalato loro, senza battere ciglio, l'intera Chiesa, abdicando contemporaneamente alla propria indipendenza e capacità di giudizio. Ora La Curia non doveva più chiedere permessi a nessuno perchè i "pastori di uomini" (i vescovi) si erano trasformati in "pecore".
I commenti degli intellettuali e dei politici più saggi furono pesanti ma alcuni evidenziarono il fatto che non si era trattato di una decisione religiosa , ma "politica".
Il papa aveva affermato il suo dominio "assoluto" in una terra ed in un reame dove nessun monarca terreno poteva esercitare potere: lo spirito.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il grande scandalo cristiano/scientifico
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
In seguito al mio stato di normale svampitezza ed alla mia inesistente capacità di programmare ritorno alla pag.19 dove avevo lasciato il discorso in sospeso sul grande Galileo.
Ad oltre settant'anni questo grande della scienza continuava ad essere perseguitato.
Nel suo villaggio continuavano a pagare informatori che dicessero all'Inquisizione tutto ciò che faceva o diceva. Intercettavano la sua posta, scrivevano relazioni su ogni suo visitatore e sicuramente Sua Santità Urbano VIII (1623-1644) non lo avrebbe mai perdonato.
Quando richiese il permesso di tornare a Firenze (da Roma) per ricevere trattamenti medici, l'Inquisizione aveva replicato: Il Santissimo rifiuta di aderire alla richiesta ed ordina che il predetto gentiluomo debba essere avvertito di desistere dall'inviare suppliche o verrà nuovamente rinchiuso nelle galere del Sant'Uffizio" . La cosa aveva ferito particolarmente Galileo perché aveva sempre considerato il papa con amicizia e perché la risposta gli era arrivata lo stesso giorno in cui sua figlia, trentatreenne, moriva di melanconia e dispiacere per la disgraziata sorte del padre.
L'essere di nuovo nella sua casa di campagna "Il Gioiello", poter vedere (sentire, perché era ormai cieco) Firenze, immaginarla, era comunque una grande gioia che lo spingeva di nuovo a dettare opere di scienza al suo secretario.
Galileo era nato nell'anno in cui Michelangelo moriva, il 1564. Cominciò l'Università come studente di medicina, ma subito fu preso dalla matematica pura ed applicata. Inventò anche uno strumento per trovare il centro di gravità dei corpi.
Nel 1589 divenne professore di matematica a Pisa, dove però continuava a lemntarsi delle condizioni di lavoro e del salario. Si dice ripetesse:"Più inutili erano i professori, più alti erano i loro salari". Passò a Padova, dove lo pagavano meglio ma fu comunque costretto a dare sempre lezioni private.Intorno al 1610 cominciò la sua fama internazionale, quando inventò, in sostanza , il cannocchiale (ne aveva avuto già notizia in relazione agli occhiali inventati dall'olandese). La pratica applicazione dell'invenzione al settore militare , con la donazione pubblica dello stesso strumento al Doge di Venezia, di fronte al Senato, comportò per Galileo un incarico a vita come professore ed il raddoppio del suo salario.(un fortunato anche se strano premio, visto che non esistevano i brevetti e quindi nel giro di un paio d'anni tutti quanti disponevano dello stesso strumento)
La sua mossa seguente fu di rivolgere il cannocchiale verso il cielo e cambiare la faccia della scienza, scoprendo che gli scienziati erano stati in errore per duemila anni. Malgrado la notevole chiarezza della sua esposizione l'ineluttabilità delle indicazioni strumentali da lui fornite le resistenze degli aristotelici furono sempre cieche e limitate.
Il Nuncius Sidereus, che pubblicò nel 1610 (Galileo aveva già avuto rapporti con Keplero e concordava a grandi linee con le ipotesi Copernicane) fu un grande successo. Gli amici clerici (ne aveva molti , come il matematico Clavio, gli suggerirono di visitare Roma dove incontrò il Cardinal Bellarmino ed il Cardinal Barberini (che poi sarebbe divenuto papa con il nome di Urbano VIII e che parteggiò a suo favore nella disputa che si svolse a Firenze nel 1511, relativa ai galleggianti), che furono entrambi amichevoli verso di lui. Entrambi lo avvisarono di esprimere le sue tesi come "ipotesi", per evitare rogne con i teologi. Fu persino fatto membro della prestigiosa accademia dei Lincei, che per prima denominò l'invenzione galileiana con il nome di "telescopio".
Tornò a Firenze convinto di avere amici a Roma e cominciò ad esporsi, sia scrivendo in italiano sia ponendo questioni in ordine all'impossibilità di conciliare scienza e rivelazione, sistema copernicano e bibbia, etc. etc. Il vescovo di Fiesole, scandalizzatissimo, diede subito ordine di imprigionare il monaco Copernico, che, per fortuna, era già morto da una settantina d'anni. Recatosi a Roma per difendere le sue tesi, si rese presto conto che non disponeva di molte difese, contro l'idiozia teologica. Paolo V, allora papa, passò il caso di Galileo alla Congregazione dell'Indice che, nel marzo del 1616, decise respingere come eretiche le tesi copernicane. Galileo fu avvisato da Bellarmino della necessità di abbandonare le sue opinioni fallaci. Non poteva insegnarle, parlarne, discuterne. Galileo sulle prime accettò l'ordine chiedendo però una lettera di Bellarmino, che il cardinale gli scrisse in data 26 maggio 1616. La lettera, così come è descritta, pare gli impedisse soltanto di propagare "come vere" le sue tesi copernicane.
Per inciso Copernico fu messo all'Indice dove rimase fino al 1822.
Per inciso la questione non verteva sulla rotondità o sulla piattezza della Terra, ma sulla centralità o meno e sul moto di quest'ultima, che veniva generalmente considerata il centro dell'universo. Persino i presunti avversari di Colombo (i dotti di Salamanca) sono stati per questo tacciati di idiozia e di miopia mentale, mentre erano certamente migliori astronomi e migliori matematici del buon Cristoforo; le loro obiezioni erano assolutamente ragionevoli ed i loro calcoli assai più precisi di quelli del navigatore, soltanto che nessuno immaginava l'esistenza di un continente americano intermedio (che salvò la vita a Colombo ed ai suoi, destinati altrimenti a morte sicura secondo le giuste previsioni dei dotti di Salamanca). Quello della "terra piatta" è uno strano mito pseudo medievale che risale ad un paio di secoli addietro e che non ha alcuna realtà. La rotondità della Terra era ed è quasi sempre stata cosa ben nota agli studiosi, da Eudosso in poi. I dubbi riguardavano il suo moto e la sua posizione nell'universo. D'altra parte, leggendo i "dieci libri di pensieri diversi" del Tassoni (1627) senza il conforto di Newton, dell'attrito atmosferico e della moderna educazione scolastica, risulta difficile non trovare interessanti e ragionevoli (si fa per dire) le obiezioni di Alessandro (Tassoni) al moto terrestre. Comunque nessuno credeva che la terra fosse piatta (chiesa compresa).
Galileo si mise tranquillo e , nel 1623 lo stesso anno dell'elezione papale di Matteo Barberini con il nome di Urbano VIII, scrisse "Il Saggiatore" che dedicò al pontefice. Recatosi a Roma per omaggiare il papa, Galileo ne trasse solo la convinzione dell'assurdità delle tesi clericali. I commenti papali, ricevuti in persona ed amichevolmente nel corso di colloqui privati, pur con tutto il rispetto, gli sembrarono folli. Urbano VIII, per sua buona sorte, era già preso dai suoi progetti di rinnovamento architettonico che lo portarono a cannibalizzare il Colosseo, la colonnata del Bernini ed il baldacchino sotto il duomo di Michelangelo. I Romani dicevano ferocemente:"quello che i barbari non hanno fatto, lo fece il Barberini". L'intera operazione di ristrutturazione architettonica lo portò a trascurare temporaneamente Galileo.
Dopo varie altre opere Galileo scrisse "Il Sistema del Mondo" nel 1630, che inviò subito a Roma per ricevere l'Imprimatur papale. Si recò poi anch'esso a Roma , dove il papa lo ricevette con calore, enfatizzando però la necessità di esporre le sue opinioni in maniera ipotetica e proponendogli di intitolare il libro "Dialoghi dei due massimi sistemi". Il papa gli promise anche di scrivere un prefazio personalmente. I censori . al ricevimento della copia a loro destinata, rimasero disturbati dal contenuto, ma, vista l'approvazione papale, lasciarono perdere la faccenda.
Il libro fu pubblicato in Firenze nel 1632 e creò sensazione. Nel dialogo le tesi aristoteliche erano sostenute dal personaggio di Simplicius, mezzo scemo le cui idee corrispondevano esattamente a quelle del papa. Urbano si incazzò come una bestia ed ordinò a Galileo, allora settantenne e malato, di recarsi a Roma immediatamente, di sua volontà oppure in catene. Ingenuamente Galileo credeva di poter usufruire della difesa costituita dalla lettera ricevuta nel 1616 dal cardinal Bellarmino, cosa che non avvenne. Dopo varie sedute processuali Galileo (trovando anche un accordo in ordine ad alcune accuse) accettò di confessare il suo errore.
Con Copernico all'Indice e Galileo condannato dall'Inquisizione gli astronomi cattolici dovevano ora scegliere se essere buoni cattolici o buoni scienziati.
L'idiota contraddizione tra immobilità della Terra (biblica) e sistema copernicano, il contrasto tra dottrina cattolica e scienza non poteva risolversi, alla lunga, che con il trionfo di quella che normalmente viene definità "verità" o "ipotesi funzionale ad alta probabilità".
La legge di gravitazione di Newton del 1686 rese impossibile credere che l'enorme Sole girasse intorno alla piccola Terra e le osservazioni di Bradley del 1725 confermarono definitivamente le ipotesi di Copernico (Keplero) e Galileo.
Roma rifiutò di pubblicare i documenti dell'affare Galileo. Una parte di essi sparirono quando gli Archivi Vaticani vennero trasportati a Parigi da Napoleone. All'ipotesi di qualcuno che lo scienziato fosse anche stato torturato, parte delle carte riapparirono immediatamente e furono rese pubbliche, fornendo prova che tortura fisica non vi era sicuramente stata. Galileo morì nel 1642, dopo otto anni di arresti domiciliari,ed il papa, che con lui non aveva ancora finito, impedì anche al Granduca di Firenze di erigere un monumento sulla sua tomba , nella Chiesa di Santa Croce. Urbano VIII, fallace in quasi tutto, ebbe ragione solo nella motivazione che fornì per rifiutare a Galileo esequie decenti: Galileo, con i suoi peccati, aveva dato vita e forma al "più grande scandalo della Cristianità".

VENTI SECOLI DI PAPATO
L'errore di Clemente XI
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
La corte di Clemente era nel suo palazzo di Monte Cavallo, assai più fresco del Vaticano e lontano dai pestilenziali (in senso stretto) vapori romani.
Nel mercoledì santo del 1715 volle recarsi a Roma, dove, nel giorno seguente in San Pietro, venne letta di fronte alla folla la Bolla, "In Coena Domini", nella quale venivano scomunicati eretici, scismatici, pagani, pirati del Mediterraneo, e tutti coloro che non obbedivano al papa o non gli pagavano le tasse dovute.
Questa Bolla risaliva al 1372. Pio V l'aveva dichiarata legge eterna della Cristianità nel 1568 ed era stata confermata da tutti i papi fino a Clemente XIV° (1769-74), che, senza spiegazione alcuna, l'aveva lasciata cadere.
La Bolla esponeva, oltre alle scomuniche, la principale eresia papale:il Papa ha completo dominio sull'intero mondo Cristiano, secolare e religioso (opinione mai ufficialmente abbandonata dal Vaticano).
Clemente XI era un papa dal carattere inquieto, anche tempestoso ed i suoi infiniti anatemi venivano presi dai suoi contemporanei come un indice di santità e di rigore morale e spirituale.
In verità era un papa insicuro ed instabile. Non sapeva bene cosa fare ne quando farlo. Quasi tutte le sue decisioni più importanti erano frutto di manipolazioni da parte di terzi (cioé la Curia o chi per essa). In apparenza persona modesta , con frugali abitudini di vita, che diceva messa tutti i giorni e giornalmente si confessava (altro segno di insicurezza), Gian Francesco Albani aveva accettato il papato nel novembre del 1700, a cinquantuno anni, soltanto su incitamento di quattro religiosi (cardinali), dei quali, per loro fortuna, non si conosce il nome.
Alcune delle sue infinite condanne sono ragionevoli, la maggior parte sono ridicole ed eretiche:
Sorvolando su "Unigenitus", la sua costituzione del 1713 nella quale condannava il Giansenismo in Francia, mi permetto di citarne alcune:
-La lettura delle Sacre Scritture è lecita a tutti gli uomini.CONDANNATA
-I cristiani devono santificare il giorno del Signore (domenica e feste comandate) leggendo libri santi, in particolare le Sacre Scritture.CONDANNATA
-Levare il Nuovo testamento dalle mani dei Cristiani e come levare loro la parola di Cristo.CONDANNATA
-proibire ai cristiani di leggere le Sacre Scritture e come proibire l'uso della Luce ai figli della Luce e punirli con una specie di scomunica.CONDANNATA
-La paura di una ingiusta scomunica non deve impedirci di fare il nostro dovere.CONDANNATA
Quest'ultima merita un commento perchè, in accordo con quanto sostenuto da Voltaire, significa che Dio ci ordina di non fare mai il nostro dovere se/quando abbiamo paura di una ingiustizia. E' sufficiente obbedire al papa e uno va tranquillo qualunque orrenda cosa capiti ai suoi cari , ai suoi vicini o ai suoi simili e qualunque indegnità venga perpetrata sotto i suoi occhi.
Una volta presa la corsa Clemente non lasciò dubbi sulla sua direzione:"Dichiariamo, condanniamo e vietiamo tutte queste proposizioni come false e capziose, offensive per le orecchie pie, scandalose, perniciose, sporche, ingiuriose per la Chiesa e per le sue pratiche, non solo oltraggiose per la Chiesa ma anche per i poteri secolari, sediziose, empie, blasfeme, sospette di eresia e fomentatrici di eresie ed anche incoraggianti eretici ed eresie e persino scismi, erronee, spesso già condannate e, da ultimo, anche eretiche in senso stretto, contenendo varie eresie chiaramente indirizzate all'innovazione".
Clemente, come molti pontefici, riteneva che meno si discuteva meglio era. Roma aveva parlato, Roma sapeva la verità.
Due anni dopo (1715) fece pubblicare "Ex illa Die", la Bolla che, unica nel suo genere, probabilmente ci salvò dalla catastrofe della sovrappopolazione.
Nel tremendo conflitto tra gesuiti e domenicani per il controllo della predicazione cinese (nel quale i gesuiti fanno la parte dei buoni, perché ragionevoli, saggi, colti , tolleranti nelle stupidaggini, mentre, come al solito, i domenicani fanno la parte dei retrivi e degli inquisitori) Clemente , segundo le indicazioni dei domenicani vietò ai milioni di cinesi convertiti di praticare i loro riti tradizionali (nemmeno equivalenti, teologicamente, alla nostra festa dei defunti). Malgrado il grande favore precedentemente accordato (il cristianesimo è una religione i cui principi sembrano sempre favorire il potere dominante. Si veda l'immagine del gregge di pecore e del pastore) la risposta finale dell'imperatore cinese a questa decisione presa da un cretino privo di conoscenza del Sitz im leben, nel 1717, fu di espellere tutti i missionari, distruggere tutte le chiese e costringere tutti i convertiti (milioni) a rinunciare alla loro fede (cattolica). E' facile immaginare di quanti abitanti potrebbe disporre oggi la Cina se, come l'Irlanda o la Polonia, fosse una nazione prevalentemente cattolica (senza aborto, senza divorzio, senza contraccezione).
Solo nel 1939 Propaganda Fidei rovesciò, come nulla fosse e senza rilievi esplicativi, la decisione di Clemente, il cui errore è di un ordine difficilmente valutabile. Sarebbe un po' come sostenere che i cristiani sono idolatri perché baciano la mano ai cardinali o al papa (che se la fanno baciare come minus habens, privando di dignità baciati e baciatori) o adorano la croce o le reliquie. Per fortuna, è il caso di dirlo, in Cina ci sono i comunisti altrimenti saremmo già un paio di miliardi in più.
Da tutta questa pappardella e dalle pagine precedentemente esposte mi sembra emerga evidente l'assoluta fallibilità dei papi (sia che parlino ex cathedra, sia no) e l'assoluta impossibilità di stabilire quando ed in quali condizioni il pontefice abbia titoli per vantare una qualche ragionevole capacità di rappresentare il vero.
Sicuramente nessun papa ha potuto parlare ex cathedra prima del 1302 e molti arrivano ad allungare il periodo di "carenza" di infallibilità sino a tutto il 1854, l'anno di Pio IX, il papa infallibile prima di esserlo (Vaticano I).


VENTI SECOLI DI PAPATO

L'infallibile





(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)





L'8 dicembre 1854 Pio IX definì l'immacolata concezione nella sua Bolla "Ineffabilis Deus":
Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina che afferma che la santissima Vergine Maria, sin dal primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio garantiti da Dio Onnipotente, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, il Salvatore della razza umana, fu preservat indenne (libera) da tutta la sporcizia (vergogna) del peccato originale, è una dottrina rivelata da Dio e quindi deve essere creduta fermamente e costantemente da tutti i fedeli.
Questo atto di devozione verso la madre di Gesù fu anche una delle decisioni politiche più controverse e combattute dei più recenti pontificati, equiparabile alla deposizione di Gregorio VII o all'umiliazione dell'imperatore a Canossa.

Fino al dodicesimo secolo , infatti, i cristiani davano per scontato che Maria fosse stata concepita nel peccato originale. Papa Gregorio il Grande disse enfaticamente:" Cristo solo fu concepito senza peccato ". Questa solfa venne ripetuta da lui in molteplici occasioni. Il suo ragionamento e quello dei padri della Chiesa non poteva lasciare dubbi: l'atto sessuale implica sempre il peccato, Maria fu concepita normalmente, quindi nel peccato. Gesù fu concepito verginalmente, quindi senza peccato.

Quando Ambrogio e Agostino si adeguarono all'indirizzo teologico che sosteneva che Maria non aveva peccato mai, molti Padri furono in assoluto disaccordo. Tertulliano, Ireneo, Crisostomo, Origene, Basilio, Cirillo ed altri accusarono Maria di molti peccati sulla base dei testi biblici. Lei fu concepita nel peccato, lei peccava e questo è quanto dice il Nuovo Testamento. Così assoluta era questa interpretazione che il problema di uno studioso come Anselmo era di come fosse possibile che il Gesù senza peccato fosse nato da una peccatrice.

La Chiesa Greca e quella Russa Ortodossa continuano a sostenere questa tesi, per la quale derubare Maria del peccato originale è come sminuire la grandezza raggiunta, che è anche quella essere umana come noi.

In Occidente, perdendo di vista l'umanità di Cristo e rendendolo sempre più remoto, si formò la tendenza a ricorrere a colei che lo aveva tenuto in grembo quale intermediaria, ambasciatrice e messaggera per un Dio sempre più distante ed incomprensibile.

A metà del dodicesimo secolo, nel corso delle nuove festività tenutesi in Lione in nome della Vergine, San Bernardo di Chiaravalle si dichiara orrificato dalle tesi ivi esposte, avvertendo che gli argomenti esposti dovrebbero essere applicati anche a tutti gli antenati di Maria, maschi e femmine. Sarebbe occorso postulare tutta un'intera linea di progenitori concepiti "immacolati", e l'incubo non sarebbe finito lì: per essere concepiti immacolati avrebbero dovuto essere stati concepiti "virginalmente", perché, come diceva la Patristica, il sesso comporta sempre peccato. "Lo Spirito Santo era complice del peccato di concupiscenza (dei genitori di Maria)? oppure dobbiamo credere che non ci fosse stato desiderio tra loro?" Egli domandava.

Innocenzo III affermò con chiarezza che veniva santificata la "natività" di Maria e non la sua "concezione", dichiarandosi così in assoluto disaccordo con una improbabile "immacolata concezione".

Lo stesso venne sostenuto da San Bonaventura, da Tommaso d'Aquino, dal Vescovo Pelagio.

A favore della tesi "immacolata" fu Duns Scoto, il Dottor Sottile, il cui problema era quello di comprendere come Maria potesse far parte di "coloro che erano salvati" se non aveva alcun peccato da cui essere salvata. La soluzione che trovò (sottilmente sarcastica, se si può dire) era che, essendo prevenire meglio che curare, Maria venne "preventivamente"(cioè prima della sua concezione) sollevata del peccato originale "in vista" dei futuri meriti del Cristo. L'idea è "sottile" anche nella sostanza perchè assolutamente inconsistente: come si può immunizzare un bambino prima che esso venga concepito? Prima della concezione egli non esiste e se si da per scontata la sua nascita si cade in un bieco determinismo nel quale il libero arbitrio va a puttane e tutta la sofferenza di un Cristo, che sapendo di essere Dio può farla cessare in ogni momento, non significa più un cazzo se non uno spiacevole caso di masochismo. Ben diverso è soffrire senza conoscere l'epilogo della propria storia se non a grandi linee o soffrire seguendo un copione che porterà comunque alla propria risurrezione, così come diverso è non sapere quando si cesserà di soffrire dal sapere perfettamente e con assoluta certezza l'evoluzione della propria sofferenza (un'altra questione che fa pensare, eh? :un sacrificio che non è altro che una bella recita).

L'assurda idea di Scoto venne ripresa alcuni secoli dopo proprio da Pio IX° per sostenere la propria infallibile definizione dell'immacolata concezione.

La guerra (perché guerra è stata) tra immacolatisti e santisti durò diversi secoli, combattuta da domenicani contro francescani, da imperatori contro re. Gli uni accusavano reciprocamente gli altri di eresia. una cosa ridicola.

In genere i papi preferivano sorvolare sulla questione , anche perché le Scritture sembrano tacere sulla faccenda.

Papa Sisto IV° ordinò la festa della concezione (solo della "concezione", si badi bene) e quando i francescani gioirono sui loro nemici domenicani Sisto scrisse un'apposita Bolla: la festa era per onorare la "concezione" di Maria e non la sua santificazione ed i Domenicani dovevano accettarla, altrimenti li avrebbe scomunicati. D'altra parte se i Francescani avessero gioito sui loro rivali Sisto avrebbe scomunicato loro. Un gran bel casino!

Alessando VI confermò la Bolla, ma ricorse anche all'esercito per mettere pace tra i due ordini.

L'affare Letser (un domenicano a cui apparve la Madonna , portandogli anche messaggi per il papa) condito con una statua della Madonna che piangeva per i peccati dei Francescani , pregandoli di accettare la sua "maculata" concezione, mise tutti in subbuglio, soprattutto quando Letser , interrogato dall'Inquisizione, confessò che si era trattato di un complotto. Lui e quattro complici domenicani bruciarono sul rogo (l'ordine domenicano li proclamò martiri), ma i domenicani non cessarono di sostenere la loro tesi della "maculata" concezione.

Il Concilio di Trento non potè decidere (per esplicita proibizione di Paolo IV), ma la faccenda prese una piega favorevole all'immacolatezza quando quell'imbecille di Paolo Zacchia, medico romano, sostenne assurda la tesi aristotelica della "progressiva animazione" del feto. L'idiota Zacchia (mi si perdoni l'antistorico insulto, ma quanti danni e quante sofferenze!) sostenne nel 1621 che :"un'anima razionale è infusa nel feto nel preciso momento del concepimento".

La cosa rendeva più agevole accettare l'applicazione del concetto di immacolata. Se c'era un'anima razionale era più facile prenderne in considerazione la assoluta santità.

Gregorio XVI , nel 1622, proibì ancora l'uso del termina "immacolata" riferito alla concezione di Maria, pur santificandone la festa, mentre Clemente XI dichiarò ufficialmente la "festa dell'immacolata concezione".

Benedetto XIV (1831-46) dichiarò che la Chiesa inclina verso l'immacolata concezione, ma non ne fa un articolo di fede.

Pio IX si preparò la strada con l'enciclica "Ubi Primum" (1849), dipingendo Maria in maniera fantascientifica, e poi decretandone , da solo e senza il supporto di alcuno, nel 1854 l'assoluta immacolatezza e, nel contempo, asserendo di averla decretata ex cathedra ed infallibilmente.

Il potere assoluto aveva creato la verità assoluta.

Pio fu altresì responsabile del rigetto assoluto della dottrina Darwiniana, perché il trasferimento logico del problema di Maria al peccato originale non permetteva l'adeguamento al concetto di "evoluzione" della specie; così fu responsabile delle gravi controversie in ordine all'aborto, al controllo delle nascite, alla fecondazione artificiale. La sua interpretazione del canone lo condusse a condannare ogni novità, fosse buona o cattiva, con particolare riferimento al concetto di libertà applicata. Lo condusse (insieme alla sua Chiesa) sulla spiacevole strada dell'intolleranza religiosa e dell'assolutismo.

Condannò le prime moderne costituzioni, praticamente scomunicandole. Protestò pesantemente contro di esse anche perché permettevano a protestanti ed ebrei di avere proprie scuole e collegi.

Per cercare di scusare l'assoluta incomprensione dimostrata dal Pontefice verso il mondo che lo circondava, ci fu chi, come il vescovo Dupanloup, così ragionò: "Il Sillabo del papa (di cui ho già parlato nelle prime pagine) si applica ad un mondo perfetto -tesi- non ad un mondo imperfetto-ipotesi". Un parigino comentò questo involuto ragionamento facendogli il verso:"La tesi è quando la Chiesa condanna i giudei; l'ipotesi è quando il Nunzio papale pranza con il Barone Rothschild".


VENTI SECOLI DI PAPATO

La supremazia papale (1° vaticano)



(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)



La data scelta per l'apertura del Primo Concilio Vaticano nel 1869 fu l'8 dicembre, l'anniversario della purissima definizione papale dell'immacolata concezione.

In accordo con PASTOR AETERNUS, la decretazione più importante del Concilio fu che il papa non è soltanto un mero supervisore e/o amministratore della Chiesa. Egli possiede "piena e suprema giurisdizione della Chiesa in quelle materie che concernono la disciplina e la direzione della Chiesa sparsa nel mondo". Il potere del papa è assoluto e si estende dappertutto.

Il Concilio affermò questa cazzata sostenendo di riferirsi a quanto testimoniato da tutte le Sacre Scritture e aderendo a quanto sostenuto sia dai pontefici precedenti sia dai Concili precedenti.

Tristemente il Concilio ha deciso il falso. Non ci sono precedenti che testimonino espressamente in tale senso, anzi, le testimonianze più significative sono decisamente contrarie. IN molteplici occasioni i Concili hanno affermato la propria superiorità rispetto ad un soggetto che non è storicamente nemmeno più qualificato dei vescovi di altre località (ricordiamoci che il papa è solo il vescovo di Roma).

Gli unici otto concili tenuti dalla Chiesa unita non vennero mai convocati dal vescovo di Roma. A Nicea, nel 325, convocato dall'imperatore, al canone 6 si stabilisce che tutte le diocesi mantengano i propri diritti intatti. Nel concilio di Costantinopoli (381) a Roma viene affiancata , come pari grado, Costantinopoli. La cosa si ripete nel 451 (Calcedonia). La cosa vale anche per le scritture, in nessuna di esse si trovano giustificazioni alla idiota decisione, che ha solo carattere di puro esercizio di potere politico.

Discorso simile può tranquillamente essere fatto in relazione alla infallibilità papale, ufficialmente inesistente sino al 1870. Prima di quella data la nozione di qualche cattolico , di trarre la propria fede in Dio, Gesù e la Chiesa dal papa era da considerarsi errata. La Chiesa non ha mai richiesto l'infallibilità papale per la fede cristiana.

Secondo Vaticano I° il papa è infallibile quando parla ex cathedra. Sembrerebbe più corretto dire che il papa è fallibile, salvo quando parla ex cathedra, e non parla quasi mai in tale contesto. Giovanni XXIII disse di non essere assolutamente infallibile e che lo sarebbe stato solo se avesse parlato ex cathedra, cosa che non intendeva assolutamente fare mai.

Questa posizione è ben puntualizzata da un vescovo conciliare che che affermò: dire "il papa è infallibile" è un po' come dire "il signor X è un ubriacone perché una volta ha bevuto"; o peggio "il signor X è un ubriacone perché il suo bisbisbisnonno una volta aveva bevuto".

L'infallibilità papale non è stata in grado di illuminare o risolvere alcun problema reale della Chiesa o della fede, tanto è vero che l'infallibilità papale è stata esercitata soltanto su questioni di per se cretine e senza basi documentali (immacolata concezione, assunzione in Cielo di Maria in carne e spirito).

Insomma sono anche un pò vigliaccucci questi pontefici (in generale dico), perché non risolvono (vogliono risolvere) nulla di sostanziale con la loro "presunta" infallibilità. L'infallibilità sembra insomma essere in relazione più stretta con il potere piuttosto che con la verità.

Poco dopo Vaticano I , Civiltà Cattolica riportò un sermone di Pio IX° nel quale si lamentava di numerosi maliziosi errori relativi all'infallibilità. Il più grave era quello che concerneva il diritto del papa di deporre i sovrani e dichiarare i loro sudditi liberi da obbligazioni. Con un discorso circonvoluto e confuso affermò che questo diritto non aveva nulla a che fare con l'infallibilità. Era questione di autorità, quell'autorità che derivava dalla riverenza accordata al papa dalle nazioni cristiane per comune decisione.

Provenendo da Pio , dopo Vaticano I, la cosa è rimarcabile. Quasi ogni papa dopo Gregorio VII° ha sostenuto di avere ricevuto da DIO il potere di deporre i sovrani, che il papa regna anche in terra al posto di Dio, mentre nessu papa ha mai sostenuto di avere ricevuto tale potere dalla comunità delle nazioni cristiane. Uno storico del diciottesimo secolo contò oltre 95 pontefici che affermavano di avere il divino potere di deporre i sovrani. Tutte le loro giustificazioni erano basate, malamente bisogna dire, sulle sacre scritture.

Qualunque altra istituzione , fronteggiando una tale sommatoria di evidenze storiche, direbbe: i nostri predecessori sbagliarono, lessero male i vangeli. I papi erravano quando deponevano imperatori su imperatori. Sfortunatamente l'infallibilità papale tende a relegare la storia in un angolo poco illuminato della grande stanza della teologia.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Un papa paesano (di fatto e di mente)
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Erano i primi di agosto 1903 nella Cappella Sistina. All'ombra del Giudizio Universale il voto sembrava andare come previsto quando il cardinal Puszyna, il vescovo polacco di Cracovia (allora parte dellì'impero austro-ungarico), si alzò per rivolgersi ai suoi 61 colleghi del conclave. Aveva da consegnare un messaggio prima della terza votazione per eleggere il successore di Leone XIII. Si trattava di un messaggio di Francesco Giuseppe, che, esercitando il suo antico diritto, esercitava il veto nei confronti del Cardinal Rampolla, ex segretario di stato.
Si trattava di un terribile insulto e di una interferenza assolutamente non accettabile.
Gioacchino Pecci, Leone XIII, era morto il 19 luglio 1903 , dopo aver regnato molto a lungo. Malgrado la sua fama di liberale per aver aperto gli archivi vaticani (dicendo: "La Chiesa non ha paura della storia"), era anch'egli un assolutista. Il suo amicio e biografo Giuliano de Narfon riporta una conversazione tipica del tempo: "Cosa farebbe Lei - viene chiesto ad un cardinale - se il Santo Padre volesse obbligarla ad ammettere che due più due fa sei?" "Lo ammetterei senza indugio" fu la risposta, "e prima di sottoscriverlo gli domanderei : Vuol mica che gli faccia fare sette?".
Nel 1896 Leone decise che gli ordini anglicani erano invalidi, abolendo tutti i sacramenti di questa confessione religiosa e trasformando (solo nell'ambito del suo campo da gioco, per fortuna) l'arcivescovo di Canterbury in un laico. Ma , malgrado tutto questo, Leone diede il via ad una stagione di realpolitik, insistendo per il riconoscimento della repubblica francese e cessando di invocare il ritorno della monarchia. Forse un po' d'aria fresca cominciava a circolare.
L'intervento nel corso del conclave , nel quale Rampolla, filo francese, era favorito rispetto al suo avversario, Gotti, filo austriaco, modificò l'evoluzione del voto (malgrado le veementi proteste e le dichiarazioni di indipendenza dei cardinali), conducendo all'elezione di Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia. Pio X° non aveva desiderato l'incarico e lo accettò dopo molte esitazione e dopo lunghi pianti e molti tentativi di convinzione da parte di altri cardinali.
Figlio di un operaio, era nato nel 1834 a Riese ed entrò in seminario giovanissimo. Aveva verso la vita un'attitudine semplice e bonaria. Alcuni eventi sicuramente ne segnarono l'indirizzo politico, come la lunga attesa dell'Exsequator prima di poter prendere possesso della sua diocesi veneziana quando venne nominato patriarca di Venezia, ciò che lo convinse che l'unica soluzione ai problemi della società (secondo lui malata) era il papa e l'obbedienza assoluta al pontefice stesso.
La sua semplicità e la fede estatica, nel loro scontro quotidiano con i fatti sociali e politici, rafforzarono le sue convinzioni di una società malata , apostatica e moralmente depravata. Sicuro dell'esistenza di una congiura diretta contro la chiesa e portata avanti da teologi modernisti, evoluzione sociale, rivendicazioni politiche , la sua pochezza intellettuale lo rese facile alle castronerie, non giustificate dalla sua ipotetica infallibilità. Alcune sue encicliche sembrano frutto della mente di un deficiente, ignorante persino della dottrina che predica.
La cosa spiace perché innegabile è la sua sostanziale bontà d'animo verso le sue smarrite pecorelle.
Le decisioni assunte in ordine alla Commissione Biblica (istituita da Leone XIII per limitare le conservatrici decisioni del Sant'Uffizio) riportarono indietro la libertà di interpretazione dei testi sacri di cent'anni, ripristinando la "realtà storica" dei primi tre capitoli della Genesi (cinquant'anni dopo l"Origine delle Specie" di Darwin), l'assoluta realtà dei quattro evangelisti come autori dei vangeli sinottici ed attribuendo a Paolo tutte le epistole riportate come sue, anche se palesemente frutto dell'opera altrui.
Come giustamente diceva Voltaire solo quando il "mito" è accettato come tale esso acquista la sua intrinseca beltà e significanza.
Per Pio X il Diluvio è un evento reale e completo, la morte e le malattie degli uomini sono originate dal peccato originale e via così.
Persino il riduzionismo interpretativo che permette di vedere gli eventi biblici come accettabili, in quanto limitati nel tempo e nello spazio, rappresentava per Pio un indicibile errore teologico.
Nel suo "Lamentabili" il papa si scatena (si fa per dire) contro il suo mortale nemico, il Modernismo, elencando ( alla maniera del Sillabo degli Errori) una serie di proposizioni meritevoli di condanna che sembrano uscite dalla mente di un demente retrivo. Inaccettabili da un pensiero libero ed indipendente. L'enciclica "Pascendi" sembra un romanzo di spionaggio, rappresentando una società cristiana infiltrata dalla setta dei "Modernisti" che cerca di distruggerla.
Le condanne a grandi teologi cattolici irrogate da questo pontefice, con la sofferenza che inflisse, (v.Tyrrel e Loisy, Lagrange, Duchesne; tutti ne ebbero la vita e la professione rovinata malgrado fossero studiosi ed uomini di grandissima levatura scientifica e morale) rappresenta un grave peso sulla sua serenità spirituale. Il peso che portò l'abate Bremond, quando ammesso all'Academie Française nel 1924, a dire nella sua "orazione d'apertura" :"Io ho vissuto sotto quattro pontefici:Pio IX, Leone XIII, Benedetto XV e Pio XI", implicando o che per lui Pio X° non era proprio esistito oppure che sotto Pio X non era proprio possibile vivere.
La censura e le persecuzioni colpirono un po' dappertutto (persino Angelo Roncalli, il futuro straordinario Giovanni XXIII, venne indicato e sospettato come colpevole di "modernismo").
La lotta del papato contro l'evoluzione continuò anche con i due papi seguenti, anche se con minor convinzione e capacità di repressione, Benedetto XV e Pio XI, che tutto potevano essere tranne che dei giganti intellettuali.
Pio XII, che porta l'orribile peso della sua viltà o della sua personale mostruosa scelta di campo nel corso della seconda guerra mondiale, era comunque un individuo intellettualmente di grandi doti anche qui è necessario non dimenticare i campi di steminio organizzati in Croazia da Ante Pavelic (1942/1943), ricevuto regolarmente da Pio XII, e la partecipazione alle stragi dei frati francescani (Miroslav Filipovic, "Bruder Tod", ossia sorella morte). Persino alcuni ufficiali delle SS protestarono direttamente con Hitler per gli orrori serbo-croati, dei quali il papa era purtroppo informato ed alla sua morte, comunque, anche se non era lecito piangere un sant'uomo non si rese possibile trovare qualcuno alla sua altezza.
In quel duro momento (1958) capitò un miracolo.

VENTI SECOLI DI PAPATO
Il Pontefice Che Amava Il Mondo
(le immagini del testo sono in parte originali ed in parte tratte dai testi citati in bibliografia)
Non parve affatto un miracolo quando , nel 1958, Angelo Roncalli uscì sulla loggia di San Pietro per dare il suo augurio "Urbi et Orbi" alla città ed al mondo. Sembrava di più una benigna nonna italiana che il Sommo Pontefice.
Pio XII aveva abituato i cattolici ad una maestosa Presenza e ad un cervello affilato come un coltello. Roncalli sembrava un papa succedaneo, un vecchio che sarebbe durato qualche anno, finché i cardinali non avessero trovato qualcuno con cui rimpiazzare l'irrimpiazzabile (Pio XII, il papa politico). Poteva probabilmente trattarsi di Montini di Milano, una volta confidente di Pio. Se solo Montini fosse stato cardinale quando cominciò il Concilio avrebbe già potuto diventare papa in quel momento (anche se il Cardinal Siri, di Genova, era un avversario da non sottovalutare. Uno splendido conservatore, che fu capace di accettare in toto Giovanni XXIII ed il suo messaggio, pur non condividendolo affatto).
E poi il nome scelto da questo amabile personaggio? Giovanni XXIII. Non c'era stato un papa Giovanni da 500 anni, anche se era stato uno dei nomi più amati dai papi precedenti. Era il nome del Battista e del discepolo prediletto di Gesù. Inoltre c'era già stato un Giovanni XXIII e, come abbiamo visto, Baldassarre Cossa, il pirata , era stato anche la ragione dello sparire del nome dalle scelte dei nuovi papi. Deposto nel Concilio di Costanza nel 1415 (ve ne parlo a pagg. 21 e 22) era tuttora seppellito nel battistero ottagonale della cattedrale di Firenze (tomba disegnata da Donatello). Roncalli spiegò la scelta con il fatto che, per quanto ne sapeva lui, i "Giovanni" non erano mai durati molto, ed essendo lui parecchio oltre i settant'anni gli era sembrata una scelta appropriata. La situazione era invero assai più strana perché , lasciando da parte il Cossa, Giovanni XVI fu un antipapa, e non esiste un Giovanni XX perchè il papa che avrebbe dovuto chiamarsi così decise invece per Giovanni XXI, credendo che ci fosse stato un papa extra con quel nome nel nono secolo (si trattava della fantastica Papessa Giovanna). Così lo stupore di molti quando Roncalli scelse di chiamarsi Giovanni XXIII invece di Giovanni XXIV° non era giustificato perchè lui sarebbe stato solo il XXI dei papi con quel nome.
Vorrei non starvelo a menare con i tratti salienti della sua vita, ma credo sia inevitabile per comprenderne la personalità.
Nacque il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, vicino a Bergamo. Suo padre, Giovanni Battista, era un povero contadino e Angelo era il terzo di redici figli (il maschio più anziano). Fu battezzato nello stesso giorno della nascita in Santa Maria in Brusico, portatovi di corsa dallo zio Saverio, ma la registrazione comunale precedette il battesimo perché il prete della parrocchia era fuori in visita.
La sua vita familiare (da ragazzo) era vivida, piena di movimento e di fede. Ritornava annualmente in famiglia "per ritemprarsi", come spesso diceva. Egli stesso racconta:" Non c'era mai pane alla nostra tavola, solo polenta; ne vino, e carne assai di rado. Solo a Natale e a Pasqua potevamo avere un pezzetto di torta fatta in casa...eppure quando un povero si presentava alla porta e tutti noi venti aspettavamo impazienti la minestra in tavola, mia madre trovava sempre posto ed occasione per farlo sedere a mangiare con noi.
Il povero non era uno sconosciuto, naturalmente.
Agli occhi di Marianna Roncalli era lo stesso Gesù.
Con enormi sacrifici la famiglia lo mandò a studare al seminario giovanile di Bergamo e nel 1900 entrò al Collegio Cesarola di Roma. Fu ordinato il 10 agosto 1904 e, ottenuto il dottorato in Teologia, divenne segretario del liberale vescovo di Bergamo, posto che ricoprì per nove anni.
Partecipò come ordinanza medica alla prima guerra mondiale.
Nel 1922 incontrò , per caso, nella Libreria di Milano Monsignor Achille Ratti, direttore della medesima e futuro Pio IX, che lo prese in simpatia.
Tre anni dopo era vescovo ed entrava nel corpo diplomatico.
Per coloro che lo immaginano come un bonario semplicista, ricordo che Giovanni XXIII parlava correntemente Latino, Greco, Francese e Bulgaro. Capiva e si esprimeva in Spagnolo, Turco e Rumeno. Leggeva Inglese, Tedesco e Russo. Ed era uno straordinario diplomatico, che serenamente e con quieta intelligenza insisteva sulla necessità di libertà e sul rispetto dei diritti di ciascuno:"benedetti siano i mansueti perché essi erediteranno la terra, benedetti siano i "pacificatori" perché essi saranno chiamati i bambini di Dio". Altra sua espressione era "Legum servi sumus, ut liberi esse possumus"(Cicerone). Siamo soggetti alla legge al fine di essere liberi. Nobile espressione di saggezza romana che ben rappresenta la necessità di cercare il cambiamento attraverso la modifica delle regole sociali e nel rispetto della legge.
E' stato senza dubbio il Papa Giovanni che resterà nella storia. Tutto in lui , tranne l'altezza, era grosso:occhi, orecchie, bocca, naso, collo, cuore. Soprattutto il cuore. La sua faccia era come un puzzle composito, ma il suo cuore era uno dei capolavori del Signore.
Uomo del mondo non perse mai la capacità di essere bambino e di guardare al futuro.
Il suo orientamento verso il futuro e l'assenza totale di paura furono i grandi doni che portò al papato. Nel suo discorso di addio ad Auriol (dopo otto anni di rettorato del Corpo Diplomatico), disse:" Se noi conserviamo una fede ferma, un invincibile ottimismo e cuori sensibili ai sinseri appelli alla fratellanza umana e cristiana, noi tutti abbiamo il diritto di essere senza paura e di credere all'aiuto di Dio". Amore, amicizia e ottimismo erano virtù che aveva in abbondanza. E come i suoi alleati lo vedevano così, altrettanto facevano i suoi oppositori, che rifiutavano di chiamarlo "nemico". Lui era al di fuori di queste categorie.
Herriot, leader del Partito Radicale, disse di lui:"se tutti i preti fossero come il Nunzio Roncalli non ci sarebbero più anticlericali".
Quando divenne Patriarca di Venezia, il Presidente Auriol insistette per consegnargli personalmente il cappello rosso, nel corso di una cerimonia all'Elieseo, e Roncalli disse che a Venezia, nella sua casa, ci sarebbe sempre stata una lampada accesa per i suoi amici.
Il canadese Generale Vanier gli rispose:" Noi siamo tutti Vostri amici e quando verremo a Venezia la prima cosa che guarderemo sarà la lampada accesa nella casa del Patriarca. Sappiamo che avremo solo da bussare e ci sarà aperto.".
Come Patriarca Roncalli visse diversi anni di pace e di serenità. Il suo ottimismo era contagioso e produceva effetti pacificatori. Sembrava il massimo di una lunga carriera:dieci anni a Sofia (Bulgaria), dieci a Istambul, otto a Parigi, il suo ultimo impegno. Si aspettava probabilmente di finire i suoi giorni a Venezia, come Giuseppe Sarto prima di lui ed anche lui si sbagliava
Ci vollero undici votazioni nell'ottobre del 1958 per eleggerlo papa, ma ci volle molto meno per comprendere che era differente da tutti gli altri papi. Prima di tutto era un essere umano, poi era un umile cristiano e poi, da ultimo, era un cattolico Cattolico (universale). Era il papa del Mondo.
Alcuni dissero addirittura che sembrava addirittura un papa non italiano, per il maggior rilievo concesso alle vicende del Mondo piuttosto che a quelle italiane, come sempre confusamente rissaiole ed inconcludenti.
La Curia si lamentò amaramente per i suoi presunti cedimenti ai comunisti, alle eresie ed ai nemici religiosi di molti secoli e così fecero le destre estreme. Concesse persino un'intervista, in un delicato momento politico, alla Izvestia (principale quotidiano moscovita), diretta allora dal figlio di Khrushiov, provocando la furia belluina dei cardinali e dei prelati più retrivi.
La verità è che non era particolarmente interessato a salvare l'Italia dal comunismo, ma piuttosto a divulgare il Vangelo di Cristo a tutta l'umanità e soprattutto alla Chiesa.
Dove i suoi predessori avevano combattuto il mondo, l'avevano denunciato, avvisato, condannato, Giovanni XXIII l'amava, lo incoraggiava e gli sorrideva come un cherubino.
Giovanni era un grande "artista dello spirito". Diede una nuova dimensione al cattolicesimo, utilizzando i vecchi mezzi che aveva a disposizione. Molti , soprattutto tra i Cardinali, e uomini astuti come il Cardinal Heenan non furono in grado di coglierne l'originalità e la grandezza e lo criticarono duramente come fosse un "semplice".
Sicuramente lo era ma era anche una delle menti più acute del suo tempo ed il suo non perdere contatto con il Vangelo gli permetteva di mantenere sempre il rapporto con il mondo intero.
Rappresentò la dimostrazione che si può essere un santo e saper fare il proprio lavoro contemporaneamente.
La verità lo rappresenta meglio di mille leggende. Il Santo Stefano del 1958 si recò a Regina Coeli (la prigione) e disse ai reclusi:"Voi non potete venirmi a trovare e così sono venuto io da Voi.". Ad un bimbo che gli scriveva di sapersi decidere sul cosa fare da grande, se il papa o il poliziotto, rispose:"Sarebbe più saggio per te studiare da poliziotto. Tutti quanti possono fare il papa, visto che, come puoi vedere, anche io lo sono diventato." Aveva l'abitudine di girare per i giardini a tutte le ore, così i visitatori della cupola di San Pietro cercavano sempre di guardare se lui stesse passeggiando nei giardini, visibili dalla cupola."Cosa succede?" domandò Giovanni ad un preoccupato ufficiale della sicurezza. "Vogliono vederVi, Santità.""E perchè no?" chiese Papa Giovanni sinceramente stupito."Non sto mica facendo niente di sbagliato, credo?"
L'umanità di quest'uomo e la sua capacità di comprensione, tenendo conto del ruolo ricoperto, hanno dello straordinario. Del magico, vorrei dire, senza tema di essere blasfemo.
Sia lui che Pio X erano di origine contadina. Sia lui che Sarto erano santi uomini, senza personali preoccupazioni, senza macchie private. Uomini dedicati e pieni di umiltà personale eppure incredibilmente differenti.
Dove Pio esigeva, per il suo ruolo, assoluta obbedienza e persino sottomissione, sentendosi obbligato ad imporre la sua autorità quale rappresentante di Cristo in terra, Giovanni non esigeva nulla, nulla temendo tranne di agire diversamente da come Gesù avrebbe agito.
Non esisteva in lui contraddizione tra essere papa ed essere buon cristiano. Lui non era null'altro che il "buon pastore".
Al suo annuncio di aver convocato un Concilio, nel gennaio 1959, i cardinali erano stupefatti che chiedesse loro consiglio. Non ne avevano da dargli. Per troppo tempo erano stati abituati a seguire i comandi dei papi piuttosto che a collaborare. E perché avrebbero dovuto mostrare qualche entusiasmo? L'unico Concilio in quattrocento anni era servito a proclamare l'infallibilità del papa. Perché Giovanni voleva un nuovo Concilio ed a cosa gli sarebbe servito?
Le resistenze furono moltissime, anche all'interno della Curia, ma niente arrestò Giovanni.
Nell'ottobre del '62 presenziò, con lacrime di gioia agli occhi, alla seduta d'apertura.
Si diceva che se tutti i papi fossero stati come lui, tutti quanti avrebbero fatto la coda per diventare cristiani, ma le cose non furono affatto facili.
La resistenza della vecchia Guardia, con le condanne e gli anatemi, fu grandissima. Ottaviani, Spellman, McIntyre, Godfrey opposero strenue obiezioni allo spirito di comprensione e di libertà che Giovanni andava diffondendo, tanto da indurre, in una particolare occasione, il cardinal Léger ad alzarsi in piedi e rispondere duramente alle reazionarie istruzioni di Ottaviani: "Dovrete fare il lavoro (di contenere lo spirito di novità) da solo. Se la Vostra attitudine è questa, Voi siete l'unico ortodosso qui e tutti noi altri siamo eretici. Arrivederci." .
La prima sconfitta della Vecchia Guardia fu dovuta al coraggio di due cardinali, Frings di Colonia e Liénart di Lille, che si opposero alla composizione delle Commissioni, con membri tutti nominati dalla Curia.
Giovanni, guardando l'evolversi della situazione sulla televisione in circuito chiuso, deve aver sorriso come Monna Lisa. La Curia, che aveva così a lungo controllato l'indirizzo della politica della Chiesa, non la rappresentava più.
Molti passi avanti vennero posti in essere nel corso del Concilio, anche se nessuna reale modifica strutturale alla catechesi venne materialmente apportata. Le resistenze al nuovo furono troppo forti e l'idea che, al termine del Concilio, la Curia avrebbe comunque ripreso in mano le fila politico/religiose del potere era troppo consolidata perché si potesse realizzare una "Nuova Chiesa". I colpi inferti alla vecchia struttura furono però tremendi. L'intervento di Massimo IV, Patriarca di Antiochia e della Chiesa Orientale che emerse come figura di rilievo, modificò neanche tanto sottilmente gli atteggiamenti ed i comportamenti di adeguamento al nuovo da assumere di fronte all'evoluzione civile.
Le questioni poste sul tappeto della discussione, aborto, catechismo, irrilevanza delle strette e dure regole di comportamento imposte a fedeli per i quali non avevano ormai alcun senso, e persino l'astrusità di un concetto di paradiso che era poco meglio di un monastero medioevale, vennero messe in discussione.
Quando la prima sessione conciliare terminò, nel dicembre del 1962, nessuno dubitava più che la Chiesa stesse entrando pienamente nel XX secolo.
Nel marzo 1963, tra le furenti critiche della Curia, Giovanni ricevette il Premio Balsan della Pace, con l'appoggio completo dei quattro membri sovietici del comitato di nomina. Fu accusato di essere un cripto-comunista, di avere sminuito il prestigio del papato per aver accettato un premio di terza categoria da nemici della fede.
Nella medesima primavera del '63 Giovanni pubblicò la sua enciclica "Pacem in Terris", con la quale dava sostanzialmente il benvenuto al progresso e proclamava il diritto di ogni uomo di "venerare Dio secondo i dettami della propria coscienza e di professare la propria religione sia privatamente sia pubblicamente".
Egli distrusse definitivamente l'idea che l'errore non ha diritti, come sostenuto per secoli dall'Inquisizione, rimpiazzandola con quella che gli esseri umani hanno ricevuto da Dio diritti che nessuno può togliere loro.
Nella stessa epoca cominciò a mostrare i sintomi della malattia che l'avrebbe ucciso nel giugno del 1963.
Lasciò un vuoto che nessuno è stato in grado di colmare.
Rese attraente la bontà e la santità, rese cattolica la Chiesa, diede al cattolicesimo un nuovo cuore ed un nuovo spirito ed anche se non riuscì a completare il suo gesto d'amore nessuno di noi potrà dimenticarlo.

Il Concilio era ancora in corso perciò quando, il 17 giugno, venne nominato il suo successore, Giovan Battista Montini, che prese il nome di Paolo VI.
_<*>_ LUCE INFINITA DELL'AMORE E DELLA VERITA'_<*>_